Thursday 26 December 2013

#IlNataleDellaCrisi

L’awkward moment quando il tuo Natale si trasforma nella brutta parodia di uno di quei servizi/documentari strappalacrime su come la crisi si ripercuote sulle famiglie italiane, che vanno in onda nei programmi di approfondimento politico su RaiTre la sera tardi.

Le cose iniziano a marciare male già dalla vigilia. L’albero di natale, vecchio di almeno vent’anni e con i rami che minacciano di staccarsi, lo addobbiamo di corsa con la Mater al pomeriggio, ché i giorni prima non abbiamo avuto tempo; nel mentre, scopro che quello piccolo a fibbre ottiche è stato buttato l’anno scorso dopo la mia partenza perché si era bruciato il motorino delle luci. Il che mi addolora alquanto.
Terminato l’albero, Mari mi propone una pizza al Poco Loco, rinomato locale di Alghero. Io combino in modo da uscire sia con lei e Diego, sia con Giovix, ma quando tento di prenotare, lì nessuno risponde. Il sospetto che sia chiuso nonostante la vigilia di Natale si fa sempre più concreto di minuto in minuto.
Alle nove meno un quarto, ora dell’appuntamento, constatiamo che il Poco Loco è  effettivamente chiuso. Incuranti del ventaccio che neanche a Trieste, saliamo in macchina e partiamo alla ricerca di una pizzeria aperta. Ardua impresa. Alla fine, sbuchiamo dall’altra parte della città e ne troviamo una: d’asporto ma con due tavoli improvvisati in un angolo dell'angusta stanza. Alle nove e venti circa siamo pronti a ordinare.
Nonostante sia servita già a fette nei cartoni e senza posate, la pizza è ottima, ma viene accompagnata da discorsi che spaziano fra locali chiusi, poca gente in giro, disoccupazione, negozi falliti in tutto il centro città, aumento dell’età pensionabile, disastri politici, la morte di Mikhail Kalashnikov. Insomma, lo spirito natalizio non è ancora pervenuto.
Alle dieci meno dieci ci alziamo, paghiamo e ci dirigiamo nuovamente in centro in cerca di un locale aperto. D’accordo il vento e il freddo, ma in città non c’è davvero un cane, che sia uno. Fortunatamente troviamo il Baraonda aperto: Diego e Giovix, che devono guidare, prendono un tè caldo e un analcolico, giusto perché l’allegria era già troppa, mentre Mari e io prendiamo rispettivamente un bicchiere di rosso e uno Stinger (cognac & crème de menthe, il mio nuovo signature cocktail). Complice Giusy Ferrery di sottofondo, i discorsi si mantengono funerei fino a quando Giovix ci saluta per andare a trovare i parenti e io, di umore sempre più tetro, ordino un secondo giro di Stinger: con un po’ di alcool in più le cose sembrano migliorare leggermente, ma, anche se finiamo a parlare di GdR, la serata continua a non ingranare.
Nella disperazione più totale, ci dirigiamo prima su una panchina al riparo dal vento, poi in uno dei bar di via Maiorca dove, accompagnati dai The Who in tv e dalla mosca sullo schermo, ordiniamo un’acqua tonica (Diego), un chupito servito in un bellissimo bicchierino da shottini (Mari) e, in mancanza dello Stinger, un Bloody Mary (la mia vecchia fiamma). Scoraggiati dalla mancanza di attività serale e troppo alticci per bere ancora, a mezzanotte e pochi spiccioli ci scambiamo gli auguri, rubiamo il bicchierino da shottino e ci dirigiamo verso casa per porre fine alla serata. La quale è riassumibile in: la gente non ha soldi per uscire e i locali o sono vuoti, o sono chiusi.

Il 25 sembra iniziare (verso l’una del pomeriggio, per me) sotto migliori auspici, se non si tiene conto del diluvio e del ventaccio fuori, e della mancanza della puntata de La Signora in Giallo: risotto ai funghi e antunna trifolata al forno per pranzo (credo che in altre parti di Italia si chiami cardoncello, comunque è un fungo), cotechino e purè di patate per cena. La notizia, appena sveglio, che il Papa ha concesso l’indulgenza plenaria a tutti quelli che hanno seguito la messa, presenziando fisicamente o tramite mezzi tecnologici, riporta il mio spirito natalizio al livello delle caviglie, e l’albero di natale triste e spento perché la Mater si è dimenticata di accenderlo non aiuta. Ancor meno aiuta la bombola del gas, che decide di lasciarci a piedi ancora prima di iniziare la cottura del risotto. E meno male che giusto l’altro ieri ci eravamo rassicurati dicendo che l’avevamo comprata da poco, quando in realtà, quaderno della contabilità alla mano, stava lì da agosto.
Essendo i negozi di bombole, i supermercati e le gastronomie rigorosamente chiusi, cerchiamo di arrangiarci con quello che c’è: il cotechino della sera si può cuocere anche al microonde, mentre le antunne se la caveranno col grill elettrico del forno. Con qualche fetta aggiuntiva di salsiccia sarda, e pera e melograno come frutta, il pranzo è salvo, fra una risata e l’altra per la situazione inusuale, tipo chiederci se non fosse il caso di coprirci e andare a elemosinare un piatto di minestra alla Caritas.
Durante il pomeriggio l’umore migliora un po’ grazie a Marina, Beyoncé e, soprattutto, la notizia che uno dei santuari sul cammino di Santiago de Compostela è stato colpito e arrostito da un fulmine, almeno fino all’ora di cena: rimasti senza cotechino, verso le otto la Mater e io alziamo il telefono per ordinare una pizza o della fainè. Un quarto d’ora dopo, abbiamo esaurito i volantini delle pizzerie d’asporto senza trovarne una aperta, giusto perché continua ad esserci crisi. Alla fine, mentre io mi spertico in dichiarazioni di nostalgia per La Grande Shanghai di Trieste, che non chiude nemmeno sotto i bombardamenti, frugando in frigo troviamo del borsch avanzato da riscaldare al microonde, ancora mezza salsiccia da affettare, le ultime pagnotte rimaste in freezer e carciofini sott’olio. A metà cena, realizziamo che il tè, dopo, lo dovremo prendere con delle brioscine perché non ci siamo neanche ricordati di comprare un pandoro o un panettone, e ironizziamo che manca solo che salti la corrente per la pioggia, come se non avessimo pagato la bolletta, per coronare la giornata. Beh, se non altro l’abbiamo presa a ridere (e la mancanza della corrente ci è stata risparmiata).

Ok, in realtà questo Natale così mesto e modesto, con pranzo e cena raffazzolati fra gli avanzi del frigo, è stato il frutto di una serie di sfortunate coincidenze, dimenticanze, imprevisti e disguidi, ma ho la vaga impressione che sia stato il tenore medio dei festeggiamenti in buona parte d’Italia. E mi sento un mostro, ma a pensarci mi viene da ridere perché qui da me c’erano le comiche, non la vera miseria. Dai, a tutti quelli che se la passano davvero male auguro che Capodanno, invece che deprimente, diventi almeno tragicomico come il nostro Natale. E che magari, per fare il pendant, scenda una bella frana su Medjugorje: quello sarebbe fantastico.

Sunday 22 December 2013

Regola #1 di un amante dei gatti

Mai parlare di loro come se non capissero il linguaggio umano mentre sono presenti. Sul serio, poi si offendono a morte. E ti dimostrano che tu hai torto e loro ragione.

Uno dei motivi della mia depressione delle scorse settimane è presto detto: Murka non sta bene. La mia gatta di sedici anni, con cui sono letteralmente cresciuto, ha un tumore probabilmente ai polmoni e le sue aspettative di vita sono incerte. Ha avuto una brutta crisi a fine ottobre ed è sopravvissuta solo perché la Mater si è dedicata notte e giorno a curarla senza badare a nient’altro, ma sul serio, eravamo convinti che non avrei più fatto in tempo a vederla – il motivo per cui non ho scritto niente prima, avevo paura di verbalizzarlo prima di essere tornato a casa per le vacanze.
E invece, eccola qui, acciambellata sulle mie gambe mentre scrivo al pc. In generale, è sempre intenta a fare le sue cose – correre per casa, saltare sui letti o sul divano, farsi la toeletta, chiedere coccole – con un po’ più di fatica, ma imperterrita. Ed è orgogliosa: l’altra sera, quando sono arrivato, io e la Mater ci siamo messi a parlare di lei e delle sue condizioni, e lei non si è mica inalberata? Ha chiesto con prepotenza di uscire nel pianerottolo, l’ha esplorato per bene ed è scesa tutta pimpante fino a due piani più giù, quando normalmente aveva paura a farne anche uno solo. Per la serie, “Ecco qui, sciocchi: io sto benissimo e sono perfettamente in grado di uscire a passeggiare e farmi le scale di corsa. Basta sottovalutarmi, pff!”.

In realtà no, non va tutto bene e lo spettro di ciò che sarà aleggia sempre nell’aria. Murka ha un appetito molto ridotto, mangia a intermittenza e spesso dobbiamo insistere laddove è sempre stata un’ottima forchetta e non passava un singolo pasto senza che ci ossessionasse per avere anche il bis. Da una parte posso dirmi che è un bene, che possiamo abituarci lentamente alla notizia in modo da essere meno sconvolti quando accadrà e approfittare del tempo che ci resta per goderci la sua presenza. Però è difficile mettere da parte l’ansia. Per dire, ho pianto quando l’ho riabbracciata.
In generale, devo dire che la percepisco proprio diversa. Fino a ottobre, nonostante i sedici anni è sempre stata una bambina. Ha vissuto in un mondo ovattato e non è mai davvero cresciuta, è rimasta la piccola di casa per la quale ogni occasione è buona per giocare. Adesso è diversa, la sento adulta. Non so spiegarlo razionalmente, ma è più matura e consapevole, meno innocente e ingenua.
Probabilmente perché, come ha detto Il Corvo prima, e i The Crest in Childhood’s End poi, “Childhood’s over when you know you’re gonna die”. E Murka è sempre stata una gatta estremamente intelligente.

Friday 20 December 2013

#vivereindisturbatidaiforconi – parte 2

Documentandomi maggiormente sui Forconi (che, casualmente, fanno rima con una serie di cose a partire da “buffoni” per finire con “coglioni”) mi sono reso conto che dando loro dei fascisti ho solo fatto una constatazione dell’ultim’ora. Forza Nuova li appoggia, Fratelli d’Italia pure, CasaPound e Grillo anche, la Destra per Milano ci sguazza, Forlì era piena di striscioni scritti con quel ridicolo font acuminato, non parliamo di quelli della “marcia (fail) su Roma”, per cui restano pochi dubbi in merito – e quei pochi li fa fuori la tempistica: sarà un caso che questo manipolo di facinorosi sia saltato fuori proprio dopo che hanno finalmente fatto fuori il Berlusca? Mmh, non credo proprio.
Ecco, se non fossimo in Italia dove ‘ste minchiate naufragano sempre, forse inizierei a preoccuparmi alla prospettiva di uno stato retto da questa gentaglia.

Ciò detto, sempre per la serie Trieste doesn’t give a fuck, nei giorni scorsi io e Linda (sempre lei) ci siamo concessi svariati panini chic e cupcake in centro, siamo andati alle poste, in giro per negozi, quasi anche il cinema (“quasi” perché alla fine non abbiamo deciso cosa vedere) come nulla fosse. Niente sembra smuoversi qui da noi, eccetto un incremento preventivo delle forze dell’ordine i primi due giorni e quei quattro gatti con le bandiere in Piazza della Borsa che ho visto mercoledì, che erano probabilmene il presidio locale, per cui buona pace a tutti.
L’unica mia paura era di trovarmeli in Veneto andando all’aeroporto di Treviso, aka Lega Town, visto che da quelle parti il populismo attecchisce rigoglioso, ma non si sono né sdraiati sui binari, né accampati alle rotonde, per cui posso dichiarare la faccenda totalmente chiusa per quanto mi riguarda (i Sardi hanno troppo da fare con i postumi dell’alluvione e sono generalmente poco creduloni, per cui non troverò Forconi di sicuro).

Bene, speriamo solo che le prossime manifestazioni di populismo siano almeno un po’ costruttive e non coinvolgano Flavia Vento e lo Zoo di 105 fra i loro sostenitori. Del resto, ragazzi, siamo seri: per parlare di problemi seri e rilevanti come il signoraggio bancario, New World Order e le scie chimiche, le bacheche di Facebook bastano e avanzano, non c’è bisogno di trovarsi tutti in piazza.

Tuesday 17 December 2013

Il pregiudizio va di moda

(Giuro che la smetto di scrivere post impegnati.)

Se c’è qualcosa che va sempre di moda, è il pregiudizio. Nella fattispecie, il pregiudizio verso il mondo della moda. Un classico da sfoggiare in qualsiasi stagione e abbinare con qualsiasi colore, come il nero. Poi dai, segue le stesse regole dell’abbigliamento anche per quanto riguarda le fasce d’età: quando si è ragazzini è radicale e dettato dal desiderio di ribellione, di sentirsi adulti, profondi e diversi (“La moda è superficiale! È un modo per omologare le coscienze, ma io sono diverso, ho un cervello e sono me stesso!” – e hai lo stesso ciuffo emo, ieri, o hipster, oggi, degli altri centomila che sbraitano come te), quando si cresce diventa uno strumento di accettazione sociale, per fare bella figura sempre sentendosi profondi (“Il mondo della moda è così superficiale, tutta apparenza e niente sostanza, io ho dei veri valori!”, tipo farsi lavare e stirare i completi dalla moglie casalinga e andare a prostitute di ritorno dall’ufficio), fino a che non si diventa troppo vecchi qualunquisti e trasandati per avere una qualsiasi opinione rilevante e attuale (“Ai miei tempi non si vedevano questi sederi scoperti e queste scollature!”, disse la vecchia infagottata con strati di vestiti random senza neanche un tentativo di abbinarli).

L’ultima cosa del genere in cui sono incappato è questo giochino online, Fashion ør Porn – Can you distinguish fashion from pornography? (“Moda ø porno – Riesci a distinguere la moda dalla pornografia?”, per chi mastica poco inglese). All’apparenza un comunissimo giochino virtuale con cui farsi due risate al pomeriggio e, magari, sorprendersi di quanto sia facile sbagliare la risposta.
O forse no.

Ebbene, in realtà siamo alle solite: più che per divertirsi, il giochino è in realtà l’ennesima occasione per attaccare il mondo della moda e fare propaganda su quanto sia cattivo e pericoloso facendo leva sulla superficiaità dell’utente medio e sulla sua ignoranza che permette all’evidente faziosità del gioco di passare inosservata. Ma se provassimo ad analizzarlo con occhio critico?
Partiamo già dal titolo. Quindici secondi di analisi linguistica bastano a individuare il sottotesto contenuto nella domanda: distinguere la moda dal porno implica che sia la moda ad essere simile al porno, e non vice versa. “Distinguere il porno dalla moda” avrebbe dato l’idea di una pornografia che tenta di agghindarsi per acquisire dignità, mentre così la moda viene immediatamente bollata come volgare mercificazione del corpo al pari della pornografia, esattamente sullo stesso livello.
Passiamo poi ai contenuti. Il taglio delle anteprime è chiaramente costruito ad hoc per mettere il giocatore in difficoltà, e fin qui nulla da ridire, se no dove starebbe il divertimento? La selezione delle foto è invece un altro paio di maniche.
In primo luogo, è pieno di foto di Terry Richardson, una mossa già di per sé sleale perché lui è notoriamente accusato di molestie sessuali dalle sue modelle, e il suo lavoro è composto per un buon 30% da porno, un altro 20% da quasi-porno, un 45% da foto inutili sia come porno che come fashion e, finalmente, un 5% di roba decente (incidentalmente tutte foto di Sean O’Pry). Onestamente, prima di dire che è un fotografo di moda ci penserei non una, non due, ma una decina di volte.
In secondo luogo, c’è uno schema assolutamente deliberato dietro foto proposte: quelle porno sono per lo più tecnicamente buone o accettabili e le attrici sono truccate o in maniera molto naturale, o molto elaborata, ma comunque impeccabile; dietro quelle fashion c’è una sistematica ricerca dell’effetto low-fi, del colore virato, della finta polaroid, dell’effetto “sfatto-chic” con trucco imperfetto e pose poco eleganti e, soprattutto, del flash sparato frontale (Terry Richardson, appunto, ma non solo) che, se non gestito in maniera ineccepibile, dà immediatamente un’idea di “cheap” e amatoriale alla foto (anche perché esalta la lucidità della pelle, specie se accostato a un brutto fotoritocco).
L’intento è perfettamente chiaro: insinuare che, sotto sotto, la fotografia fashion differisca da quella porno solo perché non si mostrano peni eretti e vagine spalancate, ma che a parte questo non abbia né più valore, né più dignità, che mercifichi il corpo delle persone perché, come il porno, la moda è un mondo vuoto e volgare, e che anzi, il porno è quasi quasi meglio perché è più onesto.
Come fotografo, trovo la cosa piuttosto offensiva. Come appassionato di moda la trovo molto stupida e superficiale. Certamente, una parte del mondo della moda, e della fotografia fashion, è davvero ciò che è stato mostrato in quel giochino, non lo nego. Ma, appunto, è una parte, e nemmeno la più significativa. Rappresentare solo quella è assolutamente fuorviante e fazioso. Di scelta fra buone fotografie fashion che camminano sul confine dell’erotico ce n’è, eccome: perché non ho visto Ellen von Unwerth, lì in mezzo? Ovvio: perché scatti come questi avrebbero mostrato la scomoda – per l’autore del gioco – verità che, più spesso che no, la moda e la fotografia fashion sono arte, e non pornografia. Qualcosa su cui è più difficile accanirsi. Perché, pur in maniera ludica e scherzosa, questo è un attacco in piena regola, il cui scopo non è divertire, ma far pensare: “Caspita, ne azzecco pochissime! ‘Ste foto fashion sono più porno dei porno!”.

Che poi, siamo onesti e ammettiamolo, il motivo per cui ci si scaglia contro il mondo della moda è lo stesso per cui l’utente medio di Windows ce l’ha tanto con Apple: la volpe e l’uva. È troppo caro, non ce lo si può permettere, va necessariamente additato come privo di reale valore o, addirittura, come un male della società. L’invidia che continua a mietere vittime.

Thursday 12 December 2013

Fra grilli e forconi

Così, mentre il nord-ovest dell’Italia è sconquassato dai Forconi, a Nichelino si lanciano bombe carta, a Ventimiglia si blocca mezza città dalla parte della frontiera e si minacciano le donne alla guida, Milano è mezza occupata dai trattori e a Savona si bruciano libri, qui a nessuno frega nulla di niente e io e Linda siamo andati indisturbati dal parrucchiere e poi a prendere il tè delle cinque e a fare shopping. E già che c’ero mi sono preso anche un gelato.

Ammetto che me la sto sogghignando amabilmente a fare il borghesuccio che guarda con scetticismo quei poveri bifolchi che vanno in giro a fare la voce grossa mentre continua a vivere tranquillo la sua vita priva di veri valori. Del resto, come prendere sul serio un movimento con un nome così bucolico?
Parlando un po’ più seriamente, mi avvilisce constatare come gli Italiani siano totalmente incapaci di fare seriamente qualsiasi cosa, inclusa la rivoluzione. Del resto, come dimenticare i precedenti storici, tipo la sommossa di Garibaldi a Genova del 1834 durante la quale gli altri l’hanno bidonato ed è stato costretto ad imbarcarsi alla chetichella con i quattro gatti che erano venuti? O Pio IX che, all’ultimo, bidonò la coalizione richiamando le truppe (che già erano volontari armati alla ben e meglio)? Per non parlare del fatto che gli Italiani si lasciano sempre guidare da questo genere di personaggi loschi e demagoghi dal passato tutt’altro che trasparente.

Ebbene, siamo punto e accapo. Sì, molto bella l’idea di mobilitare i ceti più umili per tentare di smuovere una situazione che sta oggettivamente diventando insostenibile, ma le cose vanno fatte per bene, non dandosi la zappa – o il forcone – sui piedi né ricorrendo a metodi di stampo fascista per ottenere i propri obiettivi.
Non puoi aspettarti che un dipendente che a malapena sbanca il lunario ti venga appresso se non gli dai garanzie: cosa fa con lo stipendio che perde quel giorno? E se lo licenziano, che fai, gli paghi tu le bollette? Idem dicasi dei commercianti: se a qualcuno una giornata di chiusura pesa nel bilancio, non puoi costringerlo ad abassare la serranda con le minacce se non puoi garantirgli un minimo di risarcimento. E i dipendenti che devono viaggiare per raggiungere il posto di lavoro, o la gente che deve raggiungere i parenti? Che fai, paralizzi l’intera rete ferroviaria e stradale solo perché lo hai deciso?
Fra l’altro, non si può imporre un’idea a tutti. Questo vale per Grillo e la sua impermeabilità a qualsiasi idea non provenga dal suo partito – non puoi aspettare di essere l’unico partito al governo per smettere di fare ostruzionismo e far muovere i tuoi parlamentari, si chiama dittatura – così come per questi squadristi che pretendono che la gente li segua a suon di minacce e che auspica un governo “delle forze dell’ordine” prima delle prossime elezioni dopo aver fatto piazza pulita dell’attuale classe politica. Manca giusto l’olio di ricino, e scommetto che non l’hanno comprato solo perché c’è crisi e costa troppo.
Come sempre, si fanno le cose senza pensare, e la minaccia alla libreria di Savona è solo la ciliegina sulla torta che dimostra con chi abbiamo a che fare: una manica di cialtroni ignoranti che non sa neanche da che parte sta girata. Del resto, cosa aspettarsi da gente che posta qualunquismi in full caps lock e con punteggiatura approssimativa su Facebook, che si beve la demagogia del Papa che parla di ridistribuzione del reddito dall’alto di una chiesa che non paga le tasse, e che quella stessa demagogia la serve di continuo a suon di urla? Per carità, quando Lenin diceva che anche la massaia doveva essere messa in condizioni di governare, intendeva che le si doveva dare un’istruzione adeguata, non che bastava che uscisse dalla cucina e salisse direttamente al governo. Con le campagne e i pascoli funziona allo stesso modo.

Insomma, fantastico. Viviamo in un paese la cui classe dirigente è composta da maiali incompetenti, e i loro oppositori sono capre ignoranti. Ma la cosa più allucinante è la gente che abbocca sempre e comunque. Possibile che non ci sia qualcosa di meglio, che fine ha fatto la classe intellettuale?
Ah già, è emigrata all’estero, che domanda idiota.

Friday 29 November 2013

La biosfera trascende il ragionamento umano

C’è una cosa che amo profondamente in Heike Langhans, la nuova cantante dei Draconian.
Ok, in realtà amo da morire anche il suo umorismo molto tagliente e dark, quindi facciamo due: il fatto che sia un’attenta osservatrice del mondo scientifico e i suoi status spingano sempre a riflettere. E voglio dire, riflettere talmente tanto che perfino io mi ritrovo in condizioni di scrivere, fra il nuovo singolo di Lady Gaga e l’apertura del nuovo negozio di Zara, cose significative e articolate che rasentano l’ambito scientifico.
Stasera parlavasi delle conseguenze dell’incidente di Fukushima sulla vita marina del Pacifico, delle balene che non cantino più, le sardine che stanno morendo in massa e le stelle marine che si stanno disintegrando. Heike ha commentato che questa non è evoluzione, è un abominio, e la cosa mi ha fatto riflettere molto. In inglese, perché sono troppo pigro per tradurre, per cui copiaincollo i miei commenti e tanti saluti.

I’ve read the radioactivity is due to reach America’s west cost sometimes next year, so the whole North Pacific is screwed.
Anyways I’m not sure if I agree with your statement about this not being evolution: I see the human race as part of “nature” itself (which I actually consider the biosphere), and the “damage”, or more appropriately “change” we are bringing upon is part of its process. And it won’t have a long-lasting effect in terms of “nature”’s time: even the global warming in its worst scenario won’t last for a geological age. What we are altering and damaging is the “nature” = environment in which we live. We are destroying and endangering species only if we consider them from a human perspective, ‘cause the biosphere doesn’t dive a shit about single species. Once we become extinct (which will happen) the biosphere will go on, new species will emerge as they always do and “our mark” will fade quickly. What we should be worried about is the environment which allows us to survive, because “nature” will carry on with or without whales, sardines, starfish and us.

On an afterthought: nature doesn’t even have a purpose, life in general doesn’t mean anything but the perpetuation of its cycle, which doesn’t require all the species we know to survive. The problem is, we try to apply our concept of time and continuity to something which is much bigger. As a human being, I can say I love what “nature” produces because it’s beautiful, it’s pleasant and interesting to behold and study. A species becoming extinct is sad because we will no longer see it around, our descendants will only know about its existence through our records, but that’s merely the human perspective on the phenomenon, which is meaningless in the general picture.
Also, the most accepted scenario claims our biosphere will last for another billion years before the atmosphere chemically alters due to the changes in the intensity of the Sun’s radiation along its stellar evolution which, combined with the Moon constantly slipping further away from the Earth’s gravitational grasp that will possibly result in a greater instability of the Earth’s axis tilt on which the seasons depend, will put an end to photosynthesis destroying the life cycle as we know it, and life will most likely carry on only as extremophile micro-organisms. This opens up for two considerations:
1) In this general picture, what such a human concept as biodiversity mean? Even a mass-extintion of the current dominant mammal species along with all the ones it will bring along in its self-destructive process means very little.
2) On the contrary, creating extreme conditions that forge organisms which can survive and proliferate in them (such as the mushrooms in the Cernobyl reactor) does contribute to the preservation of life once the precarious conditions that sustain our strong (in earthly terms) but fragile (in cosmic ones) biosphere are gone for good.
AND, all of this is even smaller if compared to the scale of space, time and energy of the whole galaxy, let alone the universe. I’m going to get vertigo if I try and think of the picture as a whole, it kind of transcends human understanding.

Thursday 28 November 2013

My room is my tomb

Quest’anno sto soffrendo molto l’autunno. Il freddo, la poca luce, il maltempo... normalmente dovrebbero essere d’ispirazione, invece mi stanno buttando giù. Probabilmente è perché ho scoperto di soffrire davvero di una leggera depressione, che è anche il motivo per cui posto poco: quando capita qualcosa di grosso di cui lamentarmi ho di che riempire il blog, ma per il resto non ho voglia di fare nulla, incluso scrivere. Anche perché la depressione porta con sé l’inattività, quindi c’è anche poco di cui scrivere.

In realtà esco anche di casa: università, gelato, merende in giro, shopping, ma anche quello fa parte della routine. Lo faccio controvoglia, o lo stretto indispensabile, e il minimo sindacale che do è un buon abbinamento di vestiti. Neanche una sistemata a barba e capelli: la prima resta incolta, i secondi li lego per evitare di dover dare loro un senso e sto a posto così. No bene, per niente bene.
Le cose migliorano un po’ quando vado da qualche parte: nel viaggio di andata sono allegro, guardo il paesaggio fuori dal treno, ascolto musica, anticipo ciò che farò. Al ritorno invece sono nevrotico, intollerante verso l’umanità intera e decisamente triste: si torna al grigiore della quotidianità fino alla prossima fuga.
Fra l’altro, nemmeno la musica mi aiuta molto. Ne ascolto di quanto più varia possibile sperando in una catarsi, ma niente, il mio umore resta invariato. In compenso ho iniziato a guardare parecchi film, specie animati, per avere quell’oretta e mezza di stacco dai miei problemi. Se non puoi risolverli, dimenticali per un po’: pessima strategia, ma almeno funziona.
Stasera ci darò dentro con The Black Cauldron. Mai visto prima, vediamo se è tremendo come dicono.

Wednesday 20 November 2013

Incubi ricorrenti

Ultimamente mi sono reso conto di avere due incubi ricorrenti.

Il primo non è proprio un incubo, quanto un luogo ricorrente: è la casa della Ziaccia. Di volta in volta succedono cose diverse, come la gravidanza di Veronica o il cavolo che stava succedendo qui, o molte altre. Ma c’è una costante: non c’è mai via di fuga. Tutte le porte sono chiuse, tutte le finestre sono sbarrate, con gli scuri chiusi o le tapparelle abbassate. Da fuori non proviene mai nessuna luce, che è sempre affidata al lampadario del soggiorno, con uno di quei neon dal colore vagamente verdastro. Di solito anche il corridoio è buio e illuminato solo dalla luce che proviene dall’altra stanza.
Questo sogno è tutto sommato poco sorprendente: il brutto neon freddo è l’illuminazione che la casa ha nella realtà, mentre il fatto che sogni di essere praticamente intrappolato lì dipende dal fatto che ogni volta ci sto controvoglia e non vedo l’ora di andarmene al più presto. Ho dei ricordi molto brutti associati a quel posto, quindi penso sia normale che nei miei sogni è oscuro e senza via d’uscita. Chissà che un giorno sogni di trovare una chiave o di aprire quel portone.

Il secondo dei miei incubi ricorrenti è, per certi versi, molto più angosciante. È illuminatissimo, le finestre sono tutte aperte, ma il senso d’oppressione è perfino più intenso.
Mi trovo, infatti, nell’aula dove ho fatto gli ultimi anni del liceo nonostante sappia benissimo di essermi diplomato anni fa. Davanti a me c’è la professoressa di matematica che mi annuncia la bella notizia: una nuova circolare ministeriale retroattiva ha fatto sì che tutti i voti fossero ricalcolati con media matematica e, di conseguenza, mi sono ritrovato il debito in matematica al secondo anno (l’ho davvero rischiato, sono uscito con una sufficienza tiratissima). Sempre secondo la stessa circolare ministeriale, devo passare un esame riparativo il giorno stesso, altrimenti mi verrà revocato il diploma e dovrò rifare il liceo a partire dal secondo anno. E ovviamente, visto che sono passati anni, io non ricordo nulla. Non so nulla, è da troppo che non studio quelle cose e non vado a scuola!
E per quanto la implori, per quanto le dica che può anche abbuonarmi uno di quei vecchi compiti in classe perché sono passati tanti anni e comunque non studio nulla di matematico all’università, non la metterò mai in imbarazzo, lei resta irremovibile, o al massimo mi dice con compassione che non può farci nulla: devo fare l’esame.
Di solito ci sono anche vari miei compagni, e non so mai se anche loro devono fare l’esame o se sono lì solo per assistere alla mia umiliazione. Una volta dovevano sì fare l’esame, ma solo per colpa mia, perché tutti avevano passato l’anno senza debiti. Di solito, le uniche assenti sono Beatrice e Federica, gli unici volti amichevoli in quel viperaio.
Una piccola, occasionale variazione sul tema è che, semplicemente, torno a scuola dopo mesi di assenza e non ricordo più nulla: non so fin dove siano arrivati nel frattempo i miei compagni, cosa ci fosse da studiare per quel giorno, che compiti ci fossero da fare, e non posso nemmeno giustificarmi perché so che non c’era nulla che mi trattenesse dal frequentare e sono io che non mi sono preoccupato di mettermi in pari almeno per le lezioni di quel giorno.

Ora, chiaramente non mi sono ancora lasciato alle spalle il trauma del liceo, specie il rapporto non proprio ottimo con i miei compagni di classe. Ma continuare a sognare a distanza di cinque anni quella dannata stanza, quelle piastrelle bianche con finto motivo graffiato color avorio che le faceva sembrare perennemente sporche, quei muri di cartongesso, quei finestroni con i telai rossi che surriscaldavano la stanza… beh, inizia a essere ridicolo! Non che mi capiti ogni notte, ma di tanto in tanto il sogno torna, e ogni volta non riesco a rendermi conto del déjà-vu, di esser in un sogno per cambiare rotta.
Vorrei capire come lasciarmi questi dannati incubi alle spalle una volta per tutte.

Friday 15 November 2013

Zara ha aperto a Trieste

Alessandro fa tanto il dark, ma deve solo lasciarsi andare un po’. Secondo me dentro di lui c’è un truzzetto che aspetta solo l’occasione buona per uscire.

Parole sante di Monica, la mia professoressa di filosofia del quinto liceo, pronunciate tanti anni or sono, nel lontano 2008, quando ero in piena fase darkettina, mi conciavo da espositore del negozio di ferramenta, odiavo il pop come se fosse il male, la dance come se fosse la morte, l’elettronica come se fosse il morbo e la moda (quella “mainstream”) per partito preso. Vade retro, tentazioni della superficiale società moderna, io ero un introspettivo dandy dallo spirito romantico che vagheggiava epoche passate in cui la decadenza umana era limitata al popolino ignorante.
Ed oggi, eccomi qui, con Artpop di Lady Gaga in borsa (nemmeno la regular, ho proprio preso la deluxe), di ritorno da uno degli ormai settimanali giri di shopping con Linda, che quest’oggi ha incluso nientemeno che la giornata di apertura del punto vendita di Zara a Trieste, accolto come l’arrivo della Terra Promessa sotto i nostri piedi (e non vice versa). Il tutto dopo aver fatto fuori un cupcake a testa in un localino indie-chic, e poco prima di un club-sandwich in uno dei fast-good trendy del centro.

Se il me stesso di cinque anni fa vedesse il me stesso attuale, probabilmente penserebbe di essere destinato a diventare l’epitomo della superficialità umana: shopaholic, merende di tendenza, in giro per negozi piuttosto che per musei, serate nei pub a bere cocktail o nei club gay a ballare e controllare la fauna, accanito ascoltatore di musica commerciale ed elettronica. Un ragazzino di poche pretese. Oh, e fra l’altro, giusto ieri mi sono deciso a scaricare Matangi di M.I.A., la cafona più cafona di tutta la musica tamarra.
Ebbene, la realtà è semplicemente che, crescendo, sono diventato più onesto. Mi sono stancato di fare solo cose socialmente impressionanti per autoconvincermi di appartenere a una fittizia élite culturale al di sopra delle masse. Adesso abbraccio tutto quello che stuzzica la mia curiosità, e così posso andare all’apericena del Lelephant la sera prima del Picnic Vittoriano, o a vedere Il Lago dei Cigni a teatro ascoltando gli Swallow The Sun subito prima, o fare la fila per il concerto degli Anathema mettendo Bad Girls di M.I.A. nelle cuffie.
Tralasciando poi che M.I.A. è molto più alternativa e sperimentale del 95% del metal e Lady Gaga scrive dei testi a cui le tormentate lyrics gotiche hanno solo di che lucidare le scarpe, ma questo è qualcosa di cui ci si rende conto abbandonando le pose intellettualoidi e accettando il valore della musica “mainstream”. Il problema è che il pop, specie l’electropop, è per lo più un genere schietto, che non si nasconde dietro grosse pretese. Per contro, il metal si configura come genere d’élite, per cui gli ascoltatori si ritengono una specie di adepti della verità, i soli che conoscono il vero valore dell’arte.
La cosa è ancora più evidente nel symphonic metal, che i fan ritengono essere il diretto discendente della musica classica e operistica. I più niubbi sono davvero convinti di ascoltare i nuovi Puccini e Vivaldi, con cantanti dall’impeccabile tecnica che si sperticano in vertiginosi vibrati su melodie raffinate e testi per nulla scontati (dimenticavo che nel comparto testuale sono i discendenti diretti dei grandi maestri del Romanticismo). Ovviamente, più orchestre e più cori ci sono, meglio è.
Beh, è su questa ignoranza diffusa che marciano le varie Tamarrja e Liv Kristine, ritrovandosi a cantare ingolate per un intero album e ricevere comunque mille lodi, per non parlare poi delle lyrics trite e ritrite già all’inizio dello scorso decennio. E dire che basta così poco, basta abbandonare la posa da connoisseur della musica “colta” per capire che non tutto ciò che si traveste da vintage ha valore e consistenza. Che a volte, il quotidiano ha molta più sostanza poiché concreto, figlio del mondo reale.

Monday 4 November 2013

Lucca Comics and Games 2013

Gusti che mutano, vecchie abitudini che restano ma cambiano completamente significato.
Negli ultimi undici mesi non ho letto nemmeno un manga. Neanche uno, con tutto che sono usciti due volumi del nuovo di Kaori Yuki che dovrebbe stuzzicarmi già solo per i disegni. Eppure, anche quest’anno sono salito sul treno e, con tappa a Ferrara per recuperare la Nipota, sono arrivato di regionale in regionale fino a Lucca, pronto a farmi i soliti quattro giorni di Comics, solo che stavolta allo sbaraglio. L’anno scorso sono andato senza una vera idea di cosa cercare, ma almeno sono tornato con la serie completa di Sailor Moon, che ho divorato nelle due settimane successive, ma quest’anno non avevo proprio la minima idea di cosa stesse succedendo del mondo dell’editoria made in Japan, di quali fossero le ultime tendenze, di cosa cercare rovistando per ore e ore fra i volumetti nei vari stand. Come mai allora sono andato?
Beh, il motivo è presto detto: per intraprendere public relations. Ovvero, per trascorrere del tempo con quegli amici che vedo solo in quest’occasione, o con altri che vedo anche altrove ma mai abbastanza. Cinque giorni di delirio in casa con la solita compagnia, due incontri con persone che sento da anni ma non avevo mai visto prima, rimpatriate con altri che ho visto alle scorse edizioni del Comics, e ovviamente BriarRose, la Ari, e tutto il gruppo cosplay italiano di Games of Thrones.

A proposito di cosplay, quest’anno mi sono deciso e ho portato il mio primo: young Lucius Malfoy, assieme a BriarRose che portava young Bellatrix Lestrange. Parrucca biondo platino, lenti grigio-verdi, bacchetta alla mano e vestiti ripresi direttamene dal mio periodo goth-dandy. Nel complesso non sono neanche uscito male, anche se ho fatto un po’ da accessorio a Bellatrix, che è stata la vera star della coppia. Hair power, visto che la parrucca è sempre un po’ sgamo, mentre i capelli di Bellatrix erano 100% naturali. Comunque, abbiamo trascorso l’intero primo giorno a girare per le strade con aria snob, maledire i luridi Babbani, farci riconoscere da loro, farci fotografare, spararci le pose, e poi pure ad un workshop di fotografi che cercavano cosplayer su cui esercitarsi. Cosplay decisamente riuscito, e ho già richieste di riproporlo in gruppo con gli altri.

Il secondo giorno l’ho trascorso vagando di stand in stand – principalmente al Japan Palace – sbirciando un po’ le varie proposte e offerte, ed è stato l’unico in cui ho fatto acquisti: una maglietta con il dio giapponese del vento dai miei amici del Kingyo Sukui Italia, il quarto numero di Crimson Spell della Yamane (ed era anche ora, mi sono dovuto far riassumere la storia precedente dalla Nipota perché avevo del tutto perso il filo), e Squillo, il gioco di carte di Immanuel Casto, il quale mi ha anche autografato la confezione. Buona parte del pomeriggio, però, l’ho passata a litigare alacremente col mio cellulare che non telefonava per via delle linee intasate, e non voleva nemmeno ricevere i messaggi perché diceva che la memoria di archiviazione era piena (nonostante avessi praticamente cancellato tutto il cancellabile). Alla fine, dopo mille peripezie, sono riuscito a incontrarmi con Luna Sleepingliar, la customizzatrice e donatrice di Ludwig, con la quale tutti i precedenti tentativi di incontro quando andavo a Milano sono tragicamente naufragati. Beh, se non altro stavolta siamo stati più testardi del fato avverso e delle compagnie telefoniche, era anche ora. Tralasciamo poi l’epic fail per il quale mi sono perso per i vicoli del centro mentre accompagnavo lei e i suoi amici al Despar per fare un po’ di spesa, ma se non altro ho imparato dove diamine si trova e non sbaglierò mai più.

Il terzo giorno sono stato letteralmente fagocitato dal lavoro: una parte del gruppo cosplay di GoT ha cambiato momentaneamente soggetto e portato le principesse Disney in versione Claire Hummel, ovvero con i costumi storicamente accurati; io sono stato prezzolato come fotografo ufficiale su raccomandazione di BriarRose, che faceva Pocahontas, così sono stato la loro ombra. Grazie a una rocambolesca infiltrazione in una specie di workshop privato in un palazzo storico, ho fatto un po’ di foto alle ragazze e le ho poi seguite sulle mura e verso il palco, dove avrebbero partecipato alla gara di cosplay. L’idea era di documentare la loro esibizione e poi portarle a fare altre foto, ma le cose sono andate molto per le lunghe, ha diluviato a più riprese (e per fortuna eravamo al coperto), si è fatto buio e così ho fatto più il coscaddy che altro mentre aspettavo che si esibissero. L’esibizione è andata bene e la scenetta che avevano preparato era davvero carina, ma il presentatore è stato un perfetto deficiente, dimenticandosi di annunciarle al pubblico prima dell’esibizione (e d’accordo, la svista ci può stare), e commentando poi: “Un altro gruppo di principesse, ormai ce le propinano in tutte le salse. L’anno prossimo lo faranno uguale con Merida al posto di Pocahontas”, con conseguente attacco di manie omicide da parte mia e dei fidanzati delle altre principesse. Ciliegina sulla torta, la votazione e l’attesa per le premiazioni sono durate uno sproposito, e fa freddo, umido, stanchezza, parrucca da quattro chili e quant’altro, la nostra Rapunzel si è sentita male. Dato che ero l’unico munito di cellulare e sprovvisto di crinoline, mi sono offerto di accomapgnarla sull’ambulanza all’avamposto della Misericordia lucchese, e poi indietro fino all’ostello. Del resto, come si può abbandonare una principessa in difficoltà? Anche io ho un cuore, da quache parte.

E infine, il quarto giorno l’ho totalmente dedicato alle public relations, incontrando un po’ di amici sia casualmente, sia dopo giro di organizzazione via Facebook (che bello avere uno smartphone che ogni tanto funziona anche!) per fare due chiacchiere e visitare assieme qualche stand. Oh, e ho incontrato anche qualcuno che, anni fa, è stato vittima di infinite frecciate qui sul blog. E mentre giravo con la musica nelle orecchie ho anche avuto un’idea geniale per partecipare alla gara cosplay dell’anno prossimo con BriarRose, prendendo un soggetto ancora più banale delle Principesse Disney (presentatore, fottiti) e dandogli un tocco personale. Just wait, you bitches. L’unica delusione è stata scoprire che per fare bungee jumping dalla gru appositamente montata fuori le mura bisognava esibire la propria copia di Assassin’s Creed, di cui sinceramente fottesega, per cui quello è saltato.

E così, Lucca è finita. Su quattro giorni, ho visitato stand solo due (tre se contiamo il primo quando sono andato a trovare i ragazzi del Kingyo Sukui, ma non ho girato da nessun’altra parte), il terzo addirittura avrei potuto non fare il biglietto. Non ho aggiunto nulla di sostanziale alla mia collezione di manga e ho speso più in cibo che in altro (d’altro canto, ho macinato chilometri, avevo tutto il diritto di dedicarmi alla mia passione). Ma ho fatto delle ottime foto, ho finalmente rotto il ghiaccio con il mondo professionale della fotografia e, soprattutto, sono stato bene con un sacco di persone. È proprio vero che socializzare mi ricarica le batterie; peccato che buona parte dei miei amici sia sparsa per l’Italia.

Saturday 19 October 2013

Home is where wi-fi connects automatically

A titolo puramente informativo, come al solito tutte le mie paranoie su cosa fare della mia vita dopo la partenza da Alghero, e su cosa avrei trovato una volta arrivato a Trieste, si sono rivelate allegramente infondate.
Lo ammetto: i primi giorni sono stati un po’ difficili. Non avere internet mi ha causato qualche attacco di letargia, ma ho recuperato buttandomi a capofitto sui film che avevo scaricato prima di partire. Film molto furbi, fra l’altro: cosa c’è di meglio per ambientarsi in una casa nuova che guardare Rose Red, una miniserie su una casa malvagia e assassina? Devo però dire di essere diventato molto meno impressionabile: la notte, dopo averlo visto, i termosifoni hanno preso a gorgogliare in maniera molto sinistra e inquietante, ma oltre al fastidio per essere stato svegliato non ho provato altro (anche se ammetto che quel film è il motivo per cui non lascio mai le dita fra i battenti delle porte o fra le ante delle finestre).
Fra l’altro, nella mia testa la villetta che vedo dalla finestra si chiama proprio Rose Red.

La parte più problematica è stata portare tutta la roba. Lunedì, il pacco che mi sono spedito da giù ha deciso di arrivare tardissimo (e io che lottavo contro le manie omicide visto che non vedevo l’ora di uscire per andare a scaricarmi Once Upon A Time da Linda), e il trasloco mercoledì: una decina di scatole (senza contare le cose che ero già riuscito a portare in valigia i giorni prima) rinchiuse in soffitta da Linda, casa mia al terzo piano senza ascensore e me e Riccardo tutt’altro che forti e nerboruti. Come per l’antico vaso che andava portato in salvo a tutti i costi, sembava impossibile, ma ce l’abbiamo fatta – anche se non sono ancora del tutto sicuro di come.

Per il resto, la stanza è molto spaziosa e – specie da quando ho attaccato i poster – bella, la casa pure, i coinquilini sono tranquilli, amichevoli-ma-non-troppo e ci stiamo trovando bene. Tutt’altra cosa rispetto al bugigattolo in cui ero finito gli anni scorsi. Adesso dovrò solo chiamare la Telecom per far mettere la linea internet, così da poter mettere via a tempo indeterminato la chiavetta, che ha un capriccio da fare ogni santo giorno (i due coinquilini riluttanti hanno cambiato idea dopo essersi effettivamente dilapidati il traffico internet scaricando due film). E finalmente, quando avrò un wi-fi a cui il mio computer si connetterà automaticamente, potrò chiamare questo posto “casa”.

Friday 11 October 2013

Dio salvi Regina e i torrent

La cosa più seccante di questa partenza è che, di nuovo, non ho potuto salutare le stelle di Alghero dalla finestra del bagno. Fuori piove in maniera sottile ma continua e il cielo è coperto da uno strato denso e uniforme di nuvole. Niente Castore e Polluce, niente Giove incastonato nella costellazione dei Gemelli. Oh, e ovviamente niente caccia alle elusive stelline che formano il Cancro, una missione che, incurante delle luci cittadine, sto portando avanti da almeno una settimana. Ho visto perfino la Lince, chiamata così perché per vederla ci vuole appunto un occhio di lince, metà Leone e la testa dell’Idra, ma del Cancro nessuna traccia (i nostri medici ne saranno felici – pessima batta).
Complici l’avvenuta spedizione del pacco ieri e due uscite serali con Giovix, mi sento molto più rilassato che nell’ultimo post, ma un po’ l’incertezza del futuro (leggi: di internet, dovrei davvero farmi una vita) e il fatto che le partenze mi mettono sempre ansia, sto ancora qui indeciso se guardare una puntata di Once Upon A Time o meno prima di andare a dormire. Oh, e Once: Wonderland ancora non è uscito su ez.tv, per cui dovrò scaricarlo domani mentre pranzo e guardo l’ultima Signora In Giallo prima di natale.

Una cosa che mi ha un po’ rattristato è che rientrando a casa ho trovato la Mater già coricata: ero un po’ seccato quando sono uscito (perché come al solito mi ha trattenuto con i cavoli del suo pc mentre ero già in ritardo), e ora mi sento un po’ in colpa data la partenza imminente. Oh, e devo ancora fare la valigia, anche se tutto ciò che non ho spedito è già in ordine e pronto ad essere impacchettato. Murka è come al solito sdraiata sulla sedia accanto alla mia e non mi vuole lasciare per un secondo. Stamattina mi sono dovuto alzare a notte fonda (leggi: le nove) per portare della roba al lavoro alla Mater, e quando sono rientrato e mi sono ricoricato lei ha deciso di non volersene andare dal mio letto, così l’ho tenuta con me mentre tornavo a dormire.
È impressionate come capisca sempre quando sto per partire. Già da due giorni prima inizia a ciondolare per casa mogia mogia e mi segue ancora più di quanto non faccia normalmente. E ha sempre un visino triste. Non ho ben capito se siamo io e la Mater a proiettare su di lei le nostre emozioni e vederla così, o se davvero possegga tutta questa mimica facciale, ma c’è davvero qualcosa che cambia in lei in queste occasioni. Lo sguardo, principalmente. Del resto, gli amanti dei cani potranno dirmi il cavolo che vogliono, ma i gatti sono leali, affettuosi e molto intelligenti e comprensivi. Sono sicuro al cento percento che non troverò mai un uomo che mi amerà più di quanto faccia Murka, è serotoninamente impossibile. O era ossitocinamente? Boh, quello.

Alla fine è stato il blog a decidere per me: invece di guardare OUAT ho fatto l’ennesima smielata qui e, con la coscienza pulita, mi è venuto abbastanza sonno da andarmene a nanna. Fortunatamente l’aereo è nel primo pomeriggio, per cui non girerò come uno zombie. Per il resto, ho scaricato abbastanza musica e film da tenermi occupato finché non avrò internet stabile. Dio salvi Regina e i torrent.

Wednesday 9 October 2013

Odio impacchettare

So che è strano, ma a questo giro l’arrivo dell’autunno mi sta deprimendo parecchio. Il freddo improvviso, il cielo plumbeo, le giornate che si accorciano… quest’anno non mi stanno facendo piacere quanto gli anni scorsi, anzi. E sì, probabilmente è la prima volta che lo dico da almeno un decennio, ma tant’è. Non che senta la mancanza del caldo estivo, beninteso, ma avere giornate lunghe e soleggiate con una temperatura media sarebbe al momento una soluzione più che vantaggiosa.

Ancora una volta, ovviamente, i motivi hanno a che fare con la faccenda del trasferimento, nella fattispecie il fatto che dovrò farmi sistemare internet e cercare di farmi bastare i gigabite della promozione sulla chiavetta nel mentre, il che è probabilmente ciò che non mi fa nemmeno entusiasmare per la prossima uscita di Once Upon A Time nonostante la scorsa puntata mi abbia mandato in delirio.
Oh, e ovviamente il mio cattivo umore odierno è assolutamente da collegare al fatto che venerdì riparto e ora sto preparando con la Mater il pacco da spedire a casa nuova. Impacchettare e prepararmi a partire mi mette sempre di pessimo umore, a prescindere. I tentativi di sollevare il mio entusiasmo col pensiero di casa nuova, foto, concerto di Amanda e poi Anneke, Lucca Comics, Once upon A Time e Once Upon A Time In Wonderland che comunque sarò in grado di guardare e un mucchio di altre cose entusiasmanti che si avvicinano, accanto alla solita routine, non stanno andando poi tanto a buon fine.

Rant piuttosto breve, ora fuggo a spedire il pacco. Da lunedì inizierò ad avere un po’ di mie cose anche qui, tanto meglio.

Sunday 6 October 2013

La famiglia Barilla

Ora, io detesto che la gente mi tocchi il viso e i capelli. Specie se non sono sicuro di quando è stata l’ultima volta che si sono lavati le mani. Specie se a farlo è forse la zia che, del mucchio, sopporto di meno. Specie se poi se ne esce con una perla del calibro di (ovviamente mezzo in sardo e mezzo in italiano scorretto, il congiuntivo ce l’ho messo io):
“Eh, però se fossi stato figlio mio avrei tolto via tutto. Questi capelli e queste magliette.”
Certo, stronza. Peccato che io non sia figlio tuo, così come quello lì, a casa, non fosse il tuo comò. *

Fatta questa doverosa premessa, dopo la cena di stasera per la cresima del figlio di uno dei miei innumerevoli cugini, sono giunto alla conclusione che il mio essere una persona orribile, judgemental, con serie difficoltà a provare affetto verso il parentame (per non dire che invece provo odio genuino), è senza dubbio un problema genetico.
Per falra breve, di tutti e nove, fra fratelli e sorelle, nessuno ha sposato qualcuno che andasse bene. La Mater non è stata l’unica cognata a non essere andata a genio, visto che tutti, maschi e femmine, sono stati maltrattati e criticati senza pietà, con il Procreatore che non è nemmeno voluto andare a vederne uno sul letto di morte, una che ha messo alla porta tutte e cinque le sorelle del marito perché era esasperata, una che non andava mai bene perché cantava le sigle di Cristina d’Avena coi figli, uno che era troppo vecchio per la moglie, uno che “Mi dispiace per mia sorella, ma ben gli sta a lui che è andato in bancarotta”, e così via.
Capisco la vecchiaia, poi, ma quando chiedo notizie del resto del parentame al Procreatore o alla Ziaccia (perché sarebbe imbarazzante chiudere una telefonata dopo mezzo minuto di “Ciao, tutto bene grazie, lì com’è il tempo, hai sentito del Berlusca”), le notizie che ricevo sono vaghe come se non si vedessero da mesi pur abitando a duecento metri l’uno dall’altra. Beh, tutt’ora il Procreatore e metà delle zie non parlano con un fratello per una questione sulla donazione di una casa avvenuta anni prima che io nascessi.
Ultima riprova stasera, in macchina di ritorno dal ristorante: la zia che il Procreatore riaccompagnava a casa (non quella del comò) non si esibisce mica su quanto la figlioletta di una delle nipoti non le piaccia per niente, che questo non va bene, che quell’altro com’era conciato, che il marito della nipote non è come si deve, eccetera, eccetera, eccereta? Sul serio, per la durata di quel viaggio mi sono sentito uno stinco di santo nonostante tutte le cattiverie e i giudizi che sparo su Facebook.

Capisco che crescere in nove in mezzo alla miseria del ventennio fascista-Guerra Mondiale-Dopoguerra con nuovi fratelli/sorelle che si aggiungono a intervalli regolari non sia la situazione più propedeutica a formare dei sani e affettuosi legami famigliari, ma più li osservo e più ho l’impressione che si odino tutti in maniera genuina e nemmeno troppo ben celata (almeno la generazione genitoriale). Sono tutti padrini e madrine dei reciproci figli e nipoti, vanno tutti ai vari matrimoni, battesimi, comunioni, cresime e chi più ne ha più ne metta, si scambiano i due baci a Natale, ma sono più che convinto che se al pranzo di Pasquetta mangiassero ciò che pensano l’uno dell’altro, non arriverebbero a martedì, morirebbero la notte stessa vomitando calcoli come Madame Bovary.
Caro Guido, la tua famiglia tradizionale Barilla non funziona poi tanto bene, se vuoi la mia opinione. Anzi, è un viperaio fatto e finito.


* La storia del comò risale a una trentina di anni fa, agli inizi del matrimonio della Mater e del Procreatore. Un giorno, la zia in questione andò a visitare la loro casa e commentò che un certo comò non doveva trovarsi in quella posizione in corridoio, ma altrove. Al Procreatore faceva comodo lì, alla Mater pure (e comunque, a lei cosa fregava?), così, non lo spostarono. Lei tornò due giorni dopo e, vedendo che era ancora lì, chiese tutta scocciata perché mai ‘sto benedetto comò non lo avessero spostato, “Ah, adesso ci parlo io con mio fratello.” Cara la mia stronza, della tua opinione fottesega a nessuno, fattene una ragione.

Monday 30 September 2013

Neptune Generation

Se qualcuno ricorda il mio ingarbugliatissimo tema natale, specie se ha avuto la sbatta di leggerlo fino alla fine, probabilmente saprà che io, così come il resto della mia generazione, ho qualche problemino col pianeta Nettuno.
Prima di sviscerare questo fatto è doveroso fare una breve premessa. Nettuno, assieme a Urano e Plutone (che in astrologia è rimasto un pianeta), sono considerati “pianeti sociali” poiché, essendo lentissimi, tendono a formare degli aspetti molto duraturi, sia fra loro, sia con gli altri pianeti, sia per la loro presenza nei segni o nelle case; influiscono quindi non solo sui singoli individui, ma su intere generazioni. Simbologicamente parlando, sono legati agli aspetti più oscuri della natura umana, come il bisogno di innovazione e rivoluzione (Urano, scoperto nel periodo della Rivoluzione Americana e di quella Francese), il sogno e l’inconscio (Nettuno, scoperto nel periodo dell’ascesa del Romanticismo, poco prima della nascita del padre della psicanalisi, Sigmund Freud), la distruzione necessaria per la rigenerazione (Plutone, scoperto alle soglie della Seconda Guerra Mondiale). Roba, insomma, che se già Saturno non era una festa, figuriamoci loro.
Nettuno il Malefico fotografato dal Voyager 2
Ora, Nettuno, pianeta dei sogni e dell’inconscio, delle inquietudini e del bisono di evasione, ha trascorso quasi una quindicina d’anni, dal 1984 all’inizio del 1998, in Capricorno, il segno della concretezza, del no-nonsense e dei piedi per terra per eccellenza. Citando dal mio tema natale, “la sua fantasia viene, in un certo senso, strumentalizzata e lui stesso diventa conservatore e rigido, critico, volitivo. La sua natura può però vendicarsi delle costrizioni impostegli dal segno e rifugiarsi nella nevrosi per evadere da una realtà vissuta come troppo soffocante”. Beh, non a caso io e i miei amici cerchiamo disperatamente di applicare i nostri sogni al mondo concreto, di plasmare il nostro io rendendolo diverso da come è realmente, e come risultato siamo un’enorme massa di nevrotici costantemente alla ricerca di un modo per evadere dalle nostre vite e da una realtà troppo soffocante.
Volendo dare fede all’astrologia – e, onestamente, perché no, visto che è affascinante e divertente? – credo che potremmo essere definiti una Neptune Generation, una generazione intera tarata da questo Nettuno nevrotico. Penso sia emblematico il fatto che meno della metà dei miei compagni di liceo, me compreso, si sia ancora laureato alla triennale o abbia deciso cosa fare della propria vita. Fra la gente poco più grande o poco più piccola di me le cose non vanno poi molto meglio, e quelli che l’hanno fatto sono usciti per lo più da università di stampo artistico o comunque creativo. Ditemi che è una coincidenza, ma è comunque inquietante.
Per quanto riguarda me personalmente, Nettuno mi gioca un altro scherzo nel tema natale. Nella fattispecie, essendo in I casa, fa sì che: “La sensibilità è elevata e si ha potere di immedesimazione. La fantasia è rivolta verso se stessi e verso la propria personalità e si vorrebbe sempre essere diversi da quello che si è, provocando una sorta di instabilità emotiva”.
Fantastico, proprio ciò di cui avevo bisogno.

Ma non solo. L’astrologia è un’arte molto più complessa di come la fanno apparire Paolo Fox e il rotocalco mattutino di Canale 5. Se infatti loro cercano di basare le loro interpretazioni semplicemente sugli aspetti contingenti dei pianeti, fra loro e rispetto i singoli segni che vengono presi in esame, per creare un oroscopo giornaliero il più “accurato” possibile bisogna anche considerare gli aspetti che i pianeti formano con le posizioni che avevano al momento della nascita. Questo è chiaramente impossibile negli oroscopi standard, ma ciò non significa che non lo si possa calcolare per conto proprio. Ebbene, sorpresa sopresa, parrebbe proprio che sia sempre Nettuno a mettermi i bastoni fra le ruote. Nella fattispecie, leggo che:
•  Nettuno in quadrato con il Sole di nascita.
È un periodo pieno di confusione e di incertezze, in cui la direzione che avete preso e la vostra stessa vita non vi sono affatto chiare. Il transito spesso coincide con un periodo di scarsa vitalità fisica e psicologica. Perciò è bene che evitiate inutili sforzi fisici e adottiate un regime di vita salubre. Siete delusi dal vostro lavoro, della carriera, persino della vostra vita familiare, e tutto ciò vi fa sentire stanchi e demoralizzati. Non iniziate nuove attività specialmente di carattere economico speculative o transazioni, e non buttatevi a capofitto in sette mistiche e spirituali.
Nettuno in quadrato con Mercurio di nascita.
Evitate di prendere decisioni importanti in questo periodo, specialmente per le questioni riguardanti la carriera e gli obiettivi della vostra vita. Non vedete le cose con abbastanza chiarezza. Per lo stesso motivo non dovete iniziare importanti transazioni d’affari: le vendite e gli acquisti non sono affatto favoriti dal transito e potete fraintendere le cose oppure agire spinti da impulsi inconsci. Attenzione alle persone con cui state trattando, potrebbero avere intenzioni disoneste nei vostri confronti. Attenzione a non confondere il sogno per la realtà.
Urano in quadrato con Nettuno di nascita.
Questo transito può darvi senso di confusione, illusioni e mancanza di senso della realtà. Nuove filosofie o nuove idee possono essere pericolose in questo periodo perché influenzano negativamente la vostra vita: e questo è il pericolo maggiore che il transito presenta. Talvolta il transito può spingere alla droga: psichedelici o anfetamine più che alcool o barbiturati, perché possono procurarvi esperienze apparentemente mistiche. Può darsi che in questo periodo iniziate lo studio di discipline mistiche nella speranza di comprendere ciò che vi sta accadendo.

Detto in soldoni, la posizione dissonante di Nettuno rispetto a due dei miei pianeti natali porta a confusione e depressione, che si traducono in apatia, delusione, disillusione generale, male di vivere, disconnessione dalla realtà, il tutto accentuato dalla posizione dissonante di Urano col mio Nettuno di nascita (sempre lui) che mi rende ancora più scoppiato.
La buona notizia è che passerà – letteralmente, nel senso anche di “transiterà”. Quella cattiva è che Nettuno è un pianeta lentissimo che spende molto tempo nei gradi iniziali dei segni – e io, con i miei pianeti, sto al primissimo grado dei Gemelli, quindi me lo prenderò in pieno chissà ancora per quanto. Per cui, questo spiegherebbe come mai la cosa si sia tradotta in un luuuuungo periodo di depressione e apatia a fasi alterne per il quale non riesco davvero, con tutta la buona volontà, a trovare una soluzione. Non parliamo poi di Urano, i cui aspetti con Nettuno durano a oltranza, e che sicuramente va a toccare anche tutti i miei amici della mia generazione (visto che abbiamo tutti il Nettuno di Nascita lì vicino).

Riassunto del discorso: Nettuno è la piaga della mia generazione e, specialmente, della mia esistenza. Sembra tranquillo e pacifico, blu, con quel suo occhietto apatico, ma è un mostro. Accidenti a lui.

(Per inciso, questo mio improvviso interesse per l’astrologia potrebbe essere legato, oltre al quadrato fra Urano e il mio Nettuno di nascita, ad una congiunzione fra Plutone e sempre lui, il malefico Nettuno di nascita, che stimola la ricerca di un misticismo e di un mondo che vada al di là di quello terreno, portando però a rifiutare le spiegazioni ultraterrene più diffuse, tipo le religioni monoteistiche. Vorrei pensare che sia solo una brutta coincidenza, visto che anche questo è un aspetto che dura decenni. Sob.)

Saturday 21 September 2013

Cambio di prospettiva

Ho passato buona parte della mia vita, inclusa tutta l’adolescenza, convinto di odiare la Sardegna. Ok, probabilmente la odiavo davvero. Ora, invece, sto riscoprendo un amore inaspettato per lei. Non si tratta del classico attaccamento a “la mia terra”, quanto al semplice constatare che è bellissima. In ogni sua parte. Dalle falesie calcaree della costa nord-occidentale ai territori vulcanici dell’interno, fino alle scogliere granitiche e le montagne della Gallura. Man mano che la esploro in compagnia della Mater, pranzo al sacco e macchine fotografiche appresso, scopro paesaggi di una bellezza quasi ultraterrena, posti che in futuro vorrei condividere con “qualcuno”, una terra alla quale mi piace tornare.
Tutt’altro discorso per i Sardi: la maggior parte di loro riesce ad urtare il mio sistema nervoso nel giro di dieci secondi netti, battendo di gran lunga i venti o trenta necessari al resto dell’umanità per farmi desiderare un’estinzione di massa. Probabilmente, la Sardegna sarebbe davvero il paradiso terrestre se fosse disabitata, ultima riprova giusto questo pomeriggio a San Leonardo di Siete Fuentes i cui abitanti sono tanto beceri quanto il luogo è bello.
Tuttavia, la Sardegna deve essere davvero un luogo magnifico se nemmeno avere a che fare con le persone riesce più a farmela odiare. Oh, e naturalmente il fatto di non viverci più in pianta stabile ed essere in grado di prendere un treno per andare in giro per l’Italia. Però l’ultima volta che ho preso l’aereo per Trieste, ho letteralmente accarezzato con lo sguardo tutta la costa settentrionale, da Stintino a Santa Teresa di Gallura, che sono state le mete delle due gite che ho fatto ad agosto con la Mater: ho seguito tutta la strada che abbiamo fatto in macchina, prestando attenzione ad ogni paesello, riconoscendolo come quello che abbiamo intravvisto o attraversato in macchina, meravigliandomi di ogni asperità della linea della costa, ogni promontorio o insenatura, visti dall’alto ma ormai imprescindibilmente legati a quelle due giornate.
È per questo che, ora, vedere Stintino e Capo Testa, ma da adesso anche Siete Fuentes, mi farà sempre battere il cuore più forte.

Monday 16 September 2013

Auguri, GothicDoor VII


Candle by ~kiipy
Sette anni. Quando ho aperto questo blog ero partito dal presupposto che lo avrei portato avanti a lungo, ma non so se avrei mai immaginato che sarebbe davvero durato tanto. Non so nemmeno se, all’epoca, sarei riuscito ad immaginare cosa ne sarebbe stato di me dopo tutto questo tempo, che dalle foto con la compattina fatte un pomeriggio con Giovanni sarei arrivato a prendermi una full frame e contattare gente in giro per l’Italia (e, occasionalmente, l’Europa) per fare foto. O che, da romantico inguaribile, mi sarei trasformato in un curioso incrocio fra Regina, Cora e Rumplestiltskin (a proposito, mancano due settimane a Once Upon A Time e sto morendo). O che, da svogliato studente finto-modello sarei passato a un inconcludente cronico che ha paura a mettere il naso fuori di casa.
O che, dopo più di un anno di pausa forzata, questo blog mi sarebbe mancato così tanto e, una volta riaperto, l’avrei amato di nuovo come nei primi mesi. E che mi sarebbe dispiaciuto così tanto aver saltato il sesto compleanno.
Grazie, GothicDoor. Ancora una volta, auguri.

Sunday 1 September 2013

La soledad

Dare un titolo in spagnolo a un post lo rende automaticamente trash, ma visto che chiamarlo “la solitudine” avrebbe ottenuto lo stesso effetto a causa dell’ovvia associazione con Laura Pausini, ho deciso di optare per quella linguaccia così da omaggiare completamente la Depressifera citando addirittura la versione spagnola della sua infausta ballata.
(Fra le tante, io continuo sempre a sperare che Marco ci sia finito sotto, al treno delle 7:30 cuore di metallo senza animà; anche a costo di far fare ritardo a mezza Italia mentre la polizia ferroviaria raccoglie i suoi pezzi dai binari).

Mentre si chiacchierava con il famoso amico di famiglia che mi ospiterà a Trieste, nuovo compagno della mamma divorziata di una mia amica d’infanzia, per la prima volta nei diciotto anni che faccio parte di una “broken home” mi sono ritrovato davanti a come una donna divorziata affronta l’improvvisa solitudine. Non mi ero mai davvero soffermato a pensarci perché la Mater è sempre stata impegnata a tirare avanti nonostante i mille ostacoli, ma è decisamente vero che dopo la fine di un rapporto come il matrimonio deve essere difficile riadattarsi a non avere più qualcuno proprio con cui parlare. La Mater se la cava parlando con gli oggetti (per lo più minacciandoli quando non funzionano a dovere) e con la gatta, la sua amica invece parlando da sola e tenendo la tv in sottofondo anche quando fa le faccende in un’altra stanza. La tv che, nella fattispecie, ti fa compagnia anche se non le presti attenzione proprio perché ti fa sentire la voce di altri esseri umani.

A quel punto io, che ero tutto gongolante nella mia convinzione di essere al di sopra di queste scemenze da persone sociali, mi sono reso conto che no, non lo sono affatto. Perché a ben vedere, io non parlo da solo (non che mi risulti, per lo meno) e non tengo sicuramente la tv accesa in sottofondo dato che non ce l’ho proprio (né ne sento la mancanza). Ma è anche vero che ascolto ore e ore di musica – anzi, praticamente trascorro tutto il mio tempo libero senza fare altro (talvolta anche quello occupato, la tengo in sottofondo pure mentre studio). Che anche io, al di là del valore ricreativo dell’esperienza artistica, abbia bisogno di sentire la voce di qualche essere umano perché sotto sotto cerco compagnia, proprio come con la famosa tv?
Per quanto la prospettiva mi faccia accapponare la pelle, devo ammettere che ascoltare Nell mi fa davvero sentire bene come se ci avessi fatto due chiacchiere, per cui forse la teoria non è del tutto insensata.

Piuttosto, la cosa che mi lascia perplesso è invece che, pur di avere queste interazioni umane surrogate, tendo a evitare sistematicamente le persone in carne ed ossa. Tipo mangiare mentre le coinquiline hanno da fare per terminare in fretta e non rischiare di allungare a dismisura la cena in chiacchiere con loro così da tornarmene il prima possibile in camera, preferire la chat al telefono perché mi lascia le orecchie libere, o programmare a che ora uscire in base a quanti album voglio ascoltarmi al pomeriggio. Ma addirittura, la mia propensione per le relazioni a distanza deriva in buona parte da questo: il vedersi una volta ogni tanto, passare del tempo assieme, fare sesso, magari anche foto, ma per il resto sentirsi solo per via telematica così che io abbia tutto il tempo libero necessario da dedicare alla musica. Per questo che non riesco a concepire la convivenza con un ragazzo: dove lo troverei il tempo di fare le mie cose e ascoltare la musica? Ecco.
Quindi, o sono diventato talmente sociopatico che trovo la compagnia della musica più appagante di quella della gente, eccetto gli amici più stretti o i contatti telematici, o c’è qualcosa che non va nella teoria. O nella mia testa, che è più probabile.
Beh, se non altro queste conversazioni a senso unico non le intrattengo certo con la Pausini, per cui forse non sono del tutto da buttare.

On the edge, at last

Ultimamente ho ripreso a dormire bene. Sono due notti che mi corico e riesco a fare tutta una tirata senza svegliarmi in preda all’ansia. Probabilmente, ora che il ritorno a Trieste è imminente, ho raggiunto quella specie di calma zen che arriva quando sei sul ciglio del baratro. La strada è sempre accidentata e piena di ansia, ma una volta che si vede il crepaccio si accetta il proprio destino e si va avanti. A parte qualche batticuore a macchia di leopardo durante il giorno, riesco anche ad essere produttivo, tant’è che ieri ho tradotto dal russo con la Mater non solo tutti i testi dei due Белое dei Theodor Bastard, che mi servono per un progetto congiunto con BriarRose, ma anche tutti gli altri loro album. Oggi invece vedrò di finire di leggere il blog sullo zodiaco e abbozzare qualche idea anche per gli ultimi segni (possibilmente anche per quelli di Fuoco, che mi stanno dando un sacco di filo da torcere), e fra l’altro, ho anche buttato giù qualche riga della storia che sto scribacchiando sugli Infernal Lords, e che non toccavo per tutta una serie di motivi da dicembre, e mi sta tornando un’enorme voglia di fare una maratona di Once Upon A Time.

A dirla tutta, penso che a darmi una bella botta di vita sia stata al serata in compagnia di Beatrice e Federica: cena dal messicano e poi karaoke fra un drink e una sigaretta. Tralasciando che dovrei assolutamente riprendere a studiare canto perché in due anni di inattività completa (e cinque da che ho smesso di andare a lezione) sono peggiorato parecchio, la cosa strana è che sono rimasto assolutamente sobrio nonostante abbia trincato “come un cammello a etilene”, per citare Federica. Comunque, nonostante il massacro di Gaga, Beyoncé e Britney che ho fatto, e la tremarella che mi prende non appena prendo in mano un microfono (neanche mi fregasse nulla del giudizio degli avventori di un bar-karaoke di provincia), è stato alquanto catartico. Forse, sotto sotto, è vero che per ricaricare le batterie e decostruire un po’ di nevrosi ho bisogno di uscire e socializzare.

Ciò detto, sto per andare dall’amico di famiglia triestino che mi ospiterà: prendo le chiavi e chiedo qualche dritta su come funziona casa sua (visto che lui sta ad Algeri nel mentre). Spero di riuscire a sistemare la faccenda affitto in settimana, così potrò dedicarmi in santa pace alla creatività e, magari, riprendere pure a vivere senza ansia.

Friday 30 August 2013

Полюби эту боль

Полюби эту боль.
Верь мне, тихий край.

Questi due versi sono un’ottima descrizione di come mi sento in questo momento.


Impara ad amare questo dolore.
Credimi, è un luogo tranquillo.

Укрой, холодно.
Coprimi, fa freddo.

Sunday 25 August 2013

Cielo (più o meno) stellato

Sono appena andato in bagno e sono rimasto ferocemente deluso nel constatare che il cielo è interamente coperto dalle nuvole. Volevo ripetere la prodezza di ieri notte quando, per la prima volta, ho individuato la “mia” costellazione, i Gemelli (con un colossale Giove proprio al centro).

Al di là del rant sulla casa dello scorso post, un motivo più concreto per cui un po’ mi seccherà tornare a Trieste sarà proprio questo: l’assenza del cielo stellato. Un po’ è un’impressione mia, dato che, avendo vissuto virtualmente sotto terra per tre anni, dalla finestra non vedevo nemmeno un accenno di cielo; un po’ Alghero è più piccola, ha meno inquinamento luminoso, e permette quindi di osservare più stelle in cielo. Anche uscendo la sera, non ricordo di essermi mai soffermato sul cielo stellato a Trieste, nemmeno a vedere il Grande Carro o dove si trovasse la Stella Polare che è impossibile non notare, per cui penso proprio che la mia impressione sia corretta e buona parte delle stelle sia affogata dalle luci cittadine.

Non ricordo se ho menzionato la cosa recentemente, ma io da piccolo ero letteralmente fissato con l’astronomia. Ero convinto di voler fare l’astronomo, disegnavo continuamente i pianeti (che all’epoca erano ancora nove), ho passato tutta la primavera del 1997 a dare la caccia alla cometa Hale-Bopp assieme alla Mater e avevo tutte le videocassette di Piero Angela con i relativi fascicoli da rilegare nei sei volumi de L’Universo – Grande Enciclopedia dell’Astronomia. Poi ho scoperto in cosa il lavoro di astronomo consistesse realmente, ho visto che ero una schiappa in fisica e, oltre a entrare in crisi per il mio futuro professionale finché non ho scoperto i miei talenti linguistici, ho accantonato un po’ tutta la passione per svariati anni.
Non so bene come sia cominciato questo improvviso revival dell’astronomia. Sicuramente, il fatto di ruolarmi il professore di astronomia di Beauxbatons su un GdR ad ambientazione potteriana avrà influito e mi avrà aiutato a riscoprire tante cose, ma è anche vero che se ho deciso che Florian ha la passione per l’astronomia devo essermene rinnamorato io stesso nel periodo in cui ho iniziato a muoverlo e definire le sue passioni di maghetto mezzo-vampiro all’epoca tredicenne.

Insomma, resta il fatto che ho preso una decisione: osserverò tutte le costellazioni visibili dalle latitudini italiane. Dopo di che, andrò in Sudafrica, o in Australia, o da qualche parte, e osserverò anche tutte quelle dell’emisfero australe, fino a raggiungere il totale di 88. Sono già a buon punto con l’emisfero boreale e la parte di quello australe visibile da qui, specialmente per le costellazioni estive, e ora non vedo l’ora di organizzare una bella nottata di osservazione in inverno, magari quando torno per le vacanze di natale se non fa brutto tempo. Nel frattempo, vedrò se la situazione a Trieste migliora un po’, magari in punta al Molo Audace, o se riesco a reperire qualche zona cittadina meno illuminata che faccia al caso mio. E sì, lo ammetto: non poter uscire dalla città per osservare il cielo è, assieme alla fotografia, l’unico motivo per cui mi dispiace di non avere la patente e una macchina.

Saturday 24 August 2013

Lost child

Dovrei seriamente lavorare per migliorare il mio modo di gestire le responsabilità. Ogni volta che mi si prospetta di avere a che fare con il mondo degli adulti, per qualsiasi motivo, inizio a svalvolare. Divento ansioso e, a meno che non riesca a distrarmi spegnendo in qualche modo il cervello, mi passano sia il sonno che l’appetito, mi ritrovo pieno di blocchi creativi, non riesco nemmeno più ad ascoltare serenamente la musica o a giocare di ruolo e divento (ancora più) taciturno e scorbutico con le persone. Oh, e ovviamente inizio a evitare con una cura capillare qualsiasi persona sia direttamente connessa alla faccenda, e sviare il discorso con quelle il cui collegamento è più indiretto.

Inutile dirlo, la prospettiva di dovermi buttare a capofitto nella ricerca di una casa ora che torno a Trieste mi ha avvelenato l’intera vacanza, ma ancora più intensamente questi ultimi giorni. Ho il culo parato mentre cerco, so già che mi sistemerò alla meno peggio con internet (la potenziale mancanza del quale, per quanto risolvibile, costituiva un’enorme fonte di stress già al mio primo trasferimento, e pure al secondo), so che una volta risolta la faccenda potrò dedicarmi alle foto e ad altre cose che mi piacciono, eppure il solo pensiero di tornare su mi chiude tanto lo stomaco che mi viene da vomitare. Letteralmente, sto scrivendo con i conati.

Ciò detto, mi sono alzato, ho bevuto un bicchiere d’acqua, e sebbene senta ancora urgente il bisogno di anestetizzare la mente (una rilettura di Harry Potter a due mesi e mezzo dalla fine della precedente mi tenta da morire) mi sento realmente meglio dopo averlo detto ad alta voce (beh, scritto sul blog, ma è la stessa cosa). Fra l’altro, so che basterebbe aprire la cartella e riguardarmi Once Upon A Time dalla 1x01 alla 2x21 per distrarmi, ma la nuova season premiere è il 29 settembre e, trattandosi di una data postuma al mio attuale “problema”, mi porta inevitabilmente ad angosciarmi preventivamente (poi so già che appena inizio non mi stacco più e sarò felice e contento, il problema è muovere il culo). Harry Potter, in quanto totalmente slegato al tempo contingente, è un’opzione al momento migliore, specie perché sto per finire The Gay Boy’s Guide to the Zodiac e, dalle parti di EFP, una delle mie scrittrici preferite si fa attendere (ciao, BlueSmoke, parlo proprio di te: nello stato attuale ho bisogno del nuovo capitolo, se no mi ridurrò a tornare a spulciare InSegreto per potermi addormentare la notte).

Ok, probabilmente sono un deficiente e avrei dovuto postare prima, visto che ora mi sento talmente alleggerito dal peso che sono anche in grado di aprire una chat di Facebook e scrivere apertamente che la ricerca della casa mi angoscia. Comunque mi sto convincendo di aver bisogno di fare due chiacchiere con un professionista, dato che ultimamente la mia testa è sempre più disfunzionale, a volte con esiti catastrofici. Il problema è, come al solito, iniziare. Come con qualsiasi cosa: una volta che mi metto in movimento ci prendo anche gusto, e probabilmente sarà così anche con la ricerca della casa, ma l’attimo in cui faccio forza sulla mia massa inerziale è sempre insopportabile.

Saturday 10 August 2013

Ben venga lo zodiaco

Ammetto che, pur considerandomi un ateaccio della peggior specie e, in molti frangenti, ferocemente militante, sono anche un filino atipico nel ruolo. D’altro canto, ho pur sempre l’animo dell’artista e, di conseguenza, mi piace ricamare sulla realtà e lasciar correre libera l’immaginazione. Quindi, se da una parte non credo in Yahweh (mi secca chiamarlo “Dio-Con-La-Maiuscola”: ha un nome proprio ed è uno dei tanti dei, non quello per antonomasia) e ritengo che l’intera cosmologia che gli è stata cucita intorno sia la cosa più improbabile di questo universo, non mi dispiace invece flirtare con l’idea che l’astrologia possa avere qualche fondo di verità. In maniera assolutamente non scientifica, ovviamente, ma puramente a livello di arte di interpretare la posizione prospettica dei pianeti rispetto al cielo. Questo non tanto per quanto riguarda gli oroscopi quotidiani quanto, piuttosto, per temi natali e simili.
D’altro canto, sarà anche vero che gli astrologi scrivono un po’ tutto e il contrario di tutto così che chiunque si possa ritrovare nella descrizione del proprio segno, ma ciò non toglie che mi stia divertendo un mondo a leggere The Gay Boy’s Guide to the Zodiac segno per segno, ritrovandomi pienamente nei Gemelli e vedendo anche molto di amici e conoscenti nei rispettivi altri segni. Oh, e fra l’altro confermo in pieno il fatto che i Gemelli hanno le mani in pasta in mille cose assieme e non ne portano a termine nemmeno una: mi sta venendo in mente un nuovo progetto fotografico quando ne ho altri cinque-sei in cantiere e ben lontani dalla fine.

Sempre per la serie Ateo-ma-non-troppo, sembra che la stella cadente di ieri notte stia facendo il suo dovere, almeno sulle prime battute. Oh yeah. Ben venga la superstizione se sono tutto contento e quasi di buon umore.

Friday 9 August 2013

Il cielo a est

Credo di aver appena visto una delle cose più belle del mondo: un cielo stellato finalmente privo di umidità dopo settimane di afa, Capella e Aldebaran che brillavano nel nero profondo del cielo orientale, e un Giove luminosissimo giusto sopra un banco di nuvole che, all’orizzonte, dietro la collina, venivano continuamente illuminate da lampi e fulmini, che ne delineavano le silhouette. Tutto questo dalla finestra del mio bagno: Bello e Sublime a portata di mano che nemmeno nei sogni più dettagliati dello stesso Kant.

In più, ho anche visto una stella cadente bonus, anche lei luminosissima, alla quale ho espresso un desiderio silenzioso. Chissà che non mi dia il coraggio di fare ciò che vorrei fare.

Thursday 8 August 2013

Dieci anni di Fallen

In realtà non ricordavo il giorno preciso: l’ho dovuto ricostruire con un po’ di calcoli partendo da altri avvenimenti di cui so effettivamente la data.
All’epoca non ci diedi così importanza, semplicemente mi trovavo in vacanza-studio in Inghilterra (la mia primissima), ci avevano portati in gita a Oxford, avevo trovato un negozio di musica, ero entrato e avevo scoperto che davano due CD da 13 sterline ciascuno a 20 in totale se li prendevo assieme. Così, scelsi American Life di Madonna come secondo CD per avere lo sconto su Fallen degli Evanescence.
All’inizio, verso giugno, il video di Bring Me To Life mi aveva turbato non poco, e non in senso del tutto positivo. Ma dato che la canzone mi si inchiodava in testa ogni volta che la sentivo e la cantante non solo era davvero bella, ma aveva una voce straordinaria, incredibilmente personale ed espressiva, una di quelle che riconosceresti ovunque ad occhi chiusi, me la feci scaricare da Giovanni (all’epoca avevo ancora la 56 kb/s e mi affidavo a lui per ogni questione di download) e inserire in un cd di canzoni sfuse da portarmi in viaggio. E trovandomi il CD, con quella copertina azzurra così magnetica, con quegli occhi, decisi di comprarlo per sentire com’era il resto della musica di questi “Evànescens” (a “Evanèsens” ci sarei arrivato solo molto dopo).
 
Fallen by Evanescence
Ricordo tutto di quel viaggio in pullman da Oxford al college di Bradfield: il centro prima, la periferia poi della città che scorrevano davanti ai miei occhi sulle note di Going Under e Bring Me To Life, l’autostrada su Everybody’s Fool, i campi di grano, dorati sotto il cielo blu intenso, sui quali, ascoltando My Immortal, sembrava quasi di volare, le macchie di alberi, i piccoli paesi non lontano dalla strada su Haunted, Tourniquet e Imaginary, la zona appena più brulla su Taking Over Me. E su Hello, My Last Breath e Whisper, quando eravamo già in dirittura d’arrivo, il bosco che circonda il college. Sul serio, il primo ascolto di quelle tre canzoni in mezzo al bosco (eccetto la strada) è stato qualcosa di incredibilmente emozionante.
In realtà, non fu fino al giorno dopo che mi innamorai totalmente della musica degli Evanescence, quando, durante la pausa pranzo, mi spaparanzai sull’erba all’ombra di un albero (con, ironicamente, alla mia sinistra il piccolo cimitero del college e alla mia destra gli edifici neo-gotici della mensa) e ascoltai Going Under provando a seguire il testo. Nonostante Bring Me To Life mi piacesse, fu quella canzone a conquistarmi: la misi in repeat fino all’ora delle lezioni, e poi di nuovo durante la cena, e tutta la sera. E American Life? Credo di avergli dato uno o due ascolti… settimane dopo.
Il college di Bradfield
Il resto, come ben sapranno quelli che mi conoscono da prima del 2008, è storia: accantonate le t.A.T.u., Avril Lavigne, Alizée e quant’altro, per tutta la prima superiore non ascoltai praticamente altro. Ad eccezione, di tanto in tanto, del singolo di My Immortal, che comprai non appena sentii la Band Version e mi sciolsi in lacrime davanti al video (la prima edizione del disco non aveva quella versione come bonus track). Quando a natale 2004 uscì Anywhere But Home, il mio disco di Fallen aveva letteralmente i segni dell’usura, e fortuna che arrivò Missing a impedirmi di continuare ad abusarne. E non contento, mi impegnai a creare FMV di Final Fantasy VIII per ogni canzone del disco. Oh, e non si contano i pomeriggi incollato a Mtv aspettando il video del momento per poterla guardare, Amy, che all’epoca era la donna più bella del mondo per me. O le googlate clandestine in aula d’informatica a scuola per stipare quante più foto possibile sui floppy disk da portare a casa.
Erano ancora i tempi di WinMix quando, cercando altre canzoni live from Cologne (come le b-side dei singoli di My Immortal e Everybody’s Fool) io e Giovanni scoprimmo titoli strambi come Lies, Where Will You Go? o Anywhere, e con enorme sorpresa scoprimmo dell’esistenza di Origin, Evanescence EP, Sound Asleep e tutte le demo (fan 1 – Pescy 0). A quell’epoca avevo già l’iPod, così, sia sul traghetto andando a Roma per natale, sia nelle interminabili ore di pullman da Alghero a Parigi nella gita scolastica di seconda, spaziavamo di canzone in canzone ascoltando praticamente solo quello – sporadicamente intervallato da qualcosa di Wishmaster dei Naituiss, che mi avevano già fatto conoscere, ma non c’è da sorprendersi se di fronte a Origin e al resto della compagnia me lo filassi relativamente poco. Ci vollero i Within Temptation con Enter, che scoprii casualmente sul finire del 2005 grazie a “Evanescence feat. Within Temptation – Restless” che circolava su eMule, per riuscire a diluire consistentemente gli ascolti degli Evanescence, specie quando scoprii il resto della loro discografia (all’epoca ero già stato in America ed ero tornato con tutti i CD dei Naituiss, che ora ho sbolognato a Jonah, ma continuavano ad essere ascolti relativamente sporadici e concentrati per lo più sulle solite tre-quattro canzoni). Fu solo con i Delain, nell’autunno 2006, che iniziai ad ascoltare seriamente anche altra roba, sempre all’interno del genere (ricordo che qualcuno tentò di passami Venus dei Theatre of Tragedy, ma non me la filai di striscio… ah, errori di gioventù). Non prima, ovviamente, di un monitoraggio quotidiano e ossessivo del sito del fanclub italiano per tutta l’estenuante durata delle sessioni di registrazione, mixaggio e mastering di The Open Door, che tutt’oggi non ho idea come riuscii ad aspettare senza uccidere qualcuno.

Da lì in poi, il mio rapporto con la band lo ritrovate accuratamente documentato su questo blog, a partire dall’entusiasmo per l’uscita di The Open Door, per il concerto con meet & greet di quell’anno, il Metarock a Pisa nel 2007, vari sogni con Amy, Missing finalmente suonata live… e ovviamente Amy che decide di andare solista e la sua improvvisa e traumatica (per me) caduta dalle mie grazie nel 2008. Il periodo di rancore, la presa di coscienza del fatto che, contrariamente a ciò di cui cercavo di autoconvincermi, live fosse mediamente tremenda, il taglio di capelli, il suo trasformarsi in Pescy, la soap opera con i We Are The Fallen e l’improvviso ritorno di fiamma di Pescy per gli Evanescence, fino alla cocente delusione dell’ultimo album della band e la mia speranza che se ne vada solista al più presto.

Insomma, in dieci anni sono cambiate un mucchio di cose, sia nella mia vita, sia nella band, sia nel mio rapporto con essa. Ma Fallen è ancora uno dei miei dischi preferiti e lo considero tutt’ora la svolta della mia adolescenza. I due poster sono ancora appesi al muro, qui ad Alghero, e lì rimarranno finché la parete non si scrosterà da sola. E anche ora, nonostante tutto ciò che è successo, mentre riascolto Fallen ripenso a quei giorni in Inghilterra e alla magia di una nuova scoperta che sarebbe diventata, nel tempo, importantissima per la mia crescita. A quanto amo quelle canzoni, a quanto mi hanno dato e a quanto mi hanno aiutato durante i piccoli, grandi drammi dell’adolescenza.
In alto i calici, e un grazie sentito a Ben, David e Amy per la loro musica.