Friday 30 August 2013

Полюби эту боль

Полюби эту боль.
Верь мне, тихий край.

Questi due versi sono un’ottima descrizione di come mi sento in questo momento.


Impara ad amare questo dolore.
Credimi, è un luogo tranquillo.

Укрой, холодно.
Coprimi, fa freddo.

Sunday 25 August 2013

Cielo (più o meno) stellato

Sono appena andato in bagno e sono rimasto ferocemente deluso nel constatare che il cielo è interamente coperto dalle nuvole. Volevo ripetere la prodezza di ieri notte quando, per la prima volta, ho individuato la “mia” costellazione, i Gemelli (con un colossale Giove proprio al centro).

Al di là del rant sulla casa dello scorso post, un motivo più concreto per cui un po’ mi seccherà tornare a Trieste sarà proprio questo: l’assenza del cielo stellato. Un po’ è un’impressione mia, dato che, avendo vissuto virtualmente sotto terra per tre anni, dalla finestra non vedevo nemmeno un accenno di cielo; un po’ Alghero è più piccola, ha meno inquinamento luminoso, e permette quindi di osservare più stelle in cielo. Anche uscendo la sera, non ricordo di essermi mai soffermato sul cielo stellato a Trieste, nemmeno a vedere il Grande Carro o dove si trovasse la Stella Polare che è impossibile non notare, per cui penso proprio che la mia impressione sia corretta e buona parte delle stelle sia affogata dalle luci cittadine.

Non ricordo se ho menzionato la cosa recentemente, ma io da piccolo ero letteralmente fissato con l’astronomia. Ero convinto di voler fare l’astronomo, disegnavo continuamente i pianeti (che all’epoca erano ancora nove), ho passato tutta la primavera del 1997 a dare la caccia alla cometa Hale-Bopp assieme alla Mater e avevo tutte le videocassette di Piero Angela con i relativi fascicoli da rilegare nei sei volumi de L’Universo – Grande Enciclopedia dell’Astronomia. Poi ho scoperto in cosa il lavoro di astronomo consistesse realmente, ho visto che ero una schiappa in fisica e, oltre a entrare in crisi per il mio futuro professionale finché non ho scoperto i miei talenti linguistici, ho accantonato un po’ tutta la passione per svariati anni.
Non so bene come sia cominciato questo improvviso revival dell’astronomia. Sicuramente, il fatto di ruolarmi il professore di astronomia di Beauxbatons su un GdR ad ambientazione potteriana avrà influito e mi avrà aiutato a riscoprire tante cose, ma è anche vero che se ho deciso che Florian ha la passione per l’astronomia devo essermene rinnamorato io stesso nel periodo in cui ho iniziato a muoverlo e definire le sue passioni di maghetto mezzo-vampiro all’epoca tredicenne.

Insomma, resta il fatto che ho preso una decisione: osserverò tutte le costellazioni visibili dalle latitudini italiane. Dopo di che, andrò in Sudafrica, o in Australia, o da qualche parte, e osserverò anche tutte quelle dell’emisfero australe, fino a raggiungere il totale di 88. Sono già a buon punto con l’emisfero boreale e la parte di quello australe visibile da qui, specialmente per le costellazioni estive, e ora non vedo l’ora di organizzare una bella nottata di osservazione in inverno, magari quando torno per le vacanze di natale se non fa brutto tempo. Nel frattempo, vedrò se la situazione a Trieste migliora un po’, magari in punta al Molo Audace, o se riesco a reperire qualche zona cittadina meno illuminata che faccia al caso mio. E sì, lo ammetto: non poter uscire dalla città per osservare il cielo è, assieme alla fotografia, l’unico motivo per cui mi dispiace di non avere la patente e una macchina.

Saturday 24 August 2013

Lost child

Dovrei seriamente lavorare per migliorare il mio modo di gestire le responsabilità. Ogni volta che mi si prospetta di avere a che fare con il mondo degli adulti, per qualsiasi motivo, inizio a svalvolare. Divento ansioso e, a meno che non riesca a distrarmi spegnendo in qualche modo il cervello, mi passano sia il sonno che l’appetito, mi ritrovo pieno di blocchi creativi, non riesco nemmeno più ad ascoltare serenamente la musica o a giocare di ruolo e divento (ancora più) taciturno e scorbutico con le persone. Oh, e ovviamente inizio a evitare con una cura capillare qualsiasi persona sia direttamente connessa alla faccenda, e sviare il discorso con quelle il cui collegamento è più indiretto.

Inutile dirlo, la prospettiva di dovermi buttare a capofitto nella ricerca di una casa ora che torno a Trieste mi ha avvelenato l’intera vacanza, ma ancora più intensamente questi ultimi giorni. Ho il culo parato mentre cerco, so già che mi sistemerò alla meno peggio con internet (la potenziale mancanza del quale, per quanto risolvibile, costituiva un’enorme fonte di stress già al mio primo trasferimento, e pure al secondo), so che una volta risolta la faccenda potrò dedicarmi alle foto e ad altre cose che mi piacciono, eppure il solo pensiero di tornare su mi chiude tanto lo stomaco che mi viene da vomitare. Letteralmente, sto scrivendo con i conati.

Ciò detto, mi sono alzato, ho bevuto un bicchiere d’acqua, e sebbene senta ancora urgente il bisogno di anestetizzare la mente (una rilettura di Harry Potter a due mesi e mezzo dalla fine della precedente mi tenta da morire) mi sento realmente meglio dopo averlo detto ad alta voce (beh, scritto sul blog, ma è la stessa cosa). Fra l’altro, so che basterebbe aprire la cartella e riguardarmi Once Upon A Time dalla 1x01 alla 2x21 per distrarmi, ma la nuova season premiere è il 29 settembre e, trattandosi di una data postuma al mio attuale “problema”, mi porta inevitabilmente ad angosciarmi preventivamente (poi so già che appena inizio non mi stacco più e sarò felice e contento, il problema è muovere il culo). Harry Potter, in quanto totalmente slegato al tempo contingente, è un’opzione al momento migliore, specie perché sto per finire The Gay Boy’s Guide to the Zodiac e, dalle parti di EFP, una delle mie scrittrici preferite si fa attendere (ciao, BlueSmoke, parlo proprio di te: nello stato attuale ho bisogno del nuovo capitolo, se no mi ridurrò a tornare a spulciare InSegreto per potermi addormentare la notte).

Ok, probabilmente sono un deficiente e avrei dovuto postare prima, visto che ora mi sento talmente alleggerito dal peso che sono anche in grado di aprire una chat di Facebook e scrivere apertamente che la ricerca della casa mi angoscia. Comunque mi sto convincendo di aver bisogno di fare due chiacchiere con un professionista, dato che ultimamente la mia testa è sempre più disfunzionale, a volte con esiti catastrofici. Il problema è, come al solito, iniziare. Come con qualsiasi cosa: una volta che mi metto in movimento ci prendo anche gusto, e probabilmente sarà così anche con la ricerca della casa, ma l’attimo in cui faccio forza sulla mia massa inerziale è sempre insopportabile.

Saturday 10 August 2013

Ben venga lo zodiaco

Ammetto che, pur considerandomi un ateaccio della peggior specie e, in molti frangenti, ferocemente militante, sono anche un filino atipico nel ruolo. D’altro canto, ho pur sempre l’animo dell’artista e, di conseguenza, mi piace ricamare sulla realtà e lasciar correre libera l’immaginazione. Quindi, se da una parte non credo in Yahweh (mi secca chiamarlo “Dio-Con-La-Maiuscola”: ha un nome proprio ed è uno dei tanti dei, non quello per antonomasia) e ritengo che l’intera cosmologia che gli è stata cucita intorno sia la cosa più improbabile di questo universo, non mi dispiace invece flirtare con l’idea che l’astrologia possa avere qualche fondo di verità. In maniera assolutamente non scientifica, ovviamente, ma puramente a livello di arte di interpretare la posizione prospettica dei pianeti rispetto al cielo. Questo non tanto per quanto riguarda gli oroscopi quotidiani quanto, piuttosto, per temi natali e simili.
D’altro canto, sarà anche vero che gli astrologi scrivono un po’ tutto e il contrario di tutto così che chiunque si possa ritrovare nella descrizione del proprio segno, ma ciò non toglie che mi stia divertendo un mondo a leggere The Gay Boy’s Guide to the Zodiac segno per segno, ritrovandomi pienamente nei Gemelli e vedendo anche molto di amici e conoscenti nei rispettivi altri segni. Oh, e fra l’altro confermo in pieno il fatto che i Gemelli hanno le mani in pasta in mille cose assieme e non ne portano a termine nemmeno una: mi sta venendo in mente un nuovo progetto fotografico quando ne ho altri cinque-sei in cantiere e ben lontani dalla fine.

Sempre per la serie Ateo-ma-non-troppo, sembra che la stella cadente di ieri notte stia facendo il suo dovere, almeno sulle prime battute. Oh yeah. Ben venga la superstizione se sono tutto contento e quasi di buon umore.

Friday 9 August 2013

Il cielo a est

Credo di aver appena visto una delle cose più belle del mondo: un cielo stellato finalmente privo di umidità dopo settimane di afa, Capella e Aldebaran che brillavano nel nero profondo del cielo orientale, e un Giove luminosissimo giusto sopra un banco di nuvole che, all’orizzonte, dietro la collina, venivano continuamente illuminate da lampi e fulmini, che ne delineavano le silhouette. Tutto questo dalla finestra del mio bagno: Bello e Sublime a portata di mano che nemmeno nei sogni più dettagliati dello stesso Kant.

In più, ho anche visto una stella cadente bonus, anche lei luminosissima, alla quale ho espresso un desiderio silenzioso. Chissà che non mi dia il coraggio di fare ciò che vorrei fare.

Thursday 8 August 2013

Dieci anni di Fallen

In realtà non ricordavo il giorno preciso: l’ho dovuto ricostruire con un po’ di calcoli partendo da altri avvenimenti di cui so effettivamente la data.
All’epoca non ci diedi così importanza, semplicemente mi trovavo in vacanza-studio in Inghilterra (la mia primissima), ci avevano portati in gita a Oxford, avevo trovato un negozio di musica, ero entrato e avevo scoperto che davano due CD da 13 sterline ciascuno a 20 in totale se li prendevo assieme. Così, scelsi American Life di Madonna come secondo CD per avere lo sconto su Fallen degli Evanescence.
All’inizio, verso giugno, il video di Bring Me To Life mi aveva turbato non poco, e non in senso del tutto positivo. Ma dato che la canzone mi si inchiodava in testa ogni volta che la sentivo e la cantante non solo era davvero bella, ma aveva una voce straordinaria, incredibilmente personale ed espressiva, una di quelle che riconosceresti ovunque ad occhi chiusi, me la feci scaricare da Giovanni (all’epoca avevo ancora la 56 kb/s e mi affidavo a lui per ogni questione di download) e inserire in un cd di canzoni sfuse da portarmi in viaggio. E trovandomi il CD, con quella copertina azzurra così magnetica, con quegli occhi, decisi di comprarlo per sentire com’era il resto della musica di questi “Evànescens” (a “Evanèsens” ci sarei arrivato solo molto dopo).
 
Fallen by Evanescence
Ricordo tutto di quel viaggio in pullman da Oxford al college di Bradfield: il centro prima, la periferia poi della città che scorrevano davanti ai miei occhi sulle note di Going Under e Bring Me To Life, l’autostrada su Everybody’s Fool, i campi di grano, dorati sotto il cielo blu intenso, sui quali, ascoltando My Immortal, sembrava quasi di volare, le macchie di alberi, i piccoli paesi non lontano dalla strada su Haunted, Tourniquet e Imaginary, la zona appena più brulla su Taking Over Me. E su Hello, My Last Breath e Whisper, quando eravamo già in dirittura d’arrivo, il bosco che circonda il college. Sul serio, il primo ascolto di quelle tre canzoni in mezzo al bosco (eccetto la strada) è stato qualcosa di incredibilmente emozionante.
In realtà, non fu fino al giorno dopo che mi innamorai totalmente della musica degli Evanescence, quando, durante la pausa pranzo, mi spaparanzai sull’erba all’ombra di un albero (con, ironicamente, alla mia sinistra il piccolo cimitero del college e alla mia destra gli edifici neo-gotici della mensa) e ascoltai Going Under provando a seguire il testo. Nonostante Bring Me To Life mi piacesse, fu quella canzone a conquistarmi: la misi in repeat fino all’ora delle lezioni, e poi di nuovo durante la cena, e tutta la sera. E American Life? Credo di avergli dato uno o due ascolti… settimane dopo.
Il college di Bradfield
Il resto, come ben sapranno quelli che mi conoscono da prima del 2008, è storia: accantonate le t.A.T.u., Avril Lavigne, Alizée e quant’altro, per tutta la prima superiore non ascoltai praticamente altro. Ad eccezione, di tanto in tanto, del singolo di My Immortal, che comprai non appena sentii la Band Version e mi sciolsi in lacrime davanti al video (la prima edizione del disco non aveva quella versione come bonus track). Quando a natale 2004 uscì Anywhere But Home, il mio disco di Fallen aveva letteralmente i segni dell’usura, e fortuna che arrivò Missing a impedirmi di continuare ad abusarne. E non contento, mi impegnai a creare FMV di Final Fantasy VIII per ogni canzone del disco. Oh, e non si contano i pomeriggi incollato a Mtv aspettando il video del momento per poterla guardare, Amy, che all’epoca era la donna più bella del mondo per me. O le googlate clandestine in aula d’informatica a scuola per stipare quante più foto possibile sui floppy disk da portare a casa.
Erano ancora i tempi di WinMix quando, cercando altre canzoni live from Cologne (come le b-side dei singoli di My Immortal e Everybody’s Fool) io e Giovanni scoprimmo titoli strambi come Lies, Where Will You Go? o Anywhere, e con enorme sorpresa scoprimmo dell’esistenza di Origin, Evanescence EP, Sound Asleep e tutte le demo (fan 1 – Pescy 0). A quell’epoca avevo già l’iPod, così, sia sul traghetto andando a Roma per natale, sia nelle interminabili ore di pullman da Alghero a Parigi nella gita scolastica di seconda, spaziavamo di canzone in canzone ascoltando praticamente solo quello – sporadicamente intervallato da qualcosa di Wishmaster dei Naituiss, che mi avevano già fatto conoscere, ma non c’è da sorprendersi se di fronte a Origin e al resto della compagnia me lo filassi relativamente poco. Ci vollero i Within Temptation con Enter, che scoprii casualmente sul finire del 2005 grazie a “Evanescence feat. Within Temptation – Restless” che circolava su eMule, per riuscire a diluire consistentemente gli ascolti degli Evanescence, specie quando scoprii il resto della loro discografia (all’epoca ero già stato in America ed ero tornato con tutti i CD dei Naituiss, che ora ho sbolognato a Jonah, ma continuavano ad essere ascolti relativamente sporadici e concentrati per lo più sulle solite tre-quattro canzoni). Fu solo con i Delain, nell’autunno 2006, che iniziai ad ascoltare seriamente anche altra roba, sempre all’interno del genere (ricordo che qualcuno tentò di passami Venus dei Theatre of Tragedy, ma non me la filai di striscio… ah, errori di gioventù). Non prima, ovviamente, di un monitoraggio quotidiano e ossessivo del sito del fanclub italiano per tutta l’estenuante durata delle sessioni di registrazione, mixaggio e mastering di The Open Door, che tutt’oggi non ho idea come riuscii ad aspettare senza uccidere qualcuno.

Da lì in poi, il mio rapporto con la band lo ritrovate accuratamente documentato su questo blog, a partire dall’entusiasmo per l’uscita di The Open Door, per il concerto con meet & greet di quell’anno, il Metarock a Pisa nel 2007, vari sogni con Amy, Missing finalmente suonata live… e ovviamente Amy che decide di andare solista e la sua improvvisa e traumatica (per me) caduta dalle mie grazie nel 2008. Il periodo di rancore, la presa di coscienza del fatto che, contrariamente a ciò di cui cercavo di autoconvincermi, live fosse mediamente tremenda, il taglio di capelli, il suo trasformarsi in Pescy, la soap opera con i We Are The Fallen e l’improvviso ritorno di fiamma di Pescy per gli Evanescence, fino alla cocente delusione dell’ultimo album della band e la mia speranza che se ne vada solista al più presto.

Insomma, in dieci anni sono cambiate un mucchio di cose, sia nella mia vita, sia nella band, sia nel mio rapporto con essa. Ma Fallen è ancora uno dei miei dischi preferiti e lo considero tutt’ora la svolta della mia adolescenza. I due poster sono ancora appesi al muro, qui ad Alghero, e lì rimarranno finché la parete non si scrosterà da sola. E anche ora, nonostante tutto ciò che è successo, mentre riascolto Fallen ripenso a quei giorni in Inghilterra e alla magia di una nuova scoperta che sarebbe diventata, nel tempo, importantissima per la mia crescita. A quanto amo quelle canzoni, a quanto mi hanno dato e a quanto mi hanno aiutato durante i piccoli, grandi drammi dell’adolescenza.
In alto i calici, e un grazie sentito a Ben, David e Amy per la loro musica.

Saturday 3 August 2013

Never forgiven

I was just a kid that you could not forgive because it’s harder.
I was just a kid and all I really wanted was my father.


La cosa bella di avere un padre che a malapena conosce l’italiano è che puoi cantargli in faccia Guilty di Marina mentre siete in macchina e toglierti il peso senza che lui si renda conto di nulla. Con qualche deviazione di significato qua e là, diciamo che questa canzone ci riassume abbastanza dettagliatamente. Tanto, anche se quello guilty è lui, e io quello che lo deve perdonare, la condanna a subirlo ce l’ho io.

Il paese è sempre, squallidamente uguale a se stesso. Le bambine di oggi hanno lo stesso taglio di capelli di quelle di vent’anni fa (l’orribile caschetto/scodella anti-caldo), i giovani di oggi frequentano gli stessi bar di quelli di vent’anni fa (spesso assieme agli ex-giovani di vent’anni fa), le vecchie di oggi (e quelle di vent’anni fa, che non crepano mai) vanno alla stessa messa per il povero coglione che, per noia o chissà cosa, si è schiantato contro un albero a bordo cunetta correndo a 190 km/h in una strada dove se vai a 80 è già un suicidio certo (vent’anni fa le macchine non tiravano a 190, ma il tratto di strada dove i coglioni che corrono si schiantano è comunque sempre quello). E i fiori all’albero li hanno attaccati con tre giri di scotch da pacchi, che quasi quasi è una delle cadute di stile più trascurabili che si vedono qui in paese.
L’erba cattiva non muore mai, e tutte le mie zie sono vive e vegete. Acciaccate e rimbambite che fanno quasi tenerezza, ma più vive che mai. Sono schiattati solo i due vicini di fronte e una delle due villette l’ha comprata mio cugino con la moglie e i tre bambini che hanno adottato (tutti assieme per non separarli). Il tocco della moglie, una donna simpatica ed estrosa pur nella sua semplicità, si vede tutto, visto che il giardino è ben tenuto, il muretto è dipinto di un giallo vivace e c’è quel che di allegro provincial-chic che riesce a includere mobili in stile moderno, decorazioni etniche esotiche e tipici soprammobili locali che si mescolano trasformandosi in un kitsch che quasi quasi è simpatico. Tutt’altra storia rispetto a casa del fratello di lui, la cui moglie è la tipica donna di paese, con l’arredamento che ne riflette la natura risultando la copia cheap di quello della suocera.
Nel frattempo, la mia cugina ciellina ha deciso di consacrare la sua vita al giardino e al paese: ammiro sinceramente la dedizione con cui cura l’orto e il pergolato di vite, l’impressionante numero di specie diverse di rose che ha piantato accanto a ortensie, gardenie, glicini e chi più ne ha più ne metta, e riesce anche a trovare il tempo di fare da coordinatrice nella scuola dove insegna e presiedere alla ProLoco paesana organizzando di tutto e di più, dalla sagra della pasta fatta in casa al recupero filologico del dialetto passando per l’esposizione temporanea dei costumi meglio conservati. Del resto, è quasi coetanea della Mater, zitella e probabilmente ancora vergine poiché, appunto, ciellina, per cui è facile indovinare dove trovi tanto tempo e, ahem, energie da devolvere al bene comune e al capeggiare la vita culturale del paese. D’altronde è l’unica in grado di farlo, visto che non mi risulta che qualcun altro abbia qualcosa di assimilabile a una cultura, da queste parti. Di sicuro non l’ex compagno delle elementari che ho intravisto oggi al bar, sempre con la testa a forma di melanzana e le orecchie da Dumbo.

Ciò che è cambiato è invece la mia percezione fisica del paese: con ogni visita mi sembra restringersi ulteriormente. Il giardino della mia fidanzatina dei sei e sette anni, che un tempo sembrava una distesa sterminata di erba altissima tutta da esplorare, è oggi solo un giardino spazioso; Il muro che avevano costruito intorno a un cortile sulla strada per scuola è ora un muretto nemmeno troppo alto; e il muretto del giardino dell’ospedale, su cui mi arrampicavo per fare il mio numero da equlibrista, oggi quasi lo scavalco con una falcata. Tanti dei miei “amici alberi” non ci sono più (ho paura di andare a vedere se la mia quercia preferita c’è ancora o meno), quasi tutte le persone che conoscevo le ho completamente rimosse. Il senso di estraneità è assoluto.

Penso che domani mi troverò una scusa e mi farò riportare alla civiltà, dove potrò per lo meno beneficiare di un condizionatore d’aria, una connessione wi-fi e un letto in cui dormire. Non che qui si dorma per terra, eh, ma per qualche strana ragione non riesco a dormire su questo letto. Passo la notte a rigirarmi e, quando finalmente prendo sonno, riposo malissimo. Non vorrei fare il wiccan scoppiato, ma inizio seriamente a pensare che ci sia qualche presenza o energia negativa che aleggia in questa stanza. O forse sarà lo sguardo attento di Padre Pio, che mi guarda dalla foto che la Ziaccia ha poggiato sul comò: a conti fatti, non credo sia il massimo per conciliarsi il sonno…

Friday 2 August 2013

Gli hipster di oggi sono gli emo di ieri

Facendo un giro nelle profondità più recondite dei miei favourites di deviantART mi sono imbattuto in un paio di scatti di una fotografa ceca (non nel senso di “non vedente”, ma in quello di “non slovacca”), risalenti nientemeno che al 2007, di cui avevo più o meno dimenticato l’esistenza. Con i titoli di All I Need e All I Have, le foto in questione sono queste:
 
All I Need by ~Ellenoir   All I Have by ~Ellenoir

Ora, basta una rapidissima analisi per notare che c’è tutto ciò che troviamo anche nelle foto che vanno alla grande oggi: l’intelletualizzazione delle piccole banalità quotidiane, il bordino da finta polaroid, il viraggio al giallo vintage (meno acido perché manca il finto cross-processing), e pure un tentativo di renderla finto-analogica, sebbene meno sofisticato di ciò che il CS6 ci permette. Insomma, cambiano i capelli e ci sono le strisce orizzontali al posto dei quadretti da boscaiolo, ma la conclusione la si può raggiungere facilmente: gli hipster di oggi sono gli emo di ieri, né più né meno.

Bene, diciamolo tutti in coro: sai che novità!
Che tutte le sottoculture, anche quelle più “controcorrente”, prima o poi diventino la moda dominante del momento è fisiologico, basti pensare a come, esattamente dieci anni fa, Amy Lee convertì schiere di ragazzini a vestiti neri, braccialetti con le borchie, trucco marcato e lunghi capelli corvini. Da lì a diventare generici metallari col magliettone della band preferita e il codino di capelli unticci per molti il passo è stato breve, mentre un buon ottanta percento degli altri si sono ritrovati con un occhio coperto dal ciuffo nero piastrato nel giro di un tre-quattro anni (vedesi sopra), per poi bleacharsi e cotonarsi i capelli quando le scene queen hanno preso il posto degli emo, e così via, fino agli hipster che vanno tanto di moda oggi. Magari a molti è capitato di saltare una o più fasi, ma il discorso è lo stesso: nell’“alternative mainstream”, ovvero quello che, sebbene meno dell’avvicendarsi di pop e hip-hop/R&B, riceve comunque una certa dose di attenzione dai media, la moda gira né più né meno che nel resto del mondo. La cosa divertente è semplicemente che quelli che seguono la “moda alternativa” sentono un costante bisogno di autogiustificare le proprie scelte, con effetti spesso esilaranti.
Di fatto, stiamo parlando di individui che ascoltano musica non per il semplice piacere di farlo, ma per darsi importanza, per sentirsi acculturati e raccattare opinioni di seconda mano che possono condividere con gli altri rendendosi importanti ai loro occhi. Non appena una sottocultura inizia ad essere troppo diffusa, mettendo in pericolo la loro percepita unicità (e ponendoli di fronte a gente che ne parla davvero con cognizione di causa e può smontare le loro opinioni precostruite), come tanti piccolo Ditto usano Trasformazione e, da un giorno all’altro, si professano appassionati del nuovo genere. Ovviamente, il passato diventa improvvisamente imbarazzante e viene nascosto il più velocemente e accuratamente possibile (ho sentito di gente che ha nascosto cd nell’armadio finché non li ha svenduti alla chetichella su Facebook), perché lungi dal farsi identificare come provenienti da un gruppo di ignoranti mainstream dai nuovi compagni di sottocultura. Si organizzano enormi campagne di pulizia degli ascolti su Last.fm, si parla il peggio possibile delle ex band preferite con i vecchi contatti, dopo di che ci si riempie la bocca di motivi sul perché il nuovo genere di appartenenza sia il migliore di tutti. Motivi il più possibile intellettuali e che hanno a che fare con il disagio sociale che gli altri generi recano all’umanità, con quanto la loro nuova musica sia più pura perché svincolata alle leggi del mercato, e come non si fermi alla sola apparenza ma sia piena di sostanza. Almeno fino a che non inizia ad ascoltarla troppa gente.

A questo giro, i nostri Ditto sono molto fortunati. Del resto, dire di ascoltare pop cantautorale, folkeggiante e a tinte pseudo-indipendenti presenta molti vantaggi. In primo luogo, è un genere che un po’ tutti conoscono, ma a cui nessuno presta davvero attenzione, così che se ne può parlare con ascoltatori che riescono a seguire il discorso almeno a grandi linee, ma che non ne sapranno mai abbastanza da poter smentire, facendo sentire i nostri Ditto enormemente eruditi con zero rischi. Poi ha quell’aura di integrità che solo le produzioni pseudo-indipendenti hanno, un sapore di musica non dominata dalle leggi del mercato – quelle stesse che, per inciso, riempiono Zara e H&M di camicie a quadri, magliette con stampe vintage di musicassette, colori terra e leggings con stampa a triangoli, galassie o patchwork della nonna, ma questi sono dettagli.
Inoltre, è socialmente molto accettabile. Dire di ascoltare Adele o Lagna del Rey è molto più adatto a una cena con parenti e amici di famiglia che non Lady Gaga, M.I.A. o qualche altra sgualdrina pop – per non parlare, peggio ancora, del metal. Insomma, il giusto equilibrio fra l’essere controcorrente e, a tempo stesso, accettabili, fra mantenere la propria identità di “alternativi” e sembrare bravi ragazzi nel senso convenzionale del termine. E poi è un argomento di conversazione meno vasto delle vere cantautrici, quelle che il pop alternativo lo portano avanti sul serio e hanno decenni di discografie alle spalle.

Che dire quindi? Speriamo per i nostri amici Ditto che la loro bolla di beatitudine resti intatta il più a lungo possibile, perché poi saranno dolori. Del resto, cosa resterà loro quando si renderanno conto che ormai l’indie pop-rock non è né più né meno che una moda da discount?
Una sola cosa è certa: se improvvisamente quel genere cacofonico, sovrastrutturato e da poveri ignoranti che è la dubstep verrà riabilitato a unica vera produzione musicale artisticamente degna di nota poiché spezza con il suo imprevedibile dinamismo la monotonia e la convenzionalità del ritmo tutto uguale del pop acustico, e con la sua potenza va al di là dell’intimismo preconfezionato del indie-folk (già immagino le migliori webzine italiane scrivere qualcosa del genere), potrò rivendicare con orgoglio che io la ascoltavo da prima che lo facessero loro.
Peccato che così sarò un ormai demodé hipster.