Thursday 26 December 2013

#IlNataleDellaCrisi

L’awkward moment quando il tuo Natale si trasforma nella brutta parodia di uno di quei servizi/documentari strappalacrime su come la crisi si ripercuote sulle famiglie italiane, che vanno in onda nei programmi di approfondimento politico su RaiTre la sera tardi.

Le cose iniziano a marciare male già dalla vigilia. L’albero di natale, vecchio di almeno vent’anni e con i rami che minacciano di staccarsi, lo addobbiamo di corsa con la Mater al pomeriggio, ché i giorni prima non abbiamo avuto tempo; nel mentre, scopro che quello piccolo a fibbre ottiche è stato buttato l’anno scorso dopo la mia partenza perché si era bruciato il motorino delle luci. Il che mi addolora alquanto.
Terminato l’albero, Mari mi propone una pizza al Poco Loco, rinomato locale di Alghero. Io combino in modo da uscire sia con lei e Diego, sia con Giovix, ma quando tento di prenotare, lì nessuno risponde. Il sospetto che sia chiuso nonostante la vigilia di Natale si fa sempre più concreto di minuto in minuto.
Alle nove meno un quarto, ora dell’appuntamento, constatiamo che il Poco Loco è  effettivamente chiuso. Incuranti del ventaccio che neanche a Trieste, saliamo in macchina e partiamo alla ricerca di una pizzeria aperta. Ardua impresa. Alla fine, sbuchiamo dall’altra parte della città e ne troviamo una: d’asporto ma con due tavoli improvvisati in un angolo dell'angusta stanza. Alle nove e venti circa siamo pronti a ordinare.
Nonostante sia servita già a fette nei cartoni e senza posate, la pizza è ottima, ma viene accompagnata da discorsi che spaziano fra locali chiusi, poca gente in giro, disoccupazione, negozi falliti in tutto il centro città, aumento dell’età pensionabile, disastri politici, la morte di Mikhail Kalashnikov. Insomma, lo spirito natalizio non è ancora pervenuto.
Alle dieci meno dieci ci alziamo, paghiamo e ci dirigiamo nuovamente in centro in cerca di un locale aperto. D’accordo il vento e il freddo, ma in città non c’è davvero un cane, che sia uno. Fortunatamente troviamo il Baraonda aperto: Diego e Giovix, che devono guidare, prendono un tè caldo e un analcolico, giusto perché l’allegria era già troppa, mentre Mari e io prendiamo rispettivamente un bicchiere di rosso e uno Stinger (cognac & crème de menthe, il mio nuovo signature cocktail). Complice Giusy Ferrery di sottofondo, i discorsi si mantengono funerei fino a quando Giovix ci saluta per andare a trovare i parenti e io, di umore sempre più tetro, ordino un secondo giro di Stinger: con un po’ di alcool in più le cose sembrano migliorare leggermente, ma, anche se finiamo a parlare di GdR, la serata continua a non ingranare.
Nella disperazione più totale, ci dirigiamo prima su una panchina al riparo dal vento, poi in uno dei bar di via Maiorca dove, accompagnati dai The Who in tv e dalla mosca sullo schermo, ordiniamo un’acqua tonica (Diego), un chupito servito in un bellissimo bicchierino da shottini (Mari) e, in mancanza dello Stinger, un Bloody Mary (la mia vecchia fiamma). Scoraggiati dalla mancanza di attività serale e troppo alticci per bere ancora, a mezzanotte e pochi spiccioli ci scambiamo gli auguri, rubiamo il bicchierino da shottino e ci dirigiamo verso casa per porre fine alla serata. La quale è riassumibile in: la gente non ha soldi per uscire e i locali o sono vuoti, o sono chiusi.

Il 25 sembra iniziare (verso l’una del pomeriggio, per me) sotto migliori auspici, se non si tiene conto del diluvio e del ventaccio fuori, e della mancanza della puntata de La Signora in Giallo: risotto ai funghi e antunna trifolata al forno per pranzo (credo che in altre parti di Italia si chiami cardoncello, comunque è un fungo), cotechino e purè di patate per cena. La notizia, appena sveglio, che il Papa ha concesso l’indulgenza plenaria a tutti quelli che hanno seguito la messa, presenziando fisicamente o tramite mezzi tecnologici, riporta il mio spirito natalizio al livello delle caviglie, e l’albero di natale triste e spento perché la Mater si è dimenticata di accenderlo non aiuta. Ancor meno aiuta la bombola del gas, che decide di lasciarci a piedi ancora prima di iniziare la cottura del risotto. E meno male che giusto l’altro ieri ci eravamo rassicurati dicendo che l’avevamo comprata da poco, quando in realtà, quaderno della contabilità alla mano, stava lì da agosto.
Essendo i negozi di bombole, i supermercati e le gastronomie rigorosamente chiusi, cerchiamo di arrangiarci con quello che c’è: il cotechino della sera si può cuocere anche al microonde, mentre le antunne se la caveranno col grill elettrico del forno. Con qualche fetta aggiuntiva di salsiccia sarda, e pera e melograno come frutta, il pranzo è salvo, fra una risata e l’altra per la situazione inusuale, tipo chiederci se non fosse il caso di coprirci e andare a elemosinare un piatto di minestra alla Caritas.
Durante il pomeriggio l’umore migliora un po’ grazie a Marina, Beyoncé e, soprattutto, la notizia che uno dei santuari sul cammino di Santiago de Compostela è stato colpito e arrostito da un fulmine, almeno fino all’ora di cena: rimasti senza cotechino, verso le otto la Mater e io alziamo il telefono per ordinare una pizza o della fainè. Un quarto d’ora dopo, abbiamo esaurito i volantini delle pizzerie d’asporto senza trovarne una aperta, giusto perché continua ad esserci crisi. Alla fine, mentre io mi spertico in dichiarazioni di nostalgia per La Grande Shanghai di Trieste, che non chiude nemmeno sotto i bombardamenti, frugando in frigo troviamo del borsch avanzato da riscaldare al microonde, ancora mezza salsiccia da affettare, le ultime pagnotte rimaste in freezer e carciofini sott’olio. A metà cena, realizziamo che il tè, dopo, lo dovremo prendere con delle brioscine perché non ci siamo neanche ricordati di comprare un pandoro o un panettone, e ironizziamo che manca solo che salti la corrente per la pioggia, come se non avessimo pagato la bolletta, per coronare la giornata. Beh, se non altro l’abbiamo presa a ridere (e la mancanza della corrente ci è stata risparmiata).

Ok, in realtà questo Natale così mesto e modesto, con pranzo e cena raffazzolati fra gli avanzi del frigo, è stato il frutto di una serie di sfortunate coincidenze, dimenticanze, imprevisti e disguidi, ma ho la vaga impressione che sia stato il tenore medio dei festeggiamenti in buona parte d’Italia. E mi sento un mostro, ma a pensarci mi viene da ridere perché qui da me c’erano le comiche, non la vera miseria. Dai, a tutti quelli che se la passano davvero male auguro che Capodanno, invece che deprimente, diventi almeno tragicomico come il nostro Natale. E che magari, per fare il pendant, scenda una bella frana su Medjugorje: quello sarebbe fantastico.

Sunday 22 December 2013

Regola #1 di un amante dei gatti

Mai parlare di loro come se non capissero il linguaggio umano mentre sono presenti. Sul serio, poi si offendono a morte. E ti dimostrano che tu hai torto e loro ragione.

Uno dei motivi della mia depressione delle scorse settimane è presto detto: Murka non sta bene. La mia gatta di sedici anni, con cui sono letteralmente cresciuto, ha un tumore probabilmente ai polmoni e le sue aspettative di vita sono incerte. Ha avuto una brutta crisi a fine ottobre ed è sopravvissuta solo perché la Mater si è dedicata notte e giorno a curarla senza badare a nient’altro, ma sul serio, eravamo convinti che non avrei più fatto in tempo a vederla – il motivo per cui non ho scritto niente prima, avevo paura di verbalizzarlo prima di essere tornato a casa per le vacanze.
E invece, eccola qui, acciambellata sulle mie gambe mentre scrivo al pc. In generale, è sempre intenta a fare le sue cose – correre per casa, saltare sui letti o sul divano, farsi la toeletta, chiedere coccole – con un po’ più di fatica, ma imperterrita. Ed è orgogliosa: l’altra sera, quando sono arrivato, io e la Mater ci siamo messi a parlare di lei e delle sue condizioni, e lei non si è mica inalberata? Ha chiesto con prepotenza di uscire nel pianerottolo, l’ha esplorato per bene ed è scesa tutta pimpante fino a due piani più giù, quando normalmente aveva paura a farne anche uno solo. Per la serie, “Ecco qui, sciocchi: io sto benissimo e sono perfettamente in grado di uscire a passeggiare e farmi le scale di corsa. Basta sottovalutarmi, pff!”.

In realtà no, non va tutto bene e lo spettro di ciò che sarà aleggia sempre nell’aria. Murka ha un appetito molto ridotto, mangia a intermittenza e spesso dobbiamo insistere laddove è sempre stata un’ottima forchetta e non passava un singolo pasto senza che ci ossessionasse per avere anche il bis. Da una parte posso dirmi che è un bene, che possiamo abituarci lentamente alla notizia in modo da essere meno sconvolti quando accadrà e approfittare del tempo che ci resta per goderci la sua presenza. Però è difficile mettere da parte l’ansia. Per dire, ho pianto quando l’ho riabbracciata.
In generale, devo dire che la percepisco proprio diversa. Fino a ottobre, nonostante i sedici anni è sempre stata una bambina. Ha vissuto in un mondo ovattato e non è mai davvero cresciuta, è rimasta la piccola di casa per la quale ogni occasione è buona per giocare. Adesso è diversa, la sento adulta. Non so spiegarlo razionalmente, ma è più matura e consapevole, meno innocente e ingenua.
Probabilmente perché, come ha detto Il Corvo prima, e i The Crest in Childhood’s End poi, “Childhood’s over when you know you’re gonna die”. E Murka è sempre stata una gatta estremamente intelligente.

Friday 20 December 2013

#vivereindisturbatidaiforconi – parte 2

Documentandomi maggiormente sui Forconi (che, casualmente, fanno rima con una serie di cose a partire da “buffoni” per finire con “coglioni”) mi sono reso conto che dando loro dei fascisti ho solo fatto una constatazione dell’ultim’ora. Forza Nuova li appoggia, Fratelli d’Italia pure, CasaPound e Grillo anche, la Destra per Milano ci sguazza, Forlì era piena di striscioni scritti con quel ridicolo font acuminato, non parliamo di quelli della “marcia (fail) su Roma”, per cui restano pochi dubbi in merito – e quei pochi li fa fuori la tempistica: sarà un caso che questo manipolo di facinorosi sia saltato fuori proprio dopo che hanno finalmente fatto fuori il Berlusca? Mmh, non credo proprio.
Ecco, se non fossimo in Italia dove ‘ste minchiate naufragano sempre, forse inizierei a preoccuparmi alla prospettiva di uno stato retto da questa gentaglia.

Ciò detto, sempre per la serie Trieste doesn’t give a fuck, nei giorni scorsi io e Linda (sempre lei) ci siamo concessi svariati panini chic e cupcake in centro, siamo andati alle poste, in giro per negozi, quasi anche il cinema (“quasi” perché alla fine non abbiamo deciso cosa vedere) come nulla fosse. Niente sembra smuoversi qui da noi, eccetto un incremento preventivo delle forze dell’ordine i primi due giorni e quei quattro gatti con le bandiere in Piazza della Borsa che ho visto mercoledì, che erano probabilmene il presidio locale, per cui buona pace a tutti.
L’unica mia paura era di trovarmeli in Veneto andando all’aeroporto di Treviso, aka Lega Town, visto che da quelle parti il populismo attecchisce rigoglioso, ma non si sono né sdraiati sui binari, né accampati alle rotonde, per cui posso dichiarare la faccenda totalmente chiusa per quanto mi riguarda (i Sardi hanno troppo da fare con i postumi dell’alluvione e sono generalmente poco creduloni, per cui non troverò Forconi di sicuro).

Bene, speriamo solo che le prossime manifestazioni di populismo siano almeno un po’ costruttive e non coinvolgano Flavia Vento e lo Zoo di 105 fra i loro sostenitori. Del resto, ragazzi, siamo seri: per parlare di problemi seri e rilevanti come il signoraggio bancario, New World Order e le scie chimiche, le bacheche di Facebook bastano e avanzano, non c’è bisogno di trovarsi tutti in piazza.

Tuesday 17 December 2013

Il pregiudizio va di moda

(Giuro che la smetto di scrivere post impegnati.)

Se c’è qualcosa che va sempre di moda, è il pregiudizio. Nella fattispecie, il pregiudizio verso il mondo della moda. Un classico da sfoggiare in qualsiasi stagione e abbinare con qualsiasi colore, come il nero. Poi dai, segue le stesse regole dell’abbigliamento anche per quanto riguarda le fasce d’età: quando si è ragazzini è radicale e dettato dal desiderio di ribellione, di sentirsi adulti, profondi e diversi (“La moda è superficiale! È un modo per omologare le coscienze, ma io sono diverso, ho un cervello e sono me stesso!” – e hai lo stesso ciuffo emo, ieri, o hipster, oggi, degli altri centomila che sbraitano come te), quando si cresce diventa uno strumento di accettazione sociale, per fare bella figura sempre sentendosi profondi (“Il mondo della moda è così superficiale, tutta apparenza e niente sostanza, io ho dei veri valori!”, tipo farsi lavare e stirare i completi dalla moglie casalinga e andare a prostitute di ritorno dall’ufficio), fino a che non si diventa troppo vecchi qualunquisti e trasandati per avere una qualsiasi opinione rilevante e attuale (“Ai miei tempi non si vedevano questi sederi scoperti e queste scollature!”, disse la vecchia infagottata con strati di vestiti random senza neanche un tentativo di abbinarli).

L’ultima cosa del genere in cui sono incappato è questo giochino online, Fashion ør Porn – Can you distinguish fashion from pornography? (“Moda ø porno – Riesci a distinguere la moda dalla pornografia?”, per chi mastica poco inglese). All’apparenza un comunissimo giochino virtuale con cui farsi due risate al pomeriggio e, magari, sorprendersi di quanto sia facile sbagliare la risposta.
O forse no.

Ebbene, in realtà siamo alle solite: più che per divertirsi, il giochino è in realtà l’ennesima occasione per attaccare il mondo della moda e fare propaganda su quanto sia cattivo e pericoloso facendo leva sulla superficiaità dell’utente medio e sulla sua ignoranza che permette all’evidente faziosità del gioco di passare inosservata. Ma se provassimo ad analizzarlo con occhio critico?
Partiamo già dal titolo. Quindici secondi di analisi linguistica bastano a individuare il sottotesto contenuto nella domanda: distinguere la moda dal porno implica che sia la moda ad essere simile al porno, e non vice versa. “Distinguere il porno dalla moda” avrebbe dato l’idea di una pornografia che tenta di agghindarsi per acquisire dignità, mentre così la moda viene immediatamente bollata come volgare mercificazione del corpo al pari della pornografia, esattamente sullo stesso livello.
Passiamo poi ai contenuti. Il taglio delle anteprime è chiaramente costruito ad hoc per mettere il giocatore in difficoltà, e fin qui nulla da ridire, se no dove starebbe il divertimento? La selezione delle foto è invece un altro paio di maniche.
In primo luogo, è pieno di foto di Terry Richardson, una mossa già di per sé sleale perché lui è notoriamente accusato di molestie sessuali dalle sue modelle, e il suo lavoro è composto per un buon 30% da porno, un altro 20% da quasi-porno, un 45% da foto inutili sia come porno che come fashion e, finalmente, un 5% di roba decente (incidentalmente tutte foto di Sean O’Pry). Onestamente, prima di dire che è un fotografo di moda ci penserei non una, non due, ma una decina di volte.
In secondo luogo, c’è uno schema assolutamente deliberato dietro foto proposte: quelle porno sono per lo più tecnicamente buone o accettabili e le attrici sono truccate o in maniera molto naturale, o molto elaborata, ma comunque impeccabile; dietro quelle fashion c’è una sistematica ricerca dell’effetto low-fi, del colore virato, della finta polaroid, dell’effetto “sfatto-chic” con trucco imperfetto e pose poco eleganti e, soprattutto, del flash sparato frontale (Terry Richardson, appunto, ma non solo) che, se non gestito in maniera ineccepibile, dà immediatamente un’idea di “cheap” e amatoriale alla foto (anche perché esalta la lucidità della pelle, specie se accostato a un brutto fotoritocco).
L’intento è perfettamente chiaro: insinuare che, sotto sotto, la fotografia fashion differisca da quella porno solo perché non si mostrano peni eretti e vagine spalancate, ma che a parte questo non abbia né più valore, né più dignità, che mercifichi il corpo delle persone perché, come il porno, la moda è un mondo vuoto e volgare, e che anzi, il porno è quasi quasi meglio perché è più onesto.
Come fotografo, trovo la cosa piuttosto offensiva. Come appassionato di moda la trovo molto stupida e superficiale. Certamente, una parte del mondo della moda, e della fotografia fashion, è davvero ciò che è stato mostrato in quel giochino, non lo nego. Ma, appunto, è una parte, e nemmeno la più significativa. Rappresentare solo quella è assolutamente fuorviante e fazioso. Di scelta fra buone fotografie fashion che camminano sul confine dell’erotico ce n’è, eccome: perché non ho visto Ellen von Unwerth, lì in mezzo? Ovvio: perché scatti come questi avrebbero mostrato la scomoda – per l’autore del gioco – verità che, più spesso che no, la moda e la fotografia fashion sono arte, e non pornografia. Qualcosa su cui è più difficile accanirsi. Perché, pur in maniera ludica e scherzosa, questo è un attacco in piena regola, il cui scopo non è divertire, ma far pensare: “Caspita, ne azzecco pochissime! ‘Ste foto fashion sono più porno dei porno!”.

Che poi, siamo onesti e ammettiamolo, il motivo per cui ci si scaglia contro il mondo della moda è lo stesso per cui l’utente medio di Windows ce l’ha tanto con Apple: la volpe e l’uva. È troppo caro, non ce lo si può permettere, va necessariamente additato come privo di reale valore o, addirittura, come un male della società. L’invidia che continua a mietere vittime.

Thursday 12 December 2013

Fra grilli e forconi

Così, mentre il nord-ovest dell’Italia è sconquassato dai Forconi, a Nichelino si lanciano bombe carta, a Ventimiglia si blocca mezza città dalla parte della frontiera e si minacciano le donne alla guida, Milano è mezza occupata dai trattori e a Savona si bruciano libri, qui a nessuno frega nulla di niente e io e Linda siamo andati indisturbati dal parrucchiere e poi a prendere il tè delle cinque e a fare shopping. E già che c’ero mi sono preso anche un gelato.

Ammetto che me la sto sogghignando amabilmente a fare il borghesuccio che guarda con scetticismo quei poveri bifolchi che vanno in giro a fare la voce grossa mentre continua a vivere tranquillo la sua vita priva di veri valori. Del resto, come prendere sul serio un movimento con un nome così bucolico?
Parlando un po’ più seriamente, mi avvilisce constatare come gli Italiani siano totalmente incapaci di fare seriamente qualsiasi cosa, inclusa la rivoluzione. Del resto, come dimenticare i precedenti storici, tipo la sommossa di Garibaldi a Genova del 1834 durante la quale gli altri l’hanno bidonato ed è stato costretto ad imbarcarsi alla chetichella con i quattro gatti che erano venuti? O Pio IX che, all’ultimo, bidonò la coalizione richiamando le truppe (che già erano volontari armati alla ben e meglio)? Per non parlare del fatto che gli Italiani si lasciano sempre guidare da questo genere di personaggi loschi e demagoghi dal passato tutt’altro che trasparente.

Ebbene, siamo punto e accapo. Sì, molto bella l’idea di mobilitare i ceti più umili per tentare di smuovere una situazione che sta oggettivamente diventando insostenibile, ma le cose vanno fatte per bene, non dandosi la zappa – o il forcone – sui piedi né ricorrendo a metodi di stampo fascista per ottenere i propri obiettivi.
Non puoi aspettarti che un dipendente che a malapena sbanca il lunario ti venga appresso se non gli dai garanzie: cosa fa con lo stipendio che perde quel giorno? E se lo licenziano, che fai, gli paghi tu le bollette? Idem dicasi dei commercianti: se a qualcuno una giornata di chiusura pesa nel bilancio, non puoi costringerlo ad abassare la serranda con le minacce se non puoi garantirgli un minimo di risarcimento. E i dipendenti che devono viaggiare per raggiungere il posto di lavoro, o la gente che deve raggiungere i parenti? Che fai, paralizzi l’intera rete ferroviaria e stradale solo perché lo hai deciso?
Fra l’altro, non si può imporre un’idea a tutti. Questo vale per Grillo e la sua impermeabilità a qualsiasi idea non provenga dal suo partito – non puoi aspettare di essere l’unico partito al governo per smettere di fare ostruzionismo e far muovere i tuoi parlamentari, si chiama dittatura – così come per questi squadristi che pretendono che la gente li segua a suon di minacce e che auspica un governo “delle forze dell’ordine” prima delle prossime elezioni dopo aver fatto piazza pulita dell’attuale classe politica. Manca giusto l’olio di ricino, e scommetto che non l’hanno comprato solo perché c’è crisi e costa troppo.
Come sempre, si fanno le cose senza pensare, e la minaccia alla libreria di Savona è solo la ciliegina sulla torta che dimostra con chi abbiamo a che fare: una manica di cialtroni ignoranti che non sa neanche da che parte sta girata. Del resto, cosa aspettarsi da gente che posta qualunquismi in full caps lock e con punteggiatura approssimativa su Facebook, che si beve la demagogia del Papa che parla di ridistribuzione del reddito dall’alto di una chiesa che non paga le tasse, e che quella stessa demagogia la serve di continuo a suon di urla? Per carità, quando Lenin diceva che anche la massaia doveva essere messa in condizioni di governare, intendeva che le si doveva dare un’istruzione adeguata, non che bastava che uscisse dalla cucina e salisse direttamente al governo. Con le campagne e i pascoli funziona allo stesso modo.

Insomma, fantastico. Viviamo in un paese la cui classe dirigente è composta da maiali incompetenti, e i loro oppositori sono capre ignoranti. Ma la cosa più allucinante è la gente che abbocca sempre e comunque. Possibile che non ci sia qualcosa di meglio, che fine ha fatto la classe intellettuale?
Ah già, è emigrata all’estero, che domanda idiota.