Sunday 19 January 2014

Never-Ending Story

Il mondo è bello perché è avariato (torniamo sempre lì, prima o poi), e poche cose lo evidenziano come l’uscita di un nuovo album dei Within Temptation. Specie se ci si fa un giro sul loro shoutbox di last.fm.

Riassunto delle puntate precedenti.
I Within Temptation si formano nel 1995 come band gothic metal à la Theatre of Tragedy (dell’epoca), con canzoni lunghe e lente, pesanti chitarre che sostengono testiere dal gusto clasicheggiante, e voce femminile trademark che si contrappone al growl maschile. È questo il genere di Enter (1997), un gran debutto e album tutt’ora ottimo nonostante una produzione ai limiti del ridicolo che non ha propriamente valorizzato il lavoro della band, seguito dal simile EP The Dance (1998).
Il 2000 vede l’uscita di Mother Earth, un netto cambio di rotta che alleggerisce il sound trasformandolo in quello che, giusto all’epoca, si stava definendo come symphonic metal, più veloce del gothic, arricchito di parti orchestrali e corali ancora più magniloquenti; alcune composizioni sono ancora un po’ acerbe e sovrabbondanti, alcuni storcono il naso perché i growl spariscono del tutto, ma le notevoli influenze celtiche rendono il lavoro fresco, innovativo e molto personale, diverso da buona parte dei (pochissimi, all’epoca) colleghi. Il successo inizia finalmente ad arrivare.
Nel 2004 esce The Silent Force, che pur non mutando radicalmente il sound lo epura di buona parte degli eccessi, rendendolo più essenziale e sobrio. Alcuni storcono il naso perché le influenze celtiche sono per lo più scomparse, ma il lavoro esplora pienamente i territori del symphonic metal più puro regalando quello che è uno degli album seminali e meglio riusciti del genere nella sua epoca d’oro, di cui i Within Temptation si impongono come una delle band principali e più rinomate.
Nel 2007 esce The Heart Of Everything, che avendo a che fare con un genere che si diffonde a macchia d’olio iniziando già a ripetersi e puzzare di stantio, reincorpora molte influenze più dark per rendere più riconoscibile un sound che avrebbe rischiato di diventare generico, e allo stesso tempo apre a influenze più eterogenee e sdogana singoli più radiofonici (sebbene ancora un po’ acerbi), pur mantenendo una notevole base orchestrale. Alcuni storcono il naso perché non è più symphonic puro e si ammicca un po’ alla radio, ma in un genere che inizia già ad essere rosicato fino all’osso e le variazioni sul tema evitano il brutto effetto auto-plagio.
Il 2011 vede l’uscita di The Unforgiving, anticipato come “la ‘svolta’ elettronica dei Within Temptation”, ma che in realtà conserva il sound caratteristico epurandolo di tutti gli elementi ormai obsoleti, introducendo notevoli contaminazioni elettroniche che si affiancano a un’orchestra finalmente ridimensionata, e perfezionando il songwiring delle canzoni più catchy così da eliminare del tutto il rischio di genericità. Alcuni storcono il naso perché, ommioddio, si è usciti dal cliché degli eredi (sfigati) dei compositori classici (che è dilagato a macchia d’olio toccando l’apice con la proclamazione del “post-opera”) e si scende occasionalmente in pista da ballo, ma il genere è ormai in avanzata decomposizione e non ha proprio più nulla da dire, per cui l’innovazione del sound vince.
Segue, nel 2012, la celebrazione del quindicennale della band, per la quale si organizza un mega-concerto con orchestra ad Anversa (a cui sono stato, memorabile), in attesa del quale la band registra quindici cover di brani rock classico, pop, dance, trance, indie e chi più ne ha più ne metta, completamente riarrangiate nel loro stile pur mantenendo l’eterogeneità delle influenze originali, pubblicate nel 2013 nella raccolta The Q-Music Sessions. È lo scandalo: nonostante tutte le cover siano (poche) allo stesso livello, o (molte) migliori degli originali, come hanno osato i Within Temptation non includere un’orchestra in ogni canzone registrandone una a settimana, coverizzare volgari brani pop che non sono sicuramente eredi dei compositori classici, che porcheria commerciale, che oltraggio, che affronto.
Ma questo è solo un interludio prima del vero e proprio album successivo, Hydra, in uscita il prossimo 31 gennaio ma già felicemente in giro per la rete. Ovviamente, alcuni storcono già il naso perché, uhm... perché The Unforgiving era figo e questo non lo è, tie’. Ah, e c’è il rapper.

La parte comica della storia è che un buon 90% di quelli che oggi si lamentano che Hydra non è un bell’album perché non è all’altezza di The Unforgiving (per motivi non meglio specificati) sono gli stessi che, tre anni fa, si lamentavano che The Unforgiving era un pessimo album perché non raggiungeva i maestosi picchi di sinfonicità di The Heart Of Everything. Di questi, un ulteriore 90% ha passato il 2007 a lamentarsi che The Heart Of Everything era pessimo perché troppo commerciale rispetto all’incorrotto e classicissimo The Silent Force. La spirale si ferma qui, ma solo perché, a questo punto, la maggior parte di loroquando è uscito The Silent Force, era appena adolescente e stava ancora transizionando dalle Girls Aloud agli Evanescence e da qui al magico mondo dell’orchestra, per cui si sarà trovato con i primi tre album belli e pronti all’idolatria e non avrà fiatato. (In teoria anche io rientro in questo gruppo, eccetto che avevo le t.A.T.u. e le Sugababes al posto delle Girls Aloud; ma dato che i Within Temptation li ho scoperti con Enter e ho recuperato la discografia in rigorosa progressione cronologica posso considerarmi fan dal 1997 per tutta la loro carriera, ho solo fatto sei anni in due mesi).

Quindi, sostanzialmente, cosa succede nelle loro testoline?
Non ne ho la minima idea: o invecchiando gli album dei Within Temptation migliorano come il vino, oppure appena arriva una novità i metallini si trovano spiazzati e sentono la necessità di attaccarsi al passato più recente per ritrovare stabilità, rivalutandolo di colpo. Il che è uno dei presupposti più idioti se si segue una band che, credo sia palese, ha come principale filo conduttore della sua carriera l’innovazione costante. Un’innovazione graduale che, salvo il salto fra Enter e Mother Earth, porta una boccata d’aria fresca ma non stravolge tutto ciò che c’è stato prima, per cui stiamo parlando di una mancanza di elasticità mentale patologica, specie con l’arrivo dei primi commenti sulla falsariga di “the new album si pop” e “they’ve given up their heaviness” (quest’ultimo è una grossa scemenza).
Altra cosa divertente è notare come i soliti “alcuni” dicano che i Within Temptation stanno perdendo un’identità e un sound caratteristico (cito: “they shouldn’t have changed direction after The Heart Of Everything”), come se invece continuare a suonare come sei anni fa, ovvero come ora suonano diverse centinaia di band sfigatelle là fuori significasse invece avere un sound distinto. Mah.

Chiaramente, non mi riferisco alla semplice questione di gusti su “quest’album mi piace più di quello”, cosa più che legittima. Io stesso per ora preferisco The Unforgiving a Hydra, così come Enter continua a piacermi più dei tre album successivi, per questioni di affinità mia, o per ragioni affettive, o altri motivi. Ciò che non comprendo è il riempirsi la bocca di quanto quest’album sia pessimo perché diverso dai precedenti, e soprattutto dimenticarsi di aver applicato lo stesso ragionamento a loro.

Il perché i giudizi negativi su Hydra siano una stronzata colossale, e sia invece cosa buona e giusta che la maggior parte del fandom stia applaudendo e relegando i musoni a una risicata minoranza, è rimandato alla prossima puntata con un bel track by track.
Ps: prima che ci sentiamo tutti protagonisti, buona parte dei fatti di cui sopra sono stati raccolti da gente random sullo shoutbox dei Within Temptation. Nulla di personale, eh!

Untouchable

In un momento di emotività estrema causato dalla combo di Untouchable, Part 1 e Part 2 (provare per credere), mi sono chiesto se mi merito davvero di ascoltare la musica che ascolto. In particolare queste due canzoni. Sul serio, ho avuto il dubbio che della musica così bella non fosse per le orecchie di una persona come me, con la mia dirty mind, l’aura di perenne negatività che non faccio che riversare sul resto del mondo, tutti i pensieri più o meno indecenti e la frustrazione che sto accumulando in questi giorni per motivi che, a pensarci, mi verrebbe da prendermi a calci in bocca, e via dicendo.
Poi mi sono ricordato di che razza di gente ci fosse con me all’ultimo concerto degli Anathema – gente che si arroga anche il diritto di ascoltare i Within Temptation, fra le varie – e mi sono risposto da solo.
Se poi penso alla massa di imbecilli che ascoltano i Theatre of Tragedy odiando Nell, mi sento proprio ridicolo a farmi seghe mentali del genere, dato che, se certa gente ha addirittura il diritto di vivere nonostante la palese assenza del cervello, io posso fare il cavolo che mi pare.

Resta il fatto che “In my dreams all I see is you” sembra quantomai incompatibile con il mio stato d’animo degli ultimi giorni e mi sento un po’ grottesco ad emozionarmi così senza ricordare nemmeno come sia fatta una sensazione del genere – e non parliamo nemmeno di “And when I dream, I dream of you. Then I wake – tell me, what could I do?”, che l’altro giorno mi è scappato un singhiozzo in Piazza Unità mentre la ascoltavo. Come riesca a far convivere questi lati così apertamente contrastanti e sentirmi più a mio agio a sguazzare in quello torbido piuttosto che dare una possibilità a quello untouchable è un mistero. È il mistero della musica, porta fuori il meglio delle persone. Almeno mentre la si ascolta.
Anche se, fintanto che non farò mia la “feeling that I can’t describe”, non potrò considerarmi pronto a scattare le foto che ho in mente per queste due canzoni e, di conseguenza, completare il mio progetto su Weather Systems. Questa sì che è una fonte di frustrazione concreta.

Thursday 16 January 2014

No, ma chi, io?

Era tanto che non facevo qualche test online per cercare di capire quanto è bacata la mia testa. Questi sono i miei risultati secondo questo robo, fra un errore grammaticale e uno sintattico che mi sono premurato di correggere.

Pensatore – Analizzi i problemi in profondità con intelligenza.
Cerchi sempre una spiegazione logica alle cose di cui ti interessi. Ti piacciono i ragionamenti astratti e teorici. Hai maggiore interesse per i riconoscimenti che per l’interazione sociale. Sei calmo, controllato, flessibile e tollerante. Hai una grande attitudine per le ricerche approfondite. Sei particolarmente scettico, perciò analizzi sempre i problemi. Qualche volta sei un po’ troppo rigido e manchi di sensibilità*.

Nel dettaglio:

Introversione vs estroversione (avere energia da ciò su cui concentri la tua attenzione).
Introverso: Tendenza per la quale i cambiamenti dell’ambiente esterno influiscono su di te. Concentri la tua attenzione e le tue forze psicologiche sul tuo mondo interno, le tue esperienze personali, idee ed emozioni. Preferisci pensare indipendentemente e leggere*.
• Persone diverse da te – Estroverse: tendenza per la quale loro influenzano il mondo esterno. Concentrano le forze psicologiche e l’attenzione sulla comunicazione con le persone, amano gli incontri, discutere e parlare.

Percezione vs intuizione (cosa noti di più quando ricevi le informazioni dal mondo intorno). Fifty-fifty qui.
Intuizione: indica che ti piacciono le teorie e i principi astratti. Sei attento all’interezza delle cose e alla tendenza al cambiamento. Per te sono importanti l’ispirazione, l’immaginazione e la creatività*. Ti piacciono le implicazioni, le analogie, le connessioni, possibilità, le deduzioni e le previsioni.
Percezione: tendenza per la quale dai importanza alle informazioni dettagliate ottenute con la percezione dei sensi (le cose che vedi, senti, odori, gusti e tocchi). Ti accorgi più dei dettagli e delle descrizioni. Ti piace migliorare le abilità che hai già.

Pensare vs sentire (come prendi le decisioni).
Pensare: tendenza per la quale presti attenzione alle relazioni logiche tra le cose. Ti piace valutare e prendere decisioni attraverso analisi obiettive. Sei molto razionale, obiettivo e chiaro. Pensi che le regole siano più importanti che essere flessibile.
• Persone diverse da te – Sentire: tendenza per la quale danno più importanza ai sentimenti loro e delle altre persone. I valori e l’armonia sono i loro punti di riferimento per valutare. Sono empatici, gentili, amichevoli e pieni di tatto. Pensano sempre all’effetto del loro comportamento sui sentimenti degli altri.

Valutare vs percepire (come organizzi e progetti la vita).
Percepire: hai bisogno di raccogliere più informazioni prima di decidere. Poi cerchi di capire e adattarti. Ti concentri sui processi e cambi i tuoi obiettivi in base alle informazioni. Metti sempre in contro la possibilità di imprevisti nella vita di tutti i giorni*. Ti piace una vita libera e comoda, che potrebbe essere un po’ disorganizzata*.
• Persone diverse da te – Valutare: amano fare valutazioni, prendere decisioni e fare programmi. Vorrebbero gestire, controllare e guidare i risultati, e si focalizzano sulla realizzazione di un compito. Nella vita di tutti i giorni cercano una vita organizzata passo per passo e rispettano i tempi.

*No, ma chi, io? Parlate proprio di me? Sul serio?

Ps: secondo il test sull’età mentale sono ancora uno spensierato ventunenne. Andiamo bene.

Wednesday 8 January 2014

Per amore di una gatta

In questi giorni si fa un gran parlare di animalismo, diritti degli animali, crudeltà ed eticità o meno della ricerca, i botti di fine anno che sono un ever green, veganesimo ed eticità della dieta onnivora e quant’altro, trascinati probabilmente dall’esplosione del caso di Caterina Simonsen e del polverone mediatico che ne è derivato.
Finora ho partecipato in maniera un po’ marginale alla cosa, principalmente pubblicando stati pungenti o condividendo link sarcastici, ma credo sia arrivato il momento dire la mia in maniera seria e ragionata, per una volta.

Partiamo da un presupposto fondamentale: io odio buona parte dell’umanità. Parlando in astratto, la gente mi dà fastidio, non amo averci a che fare, quando qualcuno mi pesta i piedi faccio di tutto per rendergli la vita un inferno e in generale mi frega poco di chiunque non sia un mio amico stretto.
D’altra parte, amo gli animali. Adoro (a piccole dosi) stare in mezzo alla natura, scelgo di evitare i cosmetici testati sugli animali, sono a favore di una legiferazione che regoli il trattamento degli animali da allevamento e non considero la caccia un’attività ludica costruttiva.
Però accidenti, ciò non mi impedisce di usare il cervello.

Ora, come ho già scritto, ho una gatta di sedici anni malata di tumore. Io penso di aver raramente amato quanto ho amato lei, se devo elencare i miei affetti più profondi lei è una delle prime a venirmi in mente, davanti a buona part del mio parentado. Da quando ho saputo della sua malattia ho pianto più che per due delle mie zie che sono morte di cancro messe assieme (mentre è ancora viva, quando morirà sarò di sicuro devastato). La Mater sta esattamente come me, e non solo ci stiamo facendo in quattro per darle le migliori cure ai sintomi collaterali della malattia, ma la stiamo trattando da regina, le compriamo la carnetta buona, la viziamo e la coccoliamo per tutto il tempo che le rimane senza badare a spese (addirittura, la Mater trascorre con lei tutto il tempo in cui non lavora, io purtroppo sono tornato dall’altra parte d’Italia per l’università). Non esagero quando dico che, se potessi, venderei l’anima al diavolo pur di curarla, e porterei con me anche tutte quelle necessarie, di persone o di animali (ipoteticamente, dato che non credo nella mitologia cristiana).
Cosa significa questo? Che anche e soprattutto per amore della mia gatta, io ho il dovere di essere dalla parte della ricerca scientifica. In una situazione come la mia non posso non pensare che se la ricerca fosse andata avanti almeno un altro po’, magari si sarebbe trovata una cura meno invasiva o più efficace al male che affligge lei e tanti altri animali, o persone, che conosco. È anziana, le cure attuali sarebbero estenuanti e dolorosissime per lei, e non solo non potrebbero guarirla, ma sarebbero crudeli considerando i risultati incerti che avrebbero. Tutto ciò mi fa sentire terribilmente impotente, e so che questo senso di impotenza potrà, col tempo, lenirlo solo la scienza scoprendo cure migliori con tutti i mezzi che ha a disposizione. Ormai non farà in tempo a portare beneficio a lei, ma magari fra tot anni lo porterà a chi, per un motivo o per l’altro, si trova nella mia situazione.
E sì, cari animalisti, avete letto bene: il motivo per cui sacrificherei la vita anche di tutte le cavie al mondo non è la vita di una persona, che ritenete tanto poco importante, ma proprio quella di un animale, uno di quelli che idolatrate. Come la mettiamo ora?

A questo punto, parliamoci onestamente: cosa rende la vita della mia gatta più preziosa di quella delle cavie di laboratorio? Beh, proprio il fatto che sia la mia gatta. Che le voglio bene, che ho dei sentimenti per lei.
È bello nascondersi dietro la pretesa di alti ideali cosmici, ma la verità è che l’intera faccenda dell’animalismo non è guidata da una presa di coscienza etica, ma dal mero sentimentalismo. Un sentimentalismo cieco e becero che passa sopra qualsiasi senso della realtà e della morale (perché ciò che leggo da parte degli estremisti, di etico non ha nulla). Chi siamo noi per decidere cosa è giusto e cosa no in un sistema, la “natura” – o meglio, la biosfera, visto che “natura” la fa sembrare un essere senziente – che, come ho scritto, trascende totalmente il concetto prettamente umano di etica?
Nessuno. Non siamo proprio nessuno, e decidiamo in base ai nostri sentimenti ogni singola volta che ne parliamo. Tutto sta nell’avere l’onestà di ammetterlo.

La città in cui sono nato e cresciuto vive di turismo, e con la crisi sta morendo. Ci torno a distanza di mesi per le vacanze, e di volta in volta vedo negozi sempre diversi perché in mia assenza tantissimi hanno chiuso, e i nuovi che aprono durano a malapena qualche settimana. Ho descritto la desolazione della vigilia di natale, e durante il resto delle vacanze l’unico movimento di gente, l’unica fonte di introiti per gli esercizi commerciali, ristorativi e alberghieri, per le persone che ci lavorano e per le loro famiglie, è stata la notte di Capodanno e il tradizionale spettacolo con concerto in piazza e fuochi d’artificio. Partendo dal presupposto di cui sopra, ovvero che comunque amo la mia gatta più della gente in generale, a che titolo posso arrogarmi il diritto di togliere quest’unica fetta di pane ai miei (ex) concittadini perché lo spettacolo pirotecnico di mezzanotte spaventa la mia gatta? Semplicemente, amando lei più di loro, invece che scendere in piazza a bere e ballare ho deciso razionalmente di rimanere a casa con lei assieme alla Mater, tranquillizzandola con la nostra presenza e facendole vedere che eravamo calmi e non c’era pericolo. Il risultato? Lei è rimasta solo allarmata ma non spaventata, i turisti sono venuti a vedere i fuochi d’artificio e commercianti, ristoratori e albergatori hanno avuto qualche introito in una stagione di magra. Ho fatto una mia scelta, l’ho portata avanti coerentemente, l’ho applicata nella misura che il suo essere dettata da fattori emotivi e soggettivi la rende giusta, ovvero a casa mia. Ma senza la convinzione di essere nel giusto assoluto, senza imporla agli altri, senza tentare di togliere il pane di bocca ad altre persone perché sono convinto di avere la verità in tasca. (Che poi i botti randomici, ovvero i petardi, diano fastidio a me è un altro paio di maniche, ma non mi trincero dietro la protezione degli animali per dare un tocco radical-chic e idealista alla cosa).

Il pane di bocca, o anche la carne. Perché, oltretutto, sono una sola generazione lontano dalla tipica vita agreste con gli animali nel cortile. La Mater mi ha raccontato spesso della sua infanzia in un paesino rurale della Bielorussia sovietica dove i suoi genitori lavoratori avevano anche una mini-fattoria in casa. Mi ha raccontato di come il maiale adorasse farsi lavare e spazzolare, di come Rosa, la loro mucca, fosse obbediente, amasse farsi mungere e di come abbiano pianto tutti, la Mater, la zia, il nonno e la nonna, quando l’hanno portata al macello perché era troppo vecchia. Dubito che abbiano mangiato la sua carne, ma ciò non ha fatto della Mater una vegana talebana che rinuncia alla carne in linea di principio perché secondo lei è crudele.
Similmente, adoro giocare con il coniglietto di uno dei miei migliori amici e ci sono davvero affezionato. Ma ciò non mi impedisce di mangiare lo spezzatino fatto con la carne di un coniglio anonimo comprato al supermercato. Idem si sarebbe potuto dire se avessi avuto a che fare stabilmente con dei cavalli: la carne di cavallo mi piace, la mangio, e la mangerei comunque. Non quella del mio ipotetico cavallo, ma quella di altri cavalli sì.
Rispetto la scelta di chi magari ha animali considerati “mangiabili” e, essenso affezionato a loro, rinuncia a mangiarli tutti, ma torniamo sempre lì: è una scelta dettata dai sentimenti in cui il giusto e lo sbagliato, il bene e il male, l’etico e il non etico, non c’entrano assolutamente. Per cui non ci si può ergere su un piedistallo e andare in giro a fare proselitismo a colpi di insulti, vandalismo e post su Facebook perché qualcuno non la pensa come noi su un argomento la cui soggettività è così marcata.

E soprattutto, non si può amare tutto il mondo, non si può salvare tutti. A me non frega nulla se uno sconosciuto viene messo sotto da un autobus sotto casa, e dovrebbe fregarmi se animali sconosciuti vanno al macello e finiscono nel mio supermercato, o se grazie a loro si perfezionano le cure per me e per i miei cari, umani e non? Anche no: proprio perché non sono specista, proprio perché non faccio distinzione fra animali e persone, mi preoccupo per chi conosco, persone e animali, mentre gli sconosciuti mi lasciano indifferente se non nel momento in cui mi trovo a interagire con loro, vuoi che sia ringraziare col sorriso la cassiera della Coop o il cameriere del mio pub preferito perché non voglio essere l’ennesimo coglione che dà il loro lavoro per scontato, vuoi che sia il cavallo, o la mucca, o il gatto che mi fermo ad accarezzare per strada o in campagna e poi arrivederci e grazie. Dopo di che, si torna ad essere estranei, e sinceramente ho altro da fare che preoccuparmi per tutti loro. Non ho sentimenti verso di loro, non mi importa di che fine faranno.
Noi viviamo in un mondo la cui biologia è crudele. Prendere o prendere, perché non ci sono alternative. La nostra biosfera va avanti incurante della sopravvivenza delle singole specie, figurarsi dei singoli individui. Come esseri umani abbiamo aggiunto un mucchio di altri significati, ma biologicamente parlando viviamo per portare avanti la nostra specie, e per farlo abbiamo bisogno che qualcun altro muoia. Non ci sono distinzioni in questo, non siamo una cosa a parte: qualsiasi comportamento che va in questa direzione è assolutamente naturale. L’istinto di conservazione della specie è naturale ed è ciò che ci fa progredire con la scienza in modo da rendere la nostra sopravvivenza più facile e assicurarci il maggior successo possibile. È ciò che ci ha portati a costruire utensili per cibarci più agevolmente, ciò che ha fatto sì che la nostra società si affinasse al punto da avere la differenziazione degli incarichi che c’è oggi, ciò che ci ha fatto superare i competitori mettendoci in cima alla catena alimentare.
Ognuno di questi comportamenti è riscontrabile ovunque nella biosfera, semplicemente siamo strutturati in modo da farlo in maniera più complessa ed efficace, con minor pericolo e, spesso, dispendio di energie. Cacciare una gazzella nella savana come fanno i leoni o allevare un animale e poi portarlo al macello come facciamo noi sono comportamenti totalmente equivalenti, cambia solo il metodo di attuazione: in base a cosa possiamo stabilire che uno è giusto e l’altro è sbagliato? Spedire le api operaie a raccogliere il nettare che poi nutrirà la regina, i fuchi o gli individui più deboli dell’alveare e comprare al supermercato la carne che altri hanno preparato è la stessa cosa: stessa domanda di sopra. Liberarsi l’un l’altro dei parassiti come i primati o uccidere topi e scarafaggi con trappole e veleni sono due facce della stessa medaglia: vedi sopra. Strappare i tentacoli della Caravella Portoghese e usarli come arma come fa il Tremoctopus e usare pelli di animali per coprirci, o usare animali come cavie per migliorare la nostra salute e le nostre aspettative di vita, sono azioni basate sullo stesso principio: ancora la stessa domanda.
Giudicare tutto ciò in nome della “natura” è un controsenso, perché implica che i metodi della “natura” stessa siano sbagliati e noi, che invece siamo in tutto e per tutto esseri naturali con comportamenti naturali, possiamo porci al di sopra di essi e rinunciarvi. Questo non è considerarsi al pari del resto della “natura”: questo è giudicarla, guardarla dall’alto verso il basso facendo finta di considerare gli altri animali non uguali, ma al di sopra di noi.

Io non sono un vegano e non sono un animalista (qui parlo di estremisti): non auguro il male agli altri solo perché non vedono il mondo come lo vedo io. Non auguro a nessuno di avere un parente, un amico o, in questo caso, un animale domestico ammalato e con i giorni contati perché capisca quanti e quali benefici si traggono dalla ricerca scientifica. Chiedo solo di fermarsi un attimo e riflettere a mente lucida, di provare ad affiancare il cervello al cuore: in natura, la morte di un individuo assicura spesso la sopravvivenza di un altro. Pensate a quante persone e quanti animali che amate sono sopravvissuti grazie alla ricerca medica, che, volente o nolente, per tutta una serie di motivi su cui mi tengo documentato fin dove riesco, ma che non pretendo di avere le conoscenze e competenze di decrivere ed enumerare (e bisognerebbe anche avere l’umiltà di ammettere di non essere al livello degli scienziati, nel loro campo), passa anche per gli animali.
Personalmente, io continuerò a devolvere le mie risorse affinché i miei cari possano vivere almeno un po’ meglio, riconoscendo razionalmente che lo faccio unicamente perché ho dei sentimenti, piuttosto che inseguire crociate idealiste, qualunquiste e generalizzatrici senza neanche sapere perché lo faccio.
Anche, e soprattutto, per amore di una gatta.

Saturday 4 January 2014

2013 musica e dintorni: il piedistallo

E dopo il cassonetto e il limbo, parliamo del piedistallo.
Questo 2013 che si è appena concluso è stato l’anno in cui la mia tavola periodica della musica si è ribaltata in favore dei non-metalli, con giusto qualche semimetallo nel mezzo, e ha visto un mucchio di uscite in ambito pop, chamber pop, indie pop, synthpop e via discorrendo. Un sacco di conferme da artisti già notoriamente validi, un mucchio di debutti validissimi, alcuni sorprendenti salvataggi di carriere già date per morte (Sirenia, anyone?). E poi, in programma per il 2014 ma avvenuti nel 2013, tre come back di tutto rispetto: Kari Rueslåtten, che ha un nuovo album solista praticamente fatto e finito in uscita a breve; Vibeke Stene, che ha causato un’isteria di massa annunciando una collaborazione con dei tizi extreme metal (tali God of Atheists) e successivamente un album solista; i The Crest, di Kristian e Nell Sigland che sono tornati a fare prove assieme nel week end, speriamo che ne esca fuori qualcosa di buono. Per il resto, sono stati dodici mesi intensissimi, per cui prendetevi un bel tè bollente, che c’è moooooolto da ricapitolare.

The Disappearance Of The GirlPhildel
The Disappearance Of The Girl – Phildel
La rivelazione assoluta del 2013. Un talento genuino e completo che ne ha dovute superare tante, ma ne è uscito fortificato. Cresciuta con un patrigno integralista religioso che ha vietato la musica in casa, Phildel ha imparato a trasformare i suoni in immagini mentali per creare musica, ed è proprio ciò che fa nell’ascoltatore col suo album: ogni canzone evoca immagini e emozioni, sostenute dalla sua maestria al pianoforte e dalla voce eterea ed espressiva. Essendo cresciuta con enormi buchi nella cultura musicale, è rimasta incontaminata e difficilmente etichettabile, fa musica raffinata che non conosce le limitazioni di un genere specifico e, proprio per questo, porta con sé una genuinità rara che fa da coesione alle varie influenze che caratterizzano il cd. Si passa da momenti intimi e delicati con solo piano e voce, ad altri più stratificati in cui le emozioni sono accompagnate da bellissimi archi, fino a canzoni più dark spennellate di elettronica, un diario che documenta momenti bui e allegri, malinconici e furiosi, dalla scoperta dell’amore alla paura di non saper più vivere, al rendere pan per focaccia al patrigno talebano. Se c’è un album in cui tutti ci possiamo rispecchiare, che si può ascoltare per trovare la catarsi, è questo.
Preferite: Afraid Of The Dark, Moonsea, The Wolf, Holes In Your Coffin, Switchblade... TUTTE!

ExileHurts
Exile – Hurts
Gli Hurts hanno fatto il botto con un solo album e sono diventati davvero grandi in poco tempo. Ciononostante, non si sono bloccati, non hanno deciso di riciclarsi per ripetere il colpaccio, ma sono andati avanti e hanno sperimentato con il sound per tirare fuori qualcosa che, pur rispettando la loro vena, è diverso. Exile è uno dei casi in cui la copertina rappresenta perfettamente il disco: oscura e patinata, ma estremamente elegante. Ed il sound è così: al synthpop d’alto bordo tipico del duo si aggiungono ammiccamenti industrial, accenni rock, qualche episodio dance più spinto che però sarebbe perfetto solo in club sofisticati e di alto profilo. Le canzoni sono strutturate per massimizzare la resa dal vivo ma hanno vitalità anche su disco, e la varietà degli arrangiamenti lo rende un disco longevo che ha qualcosa di nuovo da far scoprire anche a distanza di mesi.
Preferite: The Road, Cupid, Only You

IsomorphineLeandra
Isomorphine – Leandra
Beh, tutto mi sarei aspettato tranne che Leandra tirasse fuori il miglior album dance dell’anno. Dopo un Metamorphine dai forti accenti classicheggianti alternati a episodi spiccatamente darkwave, siamo passati ad un synthpop davvero ben fatto, più orecchiabile ma senza perdere in classe e sofisticatezza, pur con varie reminescenze del passato che fanno sì che l’identità di Leandra non vada persa. Gli arrangiamenti creano spesso dei contrasti intriganti, con brani allegri e ballabili cantati con una vena malinconica e quasi rassegnata, alternati ad pezzi più oscuri e introspettivi in cui invece sono le vocals a dare l’energia. Altra cosa che ho apprezzato è il fatto che, sebbene Leandra sia una virtuosa del pianoforte, non l’abbia infilato per forza in ogni singola canzone tanto per mostrare la sua bravura, ma l’ha usato con più parsimonia e solo dove necessario, creando una bella sobrietà di fondo: solo perché si ha un notevole talento in un certo campo, non bisogna sbandierarlo a tutti i costi. È una lezione che tanti suoi colleghi dovrebbero imparare.
Preferite: Calling, Grace, The Narcissist Song

The Glass GhostPhildel
The Glass Ghost – Phildel
Doppietta per Phildel, che in meno di un anno dal full length è riuscita a tirare fuori una perla di EP che mostra già un’evoluzione nel sound: sempre accessibile, ma addirittura più intimo, fragile ed etereo. Decisamente perfetto come release a tema invernale, con un piano che ricorda davvero lo scintillio della neve al sole. Peccato che siano solo cinque canzoni di cui una è un’intro (più un remix che meh, conta fino a un certo punto), perché finisce in un baleno ed è talmente bello che non basta mai.
Preferite: The Glass Ghost, Celestial, Comfort Me

The Q-Music SessionsWithin Temptation
The Q-Music Sessions – Within Temptation
Omioddio i Within Temptation sono diventati commercialiiii!!!1!uno!! Cazzate, perché per essere davvero commerciali nel genere che suonano dovrebbero semplicemente continuare a copiare le stesse cose del 2003 come fanno molti loro colleghi rinomati, e non lasciar spazio all’evoluzione. Quest’album è una raccolta di cover che sono state suonate un po’ come divertissement in attesa del quindicesimo anniversario, ma sono fatte davvero bene. Completamente riarrangiate, trasformate in canzoni dei Within Temptation ma senza ammiccare spudoratamente al passato, e nell’80% dei casi molto migliori degli originali. Peccato che nel disco ne manchino quattro (qualche hipster stronzo non ha dato i diritti), ma nel complesso è un album che grida “repeat” non appena finisce.
Preferite: Apologize, Behind Blue Eyes, Crazy

Too Weird To Live, Too Rare To Die!Panic! At The Disco
Too Weird To Live, Too Rare To Die! – Panic! At The Disco
Premesso che a me i Panic! piacciono in tutte le salse ma ho una certa preferenza per i lavori che hanno fatto dopo lo split, l’ho trovato il loro miglior album di sempre. O comunque, di sicuro il mio preferito. Non c’è un singolo brano che non mi piaccia, tutti presentano qualche particolarità o svolta inaspettata, una struttura che fa crescere progressivamente la tensione, un climax che la risolve senza lasciare l’amaro in bocca. E c’è anche una discreta varietà di arrangiamenti che mantiene però una coesione di fondo, per cui è un album che non annoia ma non risulta dispersivo. È come la copertina: un monocromo nel quale si agita del fumo di mille colori. E ovviamente, la deriva synth mi ha mandato in delirio.
Preferite: Casual Affair, Far Too Young To Die, Girl That You Love

Tales Of UsGoldfrapp
Tales Of Us – Goldfrapp
Premessa: mi sto affacciando giusto ora all’universo Goldfrapp, per cui conosco approfonditamente solo quest’album e non saprei come giudicarlo in prospettiva. So che i loro lavori precedenti erano molto più elettronici, e che questo disco è una specie di cambio di direzione per loro, ma dal punto di vista evolutivo non saprei dire se in meglio o come. Di per sé, Tales Of Us è un album di rara sofisticatezza dal sapore intimo e malinconico, perfetto per quei pomeriggi piovosi in cui ci si chiude in casa con una tazza di tè caldo sotto il piumone. E chi conosce i miei gusti sa quanto è difficile farmi contento con solo un pianoforte e una chitarra (e dei magnifici archi, in questo caso). Le lyrics sono molto intime e “impressioniste”, nel senso che raccontano con lievità e discrezione, in poche frasi evocative, una serie di storie nelle quali un po’ tutti possiamo rispecchiarci. Un paio sembrano scritte apposta per me. Il che rende il titolo assolutamente perfetto, la ciliegina sulla torta.
Preferite: Stranger, Drew, Annabel

The Golden AgeWoodkid
The Golden Age – Woodkid
Avevo sentito parlare di lui già da un po’, avevo visto e apprezzato il video di Run Boy Run, ma è stato quest’estate che con il video (e soprattutto la canzone) di I Love You è sbocciato l’ammoreh. L’album guadagna punti già per il fatto di essere un concept album per una volta riuscito alla perfezione: c’è una storia di fondo, la narrazione è ben sviluppata di canzone in canzone, non ci sono filler (quante volte si parte con l’idea di un concept album, ci si trova con idee solo per un EP e si allunga la minestra per tentare di far quadrare i conti, Liv’s Ass?), non ci sono canzoni davvero brutte o insipide. Poi, personalmente, in queste lyrics mi ci trovo tantissimo. L’unico vero difetto di Woodkid è essere amyketto di Lagna, che chiamiamo in causa perché, come tipo di arrangiamenti, costituisce un ottimo punto di paragone: mentre i suoi sono ridondanti e plasticosi, quelli di Woodkid, sebbene siano più abbondanti, a tratti quasi barocca, sono dosati con maestria e risultano funzionali e ben amalgamati nella struttura delle canzoni, le quali sono realmente pregevoli e complesse. Per fare un esempio, i legni in Conquest of Spaces che evocano il volo, gli ottoni in The Golden Age che danno energia al brano senza soffocarlo, i fiati e gli archi di I Love You inseriti magistralmente in progressione proprio nel punto di massima emotività della canzone e danno vita a un crescendo che si risolve in un climax fortissimo. Ecco, questo è un arrangiamento che, pur magniloquente, comunica davvero qualcosa e non si limita a coprire un buco di idee.
Preferite: I Love You, Conquest Of Spaces, The Golden Age

AfterwordsThe Gathering
Afterwords – The Gathering
Chiariamo subito una cosa: Afterwords va preso per l’ep di accompagnamento a Disclosure che è. Né più, né meno, non bisogna prenderlo come un nuovo album di inediti indicativo della loro nuova direzione. Ciò detto, è il perfetto “Disclosure afterparty” come la stessa band l’ha definito: un’ottima raccolta di rivisitazioni dei brani dell’album in versione ambient con riferimenti etnici e orientaleggianti, inframmezzati con inediti sfiziosi. Silje è sempre più a suo agio e perfetta, magnificamente eterea nelle tracce più ambient, ma la vera sorpresa del disco è Bart Smits: ve lo ricordate il growler scaciotto di Always…? Ecco, proprio lui ci fa un’ottima performance in pulito, dal tono avvolgente e caldo per brividi garantiti (fra l’altro ha scritto sempre ottimi testi, e non fa eccezione nemmeno stavolta).
Preferite: Bärenfels (rivisitazione di Heroes for Ghosts), Afterwords

BeyoncéBeyoncé
Beyoncé – Beyoncé
È proprio il caso di dirlo: Beyonciona trollona. Già merita un Applause per come l’ha fatto uscire, snap!, uno schiocco di dita una notte e l’ha buttato su iTunes senza dire nulla a nessuno mentre per tutto l’anno ci si chiedeva che fine avesse fatto. In più, è decisamente inusuale per essere un album pop: musica molto soffusa, a tratti minimale, a tratti lounge, pochissimo ballabile ma estremamente sofisticata anche nei suoi episodi più hip-hop e testualmente espliciti. E diciamolo, forse questo Beyoncé (tutto maiuscolo, ma sticazzi) è un self-titled perché c’è tanto di Beyoncé anche a livello testuale: tanto sesso raccontato con naturalezza accanto ad appassionate ballate dedicate alla figlia, e tematiche di empowerment e di rifiuto degli stereotipi sociali femminili che, ultimamente, c’è purtroppo sempre più bisogno di ribadire. Bisogna ascoltarlo con attenzione perché è un susseguirsi di sfumature che è facile non notare, ma è tutt’altro che una release insipida, molto diverso da ciò che le colleghe di Bey, e lei stessa, hanno tirato fuori.
Preferite: Pretty Hurts, Blue, Haunted

ArtpopLady Gaga
Artpop – Lady Gaga
Ecco, Gaga l’Applause se lo merita di meno, ma comunque nessuno glielo toglie. Non è il capolavoro che pensava/sperava di dare alle stampe, ma Artpop (anche lui tutto maiuscolo, anche lui sticazzi) è un signor album. Pop per lo più molto sofisticato (giusto un paio di episodi sciatti), lyrics come sempre molto intelligenti e con più di una chiave di lettura, varietà di arrangiamenti. Peccato che Swine, la highlight dell’iTune Festival, sia stata trasformata in salsicce, ma canzoni come Aura, Artpop, Gypsy e Mary Jane Holland costituiscono picchi di eccellenza intorno a ottimi episodi come Venus, G.U.Y., Do What U Want o Dope. Bisogna masticarlo a lungo per scoprire i suoi sapori più segreti – molte canzoni che all’inizio passano inosservate con gli ascolti diventano bellissime – ma è un album solido e, forse proprio per questo, longevo, solo un gradino sotto il suo predecessore.
Preferite: Artpop, Mary Jane Holland, Aura

Only TeardropsEmmelie De Forest
Only Teardrops – Emmelie De Forest
Cosa c’è da dire se non che l’Italia per l’Eurovision esporta Marco Mengoni, mentre la Danimarca sbaraglia tutti con l’electro-folk orecchiabile ma sofisticato e la magnifica voce di Emmelie? Ecco come fare pop senza risultare scontati e melensi né indie a tutti i costi. Una vittoria più che meritata con la title track, e l’album contiene canzoni anche migliori, dalle reminescenze dance di Hunter And Prey e Change, passando per il pop acustico di Force Of Nature e l’ecletismo di Beat The Speed Of Sound e Let It Fall. Un album fresco e vario che dimostra come il Nord Europa abbia sempre un palato sofisticato.
Preferite: Let It Fall, Beat The Speed Of Sound, Only Teardrops

InterludeDelain
Interlude – Delain
La prima puntualizzazione da fare è che, similmente ad Afterwords, Interlude è proprio ciò che il titolo afferma: un interludio, un EP un po’ cresciuto che serve ad accompagnare il precedente We Are The Others. Fatta questa doverosa premessa, si tratta di un buon disco con due inediti di tutto rispetto, una raccolta di cover fra cui una magnifica Cordell, un paio di versioni alternative di brani dell’album (notevole la ballad version di We Are The Others). Oh, e alcune canzoni live che aggiungono notevole valore al tutto, visto che i Delain dal vivo hanno una resa spettacolare.
Preferite: Not Enough (live), Collars & Suits

UniversalAnathema
Universal – Anathema
Vabbé, mettete un’orchestra agli Anathema e vi tirano fuori un capolavoro per forza di cose. La tracklist mi ha lasciato forse un po’ deluso (si sente la mancanza di The Gathering Of The Clouds e The Lost Child, mentre di Deep e del medley Emotional Winter / Wings Of God avrei fatto volentieri a meno), ma le canzoni eseguite sono spettacolari, specie perché c’è comunque tanto da Weather Systems e We’re Here Because We’re Here. Vincent Cavanagh si comporta relativamente bene per i suoi standard e appare affaticato solo verso la seconda parte dello show (quella con le canzoni che meno mi interessano, in ogni caso), mentre Lee Douglas è semplicemente divina. Oh, e c’è la migliore A Natural Disaster mai eseguita, quanto ci incappo parte il repeat per ore.
Preferite: A Natural Disaster, Untouchable, Part 1, Untouchable, Part 2.

Shut Us DownFreddie Dickson
Shut Us Down – Freddie Dickson
EP di 4 tracce che mostra il lato più godibile dell’indie pop depresso. Forse perché è musica genuina e non pop da quattro soldi riarrangiato con pretenziosità (vero Lagna, a cui molti paragonano questa release?), forse perché il songwriting è davvero interessante e arrangiato con una vena minimalista, e non buttato lì e poi riempito di effetti e archi. La title track merita tantissimo, e c’è da aggiungere anche Minimal Love, traccia sfusa ma davvero bella pubblicata nel corso dell’anno. Questo ragazzo è davvero da tenere d’occhio.
Preferite: Shut Us Down, Minimal Love

Perils Of The Deep BlueSirenia
Perils Of The Deep Blue – Sirenia
Le premesse erano assolutamente apocalittiche. Un album precedente che definire disastroso sarebbe un eufemismo; un genere trito e ritrito in cui ormai tutto è stato detto e fatto; la proverbiale incapacità innovativa di Morten; un titolo che più scontato non si può, per una band che si chiama Sirenia e martella con temi marinareschi da almeno un decennio. Eppure, sorpresa! Pur non essendo l’album dell’anno e non portando chissà che ventata di innovazione al genere o al sound della band, Perils Of The Deep Blue è strutturato abbastanza bene da riproporre i soliti vecchi temi e motivi in maniera insolitamente fresca e godibile. Ottimi sia gli episodi più pop (Ditt Endelikt), sia la classica canzone lunga e deprimente (Stille Kom Døden). Menzione speciale per Ailyn che si è fatta un mazzo tanto per studiare e migliorare vocalmente, con degli ottimi risultati.
Preferite: Stille Kom Døden, Ditt Endelikt

In ConcertDead Can Dance
In Concert – Dead Can Dance
Un live die Dead Can Dance è un’esperienza da fare assolutamente prima di morire per ogni fan del gruppo. Per questo, un live album dal loro ultimo tour è un’uscita di tutto pregio: non solo l’intero, ottimo Anastasis è suonato live (e senza cretini che ci parlottano sopra), ma la band ripropone anche alcuni classici con una profondità emotiva ancora maggiore che in passato. Provare The Host Of Seraphim per credere. C’è qualche pecca in un paio di brani suonati un po’ di corsa (anche se non quanto a Padova con la Galoppata Of The She-King), ma in molti altri la sessione ritmica ci ha guadagnato tanto che mi viene voglia di fare danza orientale sulla sedia mentre lo si ascolta!
Preferite: Opium, The Ubiquitous Mr. Lovegroove, The Host Of Seraphim

DriveAnneke Van Giersbergen
Drive – Anneke Van Giersbergen
Magari non è entusiasmante quanto il precedente, ma pochi dubbi sul fatto che Drive sia un disco molto piacevole pur nella sua brevità. Il problema principale è che mancano episodi davvero memorabili che possano essere annoverati fra i “classici” di Mamma Anneke, ma pressoché ogni canzone ha il pregio di essere ben strutturata, non monotona né prolissa, e non perdersi in un bicchiere d’acqua. Fra l’altro, sono tutte canzoni che dal vivo hanno un’energia incredibile e coinvolgono volenti o nolenti, provare per credere. Pur non essendo memorabile, resta comunque un bell’album che si ascolta molto volentieri.
Preferite: Shooting For The Stars, Drive

MatangiM.I.A.
Matangi – M.I.A.
Fatta la doverosa premessa che M.I.A. è per un pubblico ristretto, e non per questioni hipster ma proprio perché riesce ad essere più alternativa del 90% del metal messo assieme, ho avvicinato l’album con un po’ di scetticismo sul riuscire a digerirla ma alla fine ce l’ho fatta. Alcune canzoni richiedono ancora un po’ di lavoro, ma ci sono piccoli capolavori come Exodus, la gemella Sexodus e Know It Ain’t Right, cafonate adorabili come Come Walk With Me, Y.A.L.A. e la title track, frecciate a Gaga e Madonna lanciate con una nonchalance ammirevole e, ovviamente, la mia zarrata preferita ora e sempre nei secoli dei secoli, ovvero Bad Girls. Come si fa a resistere a Bad Girls?
Preferite: Bad Girls, Exodus, Sexodus

KveikurSigur Rós
Kveikur – Sigur Rós
Dopo aver sviscerato tutto lo sviscerabile del loro post-rock etereo, i Sigur Rós, complice l’abbandono del tastierista (e principale arrangiatore di sviolinate e parti orchestrali), hanno deciso di cambiare rotta il tanto da rinnovare il loro sound senza perdere il loro trademark. Ammetto che loro li ho sempre dovuti assumere a piccole dosi perché sulla lunga fanno musica troppo “diluita” per i miei standard, ma questo Kveikur “concentra” il suono e aggiunge un po’ di elettronica con un risultato fortemente additive.
Preferite: Isjaki, Brennstein


E questo è tutto per un 2013 ricchissimo (non conto le mie scoperte pregresse, uscite negli anni passati, tipo Roniit, i The xx, iamamiwhoami), con pochi punti oscuri, per lo più nel metal. È stato decisamente l’anno del pop di varia natura, e la cosa non è nemmeno un male: allontanarsi dai cliché e dall’esclusività di un genere o dell’altro è indice di attività cerebrale.

Le aspettative per il 2014 includono: i The Crest che sono trornati in vita, speriamo bene! Hydra dei Within Temptation; Kari Rueslåtten, FINALMENTE; Santa Vibeke da Sokndal con i suoi metallarozzi, e speriamo presto anche solista; l’album degli Stream of Passion; I DAMA (capito, Barbara?!); TQE degli Epica; Shine di Anette Olzon, finalmente libera dalle stronzate della Tommasina; magari gli Autumn, se tornano in vita – mi accontenterei anche di una data per il 2015; e i Vetrar Draugurinn, sempre con la Marjan.

2013 musica e dintorni: cassonetto & limbo

Bon, detto fatto: dopo tutto, un post del genere fa più figura qui che su Facebook. Prendete qualcosa da mangiucchiare, saranno due post abnormi data la quantità mastodontica di uscite.
Dato che le release proprio da buttare e quelle che se la cavicchiano senza lode né infamia sono relativamente poche, le metto tutte assieme e aggiungo anche una lista di non pervenuti e di menzioni d’onore ma fuori concorso perché sono singoli o canzoni randomiche uscite qua e là. Enjoy!


Il cassonetto

Symphonies Of The NightLeaves’ Eyes
Symphonies Of The Night – Leaves’ Eyes
Lo ammetto, l’album ha superato le mie bassissime aspettative, e nel complesso è solo generico e stereotipato, ma non totalmente brutto. Ha perfino qualche momento godibile che riesce ad emergere dal mare di cliché tipico dei Leaves’ Eyes. Il problema? Da una parte, l’orchestrina sintetizzata che fa davvero baraccone di quarta categoria e va a rovinare anche le canzoni che seguono il trend del sound orecchiabile à la Delain che sta andando tanto forte in questi anni; poi c’è un violino assolutamente inascoltabile in più di una canzone; e infine Liv. Liv è diventata una cosa insopportabile, andrebbe abbattuta come atto di pietà. Quando usa il suo tono normale è diventata nasale da far spavento, ma sono solo rari sprazzi in mezzo a un mare di vibrati slabbrati e ingolamenti nel tentativo di scurire il timbro. Per la maggior parte sembra che abbia una mela incastrata in gola e stia cercando di buttarla fuori. Avete presente la gag del pene incastrato ne La Cosa Più Dolce? Ecco, solo con una fragile vecchietta al posto di Selma Blair. Tolta lei e le sue lyrics mielose, l’album potrebbe essere uno dei meno peggio dei Leaves’ Eyes, con delle canzoni anche ben scritte, ma resta intercambiabile con Njord o qualsiasi altro, per cui a preferenza, se proprio preso da istinto masochistico di ascoltare i Leaves’ Eyes, rispolvererei uno di quelli.
Meno peggio: non ricordo nulla di particolarmente salvabile.

Showtime, StorytimeNightwish
Showtime, Storytime – Nightwish
E vabbè, sono i Naituiss. Aspettarsi qualcosa di musicalmente significativo da loro nel 2013 è come sperare che Lindsay Lohan faccia un buon film fra una pista di coca e un arresto, o che Brooke e Taylor discutano con valide argomentazioni la dialettica di Hegel mentre si litigano Ridge in Beautiful. La Pavimenta era chiaramente in una serata no al karaoke: oltre a cantare mediocremente manca talmente di interpretazione che sono arrivato a rimpiangere la Tamarrja (per non dire Anette sui pezzi nuovi, Storytime fa pietà). E la chitarra soffoca tutto il resto incluse le solite orchestrine preregistrate che su un album live mi lasciano sempre insoddisfatto. E poi, sul serio? Amaranth? Wish I Had An Angel? Romanticide? Mancano giusto Tutankhamen e Nymphomaniac Fantasia e c’è il peggio del peggio (in cui includo ovviamente la pacchianissima Ghost Love Score, mentre Song Of My Huge Ego And Accordingly Small Dick gliela abbuono perché è il delirio di onnipotenza più recente ed era quindi imprescindibile). Oh, complimenti alla Pavimenta, ci vuole talento per inanellare due release così negative in un solo anno, vedesi sotto. (Ammetto di averlo scaricato dopo essere inorridito davanti a qualche spezzone su YouTube solo per poter dire di averlo stroncato a ragion veduta; cancellato subito dopo).
Meno peggio: il momento in cui finisce.

Wild CardReVamp
Wild Card – ReVamp
Quest’album è proprio brutto, fine della storia. Metal a tutti i costi, caotico nel songwriting, Floor che non ne azzecca una nonostante tenti di scimmiottare qualsiasi stile canoro dal growl al falsettone pseudo-lirico, e nessuna, dico nessuna canzone davvero sufficiente. L’unica carina, Distorted Lullabies, viene rovinata a metà dalle immancabili sfuriate tVue che in una semi-ballad come quella suonano proprio buttate lì tanto per non smentirsi. Da segnalare, se non altro, un leggero miglioramento delle doti di lyricist di Floor (anche se le ciofeche che ha scritto in passato, specie Invisible Circles, non sono un gran metro di paragone). Per il resto, proprio no. Zero.
Meno peggio: Distorted Lullabies


Il limbo

Loud Like LovePlacebo
Loud Like Love – Placebo
Ora, diciamolo: non è un brutto album. Si fa ascoltare, ha dei bei momenti (gli archi di Hold On To Me, per dirne uno), poi A Million Little Pieces e Bosco sono due piccoli capolavoro… però il resto non sa di niente. Con gli ascolti migliora, ma di base resta un po’ un tipico album dei Placebo, che richiama qua e là qualche buon momento del passato, ma senza quel qualcosa di particolare che lo faccia spiccare dopo Sleeping With Ghosts, Meds o Battle For The Sun. Sembra un compito che, per quanto indubbiamente ben eseguito, è stato fatto più per racimolare un voto in più che con vero interesse. Non lo considero un fallimento, ma nemmeno particolarmente interessante.
Preferite: A Million Pieces, Bosco

RetrospectEpica
Retrospect – Epica
Buona performance, buona produzione del suono, la Simona che tira via bene nonostante la fatica per la lunghezza dello show e la gravidanza. E poi arriva una tracklist che wtf più grande non si poteva. E va bene, passi Cry For The Moon che senza non si può stare, passi Blank Infinity perché la adoro, passi The Divine Conspiracy che finalmente hanno proposto in una versione ascoltabile. Ma a parte il riciclo dei brani di Miskolc, che sinceramente The Imperial March avrebbe anche rotto le palle, davvero Never Enough? E Quietus? E Twin Flames? E mi lasciano fuori Requiem For The Indifferent, di nuovo Mother Of Light, Avalanche? Ma che palle, Epica!
Preferite: The Phantom Agony versione tamarra finalmente in DVD vince tutto: are you ready for a party?!

Colours In The DarkTarja
Colours In The Dark – Tarja
Sorpresa sorpresa: a questo giro l’album della Tamarrja è decente. È un po’ la solita sinfonicata rockettara post-Naituiss e c’è un po’ di sconclusionatezza qua e là (Liusid Djrimma per dirne una), ma in generale le canzoni offrono una certa varietà e, accanto a episodi davvero brutti come Victim Of Rrrrrrricciual, Niver Inaff e Niverlait, ce ne sono anche alcuni piacevoli (500 Letters, orecchiabile senza essere scontata, e Darkness, che a dispetto del titolo sperimenta parecchio, per gli standard della Tamj), o addirittura pregevoli (Mystique Voyage). Se non si perdesse in un paio di deliri di onnipotenza di troppo per essere metal e/o sinfonico a tutti i costi, e soprattutto fosse cantato decentemente, sarebbe addirittura un bell’album. Peccato che la performance vocale della Tamarrja sia sempre quella che è, un mattonazzo di una pesantezza tremenda che si snoda fra un alternarsi di intubamenti e suoni sguaiati, finti virtuosismi che la fanno sembrare addirittura stonata, interpretazione inesistente e costellata da tanti di quegli errori di pronuncia che ho perso il conto a metà della seconda canzone, per cui la media si abbassa vertiginosamente.
Preferite: Mystique Voyage, Darkness

AlienationMorning Parade
Alienation – Morning Parade
Ascoltato su Soundcloud a 128 kb/s perché la casa discografica lo rende disponibile solo in UK e USA, non sono proprio riuscito a farmene un’idea coerente. Ci sono alcuni buoni spunti, ma mi dà ancora un senso di genericità e anonimato, di rock fatto bene ma come se ne sente molto in giro. Non saprei nemmeno paragonarlo al debut eponimo della band, ma di sicuro l’ho trovato inferiore ai singoli pre-album che sono usciti fino al 2011. Per ora lo mantengo nel limbo, magari una versione a qualità decente rivelerà qualche sorpresa.
Preferite: non pervenute.


Non pervenuti:

The Circus At The End Of The WorldAbney Park: ragazzi, fanno uscire un album all’anno, non riesco a star loro dietro. Ultimamente non sono troppo dell’umore per loro, per cui ascolterò assieme a quello dell’anno scorso nelle prossime settimane dopo che avrò sviscerato Goldfrapp e Kerli, per ora proprio non ce la faccio.
Darkest WhiteTristania: purtroppo non ho proprio ancora avuto tempo di ascoltare Rubicon, figurarsi questo. Ah, crazy, busy life.
Avril LavigneAvril Lavigne: ho sentito qualcosa ma non ho particolare urgenza di approfondire.
PrismKaty Perry: se va sulla stessa linea dei singoli ho sinceramente di meglio da fare.


Menzioni d’onore fuori concorso:

Over The LoveFlorence + The Machine ; Into The PastNero ; TogetherThe xx ; Back To BlackBeyoncé ; Kill And RunSia
Insieme perché sono uscite tutte dalla colonna sonora del Grande Gatsby e sono di una bellezza sconcertante. In generale, l’intera colonna sonora è ricca di ottime canzoni (accanto ovviamente ad altre trascurabili), e perfino Lagna fa una figura quasi decente, ma queste tre sono dei veri e propri capolavori, fine della storia. L’unico appunto è alla Beyonciona, che avrebbe dovuto cantare la canzone da sola, perché Andre 3000 ci azzecca come il goulash col tè delle cinque.

CallingDama
EDDAI BARBARA, fallo uscire quest’album! Mi hai messo addosso uno hype che non t’immagini.

E.V.O.L ; Just Desserts ; Electra HeartMarina & The Diamonds
Per terminate degnamente la Electra Heart era, Santa Marina Evangelista ci ha sganciato la title track, forse non all’altezza del resto dell’album ma sicuramente amabilissima, una E.V.O.L in cui narra il segreto più profondo della vita, e una Just Desserts tutta da dedicare alle queen bitch delle sfrante milanesi.

Why So LonelyKari Rueslåtten
Aka la ruffianata dell’anno, ma una che ha funzionato straordinariamente bene. Fare un comeback con un classico della tua primissima band e invitare a suonare un musicista che fa evaporare le mutandine delle cretinette metal (la Tommasina Holopaina, per chi non lo sapesse) richiederebbe una bacchettata sulle mani di Kari, ma visto che il risultato è ottimo, l’arrangiamento davvero pregevole, la performance vocale perfino migliore dell’originale e cazzo, Kari, ti aspettavamo da otto anni, direi che un occhio sul dubbio gusto dell’operazione di marketing lo si può chiudere. E poi dai, non si bacchettano le mani di Kari… se no ci cosparge di benzina e dà fuoco a tutti.

Paradise (What About Us?) ; DangerousWithin Temptation
Ok, tirare fuori la Tamarrja e farle fare da corista è senza dubbio una mossa commerciale per mettere a tacere i bimbiminkia darkettini che si sono inalberati per le cover, ma quest’anno si è visto di peggio (il tira e molla dei Naituiss con Floor vocalist, per dire?), e considerando che è stata inserita in un contesto musicale fresco e valido si può anche chiudere un occhio. Stranamente, la Tamarrja non è troppo invasiva e fastidiosa, e visto che la canzone è davvero bella – un singolo fresco che reinterpreta la tradizione sinfonica dei WT in chiave moderna – il tutto supera la sufficienza. Dangerous, il secondo singolo, e le tre demo rilasciate con l’EP di Paradise mantengono una linea simile, pur essendo canzoni molto diverse fra loro: i Within Temptation attingono dal passato e lo trasformano in influenze su un sound moderno, che ha saputo anche imparare dall’esperienza delle cover guadagnando eterogeneità. Aspettiamo il disco per sentire le versioni definitive, ma date le premesse ci si può aspettare qualcosa di sensazionale da Hydra.

This Means WarSleepthief feat. Joanna Stevens
Non il miglior singolo di Sleepthief, né la mia canzone preferita con Joanna, ma è comunque un buon appetiser per l’album, che speriamo non tardi troppo ad uscire. Da Sleepthief è anche arrivata una certa delusione, cioè la mancata traccia natalizia con Phildel, ma confidiamo nel futuro, si sa mai.

A seguire, il piedistallo.

Friday 3 January 2014

Il mondo è bello perché è avariato; il cotechino no

Non so se si sia risentito della mia decisione di non scrivere un bilancio di fine anno, ma il 2013 ha deciso di essere carogna fino in fondo e ha fatto trovare a me e alla Mater un cotechino avariato dentro la busta di alluminio a fine cottura. Così abbiamo fatto un cenone vegetariano con ciò che rimaneva, solo torta di patate con crema di funghi al forno, lenticchie con carote, roba russa a base di riso e chi più ne ha più ne metta. Beh, mi consolo pensando che se il cotechino avariato fosse stato quello di Natale, saremmo morti di fame per davvero.
Per molti versi sono felice che il 2013 sia finito, visto che ha portato un mucchio di cose belle alternate ad altre davvero brutte: ora come ora voglio concentrarmi sul 2014 e vedere di riuscire a fare qualcosa della mia vita lasciandomi alle spalle un po’ di depressione. La buona notizia è che quest’anno sono stato produttivo sin dal primo giorno dell’anno e ho già all’attivo due foto che inaugurano l’ennesimo mio progetto a lungo termine, stavolta ispirato a Leandra (dovrei anche trovare la sbatta di scriverci qualcosa a riguardo sull’altro blog, cosa più facile a dirsi che a farsi), mentre normalmente gennaio inizia con un’accidia fotografica che mi fa arrivare a fine mese con zero roba in saccoccia. E ora vedo anche di muovere il sedere e organizzare un po’ di cose per le prossime settimane.
Ah, ovviamente niente buoni propositi per il nuovo anno, dato che li infrango tutti regolarmente.

Ps: magari, se proprio il 2013 vuole un bilancio, copiaincollo quello delle release musicali che ho fatto sul Male. In fondo non guasta mai.