Sunday 23 February 2014

O forse no

Incredibilmente (o forse no), eccoci ancora qui. A quanto pare, nonostante le navi a grandezza naturale scarrozzate in giro per i festival metal, i Vichinghi non sono poi molto più affidabili dei Maya in quanto a predizioni. Scommetto che in casa Espenæs-Krull ci saranno rimasti male. E per fortuna, aggiungerei: il mondo non può finire prima della terza stagione di Once Upon A Time, e che cavolo.
Peraltro, anche l’henné è rimandato perché i capelli fanno ancora swishhh che è una meraviglia e non danno segni di avere le scagliette abbastanza aperte. Considerata la manutenzione che richiedono, è una fortuna che si sporchino così lentamente, fare lo shampoo ogni due o tre giorni sarebbe un problema non indifferente.

Altra cosa che è rimandata è il post su Hydra dei Within Temptation che avevo promesso: mentre ero ancora fresco di ascolti non ero molto dell’umore per via di Murka, e nel frattempo lo sto talmente divorando che non penso che riuscirei più a scrivere un pezzo oggettivo senza che le emozioni e ricordi che ci ho nel frattempo collegato si mettano in mezzo: come faccio a parlare lucidamente di Dog Days se è praticamente diventata la colonna sonora di queste ultime tre settimane? Quindi, il post è rimandato a tempo indeterminato e probabilmente se ne resterà nelle bozze fino a che non lo cancellerò proprio.

In tutto ciò, sono davvero stanco di sentirmi così: un po’ vuoto, un po’ tetro, un po’ triste, un po’ di nuovo vuoto. Elaborare il lutto non è proprio cosa per me. Beh, gestire le emozioni in generale non lo è. Fortuna che hanno inventato il comfort food. Credo che a breve approfitterò dell’offerta sulle scatole di cioccolatini natalizi belga di Volo (il posto dove prendo il mio upper-class junk food preferito). Oh, screw complexion, tanto non sono nemmeno nell’umore di farmi foto.

Thursday 20 February 2014

Doomsday

In caso vi fosse sfuggita la notizia, questo week end moriremo tutti. Pare infatti che alcuni studiosi della cultura vichinga abbiano interpretato dei segni assolutamente non circostanziali (fra cui, presumo, la chiusura per ferie della Grande Shanghai a Trieste) e calcolato che, secondo i nostri nerboruti metallari ante-litteram, il Ragnarøk, il crepuscolo degli dei, sia fissato per sabato 22 febbraio 2014. Già immagino celebrazioni in costumi storicamente accurati a casa Espenæs-Krull in vista dell’evento. Ma mentre aspettiamo che Fernir si liberi e ammazzi Odino, ecco un breve excursus sulle apocalissi a cui sono sopravvissuto negli ultimi dieci anni, che preferisco postare ora perché non so se nell’Yggdrasil, in cui andremo a rifugiarci, c’è il wi-fi.

Tralasciando i giorni del giudizio customizzati per le piccole sette (che potete trovare qui) e limitandomi a quelli con una risonanza mediatica più globale, credo che il conteggio si mantenga attualmente intorno ai nove, con il prossimo come decimo. Nell’ordine:

• Luglio 1994, con la cometa Shoemaker-Levy 9 che si schiantava su Giove. Ho seguito la vicenda perché ero già appassionato di astronomia, riguardando la videocassetta di Piero Angela sull’evento a più riprese perché le animazioni computerizzate dello scontro erano proprio fighe. E ho disegnato un sacco di volte la cometa. Deve essermi sfuggito che un evento a circa cinque unità astronomiche da noi potesse avere ripescussioni catastrofiche, e probabilmente è sfuggito anche alla Terra.
• Il 1999, profetizzato nientemeno che da Michel de Notredame, aka Nostradamus, noto per la sua affidabilità, specialmente sulle date precise. Nessun re del male è arrivato, il livello di inquinamento dei fiumi è rimasto quello di sempre e il millennio non ha fatto finire nulla. Beh, fortuna: avevo un viaggio in Austria da fare per vedere l’eclisse di sole ed ero impegnatissimo a portare la mia squadra di Pokémon al livello 100!
• Sempre il 1999 con il Grand Cross, l’allineamento dei pianeti nello stesso quadrante del del Sistema Solare. Questo me l’ero perso del tutto, ma Kaori Yuki l’ha infilato nella trama di Angel Sanctuary, per cui si merita una menzione.
• Il 2000, con un altro allineamento, stavolta di Mercurio, Venere, Giove e Saturno, e ovviamente col Millennium Bug. Inutile dirlo, nessun segno dai pianeti, né dai computer. E dire che io e il mio amichetto del cuore Roberto avevamo passato l’anno precedente impegnati in accesi dibattiti sulle conseguenze del Millennium Bug.
• Il 2001 è in realtà la versione 2.0 del 2000. C’era chi sosteneva che lo 0 non fosse un anno, ma un momento nel tempo, e che il primo millennio fosse iniziato con l’anno 1 (il che, in effetti, ha senso). Quindi il 2000 era l’ultimo anno del Secondo Millennio e il Terzo sarebbe effettivamente iniziato col 2001. Apocalisse rimandata di un anno, quindi, ma di nuovo nulla di fatto.
• Il 10 settembre 2008 e l’accensione dell’acceleratore di particelle del CERN di Ginevra. I media nazionali hanno la brutta caratteristica di bagnarsi copiosamente le mutandine ogni volta che c’è da fare pseudo-scienza, per cui si sono buttati come ninfomani sulla notizia e hanno strombazzato ai quattro venti quanto il tutto fosse pericoloso. In quel periodo ero terribilmente depresso, quindi ammetto di averci sperato davvero, un po’. Che delusione, come tutte le volte.
• Nel 2011 ci sono state tante apocalissi che le si poteva mangiare col culo (colorita quanto efficace espressione russa), fra cui ricordo il 21 maggio. Quella burlona della Terra si è pure lasciata sfuggire una puzzetta sotto forma di eruzione vulcanica (cit.) in quel periodo, ma ha deciso che era troppo pigra per capovolgere i poli magnetici e poi esplodere.
• L’11/11/11, perché le date fighe sono il nuovo nero e si abbinano con qualsiasi apocalisse.
• Il 21 dicembre 2012, che ho trascorso facendo shopping natalizio con la Mater e riaprendo il blog, è stato una colossale delusione. Dai, con tutto il risalto mediatico che ha avuto, nemmeno un terremotino? Una meteorina che arriva a terra e sfonda una macchina? Un diluvietto? No, cavolo, era pure soleggiato e tiepido! Maya fail.

Per quanto riguarda l’imminente Ragnarøk, l’unica previsione che posso fare è che avrò i capelli sufficientemente sudici da potermi fare l’henné (mi hanno spiegato che devono essere sporchi perché così le scaglie sono tutte aperte e fa presa meglio). Per cui, se il mondo sopravvivrà avrò i capelli lucidi e splendenti (faccio quello neutro solo per rimpolparli un po’). In caso contrario, pazienza, ci spalmerò sopra la linfa dell’Yggdrasil sperando che abbia proprietà analoghe.

Oh, in tutto ciò sono più propenso a credere ai Nero, che indicano il 21 dicembre 2808 come Doomdsay. Dai, come può una canzone così figa non azzeccarci?

Saturday 15 February 2014

Paramenti funebri

“Widow’s weeds” significa paramenti funebri, quegli abiti elaborati ed eleganti quanto scomodi che le vedove vittoriane, la regina in primis, si dovevano trascinare fino alla tomba alla morte del marito. Ci si aspetterebbe che un album con questo titolo (Tristania, 1998) sarebbe diventato la mia colonna sonora preferita in questo periodo, un grande funerale musicale perfettamente sintonizzato con il mio stato emotivo. E che avrei continuato con Sirenia, Draconian e compagnia funebre cantante.
Ebbene, stranamente sto trovando molta più consolazione nel pop che non nella patria di tutti i lutti musicali. Probabilmente, perché l’approccio diaristico delle cantautrici suona molto più genuino delle pompose parate celebrative del gothic metal: una Emilie Simon che piange delicatamente il fidanzato morto realmente ha un’autenticità che, per forza di cose, manca alle pallide maghette di Morten Veland, per non parlare dei suoi testi che continuano a rimestare il tema dopo un decennio e mezzo e finiscono per sembrare ancora più forzati e artificiosi. (Discorso a parte va fatto per Anders Jacobsson, che affronta il tema con molta più classe e intelligenza, ma ancora un po’ troppo ostentatazione; idem Amy Lee, più genuina ma ancora esageratamente tragica).

Sto cercando di dare alla musica un valore terapeutico perché, tanto per cambiare, sto reagendo al dolore rimuovendolo. In questi giorni non sento letteralmente nulla. Mi comporto quasi come se la morte di Murka non mi appartenesse già più, ma per farlo mi sono distaccato completamente dalle mie emozioni. Non ho voglia di impegnarmi in nulla, non ho voglia di parlare, me ne sto per lo più seduto a fissare il vuoto e sto scrivendo questo post, cuore in mano, solo perché sono a letto, non riesco a prendere sonno e il cellulare, su cui sto annotando tutto, non mi permette di navigare su Facebook in cerca di oppio virtuale.
A volte, vorrei davvero essere più onesto nell’ammettere che ho bisogno di provare dolore per sentirmi vivo.

Friday 14 February 2014

Welcome to Engagedland

Vuoi sapere qual è la verità sul tuo conto? Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio, neanche quello semplice e istintivo di riconoscere che... che a questo mondo ci si innamora, che si deve appartenere a qualcuno, perché questa è la sola maniera di poter essere felici.

Una cosa che mi urta parecchio del relazionarmi con le persone è il loro presupporre che tutte le mie miserie derivino dal mio essere single, come se trovare il Principe Azzurro fosse la panacea ad ogni male. Perfino (e anzi, soprattutto) i miei amici più stretti.
Sei depresso? Trovati qualcuno. Sei improduttivo? Trovati qualcuno. Ti è morta la gatta? Trovati qualcuno. Non sai da che parte cominciare a rimettere ordine nella tua vita? Trovati qualcuno. Vuoi smettere di essere meschino col resto dell’umanità per sentirti meno solo nella tua tristezza? Trovati qualcuno.
Ok, posso ammettere l’effetto placebo del fidanzamento, che costituisce una novità in una situazione stagnante e può dare un incentivo a scuotersi un po’, ma non è una soluzione di per sé. Passata la novità, cosa resta?
Meno tempo ed energie per lavorare su se stessi (non era una domanda retorica), visto che vanno ad aggiungersi alle proprie magagne anche quelle del partner. Una parola fuori posto e parte il dramma, un ex che si rifà vivo innesca una scenata, uno sguardo più lungo del dovuto ed ecco la gelosia, il tubetto del dentifricio lasciato aperto sarà rinfacciato al momento opportuno. Di fronte ai miei amici neofidanzati che millantano le gioie dell’innamoramento come antidepressivo naturale e poi si ritrovano a bisticciare per le più futili motivazioni, la mia risposta standard è diventata:
Welcome to Engagedland.

(Con tanto di arcobaleno di WhatsApp).
Perché siamo onesti: le paturnie di quando si era single sono forse magicamente svanite? No.

Sono d’accordo, una storia può essere un piacevole intermezzo mentre si cerca di fare un percorso di autoanalisi e migliorare le proprie debolezze, ma non certo il mezzo privilegiato per farlo. Paul Varjak può riempirsi la bocca quanto vuole sul fatto che si “debba” appartenere a qualcuno per convincere Holly a sganciargliela, ma non è una condizione necessaria per la realizzazione dell’essere umano. Se non si sta bene con se stessi c’è poco da fare.
A questo proposito, nonostante la mia non ottima opinione della psicologia e della sua catalogazione rigorosa delle emozioni, ho trovato molto illuminante la ruota di Plutchik, uno schema che riassume lo spettro emotivo umano in otto emozioni primarie fra loro opposte – gioia e tristezza, fiducia e disgusto, paura e rabbia, sorpresa e anticipazione – che possono avere vari gradi di intensità – la gioia può diventare estasi o semplice serenità, la tristezza lutto o malinconia, eccetera – e che, mischiandosi fra loro, costituiscono altre emozioni “derivate”. Insomma, basta vedere lo schema di cui sotto per farsene un’idea (grazie Wikipedia).
Prendendo il tutto con le doverose pinze, le risposte vengono fuori da sé. In piena tradizione Schopenhauer (leggi, lieve depressione), sono una persona sostanzialmente molto annoiata con occasionali momenti di malinconia (lo strato più sbiadito della parte blu-violetta dello schema), il che mi pone praticamente dalla parte opposta del diagramma rispetto all’ammoreh, il prodotto di gioia e fiducia, che sono il contrario dei miei stati d’animo prevalenti. Detto in soldoni, è fisiologico che non riesca a innamorarmi, visto che emotivamente non potrei trovarmi più distante dalle condizioni necessarie per poterlo fare in maniera costruttiva. Quindi non è che sono triste e annoiato perché non mi innamoro, ma non mi innamoro perché sono triste e annoiato.
Tutto ciò, sono il primo a riconoscerlo, rischia di diventare una perfetta auto-giustificazione per scaricare il “problema” e non preoccuparmi di risolverlo, tanto non posso farci niente perché è una specie di condizione esistenziale del momento, ma anche se la cosa va presa con le pinze (lo ribadisco), è comunque illuminante.
Pur volendo trealasciare malinconia e noia per non suonare melodrammatici, resta il fatto che una delle due componenti fondamentali dell’amore è la fiducia, la quale, per una serie di motivi, non è esattamente il primo sentimento che provo nei confronti dell’umanità. Dubito che la mera accettazione sia sufficiente, mentre se l’ammirazione può trasformarsi in una cotta, pone automaticamente a un livello diseguale con l’altra persona e non è assolutamente un buon presupposto per una relazione. Del resto, ammiro (e mi infatuo di) per lo più sconosciuti, e le cottarelle nate dall’ammirazione si sgonfiano non appena conosco i soggetti in questione e scopro i loro difetti da persone reali; d’altra parte, per fidarmi della gente ho bisogno di una valutazione oculata, a mente fredda, per questo anche l’amore rimane ovattato e al massimo diventa amicizia piuttosto che romanticismo.
Insomma, prima devo liberarmi delle mie magagne, poi potrò pensare a concentrarmi su qualcun altro.

Quindi, partendo dal presupposto che tutto ciò non sia una mia prerogativa esclusiva ma sia invece applicabile un po’ a tutti, cari i miei amici neo-fidanzati convinti di aver trovato il Santo Graal, non solo così facendo non avete risolto i vostri problemi, non solo ve ne siete aggiunti anche altri, ma addirittura i problemi personali non risolti, vostri e della vostra metà, saranno probabilmente la causa della crisi definitiva della vostra coppia quando verranno a galla. Prima di buttarvi fra le braccia di qualcuno, prendetevi un po’ di tempo per lavorare su voi stessi a mente sgombra, senza flirt o cotte di mezzo, e magari incoraggiate la vostra metà a fare altrettanto. Altrimenti, non lamentatevi e…
Welcome to Engagedland.

Sunday 9 February 2014

Together to be. Toghether, and be.


Murka è morta oggi alle 15:45 circa. Quattro ore fa.

Ha smesso di lottare, semplicemente. Quando è stata male lo scorso ottobre la Mater l’ha portata e riportata dal veterinario per curarla, e nonostante la diagnosi del tumore ai polmoni si era ripresa. Più fragile e magrolina, visibilmente più anziana, ma si era ripresa. Allora temevamo che non l’avrei rivista neanche durante le vacanze di natale, invece è stata con noi fino alla fine dell’anno, fino a quando sono ripartito. È stata bene, ha avuto qualche momento di inappetenza e qualche giorno in cui era più debole, ma era la stessa di sempre, affettuosa, giocherellona e dolce. Anche se forse sentiva che non sarebbe durata a lungo, perché si è lasciata scattare un mucchio di foto nonostante normalmente odiasse la macchina fotografica.
Ha tenuto duro tutto gennaio fino a mercoledì 29, due giorni prima che arrivassi, e da lì ha smesso di mangiare. Per una settimana io e la Mater siamo riusciti a convincerla, anche se con riluttanza, fino a questo venerdì, quando ha iniziato a rifiutare completamente il cibo. Ha smesso di farsi la toeletta e ha passato quasi tutto sabato in una specie di torpore nel suo cesto, alzandosi solo ogni tanto a bere e andare in bagno e gridando di dolore dopo un po’ che camminava.
Ieri notte è venuta a salutarci. Oggi la situazione si è aggravata definitivamente e abbiamo chiesto al veterinario di venire a visitarla a casa. Siamo rimasti con lei fino alla fine. Poi l’abbiamo portata in pineta e le abbiamo trovato un bel luogo.

Onestamente, non so nemmeno dire come sto in questo momento. Sono stanco – davvero tanto stanco – ma a parte quello vado a momenti. Quando mi guardo intorno in casa, la sua presenza aleggia ovunque. Non solo nei giocattoli sparsi per casa, nei cesti in cui dormiva, nel grattatoio, ma anche nelle nostre abitudini: la portafinestra della cucina da lasciare aperta perché è da lì che andava alla lettiera, la porta del bagno chiusa per non farle mangiare le piante, rimettere tutti gli oggetti a posto per non rischiare che li faccia cadere passando, la cautela nel camminare o aprire le porte per non rischiare di calpesterla. E qualsiasi movimento ai lati del campo visivo che mi sembra lei, la macchia scura del maglione sul letto che mi fa voltare la testa. In questi momenti non sto affatto bene.
Poi penso che, date le circostanze e la malattia, il modo in cui se n’è andata è stato il migliore possibile. Volendo fare il sentimentale, potrei dire che si è ripresa, ha regalato a me e alla Mater un natale tutti insieme, e poi mi ha aspettato per salutarmi prima di andare. Prima che Murka si aggravasse, la Mater sperava che, se ci fosse stato un aggravamento, che fosse mentre io non c’ero, così da risparmiarmi di vedere Murka che soffriva e dover prendere con lei la decisione di darle l’eutanasia. Col senno di poi, sono contento di essere stato con lei fino all’ultimo. Siamo sempre stati in tre, ed è in tre che ci siamo salutati. Se dopo essersi aggravata così fosse sopravvissuta fino alla mia partenza, avrei strappato il biglietto: non mi sarei potuto perdonare di essere partito. Avrei passato il resto della mia vita con il rimorso di averla abbandonata nel momento in cui era più fragile e aveva più bisogno di me. Invece sono stato l’ultimo a darle una carezza e un bacio sulla fronte prima che il veterinario le facesse l’ultima iniezione e la ricomponesse.

Spedirla ad un inceneritore in Lazio era fuori questione, così abbiamo trovato un bel posto in pineta, sotto un cespuglio, le abbiamo scavato una tomba, abbiamo gettato le prime due manciate di terra, un fiore ciascuno, poi ci abbiamo messo sopra una bella pietra e tre pigne, come noi eravamo in tre. In quel momento, e quando poi abbiamo fatto un giro in macchina, eravamo almeno un po’ più sereni: abbiamo sempre cercato di darle una bella vita, sia in termini di comfort, sia quanto ad affetto. Penso siano stati sedici anni e mezzo felici per lei.
Ora, senza di lei la casa è vuota. La frase più cliché che possa esistere, ma è vero: da che viviamo qui, lei è stata con noi. L’abbiamo presa due settimane dopo esserci trasferiti, è stata una presenza costante e abituarsi a non averla sarà tremendo. In particolare per la Mater, che ha continuato a vivere da sola con lei per tutti questi anni, ma anche a me farà strano pensare di tornare per le vacanze in una casa in cui lei non c’è. Lei, che era sempre la prima che salutavamo rientrando in casa e l’ultima quando uscivamo, e che con la sua sola presenza dava più conforto di mille parole.

(Ps: non ho la forza di rileggere questo post, sarà pieno di strafalcioni stilistici e cliché mielosi, ma non me ne frega nulla.)

Together by GothicNarcissusYou said, ‘You don’t have to speak.
I can hear you,
I can feel all the things you’ve ever felt before.’
I said, ‘It’s been a long time
Since someone looked at me that way.
It’s like you knew me
And all the things I couldn’t say.’

Together to be.
Together and be.
Together to be.
Together and be.
[ The xx ]