Wednesday 4 May 2016

Al gioco del trono o si perde o si perde.

Nel caso di Gionsnò, soprattutto, non c’è una terza possibilità.

Diciamolo sinceramente: un po’ Game of Thrones sta raccogliendo quello che ha seminato. La quinta stagione è stata un grosso pasticcio che ha deluso molti (troppi) spettatori; ricevere una vera seconda possibilità è difficile per una serie tv: quando lo spettatore si sente tradito, è disilluso e inizia ad aspettare lo show al varco, pronto a sottolineare tutti gli diferti su cui prima, con gli occhi a cuoricino, soprassedeva. Questa è e continuerà a essere la maledizione della sesta stagione, e molte delle idee che presenterà saranno accolte con lo scetticismo che un po’ di cura in più in passato avrebbe evitato.
C’è anche l’altro grosso problema: difficilmente ai lettori andrà davvero bene qualcosa. Qui non si tratta più di soddisfare aspttative nate in un anno di pausa della serie: buona parte degli eventi di quest’anno vanno a dare risposte ad almeno cinque anni, cinque, di domande, speculazioni, teorie, controteorie e analisi che girano da quando Martin ha pubblicato l’ultimo libro fitto di cliffhanger, A Dance With Dragons, nel 2011. Ora, più il tempo passa, più le aspettative crescono: mentre aspetti che la serie vada avanti, cosa ti resta se non cercare indizi su come andranno le cose perfino nella disposizione delle virgole?
Se fosse stato Martin stesso a spezzare l’attesa e dare le risposte, avrebbe avuto modo di ripagare l’attesa. La pagina scritta è uno strumento potentissimo che permette di indugiare su una scena, fornire dettagli, sviscerare le emozioni e i pensieri dei personaggi coinvolti, di riempire con qualcosa di sostanziale quel lasso di tempo in cui si procrastina un evento per far crescere la tensione. Lo schermo semplicemente non ha questo potere perché deve economizzare il tempo a sua disposizione: niente monologhi interiori che riempiono il build up, ed è più probabile che il grande momento sbatta la faccia per terra quando arriva.

Per questo, la resurrezione di Gionsnò non avrebbe mai, mai, MAI potuto essere soddisfacente nello show per chi la aspetta da anni sulla pagina. In primo luogo per i motivi di cui sopra. E poi perché diciamolo: non è un colpo di scena. Ce lo aspettavamo tutti, abbiamo avuto il tempo per abituarci all’idea e prevederla. In questi cinque anni, i lettori hanno teorizzato a lungo su come Melisandre avrebbe riportato indietro Gionsnò; o che non sarebbe stata lei, ma gli Altri, o il legame magico con Ghost, o il sangue Targaryen, o qualcos’altro. Qualsiasi teoria fosse stata concepita, o è stata confermata e quindi “la scena è stata prevedibile”, o, pur essendosi rivelata errata, ha avuto il tempo di far affezionare i lettori tanto da rendere qualsiasi alternativa scialba a confronto.
Per quanto riguarda la scenicità, forse una grande pira funebre con i poteri del Dio della Luce che fanno i fuochi d’artificio sarebbe stata più d’effetto, ma avrebbe avuto senso nel contesto dello show? Thoros di Myr ha riportato indietro Barric Dondarion con una preghiera e un gioco di mani proprio come ha fatto Melisandre, senza effetti speciali: abbiamo avuto tre stagioni per dimenticarcene, ma i fuochi pirotecnici avrebbero fatto storcere il naso a quelli che se ne ricordavano. Insomma, o da una parte o dall’altra non era proprio possibile accontentare il pubblico.
Anche dal punto di vista delle tempistiche la faccenda è perniciosa. La resurrezione di Gionsnò è stata improvvisa, sì, ma qual era l’alternativa? Altri cinque episodi con Kit Harrington sdraiato sul tavolo in rigor mortis, Melisandre con lo sguardo vacuo e Ser Cipolla che le fa pat pat sulla spalla per incoraggiarla? Cioè, cinque episodi non sono cinque capitoli di libro: quelli li divori, assieme a tutto ciò che c’è nel mezzo, in una, due sere, mentre cinque episodi sono cinque settimane di attesa e metà della stagione in cui non accade niente. In termini cinematografici, più che costruire la tensione sarebbe stato anticlimatico e avrebbe scatenato sbadigli. L’alternativa, quindi, era deluderci o annoiarci: lo show perde in ogni caso.

E non dico che sia privo di colpe, eh! È vero che la resurrezione di Gionsnò sta a questi due episodi come la walk of shame di Cersei sta alla scorsa stagione: quella è stata l’ennesima prevaricazione di una donna in una stagione che ne è stata piena, questo è l’ennesimo colpo di scena in due episodi con più plot twist di una soap opera. Insomma, si è persa un po’ nella freneticità degli eventi e non è spiccata abbastanza.
Ma resta il fatto che non possiamo giudicare lo show sulla base delle aspettative che la mancata uscita di The Winds Of Winter non ha soddisfatto: quelle domande che ci facciamo da anni non potranno essere soddisfatte con tanta profondità su schermo quanto lo sarebbero state su carta, vuoi per la differenza del mezzo comunicativo, vuoi per esigenze di adattamento, vuoi perché il tempo dello show è limitato in un modo in cui una mole di testo non lo è. Dobbiamo rassegnarci alla cosa e dare un po’ più di credito alla serie, se vogliamo continuare a guardarla. E criticarla dove davvero fa porcherie che non stanno né in cielo né in terra (sto guardando te, Dorne).
Tutto questo bisogna tenerlo a mente soprattutto la prossima settimana, specie se si segue i libri da tanto tempo: sono pronto a scommettere che avremo la conferma che R+L=J e stavolta gli anni di aspettativa per molti saranno venti. Non sarà mai come ce lo siamo immaginati, ma almeno la trama andrà avanti e avremo risposte certe: accontentiamoci.

Detto ciò, occupiamoci di personaggi di cui vale la pena occuparsi: FREE MARGAERY.

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