Sunday 18 September 2016

La vita in campagna è sopravvalutata

A me la vita agreste fa schifo. Sarà un’opinione impopolare, ma è così: bella la campagna, nulla da dire… a piccole dosi, una volta ogni tanto. L’unica cosa che apprezzo davvero delle comunità rurali è che la frutta e la verdura sono molto più buone che in città, per il resto grazie ma no, grazie.
E francamente non è nemmeno un atteggiamento che ho acquisito mentre, crescendo, l’establishment ha avuto il tempo di avvelenarmi la mente con consumismo, regole sociali artificiali e le altre scemenze che i fricchettoni gli rinfacciano: la mia infanzia ha preceduto di molto la diffusione di computer e cellulari, e perfino i videogiochi erano rarissimi nel paesino in cui vivevo. Eppure, già da piccolo non mi piaceva sporcarmi di sudore, rotolarmi nella polvere, chiazzarmi di fango e urlare come un forsennato: sono sempre stato più il tipo da Lego sul tappeto, vinile o musicassetta nell’impianto hi-fi e libro da leggere in poltrona. E quell’oretta e mezza di tv quando c’erano i miei cartoni preferiti. Sono proprio uscito dalla fabbrica con il gusto per le comodità moderne, e ciò non ha minimamente handicappato la mia fantasia, il piacere del gioco, o la voglia di conoscere ed esplorare il mondo.

Io a quattro anni: bei vestiti, poltrona in broccato e LP di Bach.

Per questo, da ex-bambino, nutro qualche dubbio sulle implicazioni dello stile di vita che la signora Niki Boon, ex-fisioterapista-ora-fotografa neozelandese, ha scelto per i suoi figli. Da “collega” a “collega”, trovo le sue foto spettacolari sia per tecnica, sia per espressività: i bianchi e neri sono fantastici, le messe a fuoco e le prospettive perfettamente riuscite, e la storia che vuole raccontare, il messaggio che vuole trasmettere, si intuiscono perfettamente. Anzi, francamente li tollero pure bene: non è quella glorificazione fine a se stessa delle piccole banalità quotidiane, la ricerca della dignità artistica del mondano e triviale che gli hipster usano per fingersi sensibili e intellettuali; no, Niki crede davvero in quello che fa, per questo non risulta un vuoto esercizio di concetto. Io non riuscirei a fare delle foto del genere perché non vedo nulla che valga la pena immortalare nella quotidianità, e un po’ invidio il suo punto di vista.

Ciò che non invidio è, invece, l’infanzia da favola che sta regalando ai suoi figli – almeno per come la presenta sul suo sito. Perché siamo realisti: a meno che non si prospetti loro un futuro da agricoltori di sussistenza nel loro microcosmo dorato, riderò molto per lo shock culturale quando dovranno rientrare in un mondo ancora più tecnologico di quello odierno senza averne esperienza. Perché è vero, io ho trascorso un’infanzia non tecnologica e poi ho imparato comunque, ma è anche vero che buona parte della tecnologia che uso oggi è nata e cresciuta assieme a me, e io ho imparato a usarla con la stessa gradualità con cui si diffondeva. Questi bambini invece avranno decenni di progresso tecnologico sconosciuto. In un mondo che va sempre più veloce, ci si può illudere quanto si vuole di potersi ribellare rallentando e guardando dall’altra parte, ma la verità è che si finisce solo per restare indietro. Per quanto la tecnologia stia realmente diventando troppo invasiva e io stesso faccia fatica a capire cosa se ne facciano di uno smartphone ultimo modello i bambini delle elementari, la soluzione non è rinunciare del tutto alla modernità, è trovare il giusto equilibrio fra la passeggiata all’aperto e i giochi in casa, il buon libro e il cartone animato, il videogioco e il gioco pratico.

Per concludere, mi sono imbattuto nei lavori di Niki su questo articolo, la cui parte migliore sono i commenti di quelli che vagheggiano la magia, la bellezza e la genuinità della vita agreste a contatto con la terra, lontano dal veleno della modernità… scrivendo dai computer o dagli smartphone.
Perché guardiamoci in faccia e diciamoci la verità: la vita agreste fa schifo a tutti. Niki Boon l’ha presentata come l’alternativa migliore per e, almeno secondo lei, per i suoi figli. Scommetto che, dopo un giorno e mezzo di isolamento in campagna, a tutti quelli che osannano quello come lo stile di vita universalmente migliore mancherebbe la comodità di comunicare in qualsiasi momento serva, o avere ogni informazione a portata di mano, negozi e ristoranti vicini, poter chiamare il takeaway se una sera non si ha voglia di cucinare… e urlare la loro inutile opinione comodamente seduti dietro il computer o con lo smartphone in mano. Perché è grazie a internet e alla tecnologia che hanno scoperto la bellezza di essere unici, inimitabili, sempre controcorrente e sempre su un palco da cui parlare. Perché è bello essere piccoli fiocchi di neve che spiccano nell’alienante massa umana che è la società moderna, uniformata ancora di più da Internet, ma tutti continiuamo ad approfittarne quando ci fa comodo (ovvero tutte le ore di tutti i giorni).
La verità è che, in mezzo alla natura e senza tecnologia, comodità e convenzioni, chiunque di noi sarebbe perso.

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