Sunday 23 October 2016

Justice for Luana

Nel post sul famoso litigio dei piatti sporchi, avevo promesso che avrei parlato, in concomitanza di un altro anniversario, di ciò che successe fra la sfortunata gita nei pressi di Roma e lo stalking da parte di Quella Luana negli anni successivi. Poi me ne sono del tutto dimenticato, ma quest’altro anniversario era l’aver iniziato a indossare la chiavetta d’oro al collo.
Per riassumere, Luana mi aveva regalato un pendente d’oro a forma di metà cuore con su scritto 4ever Friends da una parte e Lola dall’altra. Lei aveva l’altra metà, quella con Alex. Siccome le mie opzioni circa le catenine su cui portare il pendente erano nulle, la Mater mi regalò la sua catenina preferita. Da allora, non la tolsi praticamente più.
Il sabato in cui Quella Luana e suo padre mi riaccompagnarono a Civitavecchia per prendere il traghetto del ritorno, lei era vestita dimostrativamente molto scollata, con una collana floreale intorno al collo ma senza la catenina 4ever Friends – Alex. Una volta tornato a casa, decisi di fare altrettanto, ma mi dispiaceva non indossare più la catenina, visto che nel frattempo la Mater ne aveva già comprata una nuova per sé. Così mi ricordai che i miei genitori avevano comprato casa quando io avevo pochissime settimane e i precedenti proprietari mi avevano regalato un ciondolo a forma di chiave come buon augurio.
Caso volle che in quei mesi fossi tutto un fremito per l’imminente arrivo di The Open Door degli Evanescence; il primo singolo, Call Me When You’re Sober, uscì proprio nelle settimane del dramma di Luana e parlava di Amy che trovava la forza di terminare un rapporto tossico senza rimpianti, ripensamenti e lacrime. Quale migliore coincidenza? Da allora, la chiave è quella della open door da cui escono le persone tossiche della mia vita e la indosso 24/7 per ricordarmi che non devo farmi del male pur di salvare un rapporto esausto.

Una foto pubblicata da Alessandro Narciso (@gothicnarcissus) in data:

Tutto bello e tutto facile sulla carta; nella realtà un po’ meno. Perché se la colpa del litigio grosso, quello che ha mandato tutto in frantumi, fu sua (e su questo non sono disposto a negoziare), il conseguente degenerare della situazione fu in buona parte colpa mia. All’epoca mi giustificai dicendo che povera Luana, a parte me davvero non aveva nessuno; che se me ne andavo io, chi le rimaneva? Che ero meschino a prendermela così per uno screzio, che la mia rabbia era solo una fase, che se aspettavo, se mi sforzavo, saremmo tornati come prima. O che, in alternativa, prima o poi si sarebbe stancata lei di cercarmi a vuoto.
Fatto sta che, qualche mese dopo, Luana mi contattò in lacrime per dirmi che le era morto il cane. Sul momento, le offrii conforto; lei colse la palla al balzo e tornò come se nulla fosse successo. “Allora, Ale, come va con pianoforte? Hai iniziato a fare canto? Dai, che dobbiamo mettere su una band! Mi traduci questo testo che ho scritto sulla morte di Ice?”. Non mi chiese mai scusa per quello che era successo, io non glielo feci mai notare perché mi sembrava assurdo che non ci arrivasse lei. Eppure, proprio il fatto che non ci avesse nemmeno pensato, che forse era il caso di provare a rimediare, mi ferì ancora di più. Vedere il suo numero in chiamata mi rivoltava letteralmente lo stomaco. Solo che, invece che fare chiarezza e dirle senza mezzi termini che a) mi doveva delle grosse scuse, e b) in ogni caso poteva infilarsele dove le pareva perché non era possibile tornare a com’eravamo prima, feci il gioco del silenzio e sperai che si stancasse di essere accolta con storie inverosimili quella volta ogni dieci che le rispondevo al telefono. Ciliegina sulla torta, quando di troncare si trattò, usai un ennesimo pretesto, e solo quando nemmeno questo fu sufficiente le dissi che, semplicemente, non provavo più amicizia per lei dopo quello che era successo l’estate prima. Troppo tardi, quando ormai il torto era diventato mio. Quando avevo lasciato che la situazione si putrefacesse invece che mettere un punto fermo, risparmiare false speranze a lei e tanto logorio di nervi a me.

Parlandone col terapeuta, è emerso che, in sostanza, ho una paura fottuta dei distacchi. Consensuali o non consensuali, naturali o prematuri, con persone, attività, situazioni, cose: qualsiasi sia il distacco, mi spaventa tanto che preferisco una situazione stagnante e insoddisfacente piuttosto che affrontare la fine di qualcosa. Vero, progetto degli Infernal Lords lasciato a due lavori dal completamento perché non mi decido a organizzare questi ultimi shoot?
Comunque, in dieci anni, si spera, sono maturato. Ho avuto il tempo di processare la faccenda di Luana e imparare dai miei errori. Se anche devo essere io a prendermi la colpa di aver sfasciato tutto ufficialmente perché non so scendere a compromessi, sticazzi, rivendico con orgoglio di essere brutto e cattivo, anche più di quanto non lo sia realmente.
Fin qui, ho scritto questo post al primo pomeriggio, rimettendo i fatti in ordine e chiarendomi le idee. Adesso, dopo una passeggiata per riflettere meglio, alcune ultime faccende sbrigate ad Alghero prima di ripartire e, soprattutto, concluso con due lunghissimi messaggi e un’ora e nove minuti di telefonata un rapporto d’amicizia che era diventato profondamente insoddisfacente, posso dirlo: Luana, cara Luana, Quella Luana, finalmente ho imparato la lezione che avrei dovuto imparare con te. Che la gente non mi legge nel pensiero e, se voglio concludere un rapporto, devo semplicemente farlo. Le mezze soluzioni non sono soluzioni.
Spero che questo sia almeno una briciola della giustizia che avrei dovuto farti.

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