Thursday 19 July 2018

Breathe easy

Sono meravigliato da come i preparativi per la Festa dell’Unicorno e conseguente viaggio in Sardegna stiano procedendo bene quest’anno. L’unico vero intoppo è che ho procrastinato fino a tre giorni fa il consueto spam sui gruppi cosplay per cercare qualche ingaggio ma, in due giorni, ho recuperato alla grande e ho un’agenda bella piena.
A parte questo, mi sono mosso per tempo su tutti i fronti: cercare alloggio, superare un po’ di palleggio fra alcune opzioni, prenotare i treni e il volo per giù… siamo al 20 di luglio, parto fra una settimana e tutto, tutto ciò che è organizzabile in anticipo è pronto. Ho perfino comprato la crema solare, e il pacco e la valigia sono già mezzi fatti, con tanto di elenco di cosa aggiungere.

Francamente non so a cosa dare il merito: un po’ alla terapia, che mi ha dato la forza di credere nelle mie doti organizzative e la disciplina per metterle in atto in tempi utili; un po’ al fatto che, per una volta, ho motivi per essere entusiasta di partire in Sardegna, e Vinci sarà un intermezzo faticosissimo ma piacevole. L’unico rammarico è che, per il secondo anno consecutivo, non ho ritagliato un paio di giorni per visitare Firenze, ma sono strettissimo di soldi e mi devo accontentare.

Mi fa un po’ strano assaporare un momento in cui davvero sento positività, sono soddisfatto di me stesso e riesco a guardare alle prossime settimane con entusiasmo invece che col terrore che uno dei diecimila ipotetici scenari apocalittici si avveri. Ma respirare con leggerezza ogni tanto non guasta.

Thursday 12 July 2018

I penultimi

Prima che degenerasse e diventasse una riflessione lunga e articolata, il post precedente è nato come preambolo a un altro discorso. TL;DR, non sono uno di quelli che, per principio, fanno finta che i fenomeni migratori attuali non siano un problema e che vada tutto bene: anzi, è essenziale riconoscere che sono un problema enorme su tantissimi livelli. Tuttavia, in situazioni così complesse, la colpa non è mai unilaterale: le persone che arrivano qui causano problemi, la società che risponde con ostilità ne causa altri.
Ricordate che le cose non sono mai facili come “rimandiamoli a casa loro, altrimenti sei un buonista” o “solidarietà totale e incondizionata, altrimenti sei un fascista”. Quelli sono slogan.

Detto questo, se, nonostante tutti i problemi che l’immigrazione comporta, sono  fortemente avverso alle politiche restrittive dell’attuale governo, è per motivi strettamente pragmatici. In primo luogo perché, checché ne pensi io, o tu, o chiunque, non si può fermare l’immigrazione: la gente continuerà ad arrivare, quindi tanto vale iniziare subito ad approcciarvisi in maniera costruttiva piuttosto che preoccuparsene solo a parole.
In secondo luogo perché non si può essere penultimi per sempre.

Siamo onesti: dei problemi concreti che l’immigrazione porta, tra cui quelli del post precedente, il governo non parla nemmeno. L’immigrazione è stata ridotta a una nebulosa “emergenza” da agitare per stimolare i consensi, fumo da gettare negli occhi per due motivi: il primo, il più ovvio, è distrarre l’opinione pubblica dai veri guai del paese; il secondo è creare precedenti.
Cosa c’è di meglio che creare un problema gravissimo, da risolvere assolutamente, per far chiudere un occhio sui metodi? Questi sporchi migranti non devono entrare: il governo deve fare qualcosa, costi quel che costi. Ed ecco che abbiamo ministri che superano i loro limiti, violano le competenze di altri ministeri, scavalcano tutti gli strumenti democratici che la Repubblica mette a loro disposizione, e l’opinione pubblica tace pur di veder sconfitto il nemico designato. In fondo, loro sono dalla parte della maggioranza che detta le regole, non della minoranza che le subisce.

Beh, a me questa cosa preoccupa parecchio, perché so che sarò il prossimo.
Se il governo decide di considerare delle persone subumane in base alla provenienza, lo fa con metodi antidemocratici fregandosene dei limiti che la Repubblica gli mette proprio per evitare che gli untori di turno vengano linciati, e l’opinione pubblica dà un tacito benestare perché tanto sono problemi degli altri, quanto passerà prima che decida che altre persone sono subumane in base, che so, all’orientamento sessuale? Anche lì, per la maggior parte dell’opinione pubblica, saranno problemi degli altri.
Quando la credibilità di un governo si basa su puntare il dito verso fuori in modo da aumentare la coesione interna e, al tempo stesso, nascondere i problemi, ci dovrà essere sempre un nemico da additare. E una volta eliminati gli ultimi, i penultimi prenderanno il loro posto.
Ci stiamo già stancando dei migranti, presto servirà qualcun altro con cui riempire il dibattito pubblico a discapito dei veri problemi. I gay sono i prossimi sulla lista, quei penultimi tollerati temporaneamente perché c’è altro di cui parlare. Poi ci sono le donne, che signora mia, queste ragazze d’oggi rovinano la morale, pretendono di essere indipendenti, di decidere del loro corpo e della loro vita. Poi ci saranno gli invalidi, che non è giusto dare i soldi a loro invece che alla gente che lavora, contribuisce e poi ha sfortuna e si trova disoccupata. E allora gli anziani, che si prendono soldi e sperperano risorse mediche in continuazione?
Questo discorso si può applicare a chiunque. E una volta che si è dato il via libera, che si è applaudito quando si è tolto qualcosa ai più deboli, che ci si è lavati le mani quando si è oppresso qualcuno che non era noi, chi ha interesse sbandiererà quel precedente in faccia a quelli che si opporranno perché a questo giro saranno toccati personalmente.

E no, non è fantapolitica, non è esagerazione, non è Orwell, non è paranoia. Non dico nemmeno che bisogna tornare indietro di ottanta-novant’anni, in una situazione simile ma dal contesto diverso, per trovare le conferme di quello che dico: basta guardarsi intorno dalla comodità degli Anni Dieci del Ventunesimo Secolo.
L’Ungheria ha “risolto” il problema migranti – loro possono, visto che hanno solo frontiere via terra che possono fortificare – e di cosa parlano adesso? Di come Billy Elliot possa “promuovere l’omosessualità”. Finito con i migranti, iniziano con i gay.
La Polonia è ancora più avanti: ha finito anche con i gay, e di cosa si sta occupando? Di rendere illegale l’aborto e togliere così un diritto alle donne.
Apriamo le scommesse su chi saranno i prossimi?

Perché è così che funzionano, questi governi del popolo. Il “popolo” che “governa”, che viene rappresentato, diventa sempre più elitario man mano si fanno fuori gli ultimi, poi i penultimi, i terzultimi, i quartultimi, finché tutti, chi in un modo e chi in un altro, sono privati di qualche diritto, oppressi in qualche modo, vilipesi e accusati di essere un peso per la nazione, e a stare bene sono i soliti pochi, la “ka$ta!!!” che si pensava di contrastare.
Per questo è fondamentale puntare i piedi e dire che no, non va bene, non si può creare un precedente sulla pelle altrui soltanto perché a noi personalmente non tocca. Perché la dura realtà è che non saremo per sempre i penultimi.

Tuesday 10 July 2018

Leggete fino in fondo prima di triggerarvi

A me i migranti non è che piacciano. Nel senso, non parlo di singoli individui, o l’idea generale che una persona vada ad abitare in un paese diverso dal proprio: chiaro che non li caccerei a pedate e ruspe nel momento del bisogno, né negherei loro diritti e dignità umana. Intendo che come fenomeno sociale, non sono attivamente contento che arrivino qui: mi ci rassegno, riconosco la necessità di fornire accoglienza e aiuto, ma senza trasporto ed entusiasmo. In un dibattito pubblico esacerbato al punto che o si è fascisti e li si lascia affogare, o si è buonisti e li si accoglie senza riserve, mi tengo strette le mie gradazioni intermedie.
Il fatto è questo: mi considero un eclettico e adoro entrare in contatto con culture diverse; ritengo che la libera circolazione, specie di persone, sia il motore del mondo. Se vivo in un paese, me ne piace un altro, o mi ci si prospetta un trasferimento per lavoro, o mi innamoro e voglio sposarmi con un suo cittadino, parto con un piano, ho tempo di informarmi sulla cultura da cui mi troverò a vivere (spesso, anzi, l’amore per quella cultura è ciò che mi spinge a trasferirmi) e, soprattutto, sono io, un solo individuo.
Ma un numero imprecisato di persone alla deriva, in arrivo in un paese a caso di cui probabilmente sanno ben poco, che magari nemmeno piacerà loro a livello socio-culturale, sono un problema sotto tantissimi punti di vista: economico, infrastrutturale, culturale. Un problema che va riconosciuto come tale, e per risolvere o quantomeno mitigare il quale vanno prese delle misure.

È da giorni che rimugino su un episodio che mi è successo sabato scorso. Ero seduto a mangiare qualcosa con tre amici – due ragazze  un ragazzo – e si è avvicinato uno di quei venditori ambulanti di chincaglieria. “Dai, prendi per moglie, e lui per sua”, fa lui.
No, dico io, non siamo sposati. Davvero, non sono il marito. No, sul serio. Finché una delle ragazze si è spazientita e si è inventata che: “Guarda, sto con lei, siamo lesbiche.”
Ecco, nel giro di un minuto e mezzo, le implicazioni da parte di quello che era un ragazzo probabilmente anche più giovane di me sono state che: a) alla mia età dovrei già essere sposato, b) rigorosamente con qualcuno del sesso opposto, perché c) “No lesbiche! No va bene.”

Sul momento, pur senza esternare nulla, mi sono un po’ incazzato. Come ti permetti?
Fino a prova contraria, siamo a casa mia, dove lesbiche va bene eccome; se a te non va a genio, nessuno ti trattiene, tanti saluti e care cose. Sinceramente, ho fin troppo da fare con gli Adinolfi nostrani, non ho bisogno che arrivino quelli d’importazione a dar loro manforte.
In effetti, una cosa che non tollero è l’atteggiamento di quella che Maajid Nawaz definisce “sinistra regressista”: la diversità culturale non è una scusa per condonare posizioni reazionarie e illiberali per paura di sembrare razzisti. Se al tuo paese le donne non possono guidare, o uscire di casa da sole, o addirittura subiscono mutilazioni, non è multiculturalismo, ma anacronismo o barbarie. Se gli omosessuali vengono repressi o addirittura uccisi, non è “un’altra cultura”, è orrore. E via dicendo. Fartelo notare non fa di me un razzista, né significa che manco di rispetto alla tua cultura: multiculturalismo è vedersi riconosciuto il diritto a mantenere un’identità propria, ma in un’ottica di regole sociali orientate al progresso comune. A maggior ragione se arrivi in un paese che non è il tuo, e ancora di più se queste regole sono più avanzate delle tue in campo di diritti umani: non importa se provieni da un paese in cui la religione è più pervasiva a livello politico e sociale, è una cosa che ti lasci alle spalle nel momento in cui sbarchi qui. Se poi fai certe esternazioni, aspettati gli stessi insulti che si becca la Meloni: farti notare che sei un bigotto del cazzo non manca di rispetto alla tua cultura, né fa di me un razzista.

Ma c’è il rovescio della medaglia.
Come posso pretendere che una persona sradicata dal suo paese, impacchettata e spedita a una destinazione a caso arrivi spontaneamente a un simile cambiamento di mentalità? L’integrazione e il multiculturalismo sono un processo a due direzioni: se la cultura d’arrivo non fa lo sforzo quantomeno di presentarsi, non verrà mai capita.
È irrealistico aspettarsi che uno straniero che arriva in Italia assorba la (relativa) maggiore libertà di costumi se la società italiana lo marginalizza senza pietà. Se lo rinchiude nei centri d’accoglienza, lo tiene sospeso per mesi o anni senza che sappia cosa fare della sua vita, lo lascia a elemosinare o vendere paccottiglia in balia del racket, gli impedisce di mescolarsi col resto della popolazione e assorbirne gli usi. Si va a creare una bolla completamente isolata in cui la gente è, oltretutto, esasperata e ancora meno incline all’apertura.
Mi viene in mente un ragazzo rifugiato iracheno con cui sono uscito l’anno scorso: represso, insospettabile, terrorizzato anche solo a limonare in pubblico perché, se si fosse fatto beccare da qualcuno dei suoi compagni, avrebbe perso quel poco di sistema di supporto che gli rimaneva, visto che la sua situazione gli impediva di crearsene uno nuovo qui. Sì, la colpa è dei suoi compagni che si aggrappano a posizioni superate, e anche un po’ sua che non impara a fregarsene e vivere la sua vita. Ma chi li ha lasciati lì, senza contatti con la cultura occidentale, senza spiegare cosa è socialmente accettabile, perché si è superato quel tipo di discriminazione e perché vivremmo meglio tutti, loro compresi, se superassero quel certo pregiudizio, è la società in cui so sono trovati, la nostra.

Riflettendo sull’avvenimento di sabato, sono arrivato alla conclusione che è proprio vero che siamo noi a creare i mostri di cui abbiamo paura, marginalizzandoli e non mostrando apertura: la crescita personale e sociale avviene tramite il contatto con gli altri, e la colpa sta tanto nel non recepirlo quanto nel non offrirlo.
E poi, pragmaticamente parlando, se noi facciamo la nostra parte, ci mostriamo disponibili, aperti e comunicativi, e loro continuano a non volerne sapere, ecco che ci troviamo davvero in diritto di mandarli a fanculo: noi la nostra parte l’abbiamo fatta, il resto della responsabilità è loro e possiamo farla pesare senza sentirci dire di non aver fatto abbastanza. Che il fine sia un “noi” più ampio, un effettivo miglioramento sociale collettivo per le mele buone, o cercare la superiorità morale per “non essere razzisti ma” nell’ottica del “noi e loro” con le mele marce, forse questo è l’unico compromesso che lascia tutti con qualcosa in mano.

Piccolo inciso finale: mi rendo conto che come discorso può suonare condiscendente, la solita Europa che pretende di mostrare la via al mondo quando ancora non sa da che parte andare. Ma rivendicare che, nonostante tutto il lavoro che c’è ancora da fare, l’Occidente sia politicamente e socialmente più avanti di mezzo mondo in campo di diritti umani… beh, è un dato di fatto, e non c’è “lezione di vita nei luoghi che non ti aspetteresti” che possa cambiarlo. Così come pretendere che tutti gli altri si adeguino non è mancanza di rispetto o colonialismo culturale, è sacrosanto.
Ovviamente, è l’Occidente per primo a doversi ricordare che i diritti civili per tutti, anche per chi arriva, sono i suoi princìpi fondanti, altrimenti siamo tutti con l’acqua alla gola.