Monday 29 October 2018

Silver lining

Non riesco a decidermi: sono stanco che la vita mi metta i bastoni fra le ruote a ogni piccolo passo che tento di fare? O sono grato perché, se non altro, le cose brutte capitano in momenti in cui fanno pochi danni e, anzi, mi permettono di correre ai ripari?

Evelyn (la mia 5D) mi ha quasi tradito. Data la mole di commissioni a Lucca, sapevo che avrei avuto problemi di spazio di archiviazione per la fotocamera. Il piano originale era comprarmi una scheda più capiente con l’Amazon Prime di Giulia (una delle schede vecchie è morta improvvisamente l’anno scorso; i dati sono ancora tutti lì, ma non scrive né cancella alcuna foto), ma poi sono stato male tutta la settimana, non ci siamo visti, non le ho dato i soldi per l’acquisto e non mi sembrava il caso di farmeli anticipare (anche se lei, che è una persona buona, l’avrebbe fatto). Il piano B era di portarmi il Mac a Lucca in modo da scaricare ogni giorno le foto e avere di volta in volta nuovo spazio libero.
Ebbene, in questi giorni ho fatto alcune foto per un piccolo progetto fotografico che bolle in pentola e, prima di partire, ho pensato fosse il caso di scaricarle. Sorpresa: il computer non mi trova più la fotocamera.
Ho avuto il mio bell’attacco di panico, ho chiamato Katia perché è l’unica persona capace di tenermi integro in quei momenti, ho iniziato a escludere le possibili cause (non era il cavo, non era il Mac, vuol dire che era la fotocamera, ma i dati sono dentro, quindi era il collegamento) e, con qualche piccola procrastinazione, sono andato fino a Mediaworld, dall’altra parte della città, a comprare sia una nuova scheda capiente, sia un lettore. Cosa che avre dovuto fare da anni, come i veri fotografi, ma che ho sempre rimandato perché meh, sono soldi, per ora sto bene così.
Il risultato? Usare il lettore è ovviamente la cosa più bella e semplice del mondo, ho triplicato il mio spazio in memoria, tutto si è risolto e sono felice e contento. Il piano A è di nuovo in auge, sebbene più costoso che con Amazon, e mi porto comunque il B come back up.

Solo che, porca miseria, questo contrattempo doveva proprio capitarmi ora? Letteralmente il giorno prima di partire per il Lucca in cui sono più oberato di lavoro da che ho iniziato a scattare su commissione? Non ho già abbastanza stress per le mani? Avevo bisogno anche di questo? Niente gioie, solo sfortuna?
D’altro canto, oh, meglio che sia capitato il giorno prima, all’ultimo momento utile per correre ai ripari sapendo dove sono i negozi e cosa cercare, piuttosto che in viaggio, o lì nel bel mezzo della fiera, magari durante il ponte dei Santi o la domenica. Quello sì che sarebbe stato tragico, e allora la tempistica è stata davvero una fortuna.
E comunque, tolto il comprensibile momento di panico e quei pochi momenti in cui ho desiderato o contattare tutti e far saltare i lavori, o semplicemente morire, ho raccolto il sangue freddo e mi sono dimostrato per l’ennesima volta all’altezza della situazione.

Quindi niente, questa è la tipica cloud with a silver lining. Superata la crisi, quasi quasi sono pià propenso per la gratitudine e considerare le tempistiche fortunate.

Saturday 27 October 2018

Pat-pat sulla spalla

Mancano tre giorni alla partenza per Lucca. Non ne sono entusiasta come lo ero quest’estate per Vinci, ma ne sono sicuramente orgoglioso. Mi sono scoperto davvero efficiente. Ho delle doti organizzative, riesco a metterle a frutto e sono a un passo da una partenza in cui tutto ciò che è umanamente sotto il mio controllo è al suo posto.
La casa è lì ed è sempre la stessa; non me ne sono occupato io, ma contribuirò lì a non far nascere un’altra Luana e meritarmi il posto per l’anno prossimo. I biglietti del treno li ho comprati già a giugno al prezzo più conveniente con un assist di Giulia; vero che poi sono impazzito per tutta l’estate, convinto di aver dimenticato il ritorno sul bancone quando erano semplicemente pinzati talmente bene che non si sfogliavano, ma fa parte del processo di preparazione. E poi ci sono gli appuntamenti.

A questo giro mi sono organizzato per tempo con il post da attention whore, ho finalizzato alcuni accordi presi oralmente a Vinci e ho subito iniziato a riempire la mia agenda, prendendo nota di chi, dove, che giorno e a che ora. Vero che non avrò nemmeno una pausa pranzo – cosa risolvibile comprando l’occorrente per dei panini – ma ho incastrato tutti gli shoot in modo da avere tempo sufficiente perché, in caso di ritardo di uno, non mi capiti un effetto domino che li faccia slittare tutti, e giostrato le location in modo da raggiungerle celermente, non dover rincorrere gli associati di GoT in giro per le mura e avere opzioni in caso di maltempo.
A questo proposito, ho controllato il meteo con assiduità quasi religiosa e, in vista del diluvio di giovedì, sto iniziando a sondare se le persone sarebbero disposte per mercoledì in modo da non ripetere il fiasco domenicale dell’anno scorso. Insomma, sto facendo l’umanamente possibile perfino contro la teoria del caos e il butterfly effect.
Finora ho avuto solo due defezioni, ma le ho rimpiazzate con altrettanti shoot che mi fruttano il doppio, quindi poco male.
E, soprattutto, quest’anno ho in programma solo due shoot gratis, in amicizia, entrambi con Giulia come grazie per avermi aiutato a ordinare il Funko Pop di Olenna al prezzo più conveniente. Davvero, il mondo è in debito di karma con me sulla fotografia; e voglio davvero bene ai miei amici, ma ho imparato con le cattive che l’amicizia non è una paga valida per i miei servizi professionali.

Quindi eccomi qui: la fiera praticamente la vedrò con i binocoli perché non avrò tempo, ma ho tutto il possibile sotto controllo e mi sto dimostrando professionale e all’altezza delle aspettative che i clienti rimpongono nelle mie capacità organizzative. Bravo me, mi merito un pat-pat sulla spalla.

Tuesday 16 October 2018

Piccole vittorie – parte 2

Ci sono due fattori in gioco.

Il primo è la difficoltà a disimparare comportamenti o nozioni che si sono solidificati nella mente. Nella mia mente, ad esempio, lavarmi i capelli è ancora un’azione estremamente dispendiosa in termini di tempo ed energie nonostante siano tre anni che li porto corti. Otto anni di capelli lunghi mi hanno abituato che ci vogliono un sacco di shampoo e balsamo, che è un po’ disgustoso perché poi tutti i capelli caduti si impigliano alle dita, che continuano a gocciolare mentre sto tentando di asciugarmi, che col fon ci impiegherò almeno venti minuti – figurarsi poi lasciarli asciugare all’aria.
Per quanto ora, se proprio ho fretta, mi ci vogliano quindici minuti in totale fra lavaggio e asciugatura, e sia ormai talmente pratico nel metterli in piega che il rischio bad hair day è alquanto remoto, il mio primo istinto è sentirmi estenuato al solo pensiero di lavarli.
Ecco: farmi la barba è la stessa cosa. Nella mia testa è ancora un processo lungo, faticoso, doloroso, che richiede un sacco di passate nello stesso punto, smorfie improbabili per tendere la pelle sulle guance, sul mento non parliamone nemmeno. È a questo che mi ha abituato, specie negli ultimi anni, il progressivo deteriorarsi delle lame del mio rasoio elettrico – per questo ho detto “doloroso”, visto che due volte su tre finivano per impigliarsi nei peli e tirarli, invece che tagliarli. Il mese scorso è arrivato al punto in cui, semplicemente, hanno smesso di tagliare del tutto, così ne ho comprato uno nuovo. Adesso la rasatura è perfettamente indolore, ci impiego una sola passata, meno di dieci minuti in totale e pochissima fatica. Eppure, dopo tre o quattro settimane, ancora non mi ci sono abituato, e la rasatura è una cosa estenuante che approccio di malavoglia.

Il secondo fattore è che sono bravissimo a punirmi. Prima il dovere e poi il piacere, così finisco nel circolo vizioso per cui, se non ho rimesso a posto camera, “non mi merito” di prendermi cura di me stesso. (Non oltre la cura strettamente necessaria tipo lavarmi i denti e il viso, o l’igiene intima, per lo meno). Camera mia è fatta ancora solo per metà, quindi ho continuato a non ritenermi meritevole di sistemarmi la barba nonostante il viso che vedevo nello specchio iniziasse a ripugnarmi sempre di più.

Beh, per qualche strano motivo oggi sono riuscito a rompere il circolo vizioso e mi sono fatto la barba. Vero, i miei progetti di rimettere in sesto gli armadi per ridurre il caos in camera e di affrontare il secondo giro di bucato non sono andati in porto, ma almeno ciò che vedo allo specchio mi piace di nuovo.
Magari è la volta buona che inizio a capire che, per avere le forze (soprattutto mentali) di occuparmi del mondo intorno a me, è il caso che mi occupi prima di me stesso. Così, per dire.

Monday 15 October 2018

Piccole vittorie

Oggi sono davvero orgoglioso di me stesso.

Di regola, il giorno dopo aver finito il sugo settimanale dovrei andare a fare la spesa, comprare tutti gli ingredienti per rifarlo assieme alla carne e il resto del cibo per gli altri pasti, e la sera cucinarlo.
Sto diventando sempre più bravo e meno ansioso a fare la spesa, ma è ancora qualcosa che vado a fare controvoglia. Cucinare il sugo, poi, mi prende più di un’ora: riesco a maneggiare gli ingredienti a mani nude senza problemi e tutto, ma è faticoso starci dietro e ho sempre un po’ paura di finire a bruciarlo.
Il risultato è che, di solito, fra la fine del sugo e la spesa successiva lascio sempre passare uno o due giorni di junk food d’asporto perché ricominciare il ciclo mi paralizza sempre un po’. Anche ora, tornato a Trieste, ho rimandato spesa e sugo a martedì, passando due giorni a kebab per pranzo e pizza per cena.

Ebbene, a questo giro il sugo l’ho finito ieri. Con un po’ di assist da parte di Katia, sono andato a fare la spesa oggi stesso. L’ho riportata a casa e sistemata, mi sono ritagliato un’oretta e mezza per andare a prendere un gelato e fare una passeggiata, poi sono tornato e senza indugi (ok, con dieci minuti di indugi, ma non è questo il punto) mi sono attaccato ai fornelli.
Non solo, mentre cucinavo ho anche organizzato uno shoot a cui tengo molto per il mese prossimo – ok, è il modello che mi ha contattato e proposto di venire lui da me, ché se la montagna non va da Maometto, Maometto va alla Dolina dei Druidi, ma ho accettato su due piedi di ospitare qualcuno senza nemmeno pormi i dubbi che ho avuto lo scorso maggio, ed ero pronto a farlo venire anche questo week end stesso.
E in più, ho cenato in compagnia dei coinquilini nuovi, che sono già amici e quindi parlavano per lo più fra di loro, senza farmi divorare dall’awkwardness di una situazione che percepivo a metà fra la cena di casa Baratheon in Game of Thrones, con Melisandre che vuole solo sparire, e quella fra Danny, Colleen, Davos e Joy in Iron Fist. Non sono stato il massimo della socialità, ma nemmeno loro, eppure ho retto bene la prova.

Non contento, ho anche rimesso in ordine metà della camera – cosa che, dopo due mesi d’assenza, è sempre tragica; specie perché, al di là delle settimane di allergeni accumulati, all’andata esplodono gli armadi per fare i bagagli, e al ritorno sono i bagagli stessi. E se è stata una vittoria solo temporanea, è per mia scelta, perché ho affrontato niente meno che il bucato – e non il bucato qualsiasi, bensì quello delle lenzuola, il mio incubo perché devo tentare di farle asciugare tutte su un solo stendino. Vero, nella metà ordinata della stanza ora c’è un complesso sistema di drappeggi tra stendino, sedia e poltrona, ma è solo temporaneo.

Sono super determinato e domani cercherò di non perdere il ritmo: vedrò cosa si è asciugato del bucato e lo ritirerò, cercherò di rimettere a posto in armadio almeno i vestiti usciti dal pacco, e anche di destinare quelli in giro alla lavatrice o a essere ancora indossati. Già solo quello dovrebbe sistemare una porzione non indifferente della stanza, lasciandomi intravedere una fine e motivandomi ad arrivare fino in fondo. Per il resto, la nuova coinquilina ha portato l’aspirapolvere, quindi fare le pulizie in camera non sarà più una sofferenza lunga (e inutile, visto che la scopa sposta la polvere ma non la elimina).

Fra l’altro, non sto nemmeno a mettermi problemi perché i miei coetanei lì fuori hanno una carriera, o sono già sposati, magari hanno pure figli, mentre io sono qui a congratularmi con me stesso perché riesco a svolgere attività quotidiane. Oggi ho fatto tutte insieme un mucchio di cose che già da sole mi demoralizzano e mi sembrano faticosissime, e ho ogni diritto di sentirmene orgoglioso. Perché la vita di un nevrotico è una costante sfida, anche le cose più piccole richiedono uno sforzo. E finalmente sento che ce la sto facendo. Posso andare a dormire gustandomi questa vittoria.

Saturday 13 October 2018

Solitaire

Mi è sempre piaciuto essere speciale, essere quello che rimane impresso perché si distingue in positivo in mezzo alla massa. Essere lo studente che segue la lezione in mezzo a quelli chiassosi. Essere il cliente che tratta gentilmente la cassiera del supermercato, il cameriere, o l’impiegato delle poste. Essere quello che sa tutto su un argomento che appassiona l’interlocutore.
Non posso farci nulla, è più forte di me: ho paura di sfumare via, finire in una massa di cui non si ha stima. Uno dei tanti, l’ennesimo imbecille con cui si è costretti ad avere a che fare, prontamente dimenticato. Quando, dopo anni, mi riferiscono che persone di cui avevo addirittura dimenticato l’esistenza si ricordano di me perché sono stato brillante, ho detto la cosa giusta al momento giusto, ho espresso un’opinione che non ci si aspetterebbe da un ragazzino, sono sempre stato bravo, io gongolo, il mio ego si gonfia.

Perché alla fine è di quello che si tratta: pura e semplice vanità. Tengo più alla percezione che gli altri hanno di me che a vivere appieno la mia vita.
È proprio perché non voglio compromettere la bella immagine che hai di me, quella dell’unico ragazzo che riesce ad esserti amico senza volertisi infilare nelle mutande, che non ti ho mai detto che negli ultimi quattro anni sono stato innamorato di te.

Thursday 4 October 2018

Quiet spite

Quest’anno sono partito per la Sardegna pieno di belle speranze, convinto di avere di fronte due mesi di grandi soddisfazioni fotografiche, coronamenti di progetti che hanno letteralmente aspettato anni, battesimi in grande stile di idee nuove, interessanti sviluppi umani, tempo per esercitarmi a disegnare o al pianoforte, andare al mare, voglia di allenarmi per trasformare le calorie extra della cucina materna in muscoletti, cose così.
A due giorni dalla partenza, naturalmente non ho fatto nulla di tutto ciò. Mi sono conquistato qualche soddisfazione in Pokémon Go, ma questo è quanto. Non ho disegnato, non mi sono allenato (in compenso ho messo su peso), non ho imparato la sigla di Westworld al pianoforte (non l’ho proprio toccato), non ho socializzato. È già tanto se ho raccattato quel po’ di diligenza per lavorare alle commissioni di Vinci.
E ovviamente ho scattato quattro foto in tutto. Quattro foto estremamente importanti per me, ma una pianificata questa primavera, e tre nate da un’ispirazione del momento quell’unica volta che ho deciso di sentire davvero le mie emozioni. Quattro foto che amo profondamente, ma che sono una consolazione un po’ magra per ciò che avrei potuto fare.
Oh, e fra l’altro, quattro autoritratti.

La verità è che stavolta me lo sono chiesto per davvero: ne vale la pena? Vale davvero la pena di investire energie, tempo di progettazione, aspettative e speranze in progetti che coinvolgono terze o quarte persone, che rischiano di protrarsi per anni e anni tra un rifiuto e un rimando, e che inevitabilmente mi logoreranno fino a ridurmi a un fascio di nervi che deve rifare dieci volte le carte per decidere se è il momento giusto di radunare la gente e fare le cose? Per cosa poi? Solo perché ci tengo io?
Ecco, se non ho alzato un dito per organizzare nulla in questi due mesi è perché ero impegnato a rispondere a queste domande – perché se un incidente di percorso deve sabotarmi i piani e distruggermi l’entusiasmo, lo farà sin dall’inizio, non dopo che ho avuto tempo di fare qualcosa.
Ma tant’è.

In tutto questo, ho già deciso il corso d’azione immediato: devo solo trovare la forza di alzarmi e concretizzarlo. Se è vero che un rancore è per sempre che DeBeers spostati con i tuoi diamanti, tanto vale provare a metterlo a frutto: anche la pura e semplice ripicca può essere una motivazione.
Tanto la volta che ho tentato di fare l’adulto e affrontare le questioni si è visto come è andata a finire.