È forse strano che, con tutto quello che è successo negli ultimi due anni e passa, io sia andato in completo silenzio stampa qui sul blog. Beh, a parte i test musicali e qualche brandello qua e là.
Voglio dire, anche tralasciando le mie vicissitudini personali, già solo la situazione socio-politica internazionale era abbastanza succosa da darmi un mucchio di cose su cui sfogarmi.
Eppure, eccoci qui.
Forse, a una certa è semplicemente diventato troppo. Ricordo lo scoppio della guerra in Ucraina come il momento in cui, vedendo il cursore lampeggiare nell’editor, ho iniziato a non avere più nulla da scrivere. Un po’ perché è arrivata sulla scia di due anni già molto provanti e ha fatto traboccare il vaso; un po’ perché ho un coinvolgimento quasi diretto tramite amici ucraini, parenti bielorussi e le mie radici est-slave. Ma ricordo che non ho praticamente dormito per un mese dopo che è iniziato quel casino e, in generale, non ho più sentito il bisogno di elaborare i miei pensieri per iscritto.
Da lì c’è stata la necessità di uscire dalla bolla della pandemia e tornare alla vita reale, occuparmi di varie cose, alcuni alti inaspettati che però volevo tenere per me, e poi gli ultimi dodici mesi che sono stati piuttosto orribili a livello personale, ma di cui non era decisamente il caso di scrivere sull’internet.
Qualunque sia il caso, eccoci qui. Forse sono di nuovo al punto in cui sfogare le cose in maniera più articolata che sulle storie di Instagram potrebbe aiutarmi. Del resto, abbiamo appena subito un nuovo trauma collettivo e prevedo non sarà facile processare l’idea che, al momento, la maggior parte dell’umanità preferisce muoversi in direzione opposta rispetto alla mia – e una che rischia di rovinare la vita a tantissime persone se non distruggere proprio la nostra società.
Oh well, vedremo.