Monday 30 August 2021

Morigeratezza

Oggi sono uscito a cena dal messicano con Beatrice. Aspettavo il suo green pass prima di invitarla, e appena è arrivato ne abbiamo approfittato. Non ricordo nemmeno più come fosse la vita di prima, quando così, per capriccio, potevo prendere e andare a cena fuori, quando la Grande Shanghai la domenica sera era un rito.
A parte l’ottima cena, comunque, dopo siamo andati in un locale in centro e abbiamo ordinato qualcosa da bere. Una Coca Cola lei, un cocktail analcolico io. Ci ho scherzato sopra dicendo che siamo vecchi, ma la verità è che l’alcool non mi manca affatto. Non mi manca né come gusto aggiunto al cocktail, né tanto meno per come mi fa sentire.
 
C’è stato un periodo, tra il 2012 e il 2015, in cui essere “ubry” sarà anche stato divertente, ma è finito da lungo tempo. Ora, se ripenso alla sensazione di stordimento, di vertigine, di disorientamento, ne ho un ricordo distintamente negativo. Per non parlare, poi, della sensazione fisica, del bruciore nella gola, della leggera nausea, dello stomaco sottosopra. No grazie. E per fortuna ho sempre sofferto pochissimo di hangover, ne ricordo tre, massimo quattro esempi in cui davvero avevo esagerato o mischiato cose diverse. Anche senza il malessere del giorno dopo, proprio il ricordo della sensazione durante la stessa bevuta non mi suscita alcuna nostalgia. Credo di essermi lasciato quella fase della mia vita alle spalle, almeno nell’immediato futuro.
 
Poi magari tornerò a Trieste e prenderò volentieri un aperitivo, uno spritz bianco alla cannella da Lettera Viva, ad esempio, ma quello è forse più facile da immaginare perché l’intera mia vita a Trieste fa parte del prima. Per ora non mi dispiace questa vita più morigerata senza quel gusto per l’autodistruzione che ogni tanto mi prende.

Monday 23 August 2021

Red Nostalgic Hood

Stasera ho guardato Red Riding Hood, il film del 2011 con Amanda Seyfried, per la prima volta. Con solo dieci anni di ritardo, ma in compenso l’ho fatto (senza nemmeno pensarci, sulle prime) durante una notte di luna piena, come ulteriore bonus. Per essere un film col punteggio del 10% su Rotten Tomatoes, mi ha lasciato con un mucchio di pensieri in testa e sensazioni nel petto che sento la necessità di dipanare scrivendoci un po’ sopra.


Probabilmente è perché, come film, è moltissimo figlio del suo tempo. Nei primi Anni Dieci le versioni “adulte” e gotiche delle fiabe classiche andavano fortissimo: pochi mesi dopo Red Riding Hood iniziava la messa in onda della prima, gloriosa, bellissima stagione di Once Upon A Time; l’anno successivo uscivano ben due film su Biancaneve, l’ottimo Mirror Mirror e il pessimo Snow White And The Huntsman; Maleficent, che uscì tre anni dopo, era già in produzione, e… un momento. Per qualche strano motivo ho le idee molto confuse sulla timeline di quel periodo – in che senso il film di Twilight era uscito tre anni prima e per allora eravamo già a Breaking Dawn?
Beh, dicevo, ho odiato con passione Alice In Wonderland di Tim Burton quando l’ho visto (anche lui postumo) qualche anno fa ma, pur essendo un film tremendo che ha fatto un pessimo lavoro nel rendere “adulta” la storia originale, è uscito nel 2010 e devo quindi probabilmente rendergli atto di aver fatto da apripista a questo filone.
Side note, credo che la mia confusione temporale dipenda dal fatto che nella mia testa il 2006 è la fine del decennio precedente mentre il 2008 è già nella nuova decade, probabilmente perché è stato l’anno in cui mi sono trasferito a Trieste ed è quindi stato un momento di passaggio per me. Per questo ho sempre l’impressione (sbagliata) che ciò che è successo intorno a quell’anno sia successo molto dopo. Ma divago.

Dicevo, quindi, che il film è, almeno tematicamente, una capsula del tempo di quel periodo che, come ho già scritto di recente, mi è molto caro. Fra l’altro, questo film in particolare va a toccare una corda specifica della mia nostalgia, perché l’episodio con cui mi sono appassionato a Once Upon A Time è stato proprio Red-Handed, che Deborah stava guardando mentre trascorrevo il pomeriggio con lei uno dei week end che ero andato a Milano. Un po’ me lo immaginavo, un po’ ho avuto la conferma stasera, ma Red-Handed è stato praticamente ricalcato da questo film, dettaglio più dettaglio meno, con considerevoli modifiche al plot twist finale. Ma a prescindere, mi è piaciuto così tanto che mi ha fatto innamorare della mia prima serie dai tempi di Charmed, ed è stato poi facendo leva su Once Upon A Time che Katia mi ha introdotto all’intero mondo delle serie TV.

A proposito di Katia, ho scoperto che ama molto questo film per gli stessi motivi per cui è piaciuto a me – su cui tornerò dopo, però, perché al momento c’è altro da eviscerare.
La curiosità di guardarlo mi era salita l’anno scorso quando, sulla scia di Dark, avevo iniziato ad ascoltare Fever Ray, che ha scritto una canzone, The Wolf, specificamente per questo film (oltre ad aver concesso la magnifica Keep The Streets Empty For Me). Però il seme dell’interesse era stato piantato molto, molto prima.
Un’immagine che associo vividamente a questo film è un assolato pomeriggio a casa di Mariolina, nella sua cucina, nel 2012. Ricordo che si stava zappingando in TV e di aver visto una scena di Red Riding Hood, da qualche parte nel mezzo, ma le avevo chiesto di cambiare perché mi aveva colpito e volevo guardarlo dall’inizio senza spoiler. Poi me ne sono dimenticato, ma il punto è un altro: sono quasi sicuro che, delle due volte che ero andato a trovarla quell’anno, fosse in autunno perché faceva abbastanza fresco da stare in piedi. Quindi era la volta in cui lei mi aveva convinto a iscrivermi a Fatum Heredis e avevo creato il mio PG, Florian, decidendo di farlo ibrido vampiro con prestavolto Ben Barnes invece che half-veela con Chris Colfer. E oh boy, le ramificazioni positive di quella scelta.
Forse è anche per questo, perché mi è tornato in mente quell’episodio, che il film “è rimasto con me” dopo che l’ho visto.
 
Per quanto riguarda il film in sé, una volta fatto pace con i personaggi un po’ sottili, alcuni dialoghi un po’ scontati e una storia che avrebbe potuto avere uno sviluppo più profondo, ha delle estetiche davvero magnifiche, una cinematografia davvero bella e delle atmosfere di grande effetto. E questa è una cosa che apprezzo, tanto da soprassedere su altri difetti, che comunque qui non sono esagerati. Il mistero su chi fosse il lupo mi ha genuinamente tenuto inchiodato, forse in parte per il confronto inconscio con Red-Handed che mi ha fatto trascurare eventuali indizi (ero convinto che qui il lupo fosse Peter, visto che era il depistaggio su Once Upon A Time).
Oltretutto, l’ho trovato nettamente superiore sia a Alice In Whateverland e Maleficent, sia a Bellaswan e il CacciaThòr. Forse perché, nel suo voler dare un tono più adulto e gotico alla fiaba, almeno non tenta di darsi troppa importanza. La storia ha un’estensione modesta, copre un piccolo villaggio e i suoi piccoli drammi, e i personaggi riescono a trasportarla bene; per contro, i ritagli di carta velina che popolano gli altri tre film rimangono del tutto schiacciati sotto il peso di profezie, guerre epiche, macchinazioni politiche e destini di interi mondi. Bellaswan e il CacciaThòr, in particolare, è un ottimo termine di paragone perché, in teoria, anche quello è un film che si regge su delle belle estetiche (per quanto riciclate da destra, manca e centro); solo che anche quelle fanno parte del suo sforzo di darsi più importanza del necessario, di darsi un tono epico e grandioso, e finiscono quindi per evidenziare ancora di più quanto labile sia la storia, inconsistenti i personaggi e sprecata Charleze Theron, invece che risultare godibili a prescindere da tutto quello.
Red Riding Hood è invece come Mirror Mirror: un film che, pur non privo di difetti, comprende la semplicità archetipica della sua fonte, trova un modo personale di reinterpretarla e inserisce elementi che la rendono più interessante di una semplice fiaba per l’infanzia, ma senza aggiungere pesantezza non necessaria. E poi, presenta il tutto in una confezione visiva davvero magistrale che fa gustare ogni singolo fotogramma dall’inizio alla fine, con in più una colonna sonora davvero bella.

Se proprio devo trovarle una pecca, Red Riding Hood è una di quelle storie che avrebbe beneficiato tanto dal finire in One True Threesome: Valerie aveva chimica sia con Peter che con Henry, e Peter e Henry avevano ancora più chimica tra di loro. Per cui accetto il mio nuovo headcanon che Henry sia tornato dalle sue imprese e sia andato a vivere con loro nella casetta del bosco con la magnifica scala intagliata in un unico tronco d’albero, in tre in un letto con scambio generale di effusioni.
In fondo, non che io mi stia riaffacciando nel tunnel delle fanfiction or anything. O che, nove anni dopo, mi sia tornata la voglia di realizzare qualcuna di quelle serie fotografiche / simil-editoriali a tema “Fiabe contemporanee” che stavo concettualizzando i primi tempi in cui guardavo Once Upon A Time.
 
Ho decisamente nostalgia dell’inizio dello scorso decennio.

Tuesday 17 August 2021

The Millennial War

Ho seri dubbi che qualcuno di noi avesse mai pensato che la guerra in Afghanistan avrebbe mai risolto qualcosa.
Non ricordo quali fossero i sentimenti iniziali a riguardo, visto che è stata poi eclissata dalla ben più famosa e controversa guerra in Iraq: di quella sono sicuro, era stata percepita fin da subito come inutile, pretestuosa e imperialistica da questa parte dell’Atlantico, ma l’invasione dell’Afghanistan era arrivata proprio sulla scia dell’11 settembre che, per un motivo o per l’altro, era stato il più grosso trauma collettivo della mia generazione in tutto l’Occidente. L’opinione pubblica americana era sicuramente interventista, ma in Europa non ricordo proprio: something something Al-Qaeda, talebani brutti e cattivi, povere donne in burka – tutto questo sicuramente, ma dell’intervento militare in sé non ricordo cosa si pensasse dalle mie parti.
Dicevo, quindi: dubito che qualcuno si fosse illuso che questa guerra avrebbe portato benefici né a noi, né tanto meno agli Afghani. Però vederla concludersi nel modo in cui si è conclusa è davvero deprimente, e noto che molti dei miei coetanei stanno esprimendo un simile senso di scoramento e impotenza.

Forse è proprio per il perverso Ouroboros che ne è uscito: vent’anni fa siamo partiti con uno Stato fondamentalista, dittatoriale e oppressivo, e oggi, nel momento in cui gli Occidentali hanno levato le tende, ci siamo ritrovati con quello stesso Stato fondamentalista, dittatoriale e oppressivo.
Cosa abbiamo fatto in queste due decadi? Qual è stato il senso di tutta questa violenza, della devastazione, delle morti a centinaia, della carneficina di un intero popolo? A cosa è servito?
Credo che sia così demoralizzante perché questa guerra è una metafora perfettamente calzante della vita di tutti noi, che nello stesso lasso di tempo siamo cresciuti e diventati adulti: appena abbiamo iniziato ad avere coscienza di come sia il mondo dopo l’infanzia, ce lo siamo visto stravolgere da eventi internazionali la cui portata era difficile da capire. Abbiamo lottato con unghie e denti per cercare di strappare un po’ di decenza, rispetto, empatia e calore dalla società intorno a noi. Abbiamo protestato contro governo dopo governo che erodeva la nostra base scolastica e distruggeva la nostra stabilità lavorativa. Abbiamo stretto i denti attraverso una serie infinita di crisi e difficoltà economiche. Abbiamo iniziato ad alzare davvero la voce sull’imminente crisi climatica. Siamo sopravvissuti allo stillicidio che, dagli Stati Uniti, il trumpismo ha avuto anche da noi. Pride dopo Pride, sciopero dopo sciopero, manifestazione dopo manifestazione, dibattito dopo dibattito. Abbiamo iniziato a vedere i risultati, a guardare la generazione dopo la nostra che finalmente poteva essere un po’ più libera, un po’ più se stessa, che cresceva non già più liberandosi di certi bigottismi e paraocchi, ma senza averli mai davvero indossati. Abbiamo sperato che la coscienza collettiva fosse maturata, che gli estremisti fossero solo una frangia che continuava a fare una guerriglia senza futuro con i suoi Family Day e i suoi slogan sui porti chiusi e i suoi Patti Lateranensi.
Ed eccoci qui, vent’anni dopo, ancora nella miseria più nera, ancora senza un futuro, ancora con crimini d’odio nelle strade senza che si facciano leggi per arginarli, con quell’accozzaglia di neofascisti, filonazisti, integralisti cristiani, ipocriti e terroristi domestici che sono praticamente alle porte di Montecitorio e Palazzo Madama, pronti ad aspettare il ricambio del Governo per impossessarsene perché la maggioranza del nostro popolo probabilmente vorrà quello. Il tutto mentre l’ambiente intorno a noi è sull’orlo della devastazione più totale.

Ora, lungi dal voler affermare che da noi le cose vanno male come in Afghanistan. Non abbiamo le bombe, le sparatorie le abbiamo in casi estremamente eccezionali (a parte gli Stati Uniti), non seppelliamo un caro ogni settimana e mezzo, i nostri estremisti devono sgusciare entro i limiti della legge invece che imporli loro, non abbiamo vissuto la guerra in quanto tale. Non voglio paragonare la svolta autoritaristica e nazionalista dei Paesi occidentali con la devastazione di vent’anni di conflitto miltiare.
Ma questo sentimento di aver combattuto per decenni solo per trovarci punto e accapo ce l’abbiamo anche noi. Forse è per questo che il triste, per quanto prevedibile, epilogo della guerra in Afghanistan ha toccato qualcosa in molti dei miei coetanei. È il senso d’impotenza di fronte a decenni di lotte e sofferenze solo per trovarci, se possibile, a un punto ancora peggiore, con la fine completa di qualunque speranza per il futuro. È pensare che questo stesso malessere esistenziale che anche noi proviamo, i nostri coetanei in Afghanistan ce l’avranno decuplicato, e in una maniera molto più concreta e devastante di quanto, si spera, noi potremo mai conoscere.
 
Siamo cresciuti nell’arco di tempo della guerra in Afghanistan, e la guerra in Afghanistan ha finito col trasformarsi nella triste metafora di tutti i Millennial del mondo.

Saturday 14 August 2021

Protectio memoriae

In un esercizio di assoluta futilità e pettiness, ho iniziato da un paio di giorni a togliere i tag della Ciospa a tutti i vecchi post su Facebook che li contenevano.
A dirla tutta, il vero motivo per cui non l’avevo fatto già gli anni scorsi è il ridottissimo tempo che dedicavo a quell’incubo di social network, figurarsi se avevo voglia di scavare tra i post passati. Ma dato che quest’anno Zuckerberg ha deciso di spammarmi i ricordi sotto forma di notifica quotidiana, probabilmente in un disperato tentativo di farmi trascorrere più tempo sulla sua piattaforma, ho ricominciato a scorrerli anche solo per levarmi la notifica, provando fastidio ogni volta che vedevo la Ciospa taggata.
Così ho deciso di intervenire caso per caso: basta uno schiocco di dita e voila, damnatio memoriae.
A volte lo faccio subito dopo mezzanotte, così che, se apre la pagina, dei suoi ricordi, non li troverà sicuramente. A volte me ne dimentico, e mi chiedo se l’anno prossimo si accorgerà che manca qualcosa.

Che poi mi chiedo: è davvero pettiness, la mia?
A muovermi è una specie di pudore. Si tratta dei miei ricordi, in fondo, e non voglio che una persona che si è dimostrata immeritevole del mio affetto e della mia considerazione vi abbia accesso.
È diverso rispetto alle foto: quelle, per quanto cariche di ricordi, hanno un valore primariamente artistico ed espressivo; c’è stato del lavoro da parte sua (per quanto, spesso, riluttante) ed è una cosa che rispetto.
Ma i post di cazzeggio su Facebook… quelli no. Non ha diritto di riviverli con me. Mi sono trovato spesso a sorridere per la nostalgia o perché dicevamo e facevamo cose genuinamente divertenti, e subito ho pensato che no, non si merita di sorridere e ricordare anche lei: ha perso quel diritto quando ha deciso di ignorare ciò che avevo da dirle per cercare di uscirne pulita.

Alla fine, forse non è nemmeno davvero una damnatio, quanto piuttosto una protectio memoriae. Lei ha fatto la sua scelta quando ha deciso di darmi per scontato pensando che non ci sarebbero state conseguenze. Ebbene, anche queste lo sono: mi riprendo l’esclusiva sui momenti di amicizia, visto che ormai posso essere certo della loro genuinità solo da parte mia.

Monday 9 August 2021

Lucciole

A volte mi capita di ascoltare – o anche solo ripensare a – una canzone dell’inizio dello scorso decennio e sentire un dolore al cuore. Fisicamente, proprio un secondo in cui sembra che si sia fermato all’improvviso o sia scoppiato. Mi manca il respiro e devo lottare per espandere i polmoni, inalare l’ossigeno e sopravviere a quel momento. Il più delle volte passa subito, ma altre, come oggi, anche se il malessere fisico si dissipa rimane quello interiore, quello che ne è la reale causa.

Fra l’altro, è stato un rabbit hole a scatenarmelo: ho appena finito l’ascolto approfondito del nuovo album di Rag’n’Bone Man, quello in cui controllo e correggo i testi per inserirli nei file iTunes, e sulle prime non è nemmeno stato il tema ricorrente del Millennial che si accorge improvvisamente di aver superato i trenta e si chiede che fine abbia fatto la giovinezza a colpirmi. È che mi sono accorto che c’erano delle imprecisioni o veri e propri errori nei testi, così ho cercato un’altra fonte e sono andato a ritroso leggendoli parallelamente e correggendoli fino a tornare alla prima canzone, Fireflies. Da lì ho fatto l’associazione mentale a Baltimore’s Fireflies di Woodkid, e poi alla sua compagna di EP, Brooklyn. E Brooklyn, che stando a iTunes non ascolto da sei anni, la associo a un certo photoshoot di Kwannam Chu con una certa persona che si è ritirata dal mondo della fotografia, e niente, improvvisamente mi ha travolto tutto il peso degli anni che sono passati, delle occasioni che non ho inseguito, delle foto che non farò mai perché non visiterò mai quei luoghi e non incontrerò mai quelle persone.

La cosa più strana è che non ero per niente felice, all’inizio degli Anni Dieci. Era il periodo in cui la mia carriera universitaria e, con essa, le certezze che avevo sulla mia vita stavano cadendo a pezzi. Ero perso, confuso, perennemente in fuga da me stesso e dalla mia vita. Eppure, ora ci ripenso con nostalgia. Ora ricordo i week end a Milano, la pop culture su internet, le serate in discoteca, lo shopping, le foto che ho fatto, le persone che incontravo.
Non so se sia il tempo che erode sempre i momenti brutti e lascia i ricordi migliori, o se sia un oggettivo peggioramento del mio stato mentale, tanto che perfino quel periodo risulta felice rispetto a come sto ora. O forse, tutto sommato, quegli anni davvero non erano poi così male: ad esempio, tolta la musica e pochi specifici ricordi sparsi qua e là, gli Anni Duemila sono un enorme vuoto nella mia vita e non ho la minima nostalgia per la mia adolescenza.

In ogni caso, oggi mi ero già svegliato malmostoso, e ora questo momento di nostalgia, di dolore fisico per qualcosa che ormai è scivolato irrimediabilmente nel passato mi ha dato il colpo di grazia. Dovrei riprendere ad ascoltare Brooklyn in modo da stemperare l’associazione con quel periodo e diluirne l’impatto emotivo. È un po’ lo stesso motivo per cui rivedere certe foto dei primi tempi del mio Tumblr mi emoziona e ferisce a tempo stesso.

Monday 2 August 2021

Questione di fisica

Sorprendentemente, a me il fai da te piace. È una di quelle attività che sono estremamente riluttante a iniziare e rimando, rimando, rimando a più non posso, ma quando finalmente mi decido non solo ottengo buoni risultati, ma mi ci diverto pure. Trapano, martello, cacciavite, pinza sono tutti strumenti che so tenere in mano e usare senza problemi. E ne vado pure orgoglioso, probabilmente perché Il Guasto non è invece particolarmente bravo in questo, e saper fare meglio di lui qualcosa che, stereotipicamente, sarebbe più nelle sue corde mi dà soddisfazione a prescindere.
E poi c'è anche l'orgoglio di quando si presenta un qualche problema e io mi scopro in grado di risolverlo ragionandoci sopra e applicando le conoscenze apparentemente randomiche che ho in testa.

Case in point: oggi ho preso in mano il trapano per appendere diversi oggetti in giro per casa: attaccapanni in corridoio e in bagno, una mensolina in plastica nella doccia per tenere su shampoo e saponi vari, e poi la sbarra con i ganci per appendere gli utensili da cucina più grossi (mestoli, schiumarole eccetera). Nulla di particolarmente impegnativo, tranne che per l'intervento in cucina, visto che era sulle piastrelle. Tecnicamente lo era anche quello nella doccia, ma lì ho potuto trapanare sulla fuga e cavarmela così.
In cucina, invece, sulle prime ho avuto difficoltà a lavorare perché, in primo luogo, per uno dei buchi ero proprio all'angolo con le conseguenti difficoltà di manovra, e poi perché la mattonella è scivolosa e dura da scalfire.
Quando poi ho postato su Instagram in molti mi hanno suggerito la soluzione in questi casi: un pezzetto di nastro isolante che fa attrito e tiene la punta ferma, e passa la paura. Non avendoci pensato, invece, ho ripescato le mie conoscenze di fisica dal liceo: a parità di lavoro, minore è la superficie su cui ci si concentra e maggiore è la forza che vi si applica. Quindi ho sostituito la punta del trapano con una più piccola che, senza difficoltà, ha prima sbeccato e poi forato la piastrella, dandomi la traccia per intervenire con la punta delle dimensioni adatte alle viti. E voilà, in men che non si dica i tasselli sono entrati nel muro, ho avvitato la barra al suo posto e la cucina è diventata ancora più funzionale.

Sono cose sciocche di cui inorgoglirsi? Forse, anche perché parte di me si sente così in risposta agli stereotipi che solitamente si hanno dei gay (quando cerco di avere un rapporto neutro nei loro confronti: è valido sia distaccarsene, sia abbracciarli, sia zigzagare la cosa). Forse perché, mentre Il Guasto lasciava i quadri appoggiati a terra per mesi prima di prendere in mano il martello (e la Mater non lo faceva lei stessa per pura testardaggine), mi fa sempre piacere one-upparlo. Forse perché prendere il trapano e bucare il muro (a maggior ragione le piastrelle!) è una sfida alla mia ansia paralizzante da perfezionismo, perché sembra qualcosa di irreparabile che se a storto è un casino, mentre poi ho le abilità per mettere i tasselli perfettamente dritti e ricordarmelo a lavoro fatto è una bella sensazione.
Però è bello riuscire a fare queste cose, specie quando si applicano le proprie conoscenze teoriche che, nel sentire comune, sono spesso contrapposte alla manualità.