Thursday 31 December 2020

Classifica musicale annuale – 2020

Nelle puntate precedenti:

2017;
2018;
2019.

Classifiche generali (1-50):
2016;
2017;
2018;
2019;
2020.

Classifiche generali (51-100):
2018;
2019;
2020.

1. Come ti sei appassionato alla posizione numero 30? (Ala.ni)
• Grazie al mio amico Claudio. Un altro Claudio. Sembra che un po’ tutti i Claudi diano buoni consigli musicali.
2. Prima canzone ascoltata della numero 22? (Sleepthief)
• La ricordo benissimo: Rainy World, il pomeriggio in cui Luisa venne a trovarmi a Trieste!
3. Testo preferito della numero 33? (Autumn)
Synchro-Minds, e ricorderò sempre quando la band confermò la mia teoria che il “third eye” con cui il protagonista visualizzava l’interlocutore fosse la webcam!
4. Album preferito della numero 49? (Nick Cave & The Bad Seeds)
Murder Ballads, duh.
5. Canzone preferita della numero 13? (Fever Ray)
Keep The Streets Empty For Me. Questi sono i danni che ha fatto Dark.
6. Album peggiore della numero 50? (Placebo)
• L’album che mi piace di meno è il self-titled ma, oggettivamente, è iconico, a differenza del derivativo, compitino-ben-fatto Loud Like Love.
7. C’è una canzone della posizione numero 39 che senti molto tua? (Anneke Van Giersbergen)
Lost And Found. Ho iniziato a chiedermi se Anneke non l’abbia scritta per un terapista.
8. Bei ricordi legati alla numero 15? (Marina & The Diamonds)
• Il concerto del 2019, specialmente per la bella giornata che ho passato con Stefanino.
9. Quanti album possiedi della numero 5? (We Are The Fallen)
• Ai tempi comprai Tear The World Down principalmente come atto di protesta verso Pescy; non me ne pento, è comunque un album molto gradevole.
10. C’è una canzone della numero 45 che ti rende felice? (Evanescence)
• Ok, sembra una brutta battuta, ma ce ne sono; ci sono quelle catartiche che poi mi fanno stare meglio, e quelle che mi mettono proprio di buonumore tipo… Gùd Inàf, che è lA pRiMa CaNzOnE fElIcE dEgLi EvAnEsCeNcE! Ovviamente scherzo, quella è da latte alle ginocchia: Anywhere è nettamente superiore.
11. Canzone preferita della numero 40? (Billie Eilish)
When I Was Older. Fra l’altro, mi pento di averla bollata come ennesima ragazzina triste di passaggio, all’inizio: ha molto più spessore di quel che potrebbe sembrare!
12. Canzone della numero 10 che ti piace di meno? (Panic! At The Disco)
• Tolti le varie intro / interludi / cavolate da mezzo minuto, From A Mountain In The Middle Of The Cabins.
13. Bei ricordi evocati dalla numero 6? (Rose Chronicles)
• Li ascoltavo in treno durante un viaggio a Torino quasi dieci anni fa; una volta arrivato, poi, nel mezzo dello shoot mi accorsi che lo specchietto della reflex si era sporcato e, scattando a caso per vedere se il sensore era a posto, mi uscì questa foto, che intitolai come una loro canzone e che adoro ancora oggi.
14. Canzone della numero 38 che associ a un momento o persona? (Tactile Gemma)
• Stavo ascoltando Creepy-Crowlies una volta a giugno 2009 mentre mangiavo un cono grande col gusto del mese di Grom, che era fior di latte con amarene candite. Quando la ascolto, tutti quei vibrafoni mi fanno ancora sentire quel saporino di amarena che… mmh!
15. Quale canzone della numero 19 ti emoziona di più? (Hurts)
Illuminated. Ma una menzione d’onore va a Liar che, per ironia, nel ritornello riporta parola per parola la conclusione della mia missiva alla Ciospa.
16. Quante volte hai visto la numero 35 live? (Florence + The Machine)
• Una volta durante il tour di Ceremonials: è stata incredibile!
17. Quale canzone ti ha fatto innamorare della 23? (Allie X)
Bitch, sentita in concerto quando ha aperto per Marina a Milano. Onestamente però non so se mi avrebbe colpito altrettanto se l’avessi sentita prima su disco: Allie rende molto meglio dal vivo che in studio!
18. Album preferito della numero 11? (Loïc Nottet)
Selfocracy è notevolmente superiore rispetto al secondo.
19. Prima canzone ascoltata della numero 14? (Blanche)
City Lights, duh. Chiunque dica che all’Eurovision non c’è buona musica è un ignorante che conosce solo Salvador Sobral e Mahmood.
20. Canzone preferita della numero 27? (Emmelie De Forest)
Let It Fall, e comunque con Emmelie vale lo stesso discorso di prima sull’Eurovision.
21. Album preferito della numero 16? (Nemesea)
The Quiet Resistance resta insuperato.
22. Prima canzone ascoltata della numero 47? (Lady Gaga)
• Eh. Questa sì che è una bella domanda. Sicuramente avrò sentito qualcosa da The Fame a qualche serata gaia (era proprio il periodo in cui ci andavo), ma non me la filavo e, anzi, ero attivamente opposto alla sua esistenza. La prima che ricordo di aver ascoltato è Bad Romance per curiosità dopo che i ReVamp l’avevano coverizzata dal vivo (e c’è un motivo se è l’unica canzone buona che abbiano mai suonato).
23. C’è una canzone della 18 che trovi catartica? (Diablo Swing Orchestra)
Justice For Saint Mary. La parte finale simil-dubstep è la catarsi fatta musica.
24. Come hai scoperto la numero 21? (Elusive)
• Me li consigliarono gli admin del forum dei Theatre of Tragedy visto che erano un progetto di Tommy Olsson.
25. Canzone della numero 26 che ti rende felice? (The Bryan Ferry Orchestra)
Young And Beautiful, ennesima riprova del fatto che sarebbe stata una signora canzone se non per Laña del Rey.
26. Canzone preferita della numero 3? (Delain)
Pristine, anche se quest’anno dovrei dire The Greatest Escape.
27. Album preferito della numero 2? (The Gathering)
• Butto lì Souvenirs dal periodo di Anneke e Disclosure da quello di Silje, ma è una scelta pressoché impossibile.
28. Prima canzone ascoltata della numero 32? (Eivør)
• Non è una classifica musicale se non menziono Luisa almeno due volte: è lei che mi ha fatto ascoltare True Love.
29. Testo preferito della numero 8? (Anathema)
• “And when I dream, I dream of you; then I wake – tell me, what could I do?
30. Quante volte hai visto la numero 17 live? (Phildel)
• Mai, ma è nella mia bucket list!
31. Come hai scoperto la numero 44? (Paolo Buonvino)
• Ho iniziato a guardare I Medici per Daniel Sharman nudo; ho continuato per quello, Contessina e la fantastica colonna sonora.
32. Album della 12 che ritieni sottovalutato? (Siobhán Donaghy)
• L’intera sua discografia è sottovalutata per il semplice fatto di non essere stata in cima a qualsiasi classifica ai tempi, ma Ghost è uno degli album pop migliori degli Anni Duemila e lo conosciamo io, Siobhán e, forse, i suoi genitori.
33. Canzone peggiore della numero 29? (Susanne Sundfør)
• Prima del Live At The Barbican avrei detto Mantra, ma dal vivo è riuscita a diventare fantastica perfino lei. Dico la title track di Music For People In Trouble perché fondamentalmente è un interludio (rispetto all’anno scorso ho fatto pace con Live At Salle Pleyelle).
34. Prima canzone ascoltata della numero 34? (Karen Elson)
100 Years From Now, usata come sottofondo di The Midnight Hour su Paranormal Zone. Ps: KAREN ELSON MI HA RINGRAZIATO NELLE SUE STORIE INSTAGRAM PER AVER COMPRATO IL SUO LIBRO.
35. Album preferito della numero 28? (Portishead)
Dummy.
36. Quante volte hai visto la numero 42 live? (Aurora)
• Quest’anno stiamo proprio rigirando il coltello nella piaga degli artisti che non ho mai visto live ma vorrei da matti.
37. C’è qualche canzone della 36 che consideri un guilty pleasure? (Rose McGowan)
• Considerando il personaggio, il fatto stesso di ascoltare Rose McGowan è borderline un guilty pleasure di questi tempi.
38. Come hai scoperto la numero 48? (Soap&Skin)
• Allora, qui Dark ha davvero fatto danni: non solo ha messo due canzoni negli episodi, ma la sigla, Goodbye di Apparat con Soap&Skin, è la mia canzone più ascoltata dell’anno con oltre 230 ascolti. Non uscirò mai più da questo tunnel!
39. Album preferito della numero 7? (Loreen)
Ride, quello di cui nessuno conosce l’esistenza perché un po’ tutti hanno smesso di filarsela post-Eurovision.
40. C’è qualche canzone della numero 31 che ti mette nostalgia? (Kari Rueslåtten)
Other People’s Stories mi ricorda lo shoot con Luisa a Venezia!
41. Canzone della 41 che non ti piaceva ma adesso ami? (Morning Parade)
Seasick e Close To Your Heart.
42. Testo preferito della posizione numero 24? (Delerium)
• Troppi per elencarli tutti, visto che per la maggior parte hanno testi bellissimi; così su due piedi mi viene da dire Stay.
43. Canzone più emozionante della numero 46? (Dejafuse)
• Il fatto che la loro musica sia emozionante quanto la lavatrice ai risciacqui è probabilmente il motivo per cui sono durati così poco. Sorry, Nienke.
44. Canzone della numero 25 che ti rende felice? (Luk Evans)
• Quando inquadrano il suo culo ignudo nella seconda stagione di The Alienist! Ah, come? Dicevate canzone, non scena? Uhm… At Last, credo?
45. Canzone preferita della numero 9? (Goldfrapp)
Stranger, che è anche una perfetta descrizione della mia vita affettiva.
46. Primo album ascoltato della numero 37? (L’Âme Immortelle)
• Sono piuttosto sicuro di aver ascoltato ...In Einer Zukunft Aus Tränen Und Stahl per intero perché adoravo Will You?, ma a diciassette-diciott’anni non ero ancora pronto a quella quantità di elettronica.
47. Membro preferito della numero 4? (Emilie Simon)
• Emilina sarebbe la mia preferita anche se fosse un ensamble di cento musicisti!
48. Prima canzone ascoltata della posizione numero 43? (Amaranthe)
• Questa la ricordo: Drop Dead Cynical.
49. Album che possiedi della numero 20? (Theatre Of Tragedy)
• Tutto quello che hanno fatto in almeno un’edizione. “Almeno” perché di Forever Is The World ho la deluxe, la tour edition con Addenda, l’edizione giapponese che mi ha regalato di Hein e addirittura il vinile.
50. Il miglior ricordo associato alla numero 1? (Within Temptation)
• Nonostante la magnificenza del concerto ad Anversa, ricordo con più affetto il concerto a Milano nel 2011: eravamo quasi tutti lì e ancora tutti amici. Che bei tempi.

Unpopular opinion

Il 2020 non è stato il mio anno peggiore a livello personale. Quel titolo spetta ancora di diritto al 2015, e sebbene il 2019 non sia sceso altrettanto in basso, poco ci è mancato.
Del resto, il 2015 è stato l’anno della Minus Habens, mentre il 2019 è stato l’anno post-Ciospa e in cui sono stato ad aspettare come uno scemo di firmare un contratto di lavoro vantaggiosissimo solo per poi ritrovarmi ghostato dal futuro capo (non sto esagerando, mi ha fatto letteralmente ghosting, non ha nemmeno avuto il coraggio di dirmi che non se ne faceva niente). 
 
Il 2020 invece, nonostante il delirio globale, è stato un anno estremamente privo di eventi per me, il che non è un male. Non posso dire di stare bene: il mio stato mentale è più precario che mai e francamente non vedo una via d’uscita, nemmeno sotto forma del tanto agognato vaccino. Non riesco a immaginare un mondo post-covid, in cui si torna a uscire liberamente, non si rispetta la distanza, non si attraversa la strada quando si vede qualcuno di fronte (onestamente, queste cose mi mancheranno). Una parte di me pensa che forse mi preoccupo per niente, che terminata del tutto l’emergenza ogni cosa tornerà alla normalità visto che molta gente ha continuato a comportarsi come nulla fosse; l’altra si domanda quanto profonde saranno le cicatrici di tutto questo casino nella nostra psiche collettiva.
Il punto, comunque, è che non riesco a immaginare come sarà la mia vita post-covid, quando non avrò più la scusa perfetta per tenere tutto quanto in stasi criogenica come ho fatto quest’anno.
C’è poi il fatto che in questo 2020 ho fatto un sacco di soul-searching, visto che non avevo molte voci esterne che annegassero la mia interiore che over-analizza ogni piccola cosa. Il problema è che, anche qui, non sento di aver fatto nessun progresso: ho avuto numerose epifanie ma non so che farne, né a chi rivolgermi per capirlo.

Forse è proprio questo che innesca la dissonanza cognitiva: a differenza del pozzo di disperazione che è stato il 2015, o della cantonata sui denti del 2019, il 2020 è riuscito a farmi sentire contemporaneamente protetto e accoccolato in un bozzolo e completamente perso, privo di direzione in mezzo alla nebbia. Per una volta, però, non mi sento in colpa per questa mancanza di direzione, perché tutti siamo spaesati in questo momento per qualcosa di molto più grande di noi. Egoisticamente, ho quasi paura di dover dire addio alla sensazione di non avere colpa. E forse è proprio così che ricorderò il 2020, come l’anno senza colpa.

In tutto ciò, comunque, quest’anno è stato inaspettatamente produttivo per quanto riguarda la fotografia. Naturalmente ho fatto quasi solo autoritratti e ho dovuto rimandare decine di progetti, ma le foto che ho fatto sono state tutte altamente concentrate e ho raggiunto livelli di sofisticazione che non mi sarei mai aspettato – del resto, avere a disposizione solo la luce naturale di casa e un muro monocolore significa doversi spremere le meningi per mantenere alta la creatività.
Per ovvi motivi, è anche stato l’anno in cui ho ascoltato più musica in assoluto, superando i 45.000 scrobble su last.fm, oltre 900 in più del 2013, il mio precedente record personale. Fra l’altro, tolti i primi anni in cui scrobblavo a macchia di leopardo o di cui ho dovuto cancellare ascolti taggati incorrettamente, gli anni in cui ho ascoltato meno musica sono stati, indovinate un po’, il 2015 e il 2019 – quest’ultimo in particolare perché mi aspettavo di dover cambiare radicalmente le mie abitudini di vita e non avere più tutto questo tempo da dedicare alla musica una volta che avessi iniziato a lavorare seriamente, quindi mi passava la voglia di ascoltarla mentre stavo lì, sospeso nel vuoto, ad aspettare. Musicalmente, questo è stato un anno ottimo e, naturalmente, domani pubblicherò la classifica annuale con tutti gli artisti che hanno tenuto insieme i cocci della mia psiche durante l’assurdità che è stato questo 2020.

E niente. Negli ultmi otto anni ho fatto un bilancio di fine anno solo nel 2018 perché l’offerta di lavoro mi aveva aperto una piccola speranza. A questo giro, l’ho fatto perché il 2020 è stato del tutto fuori dall’ordinario e non potevo ignorarlo. Se non altro, a questo giro non ho aspettative né speranze: solo l’orrore al pensiero che nel 2021 torneranno di moda gli orribili pantaloni a vita bassa che hanno piagato la mia adolescenza. Ma insomma, nemmeno quelli sono peggio di una pandemia globale… forse.

Sunday 27 December 2020

Counting my blessings

Sono uno che odia profondamente la gara della sofferenza: sentirmi dire che c’è chi sta messo peggio di me non mi dà nessuna consolazione, non risolve i miei attuali problemi e, anzi, mi fa sentire delegittimato nelle mie emozioni. Il che aggiunge, al disagio che già provo per il problema in sé, rabbia nei confronti di chi usa il luogo comune.
A volte, però, non guasta rimettere le cose un po’ in prospettiva quando il paragone nasce spontaneamente – perfino quando questa arriva dritto dalle app di dating.

Dato che la Sardegna è praticamente il deserto, specie con i filtri stringenti che metto io, mi capita di scrollare l’elenco di PlanetRomeo fino ad arrivare non solo in zona Roma ma, dato che l’aera di ricerca non è una linea ma un cerchio, addirittura in Tunisia e Algeria.
Ho notato che, come nelle varie zone d’Italia, anche dall’altra parte del Mediterraneo i profili tendono ad avere motivi ricorrenti su base geografica: quelli tunisini e algerini sono la non-impersonazione di celebrità. In sostanza, stando all’elenco di Romeo, il Nordafrica sarebbe pieno di adoni da calendario, attori più o meno famosi, modelli di Vogue Hommes e altri esemplari di manzi che improvvisamente hanno deciso di andare in vacanza da quelle parti, imparare la lingua locale e… oh, no, se non altro buona parte di questi utenti scrive, in inglese o francese, che la foto non è loro.

Inutile dirlo, i profili fake sono tutt’altro che un fenomeno unico di lì, eh: qui in Sardegna una volta ho trovato un presunto Matthew Djordjevic; a Trieste mi è capitato un Richard Madden che, quando gli ho dovuto spiegare le frecciate a tema Game of Thrones (non sapeva nemmeno chi fosse il suo “prestavolto”!), mia ha assicurato di essere “più bello” di Richard (“E chi sei, allora, Natalie Dormer?”).
Ma ci sono differenze: per prima la diffusione capillare, per seconda l’ammissione immediata di non essere loro in foto. Perché solitamente, quando uno si finge più o meno maldestramente un quarto di manzo, lo scopo dell’illusione è farsi mandare nudes dal malcapitato di turno: sapere già in partenza che la foto è falsa non dispone alla fiducia.
Quindi non posso fare a meno di chiedermi: cosa li spinge a fare una cosa del genere?

Di sicuro il bisogno di anonimato: date le circostanze socio-politiche e legali, dichiararsi è impossibile. E no, non è un’esagerazione o uno stereotipo inventato da noi Occidentali: ho chattato con un ragazzo tunisino e se n’è lamentato ampiamente.
Il compromesso fra nascondersi e assecondare il desiderio è quindi entrare in chat nella maniera più anonima possibile. Ma per quello basterebbe un petto decapitato, un paesaggio o qualche altra immagine randomica, come è costume diffuso qui in Sardegna. (L’opzione di non mettere nulla è più adatta a Grindr, dove il filtro foto è limitato al pacchetto premium, mentre PlanetRomeo permette di non far comparire in elenco i profili senza foto anche in versione base).
Ciò però non spiega un trend così specifico – la foto altrui, ma subito smentita. Purtroppo, il mio conoscente aveva come immagine un disegno esoterico, quindi non ho potuto chiedergli come ragionino i finti manzi magrebini e posso solo tirare a indovinare.
 
Certo, un bell’uomo cattura lo sguardo più dell’ennesimo tramonto sul mare e attira, quindi, più visite. Ma né quello né la semplice voglia di farsi mandare nudes, che sicuramente è un altro fattore, bastano: come dicevo, i finiti Richard Madden nostrani fanno orecchie da mercante quando si fa notare la loro menzogna, men che meno ammetterebbero subito di non essere loro in foto.
Temo che in questo caso si tratti del desiderio di essere qualcun altro – o, più specificamente, il desiderio di non essere se stessi. Forse più ancora che voler attirare gli sguardi o fingersi alti, col fisico scolpito e i lineamenti cesellati, la foto profilo dichiaratamente falsa è una fantasia, un what could have been. È un desiderio di evasione, di essere un uomo più libero e meno odiato – perché subire tutta questa repressione, alla lunga, avvelena anche lo spirito più anticonformista che lotta per sentirsi in pace con se stesso.
Normalmente, i fake mi fanno arrabbiare – principalmente perché mi sento insultato nell’intelligenza se pensano che ci caschi. In questo caso, però, mi suscitano empatia: dev’essere davvero brutto vivere col desiderio inconscio non di avere un’esistenza migliore, ma di essere proprio qualcun altro, finire con l’assorbire un tale rifiuto verso se stessi che l’unica soluzione è proprio annullarsi e immaginarsi una persona del tutto diversa – perché di nuovo, la finzione non è a danno del visitatore, per lui è chiara e tonda.

Come dicevo, che gli altri abbiano problemi peggiori non risolve i miei, ma a volte rimettere le cose in prospettiva aiuta ad apprezzare meglio ciò che si ha. Per quanto anch’io abbia problemi di autostima, non sono così radicati da farmi immaginare di essere una persona del tutto diversa, e in questo sono fortunato. Sono fortunato per essere cresciuto in un ambiente in cui sì, essere un adolescente gay era difficile, ma non mi ha lasciato traumatizzato così profondamente.

Friday 25 December 2020

Vecchi pettegolezzi

Fun fact, quest’anno ho onorato lo spirito festivo passando il Natale a malignare.
Beh, in parte: l’inizio è stato segnato da un attacco d’ansia low-key del tutto immotivato, poi io e la Mater abbiamo passato il pomeriggio a grindare in tandem per passare al livello 43 di Pokémon Go, poi ho scattato una foto ed è parlandone con Veronica che siamo finiti a fare le ciabattaie. Per inciso, la deduzione che come i tuoi amici si comportano con gli altri alle loro spalle è un ottimo indicatore di come si comporteranno con te alle tue è assolutamente vera: qualcuno una volta aveva notato che ogni volta che mi incontrava scatenavo un vortice di malvagità sopra le nostre teste rivolto a tutti quelli che ci avevano fatto torto almeno una volta; beh, guess what.

Comunque, il fatto che fra un paio di settimane saranno passati due anni dal secondo e penultimo punto di rottura non significa che io sia meno rancoroso, specie ora che, disseppellendo vecchi pettegolezzi, ho avuto un’epifania: prima dell’incidente che ha sfasciato tutto, qualcuno è venut* a trovarmi esattamente quattro volte; tutte e quattro nel giro di meno di un anno; anno nel quale ci provava con una persona dalle mie parti.
Fondamentalmente sì, le mie visite sono state ricambiate un gran totale di cinque volte in quasi dieci anni, di cui una per proposta famigliare e quattro perché stava correndo appresso a terze persone. Poi non avevo ragione a vedere un vero e proprio pattern di disparità di interesse e disponibilità che andava avanti da anni.

Quest’epifania, comunque, mi ha amareggiato ma non mi ha ferito; non ho idea di cosa ciò dica circa il mio processo di guarigione, ma vorrei interpretarlo come un segno del fatto che, se il rancore è la cicatrice che rimarrà lì a vita, la ferita vera e propria sta continuando a guarire.
La conclusione su cui invece sono assolutamente sicuro è che ho fatto bene a calciorotare questa persona fuori dalla mia vita.
Good riddance, bitch.

Friday 18 December 2020

Suona la sveglia

Ho sognato di avere trentanove anni.
Non ricordo nient’altro, se non l’età che avevo, di essermene accorto all’improvviso ed essere entrato nel panico.
Non so se avessi sbagliato a contare, se avessi dormito per nove anni e mi fossi svegliato solo in quel momento, se la quarantena fosse durata tanto, se semplicemente il tempo fosse trascorso monotono e indistinguibile fino a quella data. Fatto sta che all’improvviso mi accorgevo di avere trentanove anni quando avrei dovuto averne meno. Ero sulla soglia dei quaranta e non solo la mia vita non aveva direzione alcuna, ma non avevo fatto nulla di rilevante in questo tempo, non avevo assaporato niente, non me l’ero goduta.
È stata una delle poche volte in cui svegliarmi è stato un sollievo.

Che poi, è un panico stupido: quest’idea che la vita termini poco dopo i trenta potevo avercela a vent’anni, ma ora molte persone che ammiro, compresa la mia migliore amica, sono intorno ai quaranta o li hanno superati. Certo, “un tempo per ogni cosa e per ogni cosa uno spazio”, se mi perdo qualcosa a un’età diventa un po’ sciocco sperare di recuperarla quando è passata, ma non è quello il punto. Forse il numero è stato arbitrario e il mio cervello ha semplicemente processato il fatto che ho trascorso un anno in letargo forzato dopo una buona mezza decade in letargo autoindotto.

A questo punto, presumo che dovrei scrivere qualcosa di positivo e ispirante, tipo che mi è suonata la sveglia ed è tempo di impegnarmi per non avere il timore o dubbio o rimpianto di non aver vissuto al massimo, ma sinceramente non me ne frega nulla e un po’ penso che sia troppo tardi. Otto anni troppo tardi. E comunque, non che il futuro offra queste grandi prospettive in generale, men che meno a me.
Al diavolo: la sveglia è fatta per essere ammazzata.

Tuesday 15 December 2020

L’anno che mai fu(mai)

Alle ore 4:36 di questo stesso giorno, un anno fa, spegnevo la mia ultima sigaretta prima di fare il controllo sicurezza all’aeroporto di Bologna.
Dopo due tentativi falliti, mi ero posto la fine del 2019 come termine ultimo per smettere di fumare, così da non inquinare la nuova decade. In realtà avevo anche provato a smettere prima del mio trentesimo compleanno, così da non inquinare la mia nuova decade, ma il 2019 non era stato particolarmente clemente con me e non avevo avuto la forza per farlo davvero.
Ma dato che la Mater mi avrebbe ucciso se l’avesse scoperto (e probabilmente mi ucciderebbe anche se leggesse questo post), tanto valeva approfittare della vacanza “di qualche settimana” (lol!) da lei, in cui fumare sarebbe stato logisticamente difficilissimo e ancora più stressante dell’effimero sollievo che mi dava, per affrontare i primi, difficili tempi in cui il corpo va in astinenza mentre si disintossica (per inciso, anche le volte precedenti avevo smesso cold turkey ed ero durato mesi, segno che, all’occorrenza, la forza di volontà ce l’ho). In più, un completo stravolgimento di quella che era la mia routine a Trieste sicuramente avrebbe aiutato, visto che non avrei più avuto i momenti fissi della giornata in cui affacciarmi alla finestra per “prendere una boccata d’aria”.

Ed eccomi qui, “sobrio” da dodici mesi da che il mio record precedente era stato sette mesi e mezzo. Come ho scritto in quell’occasione, mi preoccupa solo che quest’anno sia stato così fuori dall’ordinario: facile stare pulito un anno intero quando a fare la differenza sono la convivenza forzata con la Mater, lo stravolgimento ulteriore della mia routine e la mancanza di occasioni sociali che mi potessero indurre in tentazione (che è stato ciò che mi ha fatto fallire le altre due volte). La paura è che, una volta finito tutto e tornato a Trieste, privo di una direzione nella vita se non morire un poco ogni giorno, la tentazione che ora non sento nemmeno più torni prepotente. Che tornino le giornate in cui l’unica motivazione che avevo di vestirmi e alzarmi dal letto era affacciarmi alla finestra per la prima sigaretta del giorno. O quelle in cui a farmi uscire di casa era il richiamo da sirena del tabacchi sotto casa perché avevo finito il pacchetto.
Ci sono state notti in cui ho sognato di fumare. Non sognato nel senso di “che nostalgia, o mio dio, quanto vorrei farlo”, ma in cui semplicemente fumavo, salvo poi, come nel caso dei sogni sulla mascherina, rendermi conto che era già il 2020, la nuova decade, e stavo di nuovo rovinando il mio proposito. E come nei sogni sulla mascherina (o quelli in cui rompo il telefono), svegliarmi e scoprire che va tutto bene, che non ho fatto un passo falso, che tengo ancora fede al mio impegno è un sollievo.

Poi però, quando mi capita di sentire l’odore, lo trovo estremamente fastidioso. Non mi manca arrivare la sera senza energie perché ho meno ossigeno in circolo, né svegliarmi nel cuore della notte con la voglia e non riuscire a riaddormentarmi finché non la soddisfo. Non mi manca avere l’alito perennemente pesante, e amo che la mia pelle sia più brillante e salubre di quanto sia mai stata mentre fumavo.
Ecco, spero che tutto questo abbia un peso che controbilanci il mio istinto di autodistruggermi, di regalarmi una gratificazione che percepivo anche come auto-punizione per essere un fallimento come persona.

Onestamente non sono sicuro di cosa mi abbia spinto a scrivere per la prima volta in chiaro che ho un passato da tabagista qui sul blog. Nei progetti iniziali, questo post (che per sicurezza terrò nelle bozze e pubblicherò solo quando sarà in seconda pagina, non si sa mai, ciao Mater) doveva contenere un vago riferimento alla cosa e concentrarsi più sulla mia permanenza Giù™, ma scrivere quella prima frase così esplicitamente è stato liberatorio. Forse è l’orgoglio di aver tagliato un traguardo arbitrario ma importante come quello dell’anno. Forse, sotto sotto, sento di aver superato la dipendenza e poterne parlare perché non mi appartiene più.
In ogni caso, ho smesso di fumare da un anno. Con l’aiuto delle circostanze, ma è pur sempre un anno. Bravo me.

L’anno che mai fu

Alle ore 4:36 di questo stesso giorno, un anno fa, mi preparavo a fare il controllo sicurezza all’aeroporto di Bologna.
Dopo una notte insonne per i soliti problemi logistici, passavo i metal detector, ricomponevo la valigia che avevo sventrato, prendevo un tè di terz’ordine e mi appollaiavo su uno sgabello per approfittare del tavolino con presa elettrica e cazzeggiare ancora un po’ su social e app di dating prima dell’imbarco.
Di lì a poco sarei decollato, avrei fatto un sonnellino ristoratore in aereo, mi sarei svegliato con lo scossone dell’atterraggio e avrei rimesso piede in Sardegna per una vacanza “di qualche settimana” (lol!) dalla Mater.

Non avrei mai immaginato che, per la prima volta da dodici anni, avrei vissuto in Sardegna per un anno intero. Di più! – che per la prima volta dal 1999 avrei passato un anno intero qui, senza spostarmi da qualche altra parte nemmeno per un giorno.

A dirla tutta, però, più che altro prendo atto della stranezza ma non è una vera lamentela. Date le circostanze, stare qui o a Trieste non farebbe differenza all’atto pratico – e anzi, come ho scritto altre volte, sia abdicare parte delle responsabilità di adulto, sia accoccolarmi nel bozzolo che è la (semi) quarantena non sono prospettive particolarmente sgradevoli, né rappresentano un grosso cambiamente nel mio stile di vita. Ecco, mi mancano giusto Giulia e la Grande Shanghai, ma per il resto non ho una direzione di vita qui come non ce l’ho lì, quindi tanto vale. (Probabilmente parlo così perché alcune circostanze mi hanno comunque garantito un’inaspettata quantità di autonomia dalla Mater in cui posso farmi gli affari miei e ascoltare la musica senza essere interrotto, altrimenti sarei molto meno indifferente.)

Comunque sì: questo è, per molti versi, l’anno che mai fu. L’anno in cui non ho abitato a casa mia a Trieste, in cui non ho vissuto la parvenza di vita di che conducevo, in cui tutto è stato talmente bizzarro da farmi stare in un luogo da cui ho cercato di fuggire da che ho memoria. E per ora mi sta bene così: non riesco a immaginarmi un dopo, né valutare oggettivamente se il prima fosse poi meno peggio di ora.

Monday 14 December 2020

Una frustrante passeggiata al sole

Oggi è la prima giornata di bel tempo da settimane a questa parte: fa tiepido, è soleggiato, non c’è vento, è estremamente gradevole. La Niantic ha deciso di organizzare l’ennesimo evento in Pokémon Go, così io e la Mater abbiamo pensato di fare un breve giro per raidare, metterci in palestra e portare avanti la missione speciale. Fra l’altro, nei giorni scorsi avevo un colossale brufolo sulla punta del naso, di quelli sottocutanei cattivissimi, che si gonfiano, fanno male ma non riescono a spurgare in nessuna maniera: l’ho dovuto trattare con una pomata sovietica dalla formula segreta (teorizzo sia a base di muffe radioattive dal sarcofago del reattore di Chernobyl) che l’ha fatto sgonfiare e maturare in tempi record, ma prima avevo l’intera punta del naso gonfia e rossa, proprio a mo’ di pagliaccio, e la mia autostima era sotto le scarpe. Il fatto che oggi per la prima volta mi sia visto anche senza alone rosso ha fatto miracoli per la mia autostima e mi ha convinto a uscire.
Non che facesse chissà che differenza, comunque: il naso non si vedeva perché quando esco indosso sempre la maschera.
IO.

Come passeggiata è molto frustrante perché ho constatato che, andando verso il Balaguer, più della metà delle persone non indossava la mascherina. Qualcuno la “indossava” sul mento, ma molta più gente non l’aveva proprio in faccia, nemmeno per far finta di tirarla su quando incrociano qualcuno.
Beh, ho deciso di lasciare la passivo-aggressività libera, commentando più volte ad alta voce alla Mater che, a quanto pare, il lockdown ce lo meritiamo davvero, o che quei coglioni sono gli stessi che poi si lagnano senza fine quando finiscono rinchiusi in casa. La Mater ci è andata ancora meno per il sottile: “Poi si ammalano, si aggravano, crepano e la famiglia fa causa all’ospedale per negligenza, quando se la sono semplicemente cercata”. Uno sportello sbattuto con forza alle nostre spalle ha annunciato che dopo il nostro passaggio la signora seduta sulla panchina con la madre anziana è andata in macchina a recuperare le mascherine e indossarle. Evidentemente, per quanto stizzita, si è resa conto che non avevamo tutti i torti.
 
La cosa mi ha urtato non poco. Ormai sono abituato a portare la mascherina e, per la maggior parte, quasi non ci faccio caso, ma ciò non significa che sia gradevole, facile o comodo; se posso farlo io, può farlo chiunque.
Fra l’altro, ricordate il sogno in cui avevo dimenticato la mascherina? È diventato il mio nuovo incubo ricorrente: sto andando da qualche parte, a metà strada mi accorgo di non averla, ma a quel punto è troppo tardi per tornare a casa a metterla, quindi non so che fare. Lo scenadio è di volta in volta sempre leggermente diverso, ma sono già sei o sette volte che ricordo di aver fatto qusto sogno.
E sì, probabilmente sentire la responsabilità di non peggiorare la situazione perfino in sogno è un po’ eccessivo, ma mi rende ancora più indigesta la gente che invece ignora la propria.
 
On a side note, oggi mi sono reso conto di quanto io non sia pronto al vaccino. Non sono pronto a sentire le lagne di chi vorrebbe che questa situazione finisse ma “nOn SaPpIaMo CoSa Ci MeTtOnO dEnTrO”, chi non vorrà farlo per puro spirito di contraddizione, per sentirsi il più furbo e intelligente di tutti perché ha scoperto il complotto, perché è più facile lagnarsi che impegnarsi a contribuire alla soluzione. Prevedo mesi di blast attivo ovunque, perché c’è un limite a quanto disprezzo si può provare prima che tracimi.

Saturday 12 December 2020

L’obbligatorio post natalizio

È iniziato in sordina: la Mater che mi chiedeva di aggiornarle il punteggio su un gioco online mentre non c’era e io che le dicevo di lasciare l’albero di Natale acceso così, andando in bagno, mi sarei ricordato di farlo; io che, rannicchiato sul divano a chiacchierare, osservavo le lucine lampeggianti e mi accorgevo che c’erano degli addobbi rossi (che, secondo qualche sito superstizioso russo, a questo giro sono un no-no visto che l’anno prossimo sarà l’anno del Toro secondo lo Zodiaco Cinese, va’ a capire il collegamento); e poi lei che si dimenticava di accenderlo e io che, già almeno un paio di volte, glielo ricordavo. In fondo, già che sta lì al centro del salotto, tanto vale che luccichi.

Ebbene sì: quest’anno non solo non faccio finta che non esista, ma riesco addirittura a tollerare l’albero di Natale. Anni e anni di interminabili rant natalizi, ed eccomi qui ad accendere io le lucine colorate.
Probabilmente, ad avermi ben disposto è il fatto che se già l’anno scorso me l’ero cavata col minimo sindacale d’impegno, a questo giro non ho letteralmente mosso un dito per fare l’albero. Ho giusto portato giù le scatole dalla mensola dello sgabuzzino e passato l’aspirapolvere a lavori finiti, il resto l’ha fatto tutto la Mater. “Ti sto facendo compagnia mentre fai l’albero”, le ho risposto quando si è lamentata che non la stessi aiutando, e mi sembra un ottimo compromesso: lei non mi obbliga a fare un’attività che trovo tediosa, io non porto rancore verso l’albero per il solo fatto di esistere, win-win.

Che dire, quindi? Non era proprio fastidio, era più pigrizia? O forse, non avendo davvero partecipato, riesco a tenere le giuste distanze dalla cosa e non farmi coinvolgere dai risvolti antipatici che ha per me? O semplicemente, dopo quest’anno, sono talmente stanco che non ho più le forze di essere anti-natalizio?
Ai posteri l’ardua sentenza.

Saturday 5 December 2020

La costanza dell’incostanza

Da qualche settimana ho ripreso in mano, dopo svariati anni, il pianoforte. L’ultima volta che mi ci ero dedicato era stata intorno al 2018 per tentare (senza successo) di imparare la sigla di Westworld. Prima di allora, avevo tentato con Light Of The Seven da Game of Thrones nel 2016, e Father Father di Susanne Sundfør nel 2015 (avevo ancora i capelli lunghi, gasp). Entrambe abbandonate dopo un po’ perché erano troppo oltre le mie già non stellari e a lungo trascurate capacità di pianista.
Quest’anno ci sono ricascato di nuovo con Goodbye di Apparat e Soap&Skin. L’idea mi allettava già da qualche mese, così ho trovato lo spartito di una riduzione per pianoforte e ho iniziato a impararla.

Stranamente, a questo giro sto procedendo molto più spedito che le ultime volte che ho tentato di imparare qualche brano da autodidatta – in buona parte perché finalmente mi sono imbarcato in un’impresa alla mia portata. Ho sempre pensato che, non andando più a lezione, mi mancasse il fiato sul collo dell’insegnante a motivarmi e darmi disciplina, ma forse non si tratta di quello. Forse l’insegnante serviva più che altro a darmi metodo, era il parere esperto che stabiliva su quante battute fosse il caso di esercitarmi prima di proseguire con lo spartito, a che punto fossero arrivati i miei progressi e se fosse il caso di provare o meno ad assemblare le due mani, e così via.
Per quanto riguarda il fiato sul collo, invece, ad aiutarmi con l’apprendimento è proprio il fatto che a questo giro non sto pretendendo nulla da me stesso. Non mi sono imposto di esercitarmi tot minuti al giorno, né tutti i giorni: quando ho voglia, quando ho ascoltato la canzone e ne ho l’anima talmente piena che tracima dalle dita, quando sono curioso di vedere come suonerebbe quella battuta a cui non sono ancora arrivato, quando voglio provare a sentire le due mani assieme. Ecco, allora mi siedo sullo sgabello, scopro i tasti e inizio a esercitarmi. Anche più volte al giorno, se mi va. O non lo faccio se non mi va. Ed è proprio questa libertà, che mai avevo provato suonando, che mi mantiene motivato e curioso.
Ho scoperto la costanza dell’incostanza.

Ps: ma ci credete che in otto anni di pianoforte nessuno mi aveva mai insegnato a usare i pedali? Ho dovuto andare a tentoni e, con grande orgoglio, penso di essermi districato. Yay for me!