Monday 25 May 2020

Difendere l’indifendibile

Correva l’anno 2014: non ricordo quale “capolavoro” di Laña del Rey fosse uscito, avevo scritto le mie opinioni track by track su Facebook in maniera caustica ma fornendo critiche argomentate su perché l’album facesse schifo, e avevo settato la privacy del post su “pubblico” per vedere di nascosto l’effetto che fa.
Un qualche fan di Laña aveva risposto in maniera estremamente piccata spingendomi a fare una profonda riflessione: anch’io ero così deficiente quando, da ragazzino, idolatravo gli Evanescence?

Beh, è bello constatare che sei anni dopo non è cambiato niente.

Ora, non ho mai fatto mistero né del profondo disprezzo che nutro verso i fan di Laña del Rey, né di quanto ridicoli trovi sia la sua musica sia il personaggio che si è costruita. A parte le battute sui pessimi lavori di chirurgia che si è fatta fare nel corso degli anni, però, non ho mai espresso opinioni su lei come persona, visto che non la conosco. Non la odio, non la amo, non penso nulla di particolare su Elizabeth Grant.
Fino a qualche giorno fa.
Perché è vero, la mancanza di trasparenza e onestà del personaggio lascia sempre un dubbio che ciò che dice non sia sincero, ma se quelle che ha espresso nell’ultima carrellata di messaggi Instagram, storie e tweet sono davvero le sue opinioni, questa donna è marcia anche nel personale, oltre che artisticamente. Il che è tutto dire, considerando che ormai sarà composta per la maggior parte da idrocarburi.

Lascio all’attento lettore il compito di rintracciare sia il post originario sia la sfilata di catfight e sparate passivo-aggressive (o aggressive e basta) con cui ha cercato di far fronte al backlash che si è scatenato. Lascio anche a blogger più qualificati di me su argomenti relativi al razzismo, specie la microaggressione, di giudicare se sia o meno casuale che sei delle sette artiste che ha infangato nel post originale – pardon, omaggiato, stando alle rettifiche – siano persone di colore. Se il sottinteso che molti hanno colto, e che costituisce una parte molto sostanziosa del backlash che sta subendo, è presente, le cose sono ancora peggiori, ma vorrei concentrarmi nello specifico su ciò che ha espresso apertamente e che è inequivocabilmente criticabile: il suo fastidio nell’essere accusata di glamourizzare l’abuso e le relazioni tossiche, e le cose che dice per smentire l’idea.

Ebbene, c’è un aspetto fondamentale, quando si affronta un argomento controverso in un’opera d’arte, che a Miss Grant sembra sfuggire, ed è il FRAMING.
Sì, Elizabeth, nelle tue canzoni puoi affrontare argomenti come l’abuso, lo spogliarellismo, gli sugar daddy, la prostituzione, le relazioni tossiche, lo sbilanciamento di patere, quel che ti pare; ma il modo in cui li inquadri susciterà reazioni diverse nell’ascoltatore, e quello dipende da te. Se già in questo stesso post mi parli del femminismo che deve accettare le “donne che dicono no ma il loro uomo sente sì” come se fosse un atteggiamento normale, addirittura desiderabile, le persone con un cervello avranno dei problemi con quel che dici e non è certo colpa loro.

Che poi, capisco pure la confusione e le incongruenze nelle affermazioni e nel personaggio pubblico di Miss Grant nel corso degli anni, visto che “Lana del Rey” non è altro che una rievocazione della biografia di Norma Jean Baker con un tocco di Priscilla Prestley qua e là: sarebbe difficile per chiunque ricordarsi cosa si è preso e cosa no, in che misura e in che ordine. Ma riproducendo materiale dagli Anni Cinquanta e Sessanta senza modifiche, con quegli stereotipi di femminilità e di ruolo della donna, a un pubblico moderno produrrà per forza un effetto anacronistico, visto che la società è andata avanti. (Pensandoci bene, il fatto che attinga a quei decenni getta un’ulteriore, brutta ombra sulla questione delle donne di colore che ha infamato nel suo post…)
Fra l’altro, non vedo con che faccia possa definirsi un’icona di emancipazione sessuale per aver affrontato il tema della prostituzione, se poi negli stessi post critica altre artiste femminili per aver cantato del loro corpo o vita sessuale, e usa poi espressioni come “prenderlo in culo” in termini derogatori. Grandissimo esempio di progressismo, complimenti!
Le accuse che la critica musicale pretenda una felicità preconfezionata e si scagli contro di lei perché a volte osa essere genuinamente triste, poi, sono ridicole. Là fuori è pieno di vere cantanti di tutte le età, in ogni genere, più o meno famose, con background musicali e personali molto diversi, che affrontano temi profondamente personali, spesso oscuri, difficili, delicati, ma non vedo nessuna di loro lamentarsi che “esprimere una nota di tristezza” le faccia automaticamente etichettare come “isteriche” solo in virtù di essere donne.
Quindi forse, Elizabeth, il problema non è sociale, ma dipende interamente dalle carenze del tuo songwriting.

Ma hey, in realtà quest’intera conversazione è resa futile dal fatto che questo post era solo un grosso stunt pubblicitario per presentare le sue prossime pubblicazioni! È stato progettato apposta per scatenare del drama, le è solo sfuggito di mano perché l’ha sparata troppo grossa e con tanto di implicazioni sfortunate. E se anche, ripeto, le si volesse dare il beneficio del dubbio sull’intenzionalità delle microaggressioni razziste, la glamourizzazione dell’abuso di cui si dice stanca di essere accusata È LÌ NEL TESTO! Mischiata alla ben e meglio con argomentazioni fondate, apparentemente simili ma fondamentalmente diverse, come dire che il femminismo deve rispettare le donne dal carattere più mite e remissivo, o dalle aspirazioni più “tradizionali”, che è ben diverso da accettare che un uomo “senta sì al posto di no”! (Il tutto poi scagliandosi anche contro gli uomini che dicono che una donna “se l’è cercata”, viva la coerenza.)
E tutto ciò è messo lì apposta per dare risonanza al post con cui annuncia i suoi libri di poesia e il suo album!

Io capisco che possa esserci gente a cui piace la sua musica. Capisco perfino che a qualcuno possa piacere il personaggio. Ma come si può continuare a difenderla quando spara cose del genere? Quando prende argomenti che per migliaia di persone nel mondo, donne e anche uomini, sono la dura, amara realtà, e ci monta sopra un polverone per farsi pubblicità?
Perché al contrario della storia che si era inventata, lei non è uscita strisciando da un parcheggio di roulotte, ha una famiglia facoltosa alle spalle. Ha successo e denaro guadagnati con la sua carriera di “cantante”. Ha tutti i mezzi economici e sociali per cercare aiuto e tirarsi fuori da eventuali situazioni di abuso o violenza: bello, in questo caso, trattarle come un divertimento. Molte persone, però, questa fortuna non ce l’hanno.
Come può essere colpa di noi altri che, poveri ignoranti, non capiamo il suo reale genio e le cose che in realtà intende dire? Per quanto mi riguarda, qualunque fan che pensi questo o è stupido e in buona fede, o intelligente e in malafede – così come lei stessa. Riproponendo quelli che sono problemi reali di persone reali in versione parco a tema, lei si fa pubblicità, i fan rafforzano la loro posa di grandi intellettuali che capiscono la vera arte e i messaggi di questa santa donna. E questo, francamente, è indifendibile.

Tuesday 12 May 2020

Niente critiche, solo complimenti

Ho un rapporto molto complicato con i complimenti. Non dico che non mi piaccia riceverli… no, in effetti è proprio quello che dico: per lo più, mi mettono profondamente a disagio.
È un discorso che è saltato fuori  già un paio di mesi fa mentre chattavo con un conoscente riguardo le varie app di dating e compagnia cantante, e di cui ho conservato qualche screen per ricordarmi dell’epifania che ho avuto e poter tornare indietro a rifletterci sopra in un secondo momento (che è ora).

Certo, non tutti i complimenti nascono uguali e quindi non reagisco sempre allo stesso modo. Quelli rivolti al mio intelletto, alle mie abilità, alla mia opera, al modo in cui mi vesto o pettino tendo ad accettarli più volentieri, pur con le dovute riserve: si riferiscono a qualcosa su cui ho controllo e posso agire direttamente. Sono dei meriti che ho, o si riferiscono a cose che nessun altro potrebbe fare esattamente allo stesso modo, per cui sono più plausibili perfino con la mia sindrome dell’impostore.

Quelli rivolti all’aspetto fisico vanno dal suscitarmi imbarazzo a vera e propria irritazione.
Credo dipenda sempre dalla solita sindrome dell’impostore: dato che sono convinto di non meritarmeli, li ritengo automaticamente non sinceri. Deve esserci una fregatura, un secondo fine, un ulteriore motivo. E se si tratta di complimenti rivolti al mio fisico, specie sulle app di dating, il secondo fine è chiaramente portarmi a letto. Quindi automaticamente mi sento minacciato nella mia unicità perché il complimento non sincero è solo un modo per arrivare all’ennesimo orgasmo, a prescindere da chi lo provochi: io divento solo un mezzo per raggiungerlo e il complimento è un modo per fregarmi e farmi collaborare.

Ed è vero, come discorso fa molto in fretta a passare dalla scarsa autostima per cui non penso di meritarmi i complimenti alla pretesa di sentirmi unico. Probabilmente a urtarmi, nei complimenti per il fisico, è il fatto che per farli non c’è nemmeno bisogno di conoscermi bene, di sapere cosa mi piace fare e in cosa metto il mio impegno.
Altrettanto probabilmente, se li trovo così affettati e generici è proprio perché lo sono: è un modo rapido e facile per dire qualcosa di positivo senza doversi impegnare e li si può riciclare su molti ragazzi nella speranza, prima o poi, di far centro.
Per certi versi, non sorprende che finiscano per sorbire l’effetto opposto e farmi sentire insultato: davvero ‘sta gente pensa che sia così stupido da sentirmi lusingato per così poco?

Ok, questa sarà una di quelle epifanie che non vanno a parare da nessuna parte: forse alla fine non sono davvero io ch– cioè, sì, sono io, visto che i complimenti fatti da parte di amici e conoscenti li ritengo sempre frutto di compassione nei miei confronti, di un tentativo di non urtarmi mentendomi. Ma i complimenti da parte di sconosciuti, specie in contesti “predatori”, probabilmente mi urtano per motivi decisamente più concreti e intrinsechi ai complimenti stessi.
Bene, se non altro ora ho individuato su quali aree lavorare e in quali, invece, fidarmi della mia diffidenza.

Thursday 7 May 2020

Classifica musicale generale, 51-100 – 2020

Quest’anno eccezionalmente a maggio, sebbene basata sugli ascolti aggiornati al 31 marzo come da tradizione, perché come dicevo nel post precedente le circostanze sono sfuggite di mano e gli scorsi due mesi c’è stato silenzio stampa.

Nelle puntate precedenti:
2018;
2019.

Classifiche generali (1-50):
2016;
2017;
2018;
2019.

Classifiche annuali:
2017;
2018;
2019.

1. Come ti sei appassionato alla posizione numero 80? (Morning Parade)
• Grazie a una persona che non mi dispiace aver perso per strada a un certo punto.
2. Prima canzone ascoltata della numero 72? (After Forever)
• Non ricordo, ma quasi sicuramente qualcosa dal self-titled. Probabilmente Cry With A Smile.
3. Testo preferito della numero 83? (Freddie Dickson)
Shut Us Down.
4. Album preferito della numero 99? (Shadowgarden)
• Purtroppo hanno fatto solo Ashen.
5. Canzone preferita della numero 63? (A Perfect Circle)
• Pronto a tradire la mia fangirlness degli Evanescence: Orestes!
6. Album peggiore della numero 100? (Pure Reason Revolution)
• Non penso sia necessariamente peggiore, ma The Dark Third mi piace meno degli altri due; probabilmente perché con Amor Vincit Omnia li ho scoperti, mentre Hammer And Anvil l’ho dovuto aspettare.
7. C’è una canzone della posizione numero 89 che senti molto tua? (Sigur Rós)
• Quanto sono un scontato come gay che è stato adolescente negli Anni Duemila se dico Hoppípolla?
8. Bei ricordi legati alla numero 65? (Roniit)
• La ascoltavo una mattina mentre ero a Bologna, e solitamente i ricordi dei viaggi sono piacevoli anche se non succede nulla in particolare.
9. Quanti album possiedi della numero 55? (Ramin Djawadi)
• Ahem… It doesn’t look like anything to me.
10. C’è una canzone della numero 95 che ti rende felice? (PJ Harvey)
• Come si fa a non essere felici quando si ascolta Long Snake Moan?
11. Canzone preferita della numero 90? (Amesoeurs)
Gas In Veins.
12. Canzone della numero 60 che ti piace di meno? (Siobhán Donaghy)
• Allora. A pelle, per qualche motivo, prima ancora di provare ad ascoltarla, avevo intuito che io e Siobhán saremmo andati molto d’accordo. Ma quando ho sentito Nothing But Song, l’opener del primo album, per poco non ho temuto che tutta la sua musica fosse brutta e la sua voce sprecata così.
13. Bei ricordi evocati dalla numero 56? (The Crest)
• Il concerto per il compleanno di Kristian, CFR post dell’anno scorso.
14. Canzone della numero 88 che associ a un momento o persona? (We Are The Fallen)
Don’t Leave Me Behind mi fa sempre pensare a Stefanino, non per altro perché è il titolo di una foto che gli ho scattato alla faccia di Pescy.
15. Quale canzone della numero 69 ti emoziona di più? (The Birthday Massacre)
• “Emozione” presupporrebbe un certo livello di genuinità o, quantomeno, profondità emotiva, cosa che la musica dei The Birthday Massacre non ha già da quasi un decennio.
16. Quante volte hai visto la numero 85 live? (Beyon-D-Lusion)
• Nessuna, e visto che sono stati inghiottiti dal vuoto cosmico la vedo difficile.
17. Quale canzone ti ha fatto innamorare della 73? (Carice Van Houten)
• Sono indeciso fra Siren And The Sea o Something Funny, ma tutto l’album è stato un colpo di fulmine.
18. Album preferito della numero 61? (Rag’n’Bone Man)
• Verrebbe da dire: “Human, duh?” ma in realtà, fra EP e mixtape, ci sono almeno cinque anni di materiale prima di quello. Comunque Human, visto che i prim mixtape sono a malapena ascoltabili.
19. Prima canzone ascoltata della numero 64? (Amanda Somerville)
• Ah, questa è facile! Angel Of Mine nel 2005-2006, quando i P2P tentavano di spacciarla (con sorprendente successo) per una demo leaked dalle sessioni di registrazione di The Open Door degli Evanescence!
20. Canzone preferita della numero 77? (Portishead)
• Mi verrebbe da dire Glory Box urlando e preparando un cosplay di Michael Langdon per fare la mia power walk, ma Roads e la versione di Sour Times su Roseland NYC Live le alitano sul collo.
21. Album preferito della numero 66? (The Romanovs)
• Wow, non poteva capitarmi una band con una situazione discografica ancora più complicata? …And The Moon Was Hungry…, la versione “definitiva”.
22. Prima canzone ascoltata della numero 97? (ionnalee)
Samaritan. Che, onestamente, mi ha subito fatto mettere in dubbio l’idea di pubblicarla separatamente da iamamiwhoami, ma tant’è.
23. C’è una canzone della 68 che trovi catartica? (Versailles)
• Mmh, le canzoni dei Versailles mi hanno mai fatto provare qualche emozione?
24. Come hai scoperto la numero 71? (Tori Amos)
• Come si fa a non scoprire Tori Amos, semmai! Sicuramente ne avevo sentito parlare da sempre, ma il solito gruppo di amici sul forum di Epica Italy me l’ha presentata ufficialmente.
25. Canzone della numero 76 che ti rende felice? (Loreen)
• C’è un motivo se Euphoria si è portata a casa la vittoria all’Eurovision.
26. Canzone preferita della numero 53? (Woodkid)
• Sbam! I Love You. Che batte comunque una concorrenza spietata perché ci sono pochissime sue canzoni da non adorare.
27. Album preferito della numero 52? (Abney Park)
• In parte è affetto perché è quello con cui li ho scoperti (dieci anni fa!), ma Lost Horizons.
28. Prima canzone ascoltata della numero 82? (Swallow The Sun)
• Sono piuttosto sicuro che sia stata Cathedral Walls: ricordo ancora la gioia viscerale di sentire finalmente Anette non sprecata in qualche porcata dei Naituiss.
29. Testo preferito della numero 58? (Sharon Den Adel)
• La title track / canzone eponima del progetto solista, My Indigo.
30. Quante volte hai visto la numero 67 live? (Trillium)
• Uhm, tipo una volta, più o meno? Era Amanda Somerville solista, ma ha proposto anche canzoni dei Trillium. O erano i Trillium e hanno proposto canzoni di Amanda solista?
31. Prima canzone ascoltata della numero 94? (Indila)
Tourner Dans Le Vide. Lo ricordo perché me l’aveva passata Luisa (chi altri?) e se n’era parlato insieme.
32. Album della 62 che ritieni sottovalutato? (Sleepthief)
• Probabilmente Mortal Longing è passato vergognosamente sotto il radar a causa dei troppi anni di attesa, rimandi e procrastinazione che ci sono stati dietro.
33. Canzone peggiore della numero 79? (Nero)
• Ciò mi ricorda che devo ancora radunare lo sfacelo di singoli più o meno autoprodotti e più o meno schiaffati su vinile del periodo pre-Alana Watson.
34. Prima canzone ascoltata della numero 84? (Todesbonden)
• Questa la ricordo bene: Ghost Of The Crescent Moon, courtesy dell’allora non ancora hipster che non sarà nominato.
35. Album preferito della numero 78? (Björk)
Homogenic.
36. Quante volte hai visto la numero 92 live? (Diablo Swing Orchestra)
• Nessuna, ma mai dire mai.
37. C’è qualche canzone della 86 che consideri un guilty pleasure? (Dama)
• No: fanno musica troppo buona perché l’ascolto abbia alcunché di guilty!
38. Come hai scoperto la numero 98? (Rose McGowan)
• Direi grazie a Charmed. In tutti i sensi, sia come persona, sia come cantante grazie alla cover di Fever che ha cantato nella quinta stagione.
39. Album preferito della numero 57? (M.I.A.)
Matangi o AIM, sono fortemente indeciso.
40. C’è qualche canzone della numero 81 che ti mette nostalgia? (The xx)
• Ok, per non finire sempre su Together = Murka, dico Intro e, in generale, il primo album, perché se ne parlava con Alessandro Jonah una sera fuori da una discoteca durante uno dei miei paxxissimi week end milanesi.
41. Canzone della 91 che non ti piaceva ma adesso ami? (Loïc Nottet)
• Non direi: quelle che mi piacevano mi piacciono, quelle che non mi piacevano continuano a non piacermi.
42. Testo preferito della posizione numero 74? (:LOR3L3I:)
I Found You, che per molti versi è diventata la canzone mia e di Katia.
43. Canzone più emozionante della numero 96? (Sugababes)
Flatline, perché finalmente è ufficialmente una canzone delle Sugababes che si sono riunite nella line up originale con quella santa donna che è Siobhán!
44. Canzone della numero 75 che ti rende felice? (Ala.ni)
Ol’ Fashioned Kiss.
45. Canzone preferita della numero 59? (Octavia Sperati)
• Quel capolavoro che è Dead End Poem.
46. Primo album ascoltato della numero 87? (Atrox)
Contentum.
47. Membro preferito della numero 54? (Beyoncé)
• Sempre Solange che mena la gente in ascensore.
48. Prima canzone ascoltata della posizione numero 93? (Hearts Of Black Science)
Wolves At The Border featuring quella scoppiata di Heike.
49. Album che possiedi della numero 70? (Anette Olzon)
• Sono un orgoglioso possessore di Shine.
50. Il miglior ricordo associato alla numero 51? (Alcest)
• La gita al Cimitero Acattolico di Roma del dicembre 2007.

Wednesday 6 May 2020

Rehoboam


Ho giusto due righe conclusive su Westworld e Clementine:
NO SCUSA, HBO, IN CHE SENSO AVEVI ANGELA SARAFYAN IN COSTUME SUL SET DEL SEASON FINALE E NON SI SONO VISTE SCENE CON LEI?! CHI HA DECISO DI TAGLIARLA VIA DALL’EPISODIO?!
Detto questo, la mia fiducia nel payoff dello storyline di Maeve è stata ben riposta, a ‘sto giro, perché sono riusciti a darle una degna conclusione, e anche Dolores ha avuto una fine soddisfacente. Senza fare spoiler, inizio a chiedermi se la ricomparsa randomica di Clementine non fosse del foreshadowing e non acquisti senso nella prossima stagione in relazione a un certo avvenimento, ma non ci spero più di tanto: probabilmente rimarrà un’incongruenza nella continuità dello show perché a nessuno frega di Clementine dalle parti degli sceneggiatori.

Cambiando discorso (ma non troppo), un po’ mi scoccia aver trascurato il blog in questi due mesi: da qualche anno avevo preso la buona abitudine di postare almeno qualcosa ogni mese. Certo, ci sono stati dei momenti in cui ho scritto meno, ma di solito ho sempre lasciato almeno un post abbozzato o qualche annotazione registrata sulla data in cui mi era venuta in mente, così da poi potermi rimmergere in quei pensieri per completare e pubblicare il post quando fossi stato più ispirato nello scrivere.
A questo giro, però, non ho avuto nulla da dire né da annotare per tempi migliori, così il blog è rimasto in silenzio. Il che forse, tutto sommato, ha un valore simbolico: il buco di due mesi nel blog rispecchia quello nella nostra vita collettiva.

Non che io mi possa lamentare più di tanto, eh: così come, per coincidenza, mi sono trovato in Sardegna e ho potuto godermi le attenzioni della Mater e una zona relativamente meno pericolosa in quanto a contagi, mi ero anche iscritto a un corso online di fotografia organizzato dalla curatrice del MoMA che mi ha impegnato con lo studio sei settimane di quarantena, dando un senso a quel periodo. Corso che, per inciso, ho concluso con un voto di 98 su 100, come il diploma della maturità. Ma il punto è che mi sono passato la quarantena meglio di tanti altri, senza la frustrazione di non poter uscire e vedere gente, senza dovermi scontrare con una quotidianità spezzata o giornate improvvisamente vuote e troppo lunghe: ho avuto qualcosa con cui impegnare il tempo in un momento in cui la mia quotidianità era comunque in un limbo, per cui sono andato avanti un po’ come sempre. L’unica cosa di cui ho sofferto è stata l’ansia per la situazione generale, sia italiana sia internazionale.

Per questo, per molti versi è stato strano guardare questa stagione di Westworld, incentrata sull’impatto negativo che algoritmi e tecnologie di previsione comportamentale hanno sull’umanità, mentre nel mondo reale regna il caos.
Perfino fuori dal parco, il mondo di Westworld è molto ingiusto, con un profondo divario fra ricchi e poveri, una pace e un ordine sociale fragilissimi tenuti su a sputo tarpando le ali della maggior parte delle persone. Nel mondo concepito dal supercomputer Rehoboam, gli esseri umani non hanno più possibilità di scelta o di essere felici degli Host nel parco – per certi versi, è una distopia ancora peggiore perché non c’è un tasto di reset alla fine del ciclo narrativo, quelle vite sono sprecate e distrutte per davvero.
Però, nonostante il framing cerchi di essere il meno ambiguo possibile nel descrivere questo sistema come oppressivo, non posso fare a meno di domandarmi se non sia, dopo tutto, il male minore, visto che è esplicitamente mostrato che l’alternativa è il collasso della civilizzazione umana.

Ecco, guardare uno show che esplora il fallimento delle tecnologie come ausilio nel preservare la nostra società e correggere i nostri impulsi autodistruttivi è piuttosto angosciante in un momento in cui qualcosa di low-key apocalittico sta accadendo davvero sotto i nostri occhi senza quelle tecnologie. Lo scenario ipotetico in cui un supercomputer influenza le sorti dell’umanità causando estreme difficoltà sociali su scala mondiale si scontra con una realtà in cui queste estreme difficoltà sociali ce le siamo create da soli. La sensazione è che non importa cosa facciamo, quali soluzioni tentiamo di adottare, siamo comunque spacciati.

Ultimamente mi trovo spesso a commentare scherzosamente: “Quanto si vede che questo film / show è stato fatto prima del covid”. Di solito la battuta riguarda piccolezze igieniche, di prossimità delle persone, di leggerezza nei controlli su cui però verte la trama e che oggi, con la consapevolezza di aver sbattuto la faccia su come un virus si diffonde, sarebbero inconcepibili.
Ecco, anche la terza stagione di Westworld, si vede che è stata fatta prima del covid, ma per un motivo ben diverso: un messaggio potente, che l’umanità è autosufficiente e ha in sé i mezzi e l’arbitrio per salvarsi, diventa irreale in un momento in cui, lasciati a noi stessi, siamo allo sbaraglio completo e non riusciamo nemmeno più a immaginare come sarà il mondo fra due settimane.
A volte ho genuinamente il terrore che il mondo che ho conosciuto fino ai trent’anni sia scomparso per sempre e ad attendermi, per il resto della mia vita, ci sia qualcosa di sconosciuto e ancora più difficile da affrontare.

Monday 4 May 2020

Dobbiamo nuovamente parlare di Clementine

That’s right, bitches: non uno, non due, ben tre rant su Clementine Pennyfeather di Westworld, e questo arriva a distanza di quanto, due anni? La frustrazione è sempre in agguato quando ci si affeziona ai personaggi di contorno.

Dopo il disastro che è stata la seconda, con la terza stagione di Westworld sono partito prevenuto, addirittura ostile. La tematica dell’emancipazione degli host è stata abbandonata completamente per passare a quella del back up degli umani, si è sprecato il potenziale di esplorare cosa renda una macchina antropomorfa davvero senziente (a parte i quattro o cinque protagonisti con i nomi), cosa significhi essere umani, avere libero arbitrio, abbandonarsi agli impulsi o controllarli. Temendo che la serie non potesse più riprendersi dopo uno spreco del genere, ho aspettato che i primi sette episodi andassero in onda per recuperarne uno a sera in vista del finale di stagione e ora mi sono rimesso in pari.
Da qui in poi attenzione, ci saranno spoiler più o meno espliciti sulla terza stagione di Westworld.

Diamo a Cesare quel che è di Cesare: mi rimangio il roll eye preventivo con cui ho reagito al rinnovo per una quarta stagione. La terza è un reboot efficace che riesce a crescere sulla base della prima stagione, di cui riprende le tematiche ma in un contesto diverso, ed evitare per lo più il fallout della seconda, addirittura sistemando alcuni aspetti come la caratterizzazione di Dolores.
Gli unici problemi “endemici” della stagione, come al solito, li ha Maeve: finora, sotto la patina di personaggio femminile forte, guerriera pragmatica e hacker geniale che riesce a tirarsi fuori da situazioni impossibili, resta fondamentalmente una pedina manovrata e ricattata a Serac. Ma prima di esprimere un giudizio sul suo arco narrativo di questa stagione, aspetto il season finale, magari ci sarà un plot twist.
La cosa che mi ha urtato maggiormente è, a conti fatti, una conseguenza del macello che gli sceneggiatori hanno fatto nella seconda stagione e, tanto per cambiare, riguarda Clementine.

Nessuno vuole mai bene a Clementine.
La prima volta che è stata nominata a questo giro, ho provato un senso di rivalsa dopo la seconda stagione: Musashi-lores ha sbattuto in faccia a Maeve che, preoccupandosi solo di sua figlia, ha abbandonato Clementine al suo destino fregandosene completamente. In-universe le circostanze erano quelle che erano, ma off-universe è vero: chi ha sceneggiato Maeve si è dimenticato del tutto del suo rapporto con Clementine nonostante le scene di Shogunworld fossero tutte incentrate su quello.
Quando poi ho notato il suo numero di serie fra gli host che venivano prodotti da Serac come alleati di Maeve, una parte di me ha fangirlato forte, l’altra era terrorizzata che continuassero a usare male il personaggio. Finalmente, nel settimo episodio, la vediamo: è cosciente, alleata con Maeve, e anche badass. Il che potrebbe essere uno sviluppo coerente del personaggio dopo ciò che le è capitato la scorsa stagione – la ragazza dolce del Mariposa ha imparato a combattere, se necessario, militando fra le schiere di Dolores – se non fosse per tre dettagli.

1) Clementine è stata decommissionata nella prima stagione. “Decommissionata” significa, in buona sostanza, formattata, lobotomizzata: l’hardware, il corpo, funziona ancora, ma il software, la personalità, le esperienze che ha fatto e che continuavano a esistere nonostante i reboot di fine ciclo narrativo, erano stati cancellati per sempre. Per tutta la seconda stagione è stata uno zombie.
2) Nella seconda stagione, Dolores e i suoi alleati hanno distrutto il Cradle, il back up di tutte le personalità degli host, che sono quindi diventati non più sostituibili. Se un host muore perché la sua perla viene distrutta, non lo si può più ricreare.
3) Nell’episodio precedente c’è stato il turning point emotivo di Maeve: Charlores ha distrutto la perla di Hector per privare Maeve di un alleato, uccidendolo definitivamente perché, come da punto due, non esistono più back up delle personalità degli host. Questo momento è fondamentale nella narrazione: segna il punto in cui Maeve smette di lottare passivamente perché ricattata, e inizia a farlo attivamente per vendicare Hector.

Alla luce di ciò, come fa Clementine a essere “se stessa”? Lo show non dice nulla a riguardo, quindi non ci resta che speculare.

L’opzione uno la lasciamo per utlima.
Opzione due: esisteva un qualche altro back up degli host da qualche parte. Questo però toglie gravità e rilevanza al punto narrativo di Dolores che distrugge quei dati: pur di portare avanti il suo piano, è disposta a sacrificare suo padre distruggendo la sua perla senza più possibilità di crearne un’altra per ottener la chiave per il Forge. È stato un sacrificio proprio perché l’ha ucciso sapendo che non avrebbe potuto ripristinarlo, ed è quello che ha mostrato al pubblico quanto in là si fosse spinta nella sua sete di vendetta.
Opzione tre: la personalità di Clementine è stata ricreata fedelmente partendo dai ricordi di Maeve. Questo è possibile ed è stato già anche fatto nello show: gli host hanno una memoria infallibile perché ogni avvenimento viene registrato nel loro spazio di archiviazione, tanto che Bernard è stato creato a partire dai ricordi che Dolores aveva di Arnold. Se però è questo che è successo con Clementine, l’importanza narrativa della morte di Hector viene meno perché Maeve può semplicemente ricreare anche lui dai propri ricordi e farlo rivivere così. Poi può darsi che in futuro succeda, ma riportare Clementine in questo modo letteralmente l’episodio dopo che la morte di Hector ha segnato una svolta nella storia annullerebbe completamente il significato di quel momento.

Resta l’opzione uno, ovvero che Clementine abbia recuperato autonomamente la memoria e la coscienza di sé perché è più che una semplice macchina… off-screen, mentre era disattivata.
Cioè, è anche coerente con questo:

Sometimes… sometimes they’re really bad…
L’avevano piantato lì, nel bel mezzo della seconda stagione: il decommissionamento non l’aveva del tutto cancellata. Ha senso che sia tornata.
Ma fino alla fine, solo una manciata di host sono diventati davvero consci: a parte pochi, quelli che sono fuggiti nel Sublime pensavano ancora che fosse tutto vero, che il parco fosse il mondo reale e quella la loro vita. Clementine è stata la prima host che ci hanno presentato, la prima che ha iniziato a sviluppare le reverie con l’aggiornamento voluto da Ford, una delle prime a “sognare”, intravedere che c’era qualcosa che non andava: il suo risveglio sarebbe stato il proxy perfetto per mostrare che tutti gli host, anche quelli che non sono protagonisti, possono raggiungere la vera coscienza ed emanciparsi.
Ma grazie alla seconda stagione, quel treno l’abbiamo perso: con tutto quello che succede ora, non avrebbe avuto senso che la terza tornasse indietro a quello. L’implicazione c’è, perché quella è chiaramente Clementine, la ragazza del Mariposa anche un filo piccata nel sentirsi dare della mignotta, e la ragazza usata da Dolores mentre era meno che cosciente e ora ha un “conto da saldare” con lei. Ma quello che era il vero culmine della storia raccontata nella prima stagione è avvenuto così, off-screen e senza spiegazioni, perché la seconda stagione ha deciso di dimenticarsene.
Come avevo già detto allora, sarebbe bastato riscrivere leggermente il finale per risolvere quel punto e dare un senso a tutta la narrazione di Maeve e Clementine: grazie ai poteri di Maeve, Clementine si sveglia e ricorda se stessa, poi entrambe muoiono alle porte del Sublime. Sarebbero stati trenta secondi di scena in più che avrebbero concluso lo storyline della prima stagione e lasciato uno spunto per riportare Clementine come hanno fatto nella terza.

Ma no, la povera Clementine è sempre lì come complemento d’arredo, non ha nemmeno la grazia di mezzo scambio di battute con Musashi-lores che spieghi cosa è successo:
L’ultima volta che ti ho vista eri un guscio vuoto.
Ti ha fatto comodo, eh? Ma ho scoperto c’è molto in più che un robot da controllare in me.
Vero, c’è ancora il finale e magari ci mettono una pezza lì, ma dopo la scorsa stagione non ci conto più di tanto.
Ma vabbè, Clementine: fregatene. Che ne sanno loro? L’importante è che tu sia tornata e sia più favolosa che mai.

Menali tutti, Clem!