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Thursday, 31 March 2022

Classifica musicale generale, 51-100 – 2022

Nelle puntate precedenti:
2018;
2019;
2020;
2021.

Classifiche generali (1-50):
2016;
2017;
2018;
2019;
2020;
2021.

Classifiche annuali:
2017;
2018;
2019;
2020;
2021.

1. Come ti sei appassionato alla posizione numero 80? (The Birthday Massacre)
• Li ho sentiti quando ancora facevano buona musica durante la tappa in Germania prima di andare in Norvegia per il concerto dei Theatre of Tragedy.
2. Prima canzone ascoltata della numero 72? (We Are The Fallen)
• La ben poco interessante Bury Me Alive; ho continuato a tenerli d’occhio per pura ripicca verso Pescy.
3. Testo preferito della numero 83? (Trillium)
• Ammetto di non ricordarne nemmeno uno.
4. Album preferito della numero 99? (Björk)
Homogenic. Sono una Basic Björkian Bitch.
5. Canzone preferita della numero 63? (Beyoncé)
Save The Hero o Pretty Hurts.
6. Album peggiore della numero 100? (Freddie Dickson)
Panic Town, per i motivi che ho sviscerato in questa recensione su Armonie Universali. Questo mi ricorda che devo ancora sentire il full length e gli EP che sono usciti dopo…
7. C’è una canzone della posizione numero 89 che senti molto tua? (Rose McGowan)
• Avrei detto Green Gold, se Rose non avesse preso un’orribile china filo-repubblicana che me l’ha fatta disconoscere senza se e senza ma.
8. Bei ricordi legati alla numero 65? (The Crest)
• Il concerto per il quarantesimo compleanno di Kristian, ovvio!
9. Quanti album possiedi della numero 55? (Roniit)
• Bella domanda: con me ho il debutto e i due EP; da qualche parte a Trieste dovrei avere anche XIXI, che è arrivato quando ero sceso in Sardegna per le vacanze natalizie del 2019, ma ancora non sono tornato e non ho idea di che fine abbia fatto!
10. C’è una canzone della numero 95 che ti rende felice? (The Bryan Ferry Orchestra)
Young & Beautiful.
11. Canzone preferita della numero 90? (After Forever)
Cry With A Smile.
12. Canzone della numero 60 che ti piace di meno? (Loreen)
Jungle.
13. Bei ricordi evocati dalla numero 56? (Placebo)
• La volta che ascoltavo Sleeping With Ghosts viaggiando in pullman verso Olbia per prendere il traghetto. È un bel ricordo, anche se stavo andando a trovare Quella Luana.
14. Canzone della numero 88 che associ a un momento o persona? (The Sins Of Thy Beloved)
• Nessuna in particolare.
15. Quale canzone della numero 69 ti emoziona di più? (Octavia Sperati)
• La magnifica Dead End Poem.
16. Quante volte hai visto la numero 85 live? (Sugababes)
• Nessuna, ma c’è la possibilità che accada perché finalmente le VERE Sugababes sono di nuovo attive e si stanno dando una mossa!
17. Quale canzone ti ha fatto innamorare della 73? (Ala.ni)
Darkness At Noon.
18. Album preferito della numero 61? (Gåte)
Jygri.
19. Prima canzone ascoltata della numero 64? (Pure Reason Revolution)
• Credo Deus Ex Machina, durante lo stesso viaggio in Germania in cui ho conosciuto i The Birthday Massacre.
20. Canzone preferita della numero 77? (The Romanovs)
Mr. Okada. Maremma, quanto mi mancano i The Romanovs!
21. Album preferito della numero 66? (Rose Chronicles)
Shiver.
22. Prima canzone ascoltata della numero 97? (Nero)
Into The Past, grazie alla colonna sonora di The Great Gatsby.
23. C’è una canzone della 68 che trovi catartica? (M.I.A.)
Exodus e Sexodus, specie se ascoltate insieme.
24. Come hai scoperto la numero 71? (Loïc Nottet)
• Mi vergogno di ammettere che nel 2015 ancora non seguivo l’Eurovision, quindi l’ho scoperto più tardi grazie a Michele.
25. Canzone della numero 76 che ti rende felice? (Amanda Somerville)
Angel Of Mine mi mette non ironicamente di buon umore. Ah, i tempi in cui avevamo scambiato l’Amanda per Pescy.
26. Canzone preferita della numero 53? (Les Discrets)
• Non so decidere tra L’Echappée e Après L’Ombre.
27. Album preferito della numero 52? (Ramin Djawadi)
• La colonna sonora della prima, perfetta, immacolata stagione di Westworld.
28. Prima canzone ascoltata della numero 82? (Morning Parade)
Under The Stars.
29. Testo preferito della numero 58? (Brooke Fraser)
• “I love your projection, but I don’t love you; your perceived perfection though it’s just not true.Psychosocial mi fa sentire attaccato e validato allo stesso tempo.
30. Quante volte hai visto la numero 67 live? (Sharon Den Adel)
• Da solista nessuna, con i Within Temptation due volte.
31. Prima canzone ascoltata della numero 94? (:LOR3L3I:)
• Penso Wolfheart.
32. Album della 62 che ritieni sottovalutato? (Abney Park)
• Essendo precedente al loro periodo steampunk, The Death Of Tragedy è ovviamente semi-dimenticato.
33. Canzone peggiore della numero 79? (Hearts Of Black Science)
• Allora, sono sicuro che su The Ghost You Left Behind ci sia qualcosa di peggio, ma la prima che mi viene in mente è Something Better perché mi dà estremamente fastidio come Daniel la canta.
34. Prima canzone ascoltata della numero 84? (Versailles)
• Onestamente non ricordo: di quel week end mi è rimasto impresso ben altro.
35. Album preferito della numero 78? (Blanche)
• Hey, Blanche, tesoro: Empire ha bisogno di un fratellino al più presto!
36. Quante volte hai visto la numero 92 live? (Tactile Gemma)
• Onestamente non penso siano nemmeno mai andati in tour. Purtroppo. Qualcuno riporti indietro le sorelle Edvardsen dal loro esilio!
37. C’è qualche canzone della 86 che consideri un guilty pleasure? (Carice Van Houten)
• Non è propriamente un guilty pleasure, ma Iedereen Was Zo mi fa sghignazzare più del dovuto per il verso in cui dice: “E quindi sospetto che gli eterosessuali non siano capaci di suonare il piano – o almeno non bene”.
38. Come hai scoperto la numero 98? (The xx)
• Come i Nero, grazie a The Great Gatsby, che, Laña a parte, ha riassunto il meglio degli Anni Dieci.
39. Album preferito della numero 57? (Leandra)
• No. Mi rifiuto di scegliere tra Metamorphine e Isomorphine.
40. C’è qualche canzone della numero 81 che ti mette nostalgia? (Fever Ray)
• Opinione impopolare: l’eponimo mi fa venire non ironicamente nostalgia nostalgia del 2020.
41. Canzone della 91 che non ti piaceva ma adesso ami? (Swallow The Sun)
• No, non direi.
42. Testo preferito della posizione numero 74? (A Perfect Circle)
• Seriamente, ma quanto è ancora attuale Judith da uno a “America, devi finire sepolta sotto la cenere di Yellowstone”?
43. Canzone più emozionante della numero 96? (Paolo Buonvino)
• Emozionante? EMOZIONANTE? Volete EMOZIONANTE?! Vi do EMOZIONANTE, dannazione! (Truth, comunque, anche a prescindere da quella scena).
44. Canzone della numero 75 che ti rende felice? (Tori Amos)
Wildwood.
45. Canzone preferita della numero 59? (Anette Olzon)
Invincible.
46. Primo album ascoltato della numero 87? (Soap&Skin)
Lovetune For Vacuum: sono andato in ordine.
47. Membro preferito della numero 54? (Alcest)
• Neige, duh.
48. Prima canzone ascoltata della posizione numero 93? (ISON)
• La demo di Atlas.
49. Album che possiedi della numero 70? (Elusive)
• Tutti e tre e pure il singolo.
50. Il miglior ricordo associato alla numero 51? (Lucia)
• Quando ho scattato Turn To Gold con Elle e Giulia.

Monday, 9 August 2021

Lucciole

A volte mi capita di ascoltare – o anche solo ripensare a – una canzone dell’inizio dello scorso decennio e sentire un dolore al cuore. Fisicamente, proprio un secondo in cui sembra che si sia fermato all’improvviso o sia scoppiato. Mi manca il respiro e devo lottare per espandere i polmoni, inalare l’ossigeno e sopravviere a quel momento. Il più delle volte passa subito, ma altre, come oggi, anche se il malessere fisico si dissipa rimane quello interiore, quello che ne è la reale causa.

Fra l’altro, è stato un rabbit hole a scatenarmelo: ho appena finito l’ascolto approfondito del nuovo album di Rag’n’Bone Man, quello in cui controllo e correggo i testi per inserirli nei file iTunes, e sulle prime non è nemmeno stato il tema ricorrente del Millennial che si accorge improvvisamente di aver superato i trenta e si chiede che fine abbia fatto la giovinezza a colpirmi. È che mi sono accorto che c’erano delle imprecisioni o veri e propri errori nei testi, così ho cercato un’altra fonte e sono andato a ritroso leggendoli parallelamente e correggendoli fino a tornare alla prima canzone, Fireflies. Da lì ho fatto l’associazione mentale a Baltimore’s Fireflies di Woodkid, e poi alla sua compagna di EP, Brooklyn. E Brooklyn, che stando a iTunes non ascolto da sei anni, la associo a un certo photoshoot di Kwannam Chu con una certa persona che si è ritirata dal mondo della fotografia, e niente, improvvisamente mi ha travolto tutto il peso degli anni che sono passati, delle occasioni che non ho inseguito, delle foto che non farò mai perché non visiterò mai quei luoghi e non incontrerò mai quelle persone.

La cosa più strana è che non ero per niente felice, all’inizio degli Anni Dieci. Era il periodo in cui la mia carriera universitaria e, con essa, le certezze che avevo sulla mia vita stavano cadendo a pezzi. Ero perso, confuso, perennemente in fuga da me stesso e dalla mia vita. Eppure, ora ci ripenso con nostalgia. Ora ricordo i week end a Milano, la pop culture su internet, le serate in discoteca, lo shopping, le foto che ho fatto, le persone che incontravo.
Non so se sia il tempo che erode sempre i momenti brutti e lascia i ricordi migliori, o se sia un oggettivo peggioramento del mio stato mentale, tanto che perfino quel periodo risulta felice rispetto a come sto ora. O forse, tutto sommato, quegli anni davvero non erano poi così male: ad esempio, tolta la musica e pochi specifici ricordi sparsi qua e là, gli Anni Duemila sono un enorme vuoto nella mia vita e non ho la minima nostalgia per la mia adolescenza.

In ogni caso, oggi mi ero già svegliato malmostoso, e ora questo momento di nostalgia, di dolore fisico per qualcosa che ormai è scivolato irrimediabilmente nel passato mi ha dato il colpo di grazia. Dovrei riprendere ad ascoltare Brooklyn in modo da stemperare l’associazione con quel periodo e diluirne l’impatto emotivo. È un po’ lo stesso motivo per cui rivedere certe foto dei primi tempi del mio Tumblr mi emoziona e ferisce a tempo stesso.

Thursday, 27 May 2021

Una lenta lettura

Ho appena finito di leggere The Red Flame, il libro di Karen Elson. Che mi avevano regalato per Natale ed era arrivato giusto in tempo per Capodanno. Oltre cinque mesi e mezzo fa. Duecentoventiquattro pagine di cui buona parte fotografie e le altre stampate in grande e con abbondante interlinea. Iniziato la sera stessa della consegna.
Oh boy.
E, onestamente, non so nemmeno quanto ciò abbia a che fare col fatto che dall’anno scorto ho un “blocco del lettore” – quel fenomeno per cui chi un tempo era un avido lettore non riesce più a leggere nulla. Di sicuro ha contribuito anche quello, ma la verità è che l’autobiografia di una supermodella non è poi la lettura leggera e disimpegnata che ci si potrebbe aspettare.

Il libro me lo sono fatto regalare per diversi motivi: perché nel corso della sua pluriventennale carriera Karen ha lavorato con tutti i miei fotografi preferiti, quindi le foto di accompagnamento ai testi sono fantastiche; perché sono una sua fangirl in generale (curiosamente a partire dalla sua musica, non dal suo lavoro come modella) e mi fa piacere contribuire al successo dell’iniziativa; e perché è una persona davvero fantastica, sempre in prima linea nel cercare di migliorare la società intorno a lei, a partire dal mondo della moda ma continuando anche con ingiustizie sociali più generali.
 
Perché, quindi, ci ho messo mesi per leggerlo tutto? In parte perché per me era diventato un rituale: trattandosi di stampe pregiate, mi assicuravo sempre di avere le mani impeccabilmente pulite e sgrassate in modo da non lasciare tracce mentre lo maneggiavo, e poi contemplavo ciascuna foto con devozione. In parte perché, come ho accennato, è stata una lettura tutt’altro che leggera.
Karen è una donna estremamente resiliente ma ne ha passate tante, a partire dall’essere una outsider a scuola – cosa assurda, perché seriamente, come ti permetti tu, anonima cavalla adolescente coi denti storti di Manchester, di bullizzare The Karen Elson? Dovevi saper già che sarebbe diventata qualcuno! – fino alle angherie che ha subito una volta entrata nel mondo della moda. Agli esordi e non.
Se il mondo della moda vive di oggettivizzazione delle persone, specie delle donne, le modelle sono quelle che subiscono maggiormente questa pressione. Hai letteralmente mezzo centimetro in più rispetto alla taglia sample che sta stretta anche ai manichini? Devi beccarti un disturbo alimentare per tornare “in linea”, altrimenti non puoi lavorare. Leggere di una stanza di pollicioni italiani di mezza età che la trattano come un pezzo di carne tagliato male al mercato è stato davvero snervante, così come apprendere di quante volte la sua sicurezza in viaggio o negli spostamenti sia stata derubricata a fattore di poco conto e lei se la sia dovuta cavare da sola.
Fra l’altro, parlando in generale, si tende ad avere pochissima empatia verso le persone del mondo dello spettacolo – a maggior ragione le modelle, che non solo sono donne, ma non hanno nessun valore oltre la bellezza. Se subiscono pressioni, angherie e maltrattamenti nel lavoro, quasi quasi se la sono cercata in cambio della fama che ne ricavano. E questo è sbagliatissimo, perché fa parte della stessa cultura capitalista di deumanizzazione e sfruttamento dei dipendenti che subisce chiunque, dalle fabbriche ai ristoranti, dagli alberghi ai trasporti, dagli uffici alle passerelle di moda e i set dei film. Scegliere un lavoro legato allo spettacolo o alla moda – lavoro il cui prodotto, diciamolo in chiaro, è l’unica consolazione che abbiamo nelle nostre orribili vite – non significa scegliere di essere abusati, né più né meno che scegliere un lavoro in fabbrica significa scegliere di rischiare di farsi stritolare da qualche macchinario non a norma. Basta con i doppi standard.
 
A parte questo, è stato stranissimo trovare così tante similitudini tra il mio vissuto e quello di una persona di successo che ammiro così tanto. Il bullismo, il body shaming, i dubbi, la sindrome dell’impostore…
Ed è una cosa che non solo mi ispira empatia e mi spinge a voler essere migliore e combattere alcuni pregiudizi internalizzati che ho, ma che mi dà anche un po’ di speranza che, nel mio piccolo, possa trovare la mia fiammella personale, magari verde, e raddrizzare un po’ la mia vita.
Grazie, Karen.

Wednesday, 31 March 2021

Classifica musicale generale, 51-100 – 2021

Nelle puntate precedenti:
2018;
2019;
2020.

Classifiche generali (1-50):
2016;
2017;
2018;
2019;
2020.

Classifiche annuali:
2017;
2018;
2019;
2020.

1. Come ti sei appassionato alla posizione numero 80? (Fever Rey)
• Galeotto fu Dark e chi ne scelse la colonna sonora.
2. Prima canzone ascoltata della numero 72? (Anette Olzon)
• Come solista Lies.
3. Testo preferito della numero 83? (Pure Reason Revolution)
Fight Fire.
4. Album preferito della numero 99? (Atrox)
Contentum.
5. Canzone preferita della numero 63? (Elusive)
• Beh, sono di parte: Gemini.
6. Album peggiore della numero 100? (Hearts Of Black Science)
The Ghost You Left Behind è ancora un filo acerbo rispetto a ciò che è arrivato dopo.
7. C’è una canzone della posizione numero 89 che senti molto tua? (The xx)
• Non riesco più ad ascoltare Together senza ripensare alla morte di Murka.
8. Bei ricordi legati alla numero 65? (Rag’n’Bone Man)
• Tutte le volte che ho fangirlato il voice-over di Natalie Dormer sul trailer di Mass Effect: Andromeda, in cui è stato usato un bellissimo mix di Human (purtroppo mai pubblicato per intero).
9. Quanti album possiedi della numero 55? (Alcest)
• Ho i primi tre più lo split EP con i Les Discrets.
10. C’è una canzone della numero 95 che ti rende felice? (Sugababes)
• Mi rende felice che finalmente Flatline sia ufficialmente una canzone delle Sugababes!
11. Canzone preferita della numero 90? (Nero)
Into The Past, per riallacciarmi al tema The Great Gatsby dei The xx.
12. Canzone della numero 60 che ti piace di meno? (Sharon Den Adel)
• Non m’interessa se è un singolo di beneficenza o cosa, ma Het Meneer Konijn Lied è parecchio cringe.
13. Bei ricordi evocati dalla numero 56? (Gåte)
• Una volta la Bloempje mi ha regalato un loro singolo introvabile per Natale!
14. Canzone della numero 88 che associ a un momento o persona? (The Bryan Ferry Orchestra)
• Per una serie di associazioni mentali piuttosto contorte, la loro musica mi fa pensare a Francisco.
15. Quale canzone della numero 69 ti emoziona di più? (Ala.ni)
Darkness At Noon che, diciamocelo, è stata scritta precisamente per emozionare e fa centro ogni volta.
16. Quante volte hai visto la numero 85 live? (Carice Van Houten)
• Nessuna, ma magari! Chi devo sacrificare al Dio della Luce perché ciò accada?
17. Quale canzone ti ha fatto innamorare della 73? (A Perfect Circle)
Orestes, duh. Sono pur sempre una fangirl degli Evanescence.
18. Album preferito della numero 61? (M.I.A.)
• Sono molto indeciso tra Matangi e AIM.
19. Prima canzone ascoltata della numero 64? (Loreen)
• Credo fosse In My Head: con grande vergogna, ancora non seguivo l’Eurovision ai suoi tempi, quindi niente Euphoria.
20. Canzone preferita della numero 77? (Morning Parade)
• Questa è facile: Under The Stars. Ma un po’ tutti i singoli del primo periodo contano.
21. Album preferito della numero 66? (Loïc Nottet)
Sefocracy è nettamente superiore a Sillygomania.
22. Prima canzone ascoltata della numero 97? (Todesbonden)
Ghost Of The Crescent Moon, ai tempi quando ancora si parlava con certa gentaglia e certa gentaglia ancora ascoltava buona musica.
23. C’è una canzone della 68 che trovi catartica? (We Are The Fallen)
St. John: ci ho anche scattato una foto per esorcizzare il lockdown dell’anno scorso.
24. Come hai scoperto la numero 71? (Portishead)
• A parte le canzoni come Glory Box, Roads e Sour Times che un po’ tutti abbiamo sentito da qualche parte senza saperne titolo o autore, Pescy li spammava in giro nel suo periodo indie, poi Claudio mi ha detto che valeva la pena approfondirli.
25. Canzone della numero 76 che ti rende felice? (The Birthday Massacre)
• No, ma mi renderebbe felice se si rendessero conto che fare ancora gli adolescenti a quarant’anni suonati è un filino ridicolo.
26. Canzone preferita della numero 53? (Brooke Fraser)
Je Suis Pret! Ma un po’ tutto Brutal Romantic.
27. Album preferito della numero 52? (Woodkid)
• Sono ancora troppo affezionato a The Golden Age, sebbene S16 sia altrettanto valido.
28. Prima canzone ascoltata della numero 82? (After Forever)
• Non ricordo, ma quasi sicuramente qualcosa dal self-titled. Probabilmente Cry With A Smile.
29. Testo preferito della numero 58? (Beyoncé)
• La fantastica introspezione empowering dei testi da strong independent woman di Lemonade. Naturalmente sono sarcastico: è Save The Hero.
30. Quante volte hai visto la numero 67 live? (Rose Chronicles)
• Nessuna, e ormai quella nave è salpata e bella che affondata.
31. Prima canzone ascoltata della numero 94? (Swallow The Sun)
• Sono piuttosto sicuro che sia stata Cathedral Walls: ricordo ancora la gioia viscerale di sentire finalmente Anette non sprecata in qualche porcata dei Naituiss (interessante che sia gli After Forever sia loro siano slittati in posizioni con la stessa domanda dell’anno scorso.
32. Album della 62 che ritieni sottovalutato? (Octavia Sperati)
• L’esistenza di questa band è sottovalutata!
33. Canzone peggiore della numero 79? (Versailles)
• Tutto ciò che hanno fato dopo tipo il 2010 nella mia memoria si mescola in un rumore indistinto di autoplagio.
34. Prima canzone ascoltata della numero 84? (Tactile Gemma)
Blackberry Jam; come dimenticarla?
35. Album preferito della numero 78? (Trillium)
Tectonic mi è piaciuto più del debutto.
36. Quante volte hai visto la numero 92 live? (Freddie Dickson)
• Per ora nessuna.
37. C’è qualche canzone della 86 che consideri un guilty pleasure? (Rose McGowan)
• Considerando il personaggio, il fatto stesso di ascoltare Rose McGowan è borderline un guilty pleasure di questi tempi.
38. Come hai scoperto la numero 98? (Dama)
• Grazie alla gentaglia che non verrà nominata. Ha fatto anche cose buone.
39. Album preferito della numero 57? (Abney Park)
• In parte è affetto perché è quello con cui li ho scoperti, ma Lost Horizons.
40. C’è qualche canzone della numero 81 che ti mette nostalgia? (Tori Amos)
Reindeer King mi fa ripensare allo shoot con Lyrio.
41. Canzone della 91 che non ti piaceva ma adesso ami? (Björk)
• Non credo: ho una curva di gradimento costante con lei.
42. Testo preferito della posizione numero 74? (Amanda Somerville)
Blue Nothing.
43. Canzone più emozionante della numero 96? (Sigur Rós)
• Continuo a fare spudoratamente l’adolescente gay degli Anni Duemila e nominare Hoppípolla.
44. Canzone della numero 75 che ti rende felice? (The Romanovs)
Nice Day.
45. Canzone preferita della numero 59? (The Crest)
My War/Broken Glass.
46. Primo album ascoltato della numero 87? (:LOR3L3I:)
Hold On To Silence, oggi rinato dalle ceneri sotto forma di The Demo Collection, per ora l’unico, ma pare che finalmente Heike abbia messo da parte le teorie del complotto per dedicarsi seriamente alla musica.
47. Membro preferito della numero 54? (White Sea)
• Morgan, duh.
48. Prima canzone ascoltata della posizione numero 93? (Blanche)
• Ovviamente City Lights all’Eurovision.
49. Album che possiedi della numero 70? (Roniit)
• Ho sia Roniit sia In The Shadows. Suppongo di avere anche XIXI… da qualche parte. A Trieste. Che aspetta dall’anno scorso che ritorni e lo spacchetti. Se i coinquilini non me l’hanno perso.
50. Il miglior ricordo associato alla numero 51? (Leandra)
• Quando ho iniziato il progetto Morphine.

Wednesday, 10 February 2021

Eclettismo

Dieci anni fa in questi giorni, durante un viaggio a Torino da Colei-Che-Non-Sarà-Nominata, leggevo il mio primo numero di Vogue e compravo la mia prima rivista di moda, 7th Man Magazine. Ai tempi avevo già iniziato a svecchiare i miei gusti musicali uscendo dal tunnel del “solo metal o stretti dintorni” grazie a Emilie Simon, Florence + The Machine e un po’ di PJ Harvey (Kari Rueslåtten, che era arrivata già a fine 2009, conta sempre come “dintorni”), ma ero ancora più o meno ingabbiato nell’idea delle sottoculture e dei preconcetti che si portavano appresso, tra cui quello di essere mutualmente esclusive con “il mainstream” e intrinsecamente migliori (la mia smugness a riguardo è evidente nel post che ho linkato). C’eravamo noi, gli eredi del Romanticismo e del Decadentismo, e c’erano loro, quei pezzenti che non si schiodavano dal minimo comune denominatore. (Che poi, pensare che il Decadentismo fosse profondo la dice lunga su quanto poco avessi capito del mondo). Era inconcepibile, per me, che la società “normale” volesse includere i temi oscuri a noi tanto cari nelle sue espressioni artistiche, men che meno nella moda, che era il prodotto più superficiale e frivolo di quell’alveare malato!
(Fa riderissimo, per inciso, che credessi che invece l’essere goth non fosse in tutto e per tutto una scelta di moda ed estetica, solo una che includeva un sacco di brutti tessuti sintetici che rovinavano la resa fotografica di buona parte degli abiti).
 
Freja Beha Erichsen ritratta da Mario Sorrenti.
 
D’altra parte, già in quel post traspare la voglia che avevo di sperimentare e uscire dagli schermi che mi ero autoimposto: per molti versi, quel Vogue è stato un moto di ribellione verso il conformismo della sottocultura a cui appartenevo, così come una foto “ironica” che avevo fatto, un modello seduto accanto a un graffito che diceva “Lady Gaga!”. E non sto scherzando né esagerando: è stato con un deliziato senso d’iconoclastia che ho accettato l’idea di ispirarmi a una foto di Vogue Paris per un concept che affondava le sue radici nella musica dei Delain. Era come prendere una scena “sacra” e rappresentarlo usando il “profano”, o qualcosa di simile. Ne ero elettrizzato. Anche se ho “rubato” solo la posa cambiando del tutto l’angolazione e l’atmosfera per rendere l’immagine finale più morbosa, è stato un passo importante non solo nella mia crescita artistica, ma anche umana. Per questo sono ancora molto affezionato alla foto che scattai in quell’occasione, nonostante la luce sia chiaramente amatoriale, la composizione un po’ caotica, il taglio non molto elegante e abbia enfatizzato alcuni difetti della modella (hello, denti da Parker-Bowles): è stato un rito di passaggio.

Alla fine, dopo quel Vogue mischiato ai Delain, sono arrivati Lady Gaga in maniera non ironica e gli Hurts a smantellare quel che rimaneva dei miei preconcetti gotici. Ho iniziato a frequentare i negozi di abbigliamento “mainstream” e entro fine anno ho iniziato a far crescere la barba e alleggerire il trucco degli occhi. L’anno dopo, con We Are The Others i Delain stessi hanno confermato quello che avevo cercato di negare già in April Rain, e cioè che mescolavano già metal e pop, e la combinazione funzionava dannatamente bene. Ma è stato quello il momento in cui ho abbracciato l’eclettismo perché finalmente ne ho compreso l’importanza

Wednesday, 20 January 2021

Silver Moonlight

Screaming at the walls of fire,
They’re closing in on me.
I hunger for the vertigo, the silver moonlight,
It’s where I wanna be.
Screaming at the walls of fire,
But I’m still running free:
In the silver moonlight I can breathe.

Oggi la Mater ha avuto un'idea folle: farci un giro a piedi lungo la strada che va verso Valverde, praticamente in aperta campagna, per andare a girare un nuovo Pokéstop nella speranza che ci fosse una missione sul campo che ci serviva.
Spoiler: ci ha visto giusto e la missione l'abbiamo trovata proprio lì. Tutto questo, però, è successo dopo le sette di sera, quindi il sole era già calato e la luna era altra nel cielo: sì e no un quarto sbavato sui bordi da un leggerissimo strato di nuvole. La strada in questione è praticamente già in campagna, con un marciapiede separato dalla strata da un guardrail (per questo ci siamo azzardati ad andare di sera) e senza già più lampioni.
Ed è proprio l'assenza di luci artificiali che mi ha permesso di apprezzare appieno come anche un pallido quarto di luna proietti delle ombre nette come quelle del sole. Come tipo di illuminazione, una notte di luna è in tutto e per tutto simile a una giornata soleggiata, se non per il fatto che gli highlight sono più scuri e tutti i colori sono attenuati e tendenti al blu profondo.

Tutto ciò mi ha fatto riflettere su quanto abituato io sia alla città se ho del tutto dimenticato come fosse una notte non illuminata artificialmente. La Mater stessa mi ha raccontato della sua infanzia in un piccolo villaggio in cui ancora non era arrivata l'elettricità, di come nelle notti di luna non servisse nemmeno una lampada a cherosene per camminare, ma bastasse proprio la luce lunare.
Non so perché mi abbia colpito così tanto, ma ho bevuto ogni singolo istante di quel paesaggio, dei rami dei pini, delle foglie delle agavi, dei pilastri dei cancelli, dei cespugli, delle asperità dell'asfalto. Una parte della mia mente ha immagazzinato quelle estetiche in caso serva riprodurle in una foto, ma per lo più è stato semplicemente bello concederci quel piccolo momento di fuga dalla pandemia e dalle mura di casa.

Thursday, 31 December 2020

Unpopular opinion

Il 2020 non è stato il mio anno peggiore a livello personale. Quel titolo spetta ancora di diritto al 2015, e sebbene il 2019 non sia sceso altrettanto in basso, poco ci è mancato.
Del resto, il 2015 è stato l’anno della Minus Habens, mentre il 2019 è stato l’anno post-Ciospa e in cui sono stato ad aspettare come uno scemo di firmare un contratto di lavoro vantaggiosissimo solo per poi ritrovarmi ghostato dal futuro capo (non sto esagerando, mi ha fatto letteralmente ghosting, non ha nemmeno avuto il coraggio di dirmi che non se ne faceva niente). 
 
Il 2020 invece, nonostante il delirio globale, è stato un anno estremamente privo di eventi per me, il che non è un male. Non posso dire di stare bene: il mio stato mentale è più precario che mai e francamente non vedo una via d’uscita, nemmeno sotto forma del tanto agognato vaccino. Non riesco a immaginare un mondo post-covid, in cui si torna a uscire liberamente, non si rispetta la distanza, non si attraversa la strada quando si vede qualcuno di fronte (onestamente, queste cose mi mancheranno). Una parte di me pensa che forse mi preoccupo per niente, che terminata del tutto l’emergenza ogni cosa tornerà alla normalità visto che molta gente ha continuato a comportarsi come nulla fosse; l’altra si domanda quanto profonde saranno le cicatrici di tutto questo casino nella nostra psiche collettiva.
Il punto, comunque, è che non riesco a immaginare come sarà la mia vita post-covid, quando non avrò più la scusa perfetta per tenere tutto quanto in stasi criogenica come ho fatto quest’anno.
C’è poi il fatto che in questo 2020 ho fatto un sacco di soul-searching, visto che non avevo molte voci esterne che annegassero la mia interiore che over-analizza ogni piccola cosa. Il problema è che, anche qui, non sento di aver fatto nessun progresso: ho avuto numerose epifanie ma non so che farne, né a chi rivolgermi per capirlo.

Forse è proprio questo che innesca la dissonanza cognitiva: a differenza del pozzo di disperazione che è stato il 2015, o della cantonata sui denti del 2019, il 2020 è riuscito a farmi sentire contemporaneamente protetto e accoccolato in un bozzolo e completamente perso, privo di direzione in mezzo alla nebbia. Per una volta, però, non mi sento in colpa per questa mancanza di direzione, perché tutti siamo spaesati in questo momento per qualcosa di molto più grande di noi. Egoisticamente, ho quasi paura di dover dire addio alla sensazione di non avere colpa. E forse è proprio così che ricorderò il 2020, come l’anno senza colpa.

In tutto ciò, comunque, quest’anno è stato inaspettatamente produttivo per quanto riguarda la fotografia. Naturalmente ho fatto quasi solo autoritratti e ho dovuto rimandare decine di progetti, ma le foto che ho fatto sono state tutte altamente concentrate e ho raggiunto livelli di sofisticazione che non mi sarei mai aspettato – del resto, avere a disposizione solo la luce naturale di casa e un muro monocolore significa doversi spremere le meningi per mantenere alta la creatività.
Per ovvi motivi, è anche stato l’anno in cui ho ascoltato più musica in assoluto, superando i 45.000 scrobble su last.fm, oltre 900 in più del 2013, il mio precedente record personale. Fra l’altro, tolti i primi anni in cui scrobblavo a macchia di leopardo o di cui ho dovuto cancellare ascolti taggati incorrettamente, gli anni in cui ho ascoltato meno musica sono stati, indovinate un po’, il 2015 e il 2019 – quest’ultimo in particolare perché mi aspettavo di dover cambiare radicalmente le mie abitudini di vita e non avere più tutto questo tempo da dedicare alla musica una volta che avessi iniziato a lavorare seriamente, quindi mi passava la voglia di ascoltarla mentre stavo lì, sospeso nel vuoto, ad aspettare. Musicalmente, questo è stato un anno ottimo e, naturalmente, domani pubblicherò la classifica annuale con tutti gli artisti che hanno tenuto insieme i cocci della mia psiche durante l’assurdità che è stato questo 2020.

E niente. Negli ultmi otto anni ho fatto un bilancio di fine anno solo nel 2018 perché l’offerta di lavoro mi aveva aperto una piccola speranza. A questo giro, l’ho fatto perché il 2020 è stato del tutto fuori dall’ordinario e non potevo ignorarlo. Se non altro, a questo giro non ho aspettative né speranze: solo l’orrore al pensiero che nel 2021 torneranno di moda gli orribili pantaloni a vita bassa che hanno piagato la mia adolescenza. Ma insomma, nemmeno quelli sono peggio di una pandemia globale… forse.

Friday, 25 December 2020

Vecchi pettegolezzi

Fun fact, quest’anno ho onorato lo spirito festivo passando il Natale a malignare.
Beh, in parte: l’inizio è stato segnato da un attacco d’ansia low-key del tutto immotivato, poi io e la Mater abbiamo passato il pomeriggio a grindare in tandem per passare al livello 43 di Pokémon Go, poi ho scattato una foto ed è parlandone con Veronica che siamo finiti a fare le ciabattaie. Per inciso, la deduzione che come i tuoi amici si comportano con gli altri alle loro spalle è un ottimo indicatore di come si comporteranno con te alle tue è assolutamente vera: qualcuno una volta aveva notato che ogni volta che mi incontrava scatenavo un vortice di malvagità sopra le nostre teste rivolto a tutti quelli che ci avevano fatto torto almeno una volta; beh, guess what.

Comunque, il fatto che fra un paio di settimane saranno passati due anni dal secondo e penultimo punto di rottura non significa che io sia meno rancoroso, specie ora che, disseppellendo vecchi pettegolezzi, ho avuto un’epifania: prima dell’incidente che ha sfasciato tutto, qualcuno è venut* a trovarmi esattamente quattro volte; tutte e quattro nel giro di meno di un anno; anno nel quale ci provava con una persona dalle mie parti.
Fondamentalmente sì, le mie visite sono state ricambiate un gran totale di cinque volte in quasi dieci anni, di cui una per proposta famigliare e quattro perché stava correndo appresso a terze persone. Poi non avevo ragione a vedere un vero e proprio pattern di disparità di interesse e disponibilità che andava avanti da anni.

Quest’epifania, comunque, mi ha amareggiato ma non mi ha ferito; non ho idea di cosa ciò dica circa il mio processo di guarigione, ma vorrei interpretarlo come un segno del fatto che, se il rancore è la cicatrice che rimarrà lì a vita, la ferita vera e propria sta continuando a guarire.
La conclusione su cui invece sono assolutamente sicuro è che ho fatto bene a calciorotare questa persona fuori dalla mia vita.
Good riddance, bitch.

Thursday, 29 October 2020

Il primo non-Lucca

Sto cercando di capire come mi sento riguardo al fatto che, per la prima volta dal 2009, quest’anno salterò il Lucca Comics & Games. Per motivi più che ovvi, direi, ma penso sia comunque qualcosa che vale la pena menzionare.

A rileggermi, è già dal 2013 almeno che vado senza grande entusiasmo per la fiera in sé, ma più come tradizione, per vedere gli amici e per lavorare. L’anno scorso non è andata molto diversamente rispetto al 2018 e, sebbene il lavoro sia stato meno, ho anche speso meno, comprando letteralmente solo due magliette. Per molti versi, è come se non fossi proprio andato.
Mentre scrivevo il post sul cambio dell’ora, mi sono anche accorto che ho smesso di svegliarmi di buon’ora e fiondarmi subito fuori di casa come se perdere tempo a riposare significasse sprecare la mia visita lì, mentre i primi anni passavo ogni secondo in fiera, dalla mattina presto all’ora di chiusura. Anzi, l’anno scorso mi svegliavo con molta calma a metà mattinata giusto in tempo per fare colazione, prendere una spuma bionda al bar e andare a scattare il primo shoot della giornata; finito l’ultimo, tornavo subito a casa per una pennichella di metà pomeriggio per poi raggiungere Alessio e Claudio in orario di chiusura giusto per fare due chiacchiere sulla giornata.
(Per completezza: probabilmente, non prender più il biglietto da anni ha contribuito alla mia rilassatezza nei confronti della fiera. Non spenderci sopra soldi toglie quella frenesia di non voler sprecare nemmeno un secondo del tempo per cui si è pagato.)

A ben pensarci, forse Lucca non è nemmeno più una tradizione; forse è solo testardaggine.
Però il pensiero di non rivedere amici e conoscenti in fiera mi rattrista. Quello e il fatto che se non posso avere qualcosa inizio a volerla.
Ad essere onesto, comunque, non mi sto strappando i capelli. È più il senso di iconoclastia. Mi chiedo anche come ciò si rifletterà quando, in un mondo post-covid, si potrà tornare in fiera e dovrò decidere autonomamente se andare, senza più l’incentivo di non essermi perso nemmeno un’edizione in oltre un decennio.

Ah, e ovviamente quest’anno le previsioni danno soleggiato, massimo nuvoloso, tutti i giorni tranne l’ultimo. La beffa suprema: l’unico Lucca Comics asciutto negli ultimi dieci anni sarà quello a cui nessuno potrà andare.
Quest’anno non la finisce proprio di essere una carogna.

Wednesday, 28 October 2020

Passi avanti

Del sogno che ho fatto stanotte ricordo solo la parte finale. Sono certo che fosse successa molta altra roba prima, ma al punto in questione ero a Vinci e c’era qualcuna delle mie amiche del giro cosplay, sebbene non ricordi chi nello specifico. Questa mia amica aveva addosso il vestito rosso della Ciospa, quello che aveva cucito apposta per il nostro shoot. Non appena lo notavo, le proponevo uno shoot al più presto. E sì, una parte di me lo faceva semplicemente perché il vestito le stava proprio bene, un’altra invece per lanciare l’ennesima frecciata alla Ciospa e mostrarle che era perfettamente sostituibile.
In effetti, nei miei piani c’era di usare dei tempi molto veloci e approfittare della brezza per scattare in controluce al tramonto una specie di danza, catturando ogni movimento e drappeggio della stoffa per creare una serie ispirata a Shake It Out di Florence + The Machine molto migliore di quella che avevamo fatto con la Ciospa (che in real life è la foto che meno mi soddisfa di quel set).
Io e la mia amica ci facevamo una passeggiata per stabilire i dettagli e arrivavamo in punta al Molo Audace a Trieste (dove avevo effettivamente fatto quelle foto con la Ciospa) e ci sedevamo a parlare lì. Solo che a un certo punto il mare s’ingrossava: la prima onda s’infrangeva senza problemi davanti al molo, mentre la seconda saliva sopra e rischiava di bagnarci. Allora io all’inizio sollevavo semplicemente il bacino per non rischiare di bagnare il telefono, ma poi mi accorgevo che non bastava e iniziavo a indietreggiare a gattoni cercando di restare dove l’acqua era più bassa. E sì, alla fine ci riuscivo e salvavo il telefono.
Poi mi sono svegliato.

Credo che questo sogno sia stato il riflesso di almeno un paio di cose: Lucca che quest’anno salta, con la mia nostalgia per gli amici di fiera, e il secondo dei revenge shoot per il progetto sugli Hurts, che sto pianificando in un punto in cui ho scattato con la Ciospa qui ma che è molto esposto alle onde quando tira vento (ci sono passato vicino ieri o l’altro ieri e ho proprio notato quanto in su salissero gli spruzzi).
È interessante, però, che anche in sogno stia iniziando a sostituirla del tutto. Nell’ultimo paio d’anni ho sognato diverse volte lei che si comportava fingendo che non fosse successo nulla mentre io non volevo averci a che fare; poi ho sognato che era diventata ostile ed era a sua volta arrabbiata per come avevamo lasciato le cose, ma almeno riconosceva l’accaduto. Adesso finalmente non è comparsa affatto e, anzi, ho iniziato a fare piani sostituendola.
Questo, unito al fatto che mi sono trovato in difficoltà ma sono riuscito a cavarmene fuori sul finale del sogno, spero significhi che sto facendo dei passi avanti nel riportare quantomeno il rancore a livelli gestibili.

A proposito di passi avanti, oggi parlando con un amico sono riuscito a fare un’importante ammissione: il vero motivo per cui non sono più andato in terapia negli ultimi due anni e mezzo è che la mia fiducia verso il mio terapista è venuta meno.
Se qualcuno ricorda le mille paturnie che mi ero fatto per organizzare il viaggio a Roma / Napoli per scattare Belial, il penultimo Infernal Lord, beh, è quello. Non ricordo nemmeno di preciso la sequenza degli eventi, a quanto avevo accennato prima di partire, ma sono piuttosto sicuro che il dramma si sia consumato dopo che ero tornato trionfante. Gli ho parlato di come la mia ansia si fosse rivelata infondata, ho accennato al tema dello shoot e del progetto in generale, e lui ha praticamente smattato che i demoni sono cose con cui non si deve giocare e che avrei dovuto lasciar perdere tutto.
Ecco, in quel momento mi sono sentito personalmente attaccato (di solito lo dico ironicamente, “I feel personally attacked by this”, ma stavolta dico sul serio) e la cosa ha frantumato la mia fiducia. Non mi sono più sentito in uno spazio sicuro in cui potermi aprire senza temere un giudizio, che è la cosa peggiore che può capitare durante una terapia. Ho fatto ancora qualche sessione prima di partire, ricordo di non aver avuto particolari problemi di cui discutere visto che, tolti un paio di inconvenienti, ero più che altro euforico per i progetti post-Vinci che avevo con la Ciospa (povero stronzo), ma poi non sono più tornato nonostante a fine 2018 avessi da gestire la delusione estiva e nel 2019 fosse successo quello che è successo.
Mi sono detto che era per una questione di tempistiche, che tanto tra Lucca e le vacanze natalizie in Sardegna c’erano poche settimane, che poi stavo troppo male e non riuscivo ad andare a chiedere aiuto, ma la realtà è che non sono più tornato perché non riuscivo più a fidarmi di lui, perché l’idea di riprovare ad aprirmi con lui era assurda.
Ecco, ora l’ho detto.
Un’epifania che ho cercato d’ignorare per oltre due anni ma che mi è finalmente salita a galla.
Magari anche questo è un passo avanti e finalmente mi permetterà di cercare altrove e riprendere un percorso di cui ora più che mai sento di aver bisogno.

Thursday, 1 October 2020

Revenge Shoot

Fra la mia riflessione (un po’ paraculo, bisogna ammetterlo) su come una bella amicizia possa sfumare in una semplice conoscenza senza bisogno di traumi o conflitti e la mia presa di posizione sul far valere i miei sentimenti e opinioni c’è stata, effettivamente, una goccia che ha fatto traboccare il vaso. Quando ho scritto il primo post ero sincero, non portavo rancore ed ero pronto a lasciar correre e metterci silenziosamente una pietra sopra, ma nel frattempo ho avuto modo di cambiare idea e tirare fuori tutto il risentimento di cui, sulle prime, nemmeno mi ero reso del tutto conto.

Oggi, a più di due anni di distanza dal casus belli e a oltre uno e mezzo da quando la persona in questione ha ricevuto quattro pagine word fitte fitte di Reason You Suck speech, mi capita ancora di lanciare frecciate acide e fare battute crudeli con persone informate dei fatti. Il più delle volte il discorso salta fuori per caso, ma capita anche che sia io a creare questo “caso” apposta per arrivare lì. Lo so, mi diverto con poco.

La cosa più interessante è che, in tutto questo, è uscito il nuovo album degli Hurts è molte delle canzoni trattano della fine di un rapporto sottolineando la colpa della controparte. Non sono io, sei tu, teso’. Addirittura, una di queste canzoni riprende quasi pari pari le mie battute conclusive delle quattro pagine di Reason You Suck speech. E considerando che gli Hurts hanno avuto un ruolo indiretto nell’intera faccenda, chi sono io per lasciar correre un’occasione d’oro come questa per lanciare shade sotto forma di foto da includere nel progetto ispirato alla loro musica?

Per cui eccomi qui, appena tornato da uno shoot per il primo di quelli che la Cami definirebbe “revenge shoot” (un po’ come il Revenge Dress di Lady Diana), pronto a riaprire le ostilità e lanciare shade senza che ci sia stata la minima provocazione dalla controparte, di cui non ho notizie dal giorno dopo il RYS speech (perché ovviamente non poteva non trovare una scusa per avere l’ultima parola, bitch).
E non lo faccio nella speranza che arrivi alla persona in questione, né per catarsi o roba simile: semplicemente, è bello prendere una delusione professionale e artistica e trasformarla in materiale per essere creativo.

Del resto, forse dovrei semplicemente rassegnarmi: la mia amicizia è rara, ma quando la concedo è per sempre. Ed è talmente profonda che, se mi si spinge al punto di ritirarla, al suo posto non potrà mai restare indifferenza, ma un rancore che, ugualmente, è per sempre. Sorry not sorry, bitch.

Sunday, 16 August 2020

For neither ever, nor never

Oggi ho avuto un piccolo attacco d’ansia mentre sfogliavo Tumblr: mi sono accorto che alla mia coda di pubblicazione rimanevano non più di una decina di foto e presto si sarebbe esaurita. Ben poca cosa se paragonata all’oltre centinaio di foto in coda nei mesi scorsi (il volume dei contenuti dai blog che seguo è calato vistosamente negli ultimi mesi), ma non è quello ad avermi messo ansia.
Il fatto è che mi erano rimaste solo due foto di Florianino: una per questa settimana e una per la prossima.
 
Sono immediatamente corso ai ripari: ho scandagliato internet per ritrovare uno shoot bellissimo ma che è sempre solo circolato a qualità bassa pur di prolungare ancora la cosa. In tutti questi anni ho sempre sperato che quelle foto emergessero in qualità migliore ma, non essendo stato così, ho deciso di accontentarmi pur di aggrapparmi ancora un po’ a… qualunque cosa questa sia.

È più facile così. Non mi sento pronto ad affrontare che lui abbia mollato il mondo della fotografia, che quelle foto siano di sei anni fa, che io abbia perso l’opportunità di ritrarlo e, a proposito, in questi ultimi anni abbia dormito e non abbia realizzato nessuno dei miei sogni.
 
Comunque, nel frattempo ho già aggiunto un altro paio di settimane di foto includendo le prime dello shoot che ho ritrovato. Devo iniziare ad abituarmi al fatto che il blog andrà avanti senza di lui e dovrò dirgli addio.
Ma non ancora. È come quando fai bene i calcoli e decidi che puoi postporre la sveglia e restare ancora un po’ al caldo, sotto le coperte, in quel dormiveglia che non è più davvero riposante, ma in cui puoi ancora immergerti in qualcosa a metà tra un sogno e una fantasia a occhi aperti.
Non voglio ancora scoprire di essere stato solo un brutto sogno.

Tuesday, 23 June 2020

Feeling alive again

Per chi se lo fosse chiesto, la storia che ho condiviso su quello che è stato l’ultimo post sul blog per oltre due mesi è andata a finire per il meglio: probabilmente la macchia sotto l’occhio era davvero la puntura di qualche moscerino (tant’è che, in realtà, un leggero prurito me lo faceva). Con una blanda pomata antistaminica e un po’ di pazienza è passato tutto – senza contare che di lì a poco è comunque iniziato il lockdown e il problema di non voler uscire perché ero “sfigurato” è diventato irrilevante.

Resta il fatto che la mia percezione di me stesso è legata a fattori precari ed esterni: la mia produttività e integrazione nel tessuto sociale, che al momento è sotto zero, e il mio aspetto esteriore.
In queste ultime settimane, il secondo è stato fortemente minato dal fatto che l’ultimo taglio di capelli l’ho avuto a dicembre prima di partire. E non è nemmeno una questione d’ironia, di me che prima li ho portati lunghi fino a metà schiena e ora do di matto appena crescono poco poco: è che la lunghezza di sei mesi è semplicemente brutta, ingestibile, e mi sta malissimo. Così, come quando l’anno scorso me li avevano tagliati malissimo, ho sofferto anche ora nel guardarmi con il casino che avevo in testa, specie da quando ha superato prima i power hair à la Hillary Clinton, poi perfino il caschetto da Beatles Anni Sessanta per trasformarsi in una qualche atrocità hippie Anni Settanta. E fortuna che la Mater almeno aveva fatto un buon lavoro dandomi una spuntata sul retro verso metà aprile.

Insomma, non credo di dover spiegare ulteriormente perché abbia contato i giorni che mancavano all’appuntamento col parrucchiere. Una volta che la quarantena dura è stata sollevata, mi sono dato ancora un paio di settimane per accertarmi sulla situazione in città, dopo di che ho chiamato verso fine maggio e il primo appuntamento disponibile era oggi.
Non credo nemmeno di dover spiegare – o poter mettere a parole, se pe questo – il sollievo che ho provato guardandomi allo specchio con i capelli finalmente tagliati. Anche perché memore dello scempio che il parrucchiere cinese mi ha fatto l’anno scorso, quest’anno ho chiesto consiglio a un’amica di qui e sono andato da un parrucchiere d’alto bordo che ha fatto un lavoro impeccabile (è specializzato in tagli vintage e ha fatto tutto, tutto interamente con le forbici, niente macchinetta tosapecore!). Giuro, sono uscito da lì sentendo il ritornello di Alive dei Goldfrapp in testa, synth Anni Ottanta e tutto: “I’m feeling alive again, alive again! I’m feeling alive again, alive again!”.
Arrivato a casa, mi sono dato giusto il tempo di pranzare e ho sfruttato il capolavoro di styling che avevo in testa per fare un paio di foto, tra cui anche una ispirata proprio a questa canzone, che postprodurrò con gradienti pastello e forme geometriche al neon.
Non credo di aver mai progettato una foto così colorata e solare, ma mi sento genuinamente felice. Mi sento bello, mi guardo allo specchio e mi piace ciò che vedo. È una sensazione che mi è mancata così a lungo che ora non voglio mancare di celebrarla a dovere.

Wednesday, 27 November 2019

Pills For Broken Dreams

Quasi un anno fa, una certa persona, in un certo contesto, mi ha chiesto quali fossero i miei sogni. Non la mia cripta onirica, ma i miei progetti, le mie speranze, le mie aspettative per il futuro.
Mi sono reso conto che non sapevo cosa rispondere.
Non so più quali siano i miei sogni. Non ricordo nemmeno quali fossero prima.
Di sicuro, a un certo punto, devo aver sognato di farmi una famiglia, per lo meno nella versione “ridotta” di una coppia: dopo tutto, sono pur sempre cresciuto con Gomez e Morticia Addams come modello romantico, dev’essere qualcosa che ho sognato.
Probabilmente ho anche sognato di diventare ricco; crescendo sarà diventato poi benestante, e infine economicamente stabile, ma quella speranza dev’essere stata lì. Ricordo distintamente che una delle prime sere a Trieste, nello squallore della camera della casa dello studente, col linoleum blu per terra e le pareti vuote, ho pensato che dovevo sbrigarmi a completare e pubblicare il racconto che stavo scrivendo, se volevo tirarmi fuori da lì.
Quando cantavo nella band, avrò pur sognato che pian piano ci saremmo fatti un nome. Sono piuttosto certo di aver anche sognato, un giorno, di mollarli e andare a fare il solista, ché già allora fare il darkettino a tutti i costi iniziava a farmi sentire limitato.
Naturalmente ho sognato di viaggiare, scoprire nuovi posti, scattare foto ovunque. E, a questo proposito, sicuramente ho sognato di arrivare di fronte a un certo qualcuno con la mia macchina fotografica.
Quella è l’unica certezza che ho ora. Per il resto, tiro a indovinare: nulla di tutto ciò mi fa sentire nulla, in questo momento. Nemmeno la condiscendenza con cui si ripensa a quando si era giovani e ingenui, quando si pensava che fare il passo più grande della gamba fosse facile. Nemmeno l’imbarazzo per aver immaginato qualcosa di stupido e infattibile.
Niente. Come se fossero appartenuti a qualcun altro.

Per il futuro, non riesco proprio a immaginare qualcosa. Un po’ è perché il mondo sta girando così velocemente che un futuro immaginato dieci anni fa è già obsoleto e inapplicabile. Un po’ perché l’attuale situazione sociale, politica ed economica è talmente disastrosa che fa temere anche solo per l’indomani, figurarsi se permette di fare piani a lungo termine. Ma principalmente non ricordo più come si fa a sognare.
O per lo meno a sognare in grande e nel concreto. Quel fatidico incontro mi aveva fatto ricominciare a fare qualche piccolo, sporadico sogno: non ammazzarmi di commissioni alle fiere, tanto per cominciare. Ma anche qualcosa di più superficiale, tipo potermi permettere un viaggio a Barcellona per farmi un tatuaggio da Elijah, la rosa araldica dei Tyrell per ricordarmi sempre che le miniere si prosciugano, l’inverno finisce e le rose sbocciano di nuovo.
E invece, grazie per l’ennesima delusione.
Se non altro, mi aggrappo alla consapevolezza che non posso prendermela con me stesso, per una volta: più di così non avrei potuto fare.
Però ho di nuovo paura di sognare anche in piccolo. Di sicuro non rimparerò entro breve a sognare in grande.

Where are my pills for broken dreams?
Where are my furs, my plastic gleam?
Please, entertain: the lights are on.

Thursday, 21 November 2019

Cristallizzato

Ho sempre pensato che le mie foto fossero, per la maggior parte, dei racconti allegorici. Tolte alcune che nascono solo per essere esteticamente piacevoli, cerco sempre di narrare qualcosa tramite loro: un’emozione, un’idea, una storia, la mia interpretazione di un elemento della cultura a cui appartengo. Del resto, perché creare delle vuote immagini solamente decorative?
L’allegoria, però, sta nel fatto che, a parte alcune immagini apertamente autobiografiche, c’è sempre un filtro, un simbolo che si frappone fra le emozioni che ci metto e l’immagine finita: di solito, questo filtro è la musica. È come un gioco di specchi: ascolto una canzone, ci proietto sopra le emozioni che fa risuonare dentro di me, e quella me le riflette indietro sotto forma di immagine mentale su cui basare la foto. C’è quindi quasi sempre una componente autobiografica, ma indiretta: sono emozioni che sento, sì, ma genericamente, associate più alla canzone che le risveglia che al momento in cui ho scattato la foto.

Non mi aspettavo, quindi, di ritrovarmi a sfogliare foto di qualche anno fa e sentirmi come se mi entrassero sotto le costole e me le strappassero via per lasciare il cuore esposto.

A forza di pubblicare meticolosamente l’intera mia gallery su La Terra dei Cachi, un nuovo gruppo a cui mi sono iscritto, sono arrivato a cavallo fra il 2011 e il 2012, l’anno della mia grande fuga da me stesso (quello durante il quale non riuscivo a resuscitare il blog dopo la morte di Splinder e di cui i miei lettori non hanno idea).
Ebbene, rivedere quelle foto riporta a me quei tempi con la stessa potenza di quando li ho vissuti. Le stesse emozioni, fresche come appena provate: l’incertezza, la confusione, l’isolamento, la delusione, il senso di tradimento, l’euforia, la spensieratezza, la frivolezza… tutti i motivi per cui finivo a Milano almeno una volta al mese, e adesso la evito quanto più possibile.

E mi sono reso conto che la stessa cosa accade con molte altre foto, a tutti i livelli della mia linea temporale. Perché se è facile che le foto che ho scattato nel 2014 subito dopo la morte di Murka mi riportino il lutto di quei giorni – del resto, le ho scattate nello stesso luogo dove l’ho seppellita – è meno ovvio che quelle che ho scattato nel 2013 il week end in cui la Mater mi ha chiamato per dirmi che era stata male la prima volta mi riportino indietro a quel periodo.
E prima di allora, fra il 2010 e il 2011, sento nuovamente il tumulto della mia carriera universitaria che cadeva a pezzi, della nevrosi che iniziava a masticarmi, i sensi di colpa, l’inadeguatezza, ma anche il puro e semplice piacere di riuscire a fregarmene e partire per Londra o per Stavanger a vedere la mia band preferita.

È tutto lì, cristallizzato nelle foto che ho scattato. Non mi aspettavo che, mentre al pubblico raccontano la storia che ho deciso di costruire, a me raccontano la mia autobiografia, riportandomi anno per anno, mese per mese, settimana per settimana, momento per momento, a ciò che ho vissuto negli ultimi dieci anni.
E sono grato di questo. Mi sento spesso come se avessi passato tutto questo tempo addormentato, senza che mi succedesse nulla, senza che io provassi nulla, mentre non è stato affatto così. Le mie foto mi dimostrano che ci sono, ho vissuto, esisto. Ed è una cosa bellissima.

Friday, 15 November 2019

Primadonna Boys & Girls

Marina & The Diamonds è diventata meno relatable ultimamente. Al di là dell’insipidità musicale di Love + Fear, che comunque i suoi pregi li ha, il problema è proprio a livello di testi. I fan dello snark, dell’ironia e autoironia pungenti, della disfunzionalità sezionata, analizzata, spiegata ed esorcizzata, della critica sociale tagliente – insomma, i Diamonds – si sono improvvisamente trovati orfani. Gli outsider che trovavano conforto nel vedere una persona così brillante piena delle loro stesse insicurezze sono finiti nuovamente marginalizzati. Tutti i terrorizzati dei sentimenti sono finiti impantanati in una melassa amorosa che ha finito per farli impietrire. Un disastro.

Che poi, non è nemmeno colpa di Marina: lei è cresciuta, è andata avanti con la sua vita, ha trovato un partner, una sua dimensione nel mondo, un equilibrio. Noialtri, che non abbiamo neanche una frazione della sua stabilità socio-economica, figurarsi i mezzi per pagarci la lunga terapia di cui abbiamo bisogno, siamo rimasti indietro ai tempi di Electra Heart, massimo di Froot, e quest’improvvisa positività ci è risultata vuota e artificiosa.
Da fan, sono genuinamente contento che Marina stia bene con se stessa e stia attraversando un momento felice, ma mentirei se negassi che è stata una clip di Bubblegum Bitch postata su Instagram a convincermi a prendere il biglietto: Marina è un po’ un’aliena per me, un po’ come un millennial felice e sano di mente è un ossimoro; sono andato lì per Marina & The Diamonds.

Fatta questa doverosa premessa, il giorno dopo e già sul treno di ritorno, sono contento di essere andato a vederla dal vivo. In primo luogo perché è stata la sua prima volta in Italia da headliner, era visibilmente elettrizzata all’idea e ha dato il massimo. In secondo luogo perché non ha trascurato il passato e ci ha accontentati con tutti i cavalli di battaglia storici – del resto, è evidente che conosca i suoi polli, visto che una canzone l’ha dedicata a “all the primadonna boys and girls”. Così come sa che, tolti i buttafuori, gli etero lì dentro scarseggiavano ed erano lì solo per accompagnare le morose, probabilmente sa anche che non tutti abbiamo raggiunto il suo grado di soddisfazione nella vita.
Il fatto è che la Marina che sento “mia”, quella che “mi ha messo i microfoni in camera e ha scritto una canzone su di me”, era lì sul palco assieme alla nuova, ed è stata un’esperienza a cui non avrei rinunciato per nulla al mondo.

L’altro highlight della mia breve gita milanese è stato che ho passato buona parte del pomeriggio con Stefano e siamo andati a fare foto al Parco di Villa Reale a Monza. Niente di studiato a tavolino, cambio di programma repentino come ci siamo accorti che non avrebbe piovuto, giusto il suo nuovo cappotto come base per imbastire un mood generale, e siamo partiti all’avventura fra gli alberi.
Ed è stato bello. È stato liberatorio. Mi ha ricordato il divertimento di fare foto senza preoccuparmi di far quadrare i conti, di accontentare un committente, di mostrarmi professionale e impeccabile, di far finta a tutti i costi di essere perfettamente in controllo. Per quanto ami concentrarmi su foto che ho progettato da tempo immemore, è bellissimo anche uscire semplicemente con uno dei miei più cari amici, cogliere l’ispirazione del momento, sperimentare sapendo che, male che vada, cestino tutto, e divertirci assieme.

È bello non sentirsi giudicati nel fare qualcosa che si ama. Così come è bello scoprire che qualcun altro può creare qualcosa di bellissimo dalle stesse brutte emozioni che sentiamo anche noi.

Monday, 28 October 2019

For want of a nail

Ok, dai, anche quest’anno è arrivato l’ultimo colpo di coda della sfiga pre-lucchese, quindi sono pronto a partire.

Ricordate come il bruttissimo taglio di capelli che ho fatto a metà settembre mi ha portato a procrastinare lo scatto della fototessera, senza la quale ho ritardato la richiesta del rinnovo della carta d’identità, che è caduta proprio il giorno dell’aggiornamento di sistema del ministero, che ha ritardato la spedizione e consegna del documento, che ha ritardato la mia partenza per Trieste, che al mercato mio padre comprò?
Ebbene, quando viaggio da e per Trieste d’estate, spedisco sempre la roba che non sta nel bagaglio a mano RyanAir in una scatola con SDA. A questo giro, ho spedito tutto giovedì, così il pacco sarebbe arrivato comodamente oggi che ero in casa, invece che venerdì che ero ancora in volo.
Beh, così come la richiesta della CdIE è capitata proprio nel giorno dell’aggiornamento, la spedizione del mio pacco è capitata proprio nell’unico giorno di sciopero dei corrieri SDA. Il risultato? Il pacco è fermo a Bologna, cosa che ho potuto scoprire solo contattanto il centro assistenza via Skype – Skype, nel 2019! – e arriverà in data da destinarsi.

Naturalmente, dentro la scatola c’è il pannello riflettente che avevo intenzione di portarmi a Lucca per non bestemmiare anche quest’anno le luci e ombre in postproduzione e, errore mio, il caricabatterie della fotocamera.
Ergo, corsa in centro da Euronics, che però il lunedì è chiuso, salto carpiato sulla prima 29 di passaggio per andare da Mediaworld alle Torri, acquisto di un caricabatterie universale, con tanto di senso di déja-vu per l’anno scorso.
Ovviamente, nella fretta mi sono dimenticato di prendere la batteria della fotocamera per fare la prova, il commesso non ha saputo determinare la compatibilità dell’apparecchio dalla foto che gli ho mostrato su google, ho indovinato che ci fosse dall’illustrazione sul retro, e quindi mi è salita l’ansia di aver potenzialmente buttato via dei soldi inutilmente. Mentre aspettavo si facesse un’ora adatta per mangiare, ché già che ero alle torri almeno mi sarei gratificato dall’ex Old Wild West, ho aperto il pacco e ho notato che il caricabatterie aveva una sola linguetta per collegarsi alla batteria, non due; quindi niente cena finché non sono tornato a casa e non ho notato che la seconda linguetta era rimasta nascosta sotto il coperchio che non si era ritratto del tutto. Quindi niente comfort food per bilanciare la serata, ma la solita, noiosa pizza d’asporto.

Comunque, anche quest’anno me la sono cavata. Il pacco lo ritirerà il coinquilino, mi arrangerò a farmi prestare sapone per il viso, shampoo e balsamo, avrò la barba lunga perché anche il rasoio elettrico è nel pacco (in compenso potrò definire i bordi perché di rasoi normali ne ho sia qui che ad Alghero) e sono già stressato prima ancora di partire.
Tutto questo grazie al Ministero degli Interni e i suoi ritardi. Secondo me non si sono ancora ripresi dallo schifo che ha fatto l’ex capo della baracca ed è per questo che hanno tirato su ‘sto casino.

Tuesday, 24 September 2019

Una certa foto

Non mi aspettavo che scattare e pubblicare una certa foto risolvesse magicamente certi problemi che si erano creati con una certa persona. La foto è stata un casus belli, è stata l’Arciduca Francesco Ferdinando, ha solo esacerbato una situazione di cui non mi ero nemmeno voluto rendere conto ma che mi è piombata addosso nel momento in cui è diventata troppo palese. Mi piace scherzarci sopra, chiamarla la foto “che infiniti addusse lutti” come se il problema fosse (solo) la mancata disponibilità di due pomeriggi, ma so che non è così.
Il problema reale è stato uno squilibrio nella disponibilità reciproca, nell’importanza che si dava alle rispettive passioni, non una volta, ma per anni e anni, occasione dopo occasione, rimando dopo rimando. Ed è stato la reazione che ho ricevuto quando ho provato ad affrontare apertamente il problema e intavolare un discorso costruttivo per risolverlo. E, mesi dopo, quando il logorio del rapporto è diventato palese, il tentativo di attribuire la colpa unilateralmente.

No, sapevo già che scattare e pubblicare una certa foto non mi avrebbe fatto tornare indietro. Mi ha sicuramente alleggerito di un rancore, ma non per provare a tornare indietro: semmai, per andare avanti. Mi ha permesso di chiudere definitivamente un capitolo della mia vita, una piccola parte del quale continuava a indugiare nella mia mente perché qualcosa era rimasto in sospeso.
Non sento la mancanza di qualcuno che ho scoperto di non conoscere più davvero. Però ora posso ripensare ai bei momenti trascorsi insieme senza chiedermi se, oltre al rapporto, si sia rotto anche qualcosa di irreparabile in me. Quei bei momenti non me li toglie nessuno, nemmeno la rabbia; per i progetti lasciati in sospeso ho scoperto esserci ancora tempo e speranza, basta che mi rimbocchi le maniche e coinvolga persone che credono in me non solo a parole.

Thursday, 1 August 2019

Fotografia di sussistenza

È già da più di una settimana che me ne sto comodamente a casa della Mater. Normalmente, avrei dovuto passare il week end appena trascorso ad arrostirmi sotto il sole di Vinci, facendo foto per un compenso decisamente inadeguato (ma che la mia sindrome dell’impostore mi impedisce di aumentare), o anche del tutto aggratis perché è ovvio, se ho una mezz’ora libera tra un shoot e l’altro mica mi riposo, sono così pollo da dedicarla pro bono a qualche amico/a che me lo chiede, semplicemente perché gli/le voglio bene, mi fa piacere vederlo/a felice e contribuire ai progetti che gli/le stanno a cuore. Io.
Oh, guarda. Neanche sette righe (da desktop) e c’è già la shade.

Formalmente è stata una decisione dell’ultimo momento, quella di non andare. In realtà, erano già mesi che, pur rimanendo in forse, ero piuttosto convinto a saltare e andarmene direttamente ad Alghero.
Un po’ perché #toosoon, non avevo chissà che voglia di rispondere alle domande che inevitabilmente, almeno da qualcuno, mi sarebbero arrivate. Avendo fiducia zero nella popolazione generale del mondo, non posso fare a meno di chiedermi chi e, soprattutto, cosa sappia. Lo so, dovrei dare più credito se voglio credere che gli ultimi anni almeno qualcosa siano valsi, ma c’è una parte di me che è prontissima a immaginare lo scenario peggiore, specie in un contesto in cui la mia fiducia è stata in qualche modo intaccata.
Il succo è che non riesco a non chiedermi ommioddio cosa penserà la gente, almeno basandosi sulla versione dell’accaduto che sarà loro pervenuta.

Il vero motivo per cui non me la sono sentita di andare all’Unicorno quest’anno, però, è l’altra grande delusione che quest’anno ha portato. Sette-otto mesi fa immaginavo che sarei andato all’Unicorno con meno pressione sul mio lato fotografico per quanto riguarda il sostentamento. Che avrei potuto incasellare tot slot fissi, chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori, senza preoccuparmi di sovraccaricarmi tutte e tre le giornata per far quadrare i conti, perché quello di fotografo sarebbe stato un surplus per comprarmi qualcosa di carino.
Quando è diventato fin troppo evidente che non sarebbe stato questo il caso, semplicemente non sono riuscito a fare marcia indietro e tornare alla fotografia di sussistenza. Ho preferito saltare l’Unicorno e risparmiare le energie mentali per il tour de force di Lucca. In fondo, non penso che saltare una fiera danneggerà irreparabilmente la mia clientela. Ammesso e non concesso che lo scenario peggiore non si sia avverato e non sia già stata distrutta.

Wednesday, 22 May 2019

Trent’anni, yay.

Credo che dovrei scrivere qualcosa d’importante per commemorare i miei trent’anni ma, sinceramente, non ho chissà cosa da dire. E no, non è perché “trenta è solo un numero” o altre scemenze del genere: le età divisibili per dieci sono sempre un passaggio importante. Abbiamo troppo condizionamento culturale alle spalle per illuderci di poterle ignorare così.

Ho anche provato a barare, a rileggere il post che scrissi per i vent’anni sperando di trovare un po’ d’ispirazione, ed è stato ancora peggio. Ai tempi chiamavo i vent’anni “il periodo d’oro” della mia vita, eppure ora mi sembra di aver dormito per una decade e non essere ancora del tutto sveglio. Ci sono solo due cose che mi fanno pensare che sia valsa la pena di vivere quest’ultimo decennio: le foto che ho scattato e l’amicizia con Katia. Senza voler far torto a tutti gli altri miei amici e le persone a cui voglio bene, ma Katia è davvero una delle poche cose che mi fa dire: non cambierei nulla di questi anni, anche se potrei migliorare molte cose; non vorrei rischiare di compromettere nessuno dei momenti che abbiamo trascorso insieme.

A parte questo, festeggerò il mio trentennio tornando ragazzino: stasera arriva a Trieste la Mater e non vedo l’ora di farmi coccolare e  non dover cucinare, lavare, pulire ed essere adulto. D’altro canto, non sono nemmeno lontanamente al punto in cui pensavo che sarei stato a trent’anni – e, quel che è peggio, qualche mese fa avevo anche iniziato a sperarci un po’. Ma insomma, un po’ di vita famigliare fuori sede è un buon modo per attutire il colpo della nuova decina, per cui ben venga.

Onestamente, non ho idea se pubblicherò davvero questo post. Forse sì. O magari rimarrà a marcire fra le bozze finché non deciderò di dimenticare questo momento e lo cancellerò. O magari lo pubblicherò per ricordarmi che, pur partendo da un posto molto oscuro, i miei trent'anni vedranno una rinascita. Boh.
Nel frattempo, tanti auguri da me. Cento di questi gior– lol, anche no, grazie.