Sunday 21 February 2021

Gaslight and gas smell

Chiedo per un amico: come si fa a imparare a fidarsi non dico dei propri istinti e intuizioni, ma, ahm… dei propri sensi? Della percezione fisica, concreta che gli organi sensoriali hanno del mondo?

No, perché erano già due-tre giorni che, mentre o io o la Mater eravamo ai fornelli, sentivo odore di gas. “Ma no”, mi sono detto, “ti starai sbagliando. Non è possibile. Perché dovrebbe?”
E invece – sorpresa! – oggi è finita la bombola e abbiamo pranzato d’asporto. L’odore di gas improvviso è uno dei segnali più tipici che indicano che la bombola sta per finire. Se mi fossi fidato di quello che il mio olfatto sentiva, magari sarei andato a controllare, ne avremmo ordinata una piena e non ci saremmo trovati a piedi di domenica. (Per inciso, la Mater soffre di reflusso gastro-esofageo che, col tempo, le ha fritto i recettori dell’olfatto, quindi sente pochissimo gli odori; non sarebbe quindi stata d’aiuto a capire se mi stessi immaginando o meno l’odore).
Ma no, ovvio che se io sento qualcosa, di sicuro mi sbaglio, o c’è una qualche spiegazione razionale per cui ho torto. L’ironia di essermi fatto gaslighting da solo proprio sull’odore del gas è notevole.

Ovviamente, questa costante sfiducia nelle mie percezioni rientra sempre nei miei pattern di delegittimazione delle mie emozioni e sensazioni. Se sono io a sentirlo sicuramente non è valido. Se provoca fastidio a me sicuramente non è nulla di che.  E in ogni caso, se mi lamento io sicuramente do fastidio più del problema stesso. Se invece è qualcun altro ad accorgersene, allora c’è motivo di intervenire.

Per quanto da una parte sia frustrante accorgermi di ricadere periodicamente in questi circoli viziosi, dall’altra è un bene: già non esserne più ignaro ma, anzi, riconoscerli è un primo passo per provare a romperli. Questo stesso post lo sto scrivendo non tanto per celebrare l’ennesima futilità quotidiana, quanto per ricordarmi che, se sento puzza di gas, probabilmente la bombola sta davvero finendo. E se mi lamento a vuoto e salta fuori che ho torto, pace, alla peggio si è fatto un controllo in più.
Devo uscire dalla forma mentis che io debba sempre vivere in punta di piedi per non urtare gli altri anche quando un mio intervento più deciso sarebbe d’aiuto a tutti.

Friday 19 February 2021

Petty vs petty

È partita come una cosa apparentemente innocua. Mi sono svegliato, ho dato uno sguardo ai social media e ho trovato un messaggio vocale del moroso della Ciospa. La cosa non mi ha sorpreso più di tanto, ci siamo sentiti cordialmente svariate volte da quando io e lei abbiamo litigato. Questa però è stata la prima volta in cui l’ha nominata o ha menzionato la situazione tra noi.
Il motivo è che hanno letto la notizia di una brutale aggressione omofoba a Trieste e volevano assicurarsi che la vittima non fossi io e che stessi bene. Entrambi.
Naturalmente, la prima cosa che ho fatto è stato sfregarmi le mani e ho colto al volo l’occasione di essere petty: ho mandato un vocale a lui ringraziandolo tanto del pensiero, rassicurandolo di non essere proprio a Trieste, ringraziandolo di nuovo perché non sapevo nulla della notizia e almeno così avrei potuto sentire se era qualcuno che conosco (spoiler: purtroppo sì), e chiedendogli come stesse lui, come andasse il suo lavoro, come procedesse la sua vita. Rigorosamente al singolare, con parole ben calibrate affinché, se lei avesse ascoltato, questa distinzione fosse evidente.

E niente, sono corso a autocongratularmi, darmi pacche sulla spalla per lo scherzone ben riuscito e condividerlo con alcuni amici informati dei fatti, ma la risposta che ho ottenuto è stata inaspettata: a quanto pare, mi era sfuggito un piccino piccino sebbene cruciale dettaglino.
Almeno cinque persone diverse (più la Mater quando le ho illustrato la cosa tramite uno scenario ipotetico tra lei e una sua ex amica) mi hanno fatto notare che, se fosse stata davvero preoccupata, avrebbe messo da parte qualsiasi scusa – orgoglio, rabbia, rancore, paura che le urlassi dietro – e mi avrebbe contattato direttamente.
Ribadisco, lì per lì quest’idea non mi aveva minimamente sfiorato perché, nella mia mente, non c’è nessuna circostanza in cui lei dovrebbe farsi viva. Però un po’ è vero. Posta così, l’intera faccenda sembra molto performativa: non ha cercato di accertassi che io stessi bene, ha fatto in modo che io sapessi che ha cercato di accertassi che io stessi bene. Wow. Poi qualcuno criticava Margaery Tyrell chiamandola ipocrita.
Col senno di poi, se davvero le fosse interessato di come stessi ma per qualsiasi motivo non avesse voluto cercarmi direttamente per non “riaprire vecchie ferite” (cit.), avrebbe potuto mandare qualunque altra conoscenza comune meno sgamabile di suo moroso, chiederle specificamente di non fare il suo nome e farsi riferire la risposta. Ecco, così avrebbe fatto l’angelo custode che mi veglia da lontano ma non vuole rivelare la sua presenza.

Fatta così, né di nascosto né apertamente, in effetti sembra un po’ una performance. Che poi, la prima cosa che quasi tutti hanno commentato è che fosse una scusa per sondare il terreno – perché dai, cosa sono, l’unico finocchio da pestare a Trieste? Non lo so e non m’interessa: onestamente, l’unica cosa che mi urta è di aver sprecato dell’ottima pettiness gratuita rendendola invece una risposta giustificata. Uff.
Ps: mi chiedo cosa avrebbe commentato se fossi stato davvero io la vittima. Probabilmente che me l’ero cercata perché cosa mi aspetto che succeda stando sulle app di dating? (Già, era proprio lei quella di quel post). Bah.

Monday 15 February 2021

L’indomani scongelato

La buona notizia: il Mac funziona anche senza batteria, crisi sventata.

La notizia così così: il processore riduce automaticamente la potenza della CPU addirittura della metà in assenza di una batteria funzionante, quindi già anche solo navigare su internet è una seccatura. Probabilmente, più che per la scheda SD datata o la polvere nelle ventole, è per questo che a ottobre, quando la batteria era del tutto andata, il computer perdeva così tanti colpi. Ad ogni modo, questo significa che dovrò sentire gli amici tecnici e sottolineare che questa è una soluzione temporanea che mi faccio andare bene a patti che non duri altri tre mesi e mezzo, e di attaccarsi al telefono se la batteria non arriva nei tempi previsti.

La notizia orribile: i Delain sono implosi. Vero che sono sempre stati una revolving door band da far invidia agli Evanescence (della line-up che avevo visto a Milano nel 2009 erano rimasti letteralmente solo Martijn e Charlotte), ma a questo giro se n’è andata anche lei. Martijn ha annunciato di non voler mollare il colpo e proseguirà “Delain” come progetto solista in studio, facendo partecipare vari ospiti alla registrazione degli album senza però portarli in tour o avere una line-up fissa.
Che in sostanza è ciò che i Delain dovevano essere fin dall’inizio, solo che la partnership artistica con Charlotte si è rivelata talmente solida e Lucidity un album di tale successo che ben presto si è formata una band intorno a quel nucleo iniziale e da lì le cose sono cambiate. Così come è impossibile pensare ai Delain senza Martijn – secondo Otto è stata una delle opzioni considerate – visto che la visione musicale di base è la sua, è altrettanto assurdo immaginarli senza Charlotte, visto che non è una Liv Kristine qualunque che fa solo bella figura e non contribuisce nulla in fase di scrittura (e quando lo fa, il Signore ce ne scampi).
In sostanza, non vedo nessuno scenario in cui la magia possa rimanere intatta. Parte di me desidera quasi che Martijn lasci perdere e inizi un nuovo progetto con un nuovo nome, così da non compromettere con qualcosa di potenzialmente alieno l’eredità dei Delain, che, con un ottimo album come Apocalypse & Chill, potrebbero invece dire di aver concluso il loro percorso in bellezza.
Ma la vedo improbabile perché, stando a Otto, ancora oggi si lagnava che i Delain non fossero più solo il suo progetto personale: se in quindici anni non è riuscito a mollare la presa su quell’idea, difficilmente mollerà il nome.

Per inciso, un po’ mi sento di avergliela tirata io sia stappando lo spumante quando Marko Hietala ha annunciato il suo ritiro dalla musica (specificamente perché così non avrebbe più rovinato le canzoni dei Delain con comparsate dei suoi latrati), sia soprattutto rivangando la foto con la Ciospa. Cioè, pubblico una nostra collaborazione ispirata a una loro canzone, e cinque giorni dopo annunciano che la band si è sfaldata pezzo per pezzo perché Martijn ha fondamentalmente dato per scontato gli altri, ignorato quanto loro tenessero alla musica che suonavano, il valore del loro contributo alla band, deciso che le cose si dovevano fare quando, come, dove e se voleva lui, e poi menato la faccenda avanti e indietro con promesse che si sono poi rivelate vane. Sounds familiar?

Shade a parte, sono davvero dispiaciuto. Escluso Amenity, il demo registrato in garage nel 2002, sono stato lì con loro dal primo giorno. E la loro musica è stata con me in molti momenti importanti: tanto per cominciare, li ho scoperti proprio intorno al periodo in cui ho aperto questo blog e iniziato a fare foto su DeviantArt, per cui mi ricordano quello. Ho scritto qui dei primi tempi in cui li ascoltavo (drama queen alert), li ho imbucati nelle mie prime cotte e delusioni affettive, e ho bellissimi ricordi di quando finalmente riuscii a trovare il primo CD, Lucidity, durante una vacanza in Campania, di quando lo ascoltavo e sfogliavo il booklet una mattina assolata nel bel salotto degli amici che mi ospitavano. C’è stato poi anche il periodo in cui April Rain mi è venuto in soccorso quando ero disilluso dagli Evanescence e mi serviva una colonna sonora per l’ultima grande delusione affettiva (tutti i relativi post sono linkati lì per chi è curioso). E poi ci sono stati mille altri momenti qua e là, più piccoli e già non più annotati sul blog: viaggi a Milano, passeggiate a Trieste, conversazioni con gli amici, qualche foto.
Ma in generale, i Delain sono stati la band che è arrivata a rompere il monopolio della Sacra Trinità, Evanescence, Within Temptation e Naituiss. Prima non ascoltavo davvero metal, ascoltavo quelle tre band (beh, principalmente le prime due) e, sotto sotto, avevo paura di guardarmi intorno e scoprire che ci fosse qualcuno di più bravo o che mi piacesse di più (come è poi effettivamente successo con i Naituiss). I Delain sono stati talmente irresistibili che hanno spalancato la porta per tutti gli altri.
È per questo che ho voluto buttare giù questa specie di eulogia.
 
Che poi, magari va tutto per il meglio. Magari Charlotte e gli altri si riorganizzano e fanno le loro cose, e magari anche Martijn riesce a trovare qualcun altro con la pazienza di photoshoppargli le naso-labiali dei guest con cui ricreare la magia e i prossimi album saranno sempre Delain. Staremo a vedere.

Congelare l’oggi

In questo momento fuori ci sono 2°; anche in casa fa un freddo cane. E io sto qui, che vorrei approfittare delle temperature per congelare l’oggi (che per me è ancora ieri) perché tra qualche ora (che è ancora domani) dovrò affrontare una cosa spiacevole.

Piccola premessa: giovedì ero fuori dalla Grazia del Signore. Alla Mater è finito il toner della stampante, così ne ho approfittato per affrontare i miei first world problems, accompagnarla al famoso laboratorio informatico e chiedere notizie dal centro assistenza della batteria. Il tecnico ha almeno avuto il buonsenso di sprofondare dall’imbarazzo quando ha ammesso di essersi “dimenticato” di richiamarmi e informarmi che dal centro assistenza gli hanno detto che probabilmente è difettosa e va sostituita.
E niente, non l’ho sgozzato a mani nude solo perché non riuscivo a decidere per cosa fossi più arrabbiato: se perché si era dimenticato di chiamarmi o perché avevo ragione fin dall’inizio a dire che il problema era la batteria e, se mi avesse dato ascolto e avesse quantomeno provato a chiamare mentre aspettavamo il dannato alimentatore, l’avremmo potuta risolvere già allora e mi sarei risparmiato tre mesi e mezzo di stress costante e micro-attacchi d’ansia quotidiani. In ogni caso, professionalità alle stelle.

Ecco, la cosa spiacevole è che domattina dovranno testare se il mio Macbook può funzionare del tutto senza batteria. Il motivo? La batteria, che è in garanzia, me la sostituiscono senza costi aggiuntivi, ma per spedirla devono prima ricevere quella fallata.
No, sul serio: e io cosa dovrei fare nel mentre, se il Mac non funziona senza?
 
È questo il dubbio che dovrò affrontare domattina (in realtà manderò la Mater, così almeno dormirò mentre il computer non è qui con me). Quello di non decidermi ad andare a dormire quando ho incombenze spiacevoli il giorno dopo è un pattern che ho riconosciuto già da tempo. In realtà sono anche parecchio stanco, ma non riesco a staccarmi dalla parvenza di stabilità che l’oggi ancora è capace di darmi. E come nel 2016, scrivo proprio per svuotare la testa e lasciare che sia il sonno a costringermi ad affrontare il futuro con i miei problemi da Primo Mondo.
Per inciso, vorrei far finta di essere sorpreso per la batteria fallata ma l’anno scorso, quando ruppi lo schermo del telefono, me lo sostituirono con uno originale ma con un difetto di fabbrica, tanto che il telefono era quasi inutilizzabile e dovettero sostituire lo schermo di nuovo: conosco la mia fortuna, per cui santa pazienza e via, si affronta questo ennesimo contrattempo.

Wednesday 10 February 2021

Eclettismo

Dieci anni fa in questi giorni, durante un viaggio a Torino da Colei-Che-Non-Sarà-Nominata, leggevo il mio primo numero di Vogue e compravo la mia prima rivista di moda, 7th Man Magazine. Ai tempi avevo già iniziato a svecchiare i miei gusti musicali uscendo dal tunnel del “solo metal o stretti dintorni” grazie a Emilie Simon, Florence + The Machine e un po’ di PJ Harvey (Kari Rueslåtten, che era arrivata già a fine 2009, conta sempre come “dintorni”), ma ero ancora più o meno ingabbiato nell’idea delle sottoculture e dei preconcetti che si portavano appresso, tra cui quello di essere mutualmente esclusive con “il mainstream” e intrinsecamente migliori (la mia smugness a riguardo è evidente nel post che ho linkato). C’eravamo noi, gli eredi del Romanticismo e del Decadentismo, e c’erano loro, quei pezzenti che non si schiodavano dal minimo comune denominatore. (Che poi, pensare che il Decadentismo fosse profondo la dice lunga su quanto poco avessi capito del mondo). Era inconcepibile, per me, che la società “normale” volesse includere i temi oscuri a noi tanto cari nelle sue espressioni artistiche, men che meno nella moda, che era il prodotto più superficiale e frivolo di quell’alveare malato!
(Fa riderissimo, per inciso, che credessi che invece l’essere goth non fosse in tutto e per tutto una scelta di moda ed estetica, solo una che includeva un sacco di brutti tessuti sintetici che rovinavano la resa fotografica di buona parte degli abiti).
 
Freja Beha Erichsen ritratta da Mario Sorrenti.
 
D’altra parte, già in quel post traspare la voglia che avevo di sperimentare e uscire dagli schermi che mi ero autoimposto: per molti versi, quel Vogue è stato un moto di ribellione verso il conformismo della sottocultura a cui appartenevo, così come una foto “ironica” che avevo fatto, un modello seduto accanto a un graffito che diceva “Lady Gaga!”. E non sto scherzando né esagerando: è stato con un deliziato senso d’iconoclastia che ho accettato l’idea di ispirarmi a una foto di Vogue Paris per un concept che affondava le sue radici nella musica dei Delain. Era come prendere una scena “sacra” e rappresentarlo usando il “profano”, o qualcosa di simile. Ne ero elettrizzato. Anche se ho “rubato” solo la posa cambiando del tutto l’angolazione e l’atmosfera per rendere l’immagine finale più morbosa, è stato un passo importante non solo nella mia crescita artistica, ma anche umana. Per questo sono ancora molto affezionato alla foto che scattai in quell’occasione, nonostante la luce sia chiaramente amatoriale, la composizione un po’ caotica, il taglio non molto elegante e abbia enfatizzato alcuni difetti della modella (hello, denti da Parker-Bowles): è stato un rito di passaggio.

Alla fine, dopo quel Vogue mischiato ai Delain, sono arrivati Lady Gaga in maniera non ironica e gli Hurts a smantellare quel che rimaneva dei miei preconcetti gotici. Ho iniziato a frequentare i negozi di abbigliamento “mainstream” e entro fine anno ho iniziato a far crescere la barba e alleggerire il trucco degli occhi. L’anno dopo, con We Are The Others i Delain stessi hanno confermato quello che avevo cercato di negare già in April Rain, e cioè che mescolavano già metal e pop, e la combinazione funzionava dannatamente bene. Ma è stato quello il momento in cui ho abbracciato l’eclettismo perché finalmente ne ho compreso l’importanza

Monday 8 February 2021

First World problems

Oggi è stata una di quelle giornate in cui mi è mancata del tutto la motivazione per uscire dal letto. La Mater mi ha svegliato, mi ha preso il telefono per correre a catturare un Froakie vicino a casa e intanto io me ne sono rimasto sotto piumone, coperta e plaid a stringere il cuscino e tentare di rimmergermi nel dormiveglia per non affrontare la giornata di fronte a me, finché poi non è tornata lei e ha messo le lasagne a scaldare al microonde.
Per una volta non è una questione di impegni – c’è l’ora leggendaria di Suicune e, poco prima, ho organizzato un raduno per buttare due esche e aiutare tutti i livelli 41 a evolvere Leafeon e Glaceon per la missione del 42; a tutti sono andati benissimo giorno, ora e luogo di ritrovo.
No, il problema è che, una volta del tutto sveglio, sapevo che avrei dovuto affrontare l’ansia per il lento ma costante deterioramento del Macbook.

Chiariamoci: come deterioramento è fisiologico. Ho sempre una specie di pudore a parlare dei problemi del mio Macbook perché posso già immaginare la reazione dell’utonto medio di Windows: “I mAc SoNo SpAzZaTuRa, HaI pAgAtO sOlO iL mArChIo!”. La realtà è che ho comprato questo computer a fine settembre 2012, quindi sarebbe assurdo pretendere che non avesse nessun acciacco, specie considerando che ha visto un laboratorio tecnico un gran totale di due volte (di cui una per una mia svista), più altre due visite talmente rapide che hanno risolto il “problema” direttamente al bancone dell’Apple Store senza nemmeno prenderlo in consegna.
E per inciso, a livello di prestazioni non solo non ha alcun problema a reggermi Photoshop più plug-in, Lightroom, Firefox e iTunes tutti assieme, ma fino a un paio di giorni fa teneva botta perfettamente perfino quando aprivo The Sims 4 con quasi tutte le espansioni assieme a iTunes, Telegram, l’editor testi che non chiudo mai per pigrizia e un paio di altre app di servizio. Sfido qualsiasi portatile non-Apple a fornire simili prestazioni sulla soglia dei nove anni dall’acquisto.
 
Chiarito quindi che le prestazioni del mio Macbook sono eccezionali per una macchina della sua età, il problema è che l’altro ieri a una certa, mentre giocavo a The Sims, il computer si è freezato e riavviato con tanto di messaggio di errore prima della schermata di caricamento. Ed è lì che mi è affondato il cuore, specie perché è successo dopo tre mesi di più o meno costante stress per me.
A fine ottobre, il Mac aveva infatti iniziato, semplicemente, a spegnersi ogni tot, specie con la CPU sotto sforzo; non solo: le ventole erano da mesi in costante stato di sforzo e all’improvviso non le sentivo più. Preferendo non impelagarmi sui mezzi pubblici per portarlo al Centro Apple, l’ho portato a un laboratorio qui vicino per una pulizia, immaginando che anni di polvere non aiutassero la performance. Una volta aperto, i tecnici non solo ci hanno trovato i gatti di polvere, ma anche una batteria talmente andata da essersi gonfiata (infatti premeva contro il touchpad rendendo l’utilizzo più ostico); già che c’era da cambiarla, mi hanno proposto un upgrade della scheda SD con una più moderna e veloce. Accetto l’intervento, ci mettiamo d’accordo per una batteria compatibile perché l’originale è di difficile reperimento, lo porto appena arriva il pezzo di ricambio e sembra andare tutto bene. La rimozione della polvere più la nuova SD rendono il computer performante quasi come quando era da nuovo… ma la batteria ha evidenti problemi di compatibilità e mi manda la macchina in standby a intervalli irregolari. Lo fa in maniera del tutto casuale ma sempre alle stesse percentuali di carica: inizialmente sembrava fosse solo al 100%, motivo per cui ho iniziato a staccarla per poi tenerla in carica; ma niente, anche all’85, 92, 96 e 98% ogni tanto si spegne, e quando lo fa, puntualmente la lucetta del cavetto passa da arancione (in carica) a verde (carica).
Fortunatamente, basta aspettare che il processo di standby si completi per premere il pulsante e far ripartire il computer esattamente da dov’era, niente riavvio o altro. Il problema è che diventa tremendamente frustrante quando cerco di guardare qualcosa, specie se sono con Katia e siamo sincronizzati, o se voglio ascoltare un album musicale per intero – e essere interrotto è una delle cose che mi infastidiscono di più.
Stranamente, questo problema sembra non presentarsi quando la CPU è sotto sforzo, quindi per ascoltare indisturbato la musica basta che metta su The Sims e giochi; questa nuova bizza, però, mi toglie anche quello. E onestamente, già la mia salute mentale è appesa un filo: da quando anche il computer, la mia unica fonte di sollievo, è diventato una fonte di stress, è peggiorata notevolmente. Ora non posso né giocare in santa pace, né sfruttare quel modo per ascoltare musica senza interruzione, e la prospettiva mi agita ulteriormente.
E fottesega se sono problemi da Primo Mondo: con i tempi che corrono, non è che le opzioni di svago siano poi molte, e anche quello è fondamentale per non implodere del tutto di fronte a una situazione sociale disastrosa.

Per inciso, quando la sera stessa in cui mi avevano riconsegnato il computer, ai primi di novembre, sono tornato al laboratorio per descriver il problema, loro hanno tentato di attribuirlo all’alimentatore. Ne hanno ordinato uno compatibile che si è rivelato ancora più problematico, per cui hanno cercato il pezzo originale che, a causa di ritardi che coinvolgono l’intero comparto informatico, non è ancora stato consegnato, Nel frattempo, tutto è rimasto fermo perché volevano escludere quella causa prima di cercarne altre. A gennaio sono finalmente riuscito a convincerli che forse, considerato che succede sempre sulle stesse percentuali e, a volte, anche quando il computer è staccato dalla corrente, forse il problema era la batteria stessa. Hanno promesso di chiamare il centro assistenza e farmi sapere ma oggi, tre settimane dopo, ancora non mi hanno richiamato. Considerando che a quanto pare la professionalità non sanno nemmeno dove sta di casa, non so nemmeno quanto abbia senso che descriva loro questo nuovo problema. Ci manca solo che il responso sia un blando: “Il computer è vecchio, abituatici” e non alzino un dito per aiutarmi concretamente.
In ogni caso, se il mio Macbook è davvero alla frutta, dovrò correre ai ripari. E checché ne dicano i detrattori, rimarrò fedele alla Apple.

Thursday 4 February 2021

Violino

Oggi ho imparato la differenza tra la repulsione / allarme e una vera e propria fobia.
Rientrando a casa, sul muro del corridoio ho trovato il ragno più grande che abbia mai visto in vita mia, almeno metà del palmo della mia mano. Normalmente sono il tipo di persona che, trovato un ragno, prende un foglio di carta, ce lo fa salire sopra e va a liberarlo alla finestra senza ucciderlo. Date le dimensioni straordinarie, ho pensato che a questo giro fosse più saggio prendere l’aspirapolvere e ammazzarlo risucchiandocelo dentro. Fatta una foto per poterne discutere online, prendo l’aspirapolvere, elimino il mostro, torno alla mia serata come nulla fosse.
È solo ripensandoci dopo che mi sono reso conto della calma assoluta con cui ho gestito la situazione: ho provato disgusto e preoccupazione, ho percepito il ragno come un potenziale pericolo date le dimensioni per me straordinarie, ma ho agito lucidamente senza avere reazioni irrazionali. Fra l’altro, secondo Katia poteva trattarsi di un ragno violino, una bestia malefica il cui veleno può mandare intere aree di pelle in cancrena, per cui l’allarme che mi ha suscitato era probabilmente più che giustificato.

Insomma, quanto di più lontano ci possa essere da come reagisco quando vedo un topo. Fosse anche morto, o dall’altra parte della strada (in un caso addirittura dall’altra parte del fossato delle mura di Lucca!), o sull’altro marciapiede mentre io sono al sicuro, affacciato alla finestra in casa al terzo piano: il mio corpo si tende, salto, strillo alzando la voce di tre ottave, non riesco più a parlare coerentemente; battito cardiaco e respiro accelerano drasticamente, inizio a tremare e sudare freddo, la mia mente continua a tornare più e più volte sull’incidente nelle ore successive. In alcuni casi, per giorni continuo a vedere ratti in tutto ciò che mi circonda. Una volta mi sono addirittura fatto male: il topo era vicino e io ho saltato in una maniera strana, sollevando una gamba e torcendomi, col risultato che ho stirato un muscolo ad altezza bacino che mi ha poi fatto male per ore. Non è il semplice istinto di conservazione, il senso di schifo e sporco: è qualcosa di atavico, totalmente soverchiante, schiacciante, soffocante, sul quale non ho alcun controllo.
Con gli scarafaggi va un po’ meglio, ma quanto, poi? Ho imparato a canalizzare la paura in furia omicida: invece che strillare e chiamare la Mater, mi precipito a schiacciare il mostro sotto la suola, uno in meno a infestare questa Terra. Ma c’è sempre quel primo momento in cui il mio corpo si congela, poi a scattare è l’istinto di lotta o fuga, stavolta tarato sulla prima; e la rapidità con cui intervengo dipende dal bisogno di neutralizzare la minaccia prima che possa uscire dal mio campo visivo e finire chissà dove.

Ecco, mai come oggi questa consapevolezza è stata forte in me. La fobia non è schifo né fastidio, è qualcosa di potente e totalizzante. Non è legata alle circostanze concrete, quanto al mondo interiore di chi la prova. Ed è per questo che è necessario rispettarla anche se personalmente non la comprendiamo: quel senso di terrore è completamente al di fuori del controllo di chi ha un attacco, e più che di minimizzazione, scherno o “maniere forti” (ovvero esporre la vittima alla fonte sua fobia nella speranza che basti quello a farla passare), c’è bisogno di empatia, sostegno e anche aiuto fisico nell’eliminarne l’oggetto. Perché se una persona è in grado di gestire una situazione, per quanto disgustosa, potenzialmente pericolosa o spaventosa, lo fa. Se non ci riesce non gliene si può fare una colpa.