Oggi ho imparato la differenza tra la repulsione / allarme e una vera e propria fobia.
Rientrando a casa, sul muro del corridoio ho trovato il ragno più grande che abbia mai visto in vita mia, almeno metà del palmo della mia mano. Normalmente sono il tipo di persona che, trovato un ragno, prende un foglio di carta, ce lo fa salire sopra e va a liberarlo alla finestra senza ucciderlo. Date le dimensioni straordinarie, ho pensato che a questo giro fosse più saggio prendere l’aspirapolvere e ammazzarlo risucchiandocelo dentro. Fatta una foto per poterne discutere online, prendo l’aspirapolvere, elimino il mostro, torno alla mia serata come nulla fosse.
È solo ripensandoci dopo che mi sono reso conto della calma assoluta con cui ho gestito la situazione: ho provato disgusto e preoccupazione, ho percepito il ragno come un potenziale pericolo date le dimensioni per me straordinarie, ma ho agito lucidamente senza avere reazioni irrazionali. Fra l’altro, secondo Katia poteva trattarsi di un ragno violino, una bestia malefica il cui veleno può mandare intere aree di pelle in cancrena, per cui l’allarme che mi ha suscitato era probabilmente più che giustificato.
Insomma, quanto di più lontano ci possa essere da come reagisco quando vedo un topo. Fosse anche morto, o dall’altra parte della strada (in un caso addirittura dall’altra parte del fossato delle mura di Lucca!), o sull’altro marciapiede mentre io sono al sicuro, affacciato alla finestra in casa al terzo piano: il mio corpo si tende, salto, strillo alzando la voce di tre ottave, non riesco più a parlare coerentemente; battito cardiaco e respiro accelerano drasticamente, inizio a tremare e sudare freddo, la mia mente continua a tornare più e più volte sull’incidente nelle ore successive. In alcuni casi, per giorni continuo a vedere ratti in tutto ciò che mi circonda. Una volta mi sono addirittura fatto male: il topo era vicino e io ho saltato in una maniera strana, sollevando una gamba e torcendomi, col risultato che ho stirato un muscolo ad altezza bacino che mi ha poi fatto male per ore. Non è il semplice istinto di conservazione, il senso di schifo e sporco: è qualcosa di atavico, totalmente soverchiante, schiacciante, soffocante, sul quale non ho alcun controllo.
Con gli scarafaggi va un po’ meglio, ma quanto, poi? Ho imparato a canalizzare la paura in furia omicida: invece che strillare e chiamare la Mater, mi precipito a schiacciare il mostro sotto la suola, uno in meno a infestare questa Terra. Ma c’è sempre quel primo momento in cui il mio corpo si congela, poi a scattare è l’istinto di lotta o fuga, stavolta tarato sulla prima; e la rapidità con cui intervengo dipende dal bisogno di neutralizzare la minaccia prima che possa uscire dal mio campo visivo e finire chissà dove.
Ecco, mai come oggi questa consapevolezza è stata forte in me. La fobia non è schifo né fastidio, è qualcosa di potente e totalizzante. Non è legata alle circostanze concrete, quanto al mondo interiore di chi la prova. Ed è per questo che è necessario rispettarla anche se personalmente non la comprendiamo: quel senso di terrore è completamente al di fuori del controllo di chi ha un attacco, e più che di minimizzazione, scherno o “maniere forti” (ovvero esporre la vittima alla fonte sua fobia nella speranza che basti quello a farla passare), c’è bisogno di empatia, sostegno e anche aiuto fisico nell’eliminarne l’oggetto. Perché se una persona è in grado di gestire una situazione, per quanto disgustosa, potenzialmente pericolosa o spaventosa, lo fa. Se non ci riesce non gliene si può fare una colpa.
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