Thursday 31 December 2020

Classifica musicale annuale – 2020

Nelle puntate precedenti:

2017;
2018;
2019.

Classifiche generali (1-50):
2016;
2017;
2018;
2019;
2020.

Classifiche generali (51-100):
2018;
2019;
2020.

1. Come ti sei appassionato alla posizione numero 30? (Ala.ni)
• Grazie al mio amico Claudio. Un altro Claudio. Sembra che un po’ tutti i Claudi diano buoni consigli musicali.
2. Prima canzone ascoltata della numero 22? (Sleepthief)
• La ricordo benissimo: Rainy World, il pomeriggio in cui Luisa venne a trovarmi a Trieste!
3. Testo preferito della numero 33? (Autumn)
Synchro-Minds, e ricorderò sempre quando la band confermò la mia teoria che il “third eye” con cui il protagonista visualizzava l’interlocutore fosse la webcam!
4. Album preferito della numero 49? (Nick Cave & The Bad Seeds)
Murder Ballads, duh.
5. Canzone preferita della numero 13? (Fever Ray)
Keep The Streets Empty For Me. Questi sono i danni che ha fatto Dark.
6. Album peggiore della numero 50? (Placebo)
• L’album che mi piace di meno è il self-titled ma, oggettivamente, è iconico, a differenza del derivativo, compitino-ben-fatto Loud Like Love.
7. C’è una canzone della posizione numero 39 che senti molto tua? (Anneke Van Giersbergen)
Lost And Found. Ho iniziato a chiedermi se Anneke non l’abbia scritta per un terapista.
8. Bei ricordi legati alla numero 15? (Marina & The Diamonds)
• Il concerto del 2019, specialmente per la bella giornata che ho passato con Stefanino.
9. Quanti album possiedi della numero 5? (We Are The Fallen)
• Ai tempi comprai Tear The World Down principalmente come atto di protesta verso Pescy; non me ne pento, è comunque un album molto gradevole.
10. C’è una canzone della numero 45 che ti rende felice? (Evanescence)
• Ok, sembra una brutta battuta, ma ce ne sono; ci sono quelle catartiche che poi mi fanno stare meglio, e quelle che mi mettono proprio di buonumore tipo… Gùd Inàf, che è lA pRiMa CaNzOnE fElIcE dEgLi EvAnEsCeNcE! Ovviamente scherzo, quella è da latte alle ginocchia: Anywhere è nettamente superiore.
11. Canzone preferita della numero 40? (Billie Eilish)
When I Was Older. Fra l’altro, mi pento di averla bollata come ennesima ragazzina triste di passaggio, all’inizio: ha molto più spessore di quel che potrebbe sembrare!
12. Canzone della numero 10 che ti piace di meno? (Panic! At The Disco)
• Tolti le varie intro / interludi / cavolate da mezzo minuto, From A Mountain In The Middle Of The Cabins.
13. Bei ricordi evocati dalla numero 6? (Rose Chronicles)
• Li ascoltavo in treno durante un viaggio a Torino quasi dieci anni fa; una volta arrivato, poi, nel mezzo dello shoot mi accorsi che lo specchietto della reflex si era sporcato e, scattando a caso per vedere se il sensore era a posto, mi uscì questa foto, che intitolai come una loro canzone e che adoro ancora oggi.
14. Canzone della numero 38 che associ a un momento o persona? (Tactile Gemma)
• Stavo ascoltando Creepy-Crowlies una volta a giugno 2009 mentre mangiavo un cono grande col gusto del mese di Grom, che era fior di latte con amarene candite. Quando la ascolto, tutti quei vibrafoni mi fanno ancora sentire quel saporino di amarena che… mmh!
15. Quale canzone della numero 19 ti emoziona di più? (Hurts)
Illuminated. Ma una menzione d’onore va a Liar che, per ironia, nel ritornello riporta parola per parola la conclusione della mia missiva alla Ciospa.
16. Quante volte hai visto la numero 35 live? (Florence + The Machine)
• Una volta durante il tour di Ceremonials: è stata incredibile!
17. Quale canzone ti ha fatto innamorare della 23? (Allie X)
Bitch, sentita in concerto quando ha aperto per Marina a Milano. Onestamente però non so se mi avrebbe colpito altrettanto se l’avessi sentita prima su disco: Allie rende molto meglio dal vivo che in studio!
18. Album preferito della numero 11? (Loïc Nottet)
Selfocracy è notevolmente superiore rispetto al secondo.
19. Prima canzone ascoltata della numero 14? (Blanche)
City Lights, duh. Chiunque dica che all’Eurovision non c’è buona musica è un ignorante che conosce solo Salvador Sobral e Mahmood.
20. Canzone preferita della numero 27? (Emmelie De Forest)
Let It Fall, e comunque con Emmelie vale lo stesso discorso di prima sull’Eurovision.
21. Album preferito della numero 16? (Nemesea)
The Quiet Resistance resta insuperato.
22. Prima canzone ascoltata della numero 47? (Lady Gaga)
• Eh. Questa sì che è una bella domanda. Sicuramente avrò sentito qualcosa da The Fame a qualche serata gaia (era proprio il periodo in cui ci andavo), ma non me la filavo e, anzi, ero attivamente opposto alla sua esistenza. La prima che ricordo di aver ascoltato è Bad Romance per curiosità dopo che i ReVamp l’avevano coverizzata dal vivo (e c’è un motivo se è l’unica canzone buona che abbiano mai suonato).
23. C’è una canzone della 18 che trovi catartica? (Diablo Swing Orchestra)
Justice For Saint Mary. La parte finale simil-dubstep è la catarsi fatta musica.
24. Come hai scoperto la numero 21? (Elusive)
• Me li consigliarono gli admin del forum dei Theatre of Tragedy visto che erano un progetto di Tommy Olsson.
25. Canzone della numero 26 che ti rende felice? (The Bryan Ferry Orchestra)
Young And Beautiful, ennesima riprova del fatto che sarebbe stata una signora canzone se non per Laña del Rey.
26. Canzone preferita della numero 3? (Delain)
Pristine, anche se quest’anno dovrei dire The Greatest Escape.
27. Album preferito della numero 2? (The Gathering)
• Butto lì Souvenirs dal periodo di Anneke e Disclosure da quello di Silje, ma è una scelta pressoché impossibile.
28. Prima canzone ascoltata della numero 32? (Eivør)
• Non è una classifica musicale se non menziono Luisa almeno due volte: è lei che mi ha fatto ascoltare True Love.
29. Testo preferito della numero 8? (Anathema)
• “And when I dream, I dream of you; then I wake – tell me, what could I do?
30. Quante volte hai visto la numero 17 live? (Phildel)
• Mai, ma è nella mia bucket list!
31. Come hai scoperto la numero 44? (Paolo Buonvino)
• Ho iniziato a guardare I Medici per Daniel Sharman nudo; ho continuato per quello, Contessina e la fantastica colonna sonora.
32. Album della 12 che ritieni sottovalutato? (Siobhán Donaghy)
• L’intera sua discografia è sottovalutata per il semplice fatto di non essere stata in cima a qualsiasi classifica ai tempi, ma Ghost è uno degli album pop migliori degli Anni Duemila e lo conosciamo io, Siobhán e, forse, i suoi genitori.
33. Canzone peggiore della numero 29? (Susanne Sundfør)
• Prima del Live At The Barbican avrei detto Mantra, ma dal vivo è riuscita a diventare fantastica perfino lei. Dico la title track di Music For People In Trouble perché fondamentalmente è un interludio (rispetto all’anno scorso ho fatto pace con Live At Salle Pleyelle).
34. Prima canzone ascoltata della numero 34? (Karen Elson)
100 Years From Now, usata come sottofondo di The Midnight Hour su Paranormal Zone. Ps: KAREN ELSON MI HA RINGRAZIATO NELLE SUE STORIE INSTAGRAM PER AVER COMPRATO IL SUO LIBRO.
35. Album preferito della numero 28? (Portishead)
Dummy.
36. Quante volte hai visto la numero 42 live? (Aurora)
• Quest’anno stiamo proprio rigirando il coltello nella piaga degli artisti che non ho mai visto live ma vorrei da matti.
37. C’è qualche canzone della 36 che consideri un guilty pleasure? (Rose McGowan)
• Considerando il personaggio, il fatto stesso di ascoltare Rose McGowan è borderline un guilty pleasure di questi tempi.
38. Come hai scoperto la numero 48? (Soap&Skin)
• Allora, qui Dark ha davvero fatto danni: non solo ha messo due canzoni negli episodi, ma la sigla, Goodbye di Apparat con Soap&Skin, è la mia canzone più ascoltata dell’anno con oltre 230 ascolti. Non uscirò mai più da questo tunnel!
39. Album preferito della numero 7? (Loreen)
Ride, quello di cui nessuno conosce l’esistenza perché un po’ tutti hanno smesso di filarsela post-Eurovision.
40. C’è qualche canzone della numero 31 che ti mette nostalgia? (Kari Rueslåtten)
Other People’s Stories mi ricorda lo shoot con Luisa a Venezia!
41. Canzone della 41 che non ti piaceva ma adesso ami? (Morning Parade)
Seasick e Close To Your Heart.
42. Testo preferito della posizione numero 24? (Delerium)
• Troppi per elencarli tutti, visto che per la maggior parte hanno testi bellissimi; così su due piedi mi viene da dire Stay.
43. Canzone più emozionante della numero 46? (Dejafuse)
• Il fatto che la loro musica sia emozionante quanto la lavatrice ai risciacqui è probabilmente il motivo per cui sono durati così poco. Sorry, Nienke.
44. Canzone della numero 25 che ti rende felice? (Luk Evans)
• Quando inquadrano il suo culo ignudo nella seconda stagione di The Alienist! Ah, come? Dicevate canzone, non scena? Uhm… At Last, credo?
45. Canzone preferita della numero 9? (Goldfrapp)
Stranger, che è anche una perfetta descrizione della mia vita affettiva.
46. Primo album ascoltato della numero 37? (L’Âme Immortelle)
• Sono piuttosto sicuro di aver ascoltato ...In Einer Zukunft Aus Tränen Und Stahl per intero perché adoravo Will You?, ma a diciassette-diciott’anni non ero ancora pronto a quella quantità di elettronica.
47. Membro preferito della numero 4? (Emilie Simon)
• Emilina sarebbe la mia preferita anche se fosse un ensamble di cento musicisti!
48. Prima canzone ascoltata della posizione numero 43? (Amaranthe)
• Questa la ricordo: Drop Dead Cynical.
49. Album che possiedi della numero 20? (Theatre Of Tragedy)
• Tutto quello che hanno fatto in almeno un’edizione. “Almeno” perché di Forever Is The World ho la deluxe, la tour edition con Addenda, l’edizione giapponese che mi ha regalato di Hein e addirittura il vinile.
50. Il miglior ricordo associato alla numero 1? (Within Temptation)
• Nonostante la magnificenza del concerto ad Anversa, ricordo con più affetto il concerto a Milano nel 2011: eravamo quasi tutti lì e ancora tutti amici. Che bei tempi.

Unpopular opinion

Il 2020 non è stato il mio anno peggiore a livello personale. Quel titolo spetta ancora di diritto al 2015, e sebbene il 2019 non sia sceso altrettanto in basso, poco ci è mancato.
Del resto, il 2015 è stato l’anno della Minus Habens, mentre il 2019 è stato l’anno post-Ciospa e in cui sono stato ad aspettare come uno scemo di firmare un contratto di lavoro vantaggiosissimo solo per poi ritrovarmi ghostato dal futuro capo (non sto esagerando, mi ha fatto letteralmente ghosting, non ha nemmeno avuto il coraggio di dirmi che non se ne faceva niente). 
 
Il 2020 invece, nonostante il delirio globale, è stato un anno estremamente privo di eventi per me, il che non è un male. Non posso dire di stare bene: il mio stato mentale è più precario che mai e francamente non vedo una via d’uscita, nemmeno sotto forma del tanto agognato vaccino. Non riesco a immaginare un mondo post-covid, in cui si torna a uscire liberamente, non si rispetta la distanza, non si attraversa la strada quando si vede qualcuno di fronte (onestamente, queste cose mi mancheranno). Una parte di me pensa che forse mi preoccupo per niente, che terminata del tutto l’emergenza ogni cosa tornerà alla normalità visto che molta gente ha continuato a comportarsi come nulla fosse; l’altra si domanda quanto profonde saranno le cicatrici di tutto questo casino nella nostra psiche collettiva.
Il punto, comunque, è che non riesco a immaginare come sarà la mia vita post-covid, quando non avrò più la scusa perfetta per tenere tutto quanto in stasi criogenica come ho fatto quest’anno.
C’è poi il fatto che in questo 2020 ho fatto un sacco di soul-searching, visto che non avevo molte voci esterne che annegassero la mia interiore che over-analizza ogni piccola cosa. Il problema è che, anche qui, non sento di aver fatto nessun progresso: ho avuto numerose epifanie ma non so che farne, né a chi rivolgermi per capirlo.

Forse è proprio questo che innesca la dissonanza cognitiva: a differenza del pozzo di disperazione che è stato il 2015, o della cantonata sui denti del 2019, il 2020 è riuscito a farmi sentire contemporaneamente protetto e accoccolato in un bozzolo e completamente perso, privo di direzione in mezzo alla nebbia. Per una volta, però, non mi sento in colpa per questa mancanza di direzione, perché tutti siamo spaesati in questo momento per qualcosa di molto più grande di noi. Egoisticamente, ho quasi paura di dover dire addio alla sensazione di non avere colpa. E forse è proprio così che ricorderò il 2020, come l’anno senza colpa.

In tutto ciò, comunque, quest’anno è stato inaspettatamente produttivo per quanto riguarda la fotografia. Naturalmente ho fatto quasi solo autoritratti e ho dovuto rimandare decine di progetti, ma le foto che ho fatto sono state tutte altamente concentrate e ho raggiunto livelli di sofisticazione che non mi sarei mai aspettato – del resto, avere a disposizione solo la luce naturale di casa e un muro monocolore significa doversi spremere le meningi per mantenere alta la creatività.
Per ovvi motivi, è anche stato l’anno in cui ho ascoltato più musica in assoluto, superando i 45.000 scrobble su last.fm, oltre 900 in più del 2013, il mio precedente record personale. Fra l’altro, tolti i primi anni in cui scrobblavo a macchia di leopardo o di cui ho dovuto cancellare ascolti taggati incorrettamente, gli anni in cui ho ascoltato meno musica sono stati, indovinate un po’, il 2015 e il 2019 – quest’ultimo in particolare perché mi aspettavo di dover cambiare radicalmente le mie abitudini di vita e non avere più tutto questo tempo da dedicare alla musica una volta che avessi iniziato a lavorare seriamente, quindi mi passava la voglia di ascoltarla mentre stavo lì, sospeso nel vuoto, ad aspettare. Musicalmente, questo è stato un anno ottimo e, naturalmente, domani pubblicherò la classifica annuale con tutti gli artisti che hanno tenuto insieme i cocci della mia psiche durante l’assurdità che è stato questo 2020.

E niente. Negli ultmi otto anni ho fatto un bilancio di fine anno solo nel 2018 perché l’offerta di lavoro mi aveva aperto una piccola speranza. A questo giro, l’ho fatto perché il 2020 è stato del tutto fuori dall’ordinario e non potevo ignorarlo. Se non altro, a questo giro non ho aspettative né speranze: solo l’orrore al pensiero che nel 2021 torneranno di moda gli orribili pantaloni a vita bassa che hanno piagato la mia adolescenza. Ma insomma, nemmeno quelli sono peggio di una pandemia globale… forse.

Sunday 27 December 2020

Counting my blessings

Sono uno che odia profondamente la gara della sofferenza: sentirmi dire che c’è chi sta messo peggio di me non mi dà nessuna consolazione, non risolve i miei attuali problemi e, anzi, mi fa sentire delegittimato nelle mie emozioni. Il che aggiunge, al disagio che già provo per il problema in sé, rabbia nei confronti di chi usa il luogo comune.
A volte, però, non guasta rimettere le cose un po’ in prospettiva quando il paragone nasce spontaneamente – perfino quando questa arriva dritto dalle app di dating.

Dato che la Sardegna è praticamente il deserto, specie con i filtri stringenti che metto io, mi capita di scrollare l’elenco di PlanetRomeo fino ad arrivare non solo in zona Roma ma, dato che l’aera di ricerca non è una linea ma un cerchio, addirittura in Tunisia e Algeria.
Ho notato che, come nelle varie zone d’Italia, anche dall’altra parte del Mediterraneo i profili tendono ad avere motivi ricorrenti su base geografica: quelli tunisini e algerini sono la non-impersonazione di celebrità. In sostanza, stando all’elenco di Romeo, il Nordafrica sarebbe pieno di adoni da calendario, attori più o meno famosi, modelli di Vogue Hommes e altri esemplari di manzi che improvvisamente hanno deciso di andare in vacanza da quelle parti, imparare la lingua locale e… oh, no, se non altro buona parte di questi utenti scrive, in inglese o francese, che la foto non è loro.

Inutile dirlo, i profili fake sono tutt’altro che un fenomeno unico di lì, eh: qui in Sardegna una volta ho trovato un presunto Matthew Djordjevic; a Trieste mi è capitato un Richard Madden che, quando gli ho dovuto spiegare le frecciate a tema Game of Thrones (non sapeva nemmeno chi fosse il suo “prestavolto”!), mia ha assicurato di essere “più bello” di Richard (“E chi sei, allora, Natalie Dormer?”).
Ma ci sono differenze: per prima la diffusione capillare, per seconda l’ammissione immediata di non essere loro in foto. Perché solitamente, quando uno si finge più o meno maldestramente un quarto di manzo, lo scopo dell’illusione è farsi mandare nudes dal malcapitato di turno: sapere già in partenza che la foto è falsa non dispone alla fiducia.
Quindi non posso fare a meno di chiedermi: cosa li spinge a fare una cosa del genere?

Di sicuro il bisogno di anonimato: date le circostanze socio-politiche e legali, dichiararsi è impossibile. E no, non è un’esagerazione o uno stereotipo inventato da noi Occidentali: ho chattato con un ragazzo tunisino e se n’è lamentato ampiamente.
Il compromesso fra nascondersi e assecondare il desiderio è quindi entrare in chat nella maniera più anonima possibile. Ma per quello basterebbe un petto decapitato, un paesaggio o qualche altra immagine randomica, come è costume diffuso qui in Sardegna. (L’opzione di non mettere nulla è più adatta a Grindr, dove il filtro foto è limitato al pacchetto premium, mentre PlanetRomeo permette di non far comparire in elenco i profili senza foto anche in versione base).
Ciò però non spiega un trend così specifico – la foto altrui, ma subito smentita. Purtroppo, il mio conoscente aveva come immagine un disegno esoterico, quindi non ho potuto chiedergli come ragionino i finti manzi magrebini e posso solo tirare a indovinare.
 
Certo, un bell’uomo cattura lo sguardo più dell’ennesimo tramonto sul mare e attira, quindi, più visite. Ma né quello né la semplice voglia di farsi mandare nudes, che sicuramente è un altro fattore, bastano: come dicevo, i finiti Richard Madden nostrani fanno orecchie da mercante quando si fa notare la loro menzogna, men che meno ammetterebbero subito di non essere loro in foto.
Temo che in questo caso si tratti del desiderio di essere qualcun altro – o, più specificamente, il desiderio di non essere se stessi. Forse più ancora che voler attirare gli sguardi o fingersi alti, col fisico scolpito e i lineamenti cesellati, la foto profilo dichiaratamente falsa è una fantasia, un what could have been. È un desiderio di evasione, di essere un uomo più libero e meno odiato – perché subire tutta questa repressione, alla lunga, avvelena anche lo spirito più anticonformista che lotta per sentirsi in pace con se stesso.
Normalmente, i fake mi fanno arrabbiare – principalmente perché mi sento insultato nell’intelligenza se pensano che ci caschi. In questo caso, però, mi suscitano empatia: dev’essere davvero brutto vivere col desiderio inconscio non di avere un’esistenza migliore, ma di essere proprio qualcun altro, finire con l’assorbire un tale rifiuto verso se stessi che l’unica soluzione è proprio annullarsi e immaginarsi una persona del tutto diversa – perché di nuovo, la finzione non è a danno del visitatore, per lui è chiara e tonda.

Come dicevo, che gli altri abbiano problemi peggiori non risolve i miei, ma a volte rimettere le cose in prospettiva aiuta ad apprezzare meglio ciò che si ha. Per quanto anch’io abbia problemi di autostima, non sono così radicati da farmi immaginare di essere una persona del tutto diversa, e in questo sono fortunato. Sono fortunato per essere cresciuto in un ambiente in cui sì, essere un adolescente gay era difficile, ma non mi ha lasciato traumatizzato così profondamente.

Friday 25 December 2020

Vecchi pettegolezzi

Fun fact, quest’anno ho onorato lo spirito festivo passando il Natale a malignare.
Beh, in parte: l’inizio è stato segnato da un attacco d’ansia low-key del tutto immotivato, poi io e la Mater abbiamo passato il pomeriggio a grindare in tandem per passare al livello 43 di Pokémon Go, poi ho scattato una foto ed è parlandone con Veronica che siamo finiti a fare le ciabattaie. Per inciso, la deduzione che come i tuoi amici si comportano con gli altri alle loro spalle è un ottimo indicatore di come si comporteranno con te alle tue è assolutamente vera: qualcuno una volta aveva notato che ogni volta che mi incontrava scatenavo un vortice di malvagità sopra le nostre teste rivolto a tutti quelli che ci avevano fatto torto almeno una volta; beh, guess what.

Comunque, il fatto che fra un paio di settimane saranno passati due anni dal secondo e penultimo punto di rottura non significa che io sia meno rancoroso, specie ora che, disseppellendo vecchi pettegolezzi, ho avuto un’epifania: prima dell’incidente che ha sfasciato tutto, qualcuno è venut* a trovarmi esattamente quattro volte; tutte e quattro nel giro di meno di un anno; anno nel quale ci provava con una persona dalle mie parti.
Fondamentalmente sì, le mie visite sono state ricambiate un gran totale di cinque volte in quasi dieci anni, di cui una per proposta famigliare e quattro perché stava correndo appresso a terze persone. Poi non avevo ragione a vedere un vero e proprio pattern di disparità di interesse e disponibilità che andava avanti da anni.

Quest’epifania, comunque, mi ha amareggiato ma non mi ha ferito; non ho idea di cosa ciò dica circa il mio processo di guarigione, ma vorrei interpretarlo come un segno del fatto che, se il rancore è la cicatrice che rimarrà lì a vita, la ferita vera e propria sta continuando a guarire.
La conclusione su cui invece sono assolutamente sicuro è che ho fatto bene a calciorotare questa persona fuori dalla mia vita.
Good riddance, bitch.

Friday 18 December 2020

Suona la sveglia

Ho sognato di avere trentanove anni.
Non ricordo nient’altro, se non l’età che avevo, di essermene accorto all’improvviso ed essere entrato nel panico.
Non so se avessi sbagliato a contare, se avessi dormito per nove anni e mi fossi svegliato solo in quel momento, se la quarantena fosse durata tanto, se semplicemente il tempo fosse trascorso monotono e indistinguibile fino a quella data. Fatto sta che all’improvviso mi accorgevo di avere trentanove anni quando avrei dovuto averne meno. Ero sulla soglia dei quaranta e non solo la mia vita non aveva direzione alcuna, ma non avevo fatto nulla di rilevante in questo tempo, non avevo assaporato niente, non me l’ero goduta.
È stata una delle poche volte in cui svegliarmi è stato un sollievo.

Che poi, è un panico stupido: quest’idea che la vita termini poco dopo i trenta potevo avercela a vent’anni, ma ora molte persone che ammiro, compresa la mia migliore amica, sono intorno ai quaranta o li hanno superati. Certo, “un tempo per ogni cosa e per ogni cosa uno spazio”, se mi perdo qualcosa a un’età diventa un po’ sciocco sperare di recuperarla quando è passata, ma non è quello il punto. Forse il numero è stato arbitrario e il mio cervello ha semplicemente processato il fatto che ho trascorso un anno in letargo forzato dopo una buona mezza decade in letargo autoindotto.

A questo punto, presumo che dovrei scrivere qualcosa di positivo e ispirante, tipo che mi è suonata la sveglia ed è tempo di impegnarmi per non avere il timore o dubbio o rimpianto di non aver vissuto al massimo, ma sinceramente non me ne frega nulla e un po’ penso che sia troppo tardi. Otto anni troppo tardi. E comunque, non che il futuro offra queste grandi prospettive in generale, men che meno a me.
Al diavolo: la sveglia è fatta per essere ammazzata.

Tuesday 15 December 2020

L’anno che mai fu(mai)

Alle ore 4:36 di questo stesso giorno, un anno fa, spegnevo la mia ultima sigaretta prima di fare il controllo sicurezza all’aeroporto di Bologna.
Dopo due tentativi falliti, mi ero posto la fine del 2019 come termine ultimo per smettere di fumare, così da non inquinare la nuova decade. In realtà avevo anche provato a smettere prima del mio trentesimo compleanno, così da non inquinare la mia nuova decade, ma il 2019 non era stato particolarmente clemente con me e non avevo avuto la forza per farlo davvero.
Ma dato che la Mater mi avrebbe ucciso se l’avesse scoperto (e probabilmente mi ucciderebbe anche se leggesse questo post), tanto valeva approfittare della vacanza “di qualche settimana” (lol!) da lei, in cui fumare sarebbe stato logisticamente difficilissimo e ancora più stressante dell’effimero sollievo che mi dava, per affrontare i primi, difficili tempi in cui il corpo va in astinenza mentre si disintossica (per inciso, anche le volte precedenti avevo smesso cold turkey ed ero durato mesi, segno che, all’occorrenza, la forza di volontà ce l’ho). In più, un completo stravolgimento di quella che era la mia routine a Trieste sicuramente avrebbe aiutato, visto che non avrei più avuto i momenti fissi della giornata in cui affacciarmi alla finestra per “prendere una boccata d’aria”.

Ed eccomi qui, “sobrio” da dodici mesi da che il mio record precedente era stato sette mesi e mezzo. Come ho scritto in quell’occasione, mi preoccupa solo che quest’anno sia stato così fuori dall’ordinario: facile stare pulito un anno intero quando a fare la differenza sono la convivenza forzata con la Mater, lo stravolgimento ulteriore della mia routine e la mancanza di occasioni sociali che mi potessero indurre in tentazione (che è stato ciò che mi ha fatto fallire le altre due volte). La paura è che, una volta finito tutto e tornato a Trieste, privo di una direzione nella vita se non morire un poco ogni giorno, la tentazione che ora non sento nemmeno più torni prepotente. Che tornino le giornate in cui l’unica motivazione che avevo di vestirmi e alzarmi dal letto era affacciarmi alla finestra per la prima sigaretta del giorno. O quelle in cui a farmi uscire di casa era il richiamo da sirena del tabacchi sotto casa perché avevo finito il pacchetto.
Ci sono state notti in cui ho sognato di fumare. Non sognato nel senso di “che nostalgia, o mio dio, quanto vorrei farlo”, ma in cui semplicemente fumavo, salvo poi, come nel caso dei sogni sulla mascherina, rendermi conto che era già il 2020, la nuova decade, e stavo di nuovo rovinando il mio proposito. E come nei sogni sulla mascherina (o quelli in cui rompo il telefono), svegliarmi e scoprire che va tutto bene, che non ho fatto un passo falso, che tengo ancora fede al mio impegno è un sollievo.

Poi però, quando mi capita di sentire l’odore, lo trovo estremamente fastidioso. Non mi manca arrivare la sera senza energie perché ho meno ossigeno in circolo, né svegliarmi nel cuore della notte con la voglia e non riuscire a riaddormentarmi finché non la soddisfo. Non mi manca avere l’alito perennemente pesante, e amo che la mia pelle sia più brillante e salubre di quanto sia mai stata mentre fumavo.
Ecco, spero che tutto questo abbia un peso che controbilanci il mio istinto di autodistruggermi, di regalarmi una gratificazione che percepivo anche come auto-punizione per essere un fallimento come persona.

Onestamente non sono sicuro di cosa mi abbia spinto a scrivere per la prima volta in chiaro che ho un passato da tabagista qui sul blog. Nei progetti iniziali, questo post (che per sicurezza terrò nelle bozze e pubblicherò solo quando sarà in seconda pagina, non si sa mai, ciao Mater) doveva contenere un vago riferimento alla cosa e concentrarsi più sulla mia permanenza Giù™, ma scrivere quella prima frase così esplicitamente è stato liberatorio. Forse è l’orgoglio di aver tagliato un traguardo arbitrario ma importante come quello dell’anno. Forse, sotto sotto, sento di aver superato la dipendenza e poterne parlare perché non mi appartiene più.
In ogni caso, ho smesso di fumare da un anno. Con l’aiuto delle circostanze, ma è pur sempre un anno. Bravo me.

L’anno che mai fu

Alle ore 4:36 di questo stesso giorno, un anno fa, mi preparavo a fare il controllo sicurezza all’aeroporto di Bologna.
Dopo una notte insonne per i soliti problemi logistici, passavo i metal detector, ricomponevo la valigia che avevo sventrato, prendevo un tè di terz’ordine e mi appollaiavo su uno sgabello per approfittare del tavolino con presa elettrica e cazzeggiare ancora un po’ su social e app di dating prima dell’imbarco.
Di lì a poco sarei decollato, avrei fatto un sonnellino ristoratore in aereo, mi sarei svegliato con lo scossone dell’atterraggio e avrei rimesso piede in Sardegna per una vacanza “di qualche settimana” (lol!) dalla Mater.

Non avrei mai immaginato che, per la prima volta da dodici anni, avrei vissuto in Sardegna per un anno intero. Di più! – che per la prima volta dal 1999 avrei passato un anno intero qui, senza spostarmi da qualche altra parte nemmeno per un giorno.

A dirla tutta, però, più che altro prendo atto della stranezza ma non è una vera lamentela. Date le circostanze, stare qui o a Trieste non farebbe differenza all’atto pratico – e anzi, come ho scritto altre volte, sia abdicare parte delle responsabilità di adulto, sia accoccolarmi nel bozzolo che è la (semi) quarantena non sono prospettive particolarmente sgradevoli, né rappresentano un grosso cambiamente nel mio stile di vita. Ecco, mi mancano giusto Giulia e la Grande Shanghai, ma per il resto non ho una direzione di vita qui come non ce l’ho lì, quindi tanto vale. (Probabilmente parlo così perché alcune circostanze mi hanno comunque garantito un’inaspettata quantità di autonomia dalla Mater in cui posso farmi gli affari miei e ascoltare la musica senza essere interrotto, altrimenti sarei molto meno indifferente.)

Comunque sì: questo è, per molti versi, l’anno che mai fu. L’anno in cui non ho abitato a casa mia a Trieste, in cui non ho vissuto la parvenza di vita di che conducevo, in cui tutto è stato talmente bizzarro da farmi stare in un luogo da cui ho cercato di fuggire da che ho memoria. E per ora mi sta bene così: non riesco a immaginarmi un dopo, né valutare oggettivamente se il prima fosse poi meno peggio di ora.

Monday 14 December 2020

Una frustrante passeggiata al sole

Oggi è la prima giornata di bel tempo da settimane a questa parte: fa tiepido, è soleggiato, non c’è vento, è estremamente gradevole. La Niantic ha deciso di organizzare l’ennesimo evento in Pokémon Go, così io e la Mater abbiamo pensato di fare un breve giro per raidare, metterci in palestra e portare avanti la missione speciale. Fra l’altro, nei giorni scorsi avevo un colossale brufolo sulla punta del naso, di quelli sottocutanei cattivissimi, che si gonfiano, fanno male ma non riescono a spurgare in nessuna maniera: l’ho dovuto trattare con una pomata sovietica dalla formula segreta (teorizzo sia a base di muffe radioattive dal sarcofago del reattore di Chernobyl) che l’ha fatto sgonfiare e maturare in tempi record, ma prima avevo l’intera punta del naso gonfia e rossa, proprio a mo’ di pagliaccio, e la mia autostima era sotto le scarpe. Il fatto che oggi per la prima volta mi sia visto anche senza alone rosso ha fatto miracoli per la mia autostima e mi ha convinto a uscire.
Non che facesse chissà che differenza, comunque: il naso non si vedeva perché quando esco indosso sempre la maschera.
IO.

Come passeggiata è molto frustrante perché ho constatato che, andando verso il Balaguer, più della metà delle persone non indossava la mascherina. Qualcuno la “indossava” sul mento, ma molta più gente non l’aveva proprio in faccia, nemmeno per far finta di tirarla su quando incrociano qualcuno.
Beh, ho deciso di lasciare la passivo-aggressività libera, commentando più volte ad alta voce alla Mater che, a quanto pare, il lockdown ce lo meritiamo davvero, o che quei coglioni sono gli stessi che poi si lagnano senza fine quando finiscono rinchiusi in casa. La Mater ci è andata ancora meno per il sottile: “Poi si ammalano, si aggravano, crepano e la famiglia fa causa all’ospedale per negligenza, quando se la sono semplicemente cercata”. Uno sportello sbattuto con forza alle nostre spalle ha annunciato che dopo il nostro passaggio la signora seduta sulla panchina con la madre anziana è andata in macchina a recuperare le mascherine e indossarle. Evidentemente, per quanto stizzita, si è resa conto che non avevamo tutti i torti.
 
La cosa mi ha urtato non poco. Ormai sono abituato a portare la mascherina e, per la maggior parte, quasi non ci faccio caso, ma ciò non significa che sia gradevole, facile o comodo; se posso farlo io, può farlo chiunque.
Fra l’altro, ricordate il sogno in cui avevo dimenticato la mascherina? È diventato il mio nuovo incubo ricorrente: sto andando da qualche parte, a metà strada mi accorgo di non averla, ma a quel punto è troppo tardi per tornare a casa a metterla, quindi non so che fare. Lo scenadio è di volta in volta sempre leggermente diverso, ma sono già sei o sette volte che ricordo di aver fatto qusto sogno.
E sì, probabilmente sentire la responsabilità di non peggiorare la situazione perfino in sogno è un po’ eccessivo, ma mi rende ancora più indigesta la gente che invece ignora la propria.
 
On a side note, oggi mi sono reso conto di quanto io non sia pronto al vaccino. Non sono pronto a sentire le lagne di chi vorrebbe che questa situazione finisse ma “nOn SaPpIaMo CoSa Ci MeTtOnO dEnTrO”, chi non vorrà farlo per puro spirito di contraddizione, per sentirsi il più furbo e intelligente di tutti perché ha scoperto il complotto, perché è più facile lagnarsi che impegnarsi a contribuire alla soluzione. Prevedo mesi di blast attivo ovunque, perché c’è un limite a quanto disprezzo si può provare prima che tracimi.

Saturday 12 December 2020

L’obbligatorio post natalizio

È iniziato in sordina: la Mater che mi chiedeva di aggiornarle il punteggio su un gioco online mentre non c’era e io che le dicevo di lasciare l’albero di Natale acceso così, andando in bagno, mi sarei ricordato di farlo; io che, rannicchiato sul divano a chiacchierare, osservavo le lucine lampeggianti e mi accorgevo che c’erano degli addobbi rossi (che, secondo qualche sito superstizioso russo, a questo giro sono un no-no visto che l’anno prossimo sarà l’anno del Toro secondo lo Zodiaco Cinese, va’ a capire il collegamento); e poi lei che si dimenticava di accenderlo e io che, già almeno un paio di volte, glielo ricordavo. In fondo, già che sta lì al centro del salotto, tanto vale che luccichi.

Ebbene sì: quest’anno non solo non faccio finta che non esista, ma riesco addirittura a tollerare l’albero di Natale. Anni e anni di interminabili rant natalizi, ed eccomi qui ad accendere io le lucine colorate.
Probabilmente, ad avermi ben disposto è il fatto che se già l’anno scorso me l’ero cavata col minimo sindacale d’impegno, a questo giro non ho letteralmente mosso un dito per fare l’albero. Ho giusto portato giù le scatole dalla mensola dello sgabuzzino e passato l’aspirapolvere a lavori finiti, il resto l’ha fatto tutto la Mater. “Ti sto facendo compagnia mentre fai l’albero”, le ho risposto quando si è lamentata che non la stessi aiutando, e mi sembra un ottimo compromesso: lei non mi obbliga a fare un’attività che trovo tediosa, io non porto rancore verso l’albero per il solo fatto di esistere, win-win.

Che dire, quindi? Non era proprio fastidio, era più pigrizia? O forse, non avendo davvero partecipato, riesco a tenere le giuste distanze dalla cosa e non farmi coinvolgere dai risvolti antipatici che ha per me? O semplicemente, dopo quest’anno, sono talmente stanco che non ho più le forze di essere anti-natalizio?
Ai posteri l’ardua sentenza.

Saturday 5 December 2020

La costanza dell’incostanza

Da qualche settimana ho ripreso in mano, dopo svariati anni, il pianoforte. L’ultima volta che mi ci ero dedicato era stata intorno al 2018 per tentare (senza successo) di imparare la sigla di Westworld. Prima di allora, avevo tentato con Light Of The Seven da Game of Thrones nel 2016, e Father Father di Susanne Sundfør nel 2015 (avevo ancora i capelli lunghi, gasp). Entrambe abbandonate dopo un po’ perché erano troppo oltre le mie già non stellari e a lungo trascurate capacità di pianista.
Quest’anno ci sono ricascato di nuovo con Goodbye di Apparat e Soap&Skin. L’idea mi allettava già da qualche mese, così ho trovato lo spartito di una riduzione per pianoforte e ho iniziato a impararla.

Stranamente, a questo giro sto procedendo molto più spedito che le ultime volte che ho tentato di imparare qualche brano da autodidatta – in buona parte perché finalmente mi sono imbarcato in un’impresa alla mia portata. Ho sempre pensato che, non andando più a lezione, mi mancasse il fiato sul collo dell’insegnante a motivarmi e darmi disciplina, ma forse non si tratta di quello. Forse l’insegnante serviva più che altro a darmi metodo, era il parere esperto che stabiliva su quante battute fosse il caso di esercitarmi prima di proseguire con lo spartito, a che punto fossero arrivati i miei progressi e se fosse il caso di provare o meno ad assemblare le due mani, e così via.
Per quanto riguarda il fiato sul collo, invece, ad aiutarmi con l’apprendimento è proprio il fatto che a questo giro non sto pretendendo nulla da me stesso. Non mi sono imposto di esercitarmi tot minuti al giorno, né tutti i giorni: quando ho voglia, quando ho ascoltato la canzone e ne ho l’anima talmente piena che tracima dalle dita, quando sono curioso di vedere come suonerebbe quella battuta a cui non sono ancora arrivato, quando voglio provare a sentire le due mani assieme. Ecco, allora mi siedo sullo sgabello, scopro i tasti e inizio a esercitarmi. Anche più volte al giorno, se mi va. O non lo faccio se non mi va. Ed è proprio questa libertà, che mai avevo provato suonando, che mi mantiene motivato e curioso.
Ho scoperto la costanza dell’incostanza.

Ps: ma ci credete che in otto anni di pianoforte nessuno mi aveva mai insegnato a usare i pedali? Ho dovuto andare a tentoni e, con grande orgoglio, penso di essermi districato. Yay for me!

Friday 20 November 2020

Supplemento al discorso sulla mascherina a rete

Inizialmente era nato come edit per aggiornare il precedente post in cui ne parlavo, ma dato che ci sono stati ulteriori sviluppi, ennesimo post su quanto fa schifo Laña del Rey, y'all. 
Andiamo con ordine.
 
Nell'edit del 3 ottobre, notavo come, a quanto pare, quella della mascherina a rete non fosse solo uno styling opinabile per lo shoot, visto che la nostra cara Laña l'ha indossata anche a un meet and greet con i fan.
Vero, il virus non sopravvive più di due-tre giorni sulla plastica, troppo poco per far ammalare Laña, quindi a lei che frega; ma a differenza sua, i fan non sono all'80% non biodegradabili, quindi perché metterli a rischio solo per fare la fashionista edgy?
Con buona pace della controargomentazione al mio rant precedente che le copertine delle riviste non sono indicative delle scelte stilistiche e di vita delle persone ritratte.
 
17 novembre: un mese e mezzo dopo, Laña si sveglia dal letargo e twitta con sufficienza in risposta a un articolo che ne parla, dicendo che la mascherina aveva dentro uno strato di plastica, cosa che gli stilisti fanno comunemente di questi tempi. Tralasciando le ovvie difficoltà logistiche di inspirare attraverso un foglio di cellophane, a me risulta che espirando la plastica si appanni, cosa che decisamente non accade nella foto. Che si immagini di avere plastica in quell'area sarebbe anche un erorre scusabile, considerando che è abituata ad averne a quintali nelle labbra, ma purtroppo quella non protegge i fan dal virus.
Ciliegina sulla torta, un fan le fa notare che ci ha messo un po' troppo, a rispondere alla controversia, e lei ribatte che è troppo impegnata a scrivere non uno ma ben due album e donare milioni in giro per la nazione. Roba che Laña, tesoro, in primo luogo tiratela di meno, in secondo senza offesa, ma nel tuo caso rispondere ai tweet è tempo meno sprecato che a scrivere quella porcheria che chiami musica.
 
19 novembre: Un fan pubblica una foto con lei. Indovinate chi dei due non indossa la mascherina.
Ci sono altri dubbi che siano solo sfortunate coincidenze e in realtà sia in buona fede e prenda la pandemia sul serio?

E niente. Ci sono momenti in cui quasi quasi inizio a pensare di avere torto. Di essere io quello che non capisce Laña, il suo inestimabile valore come cantautrice, la finezza e intelligenza del personaggio che si è creata, e lo splendore della persona che è a riflettori spenti. È difficile essere una delle poche persone che vedono solo una donna priva sia di talento sia di qualsiasi valore morale e personale mentre il resto della critica è abbagliata dalla sua luce sfavillante e dalla magnificenza della sua opera.
Poi magari è vero: magari in realtà è un colossale troll che ci sta prendendo tutti per il culo, e io che mi ci arrabbio sono altrettanto pollo di quelli che ci cascano con tutte le scarpe nel credere che sia un'artista di talento.
Del resto, qualche settimana fa ho interrotto bruscamente un cauto flirt (e ogni comunicazione) con un suo fan quando mi sono reso conto che, dopo tre giorni di discussione accesa, stava semplicemente tirando roba a caso per vedere cosa restava appiccicato e cosa no perché tanto “non sappiamo nulla, tutto è una contraddizione, niente è serio”: chiaramente, finiti gli argomenti è passato a trollarmi parafrasando la bio di Twitter di Laña.
Ecco, magari Laña del Rey e i suoi fan più accaniti sono come The Lady di Lori Del Santo, sulla cui vera natura le persone si interrogano tuttora: un autentico cassonetto in fiamme o una sottilissima e intelligentissima satira del mondo delle celebrità?
Nel dubbio, per me Laña resta quella maledetta stronza che ha lavato due gattini col bagnoschiuma.

Friday 13 November 2020

Ansia da auguri

L’attacco d’ansia odierno è presentato da: il compleanno di Nell.
 
È già pomeriggio e dovrei scriverle qualcosa per farle gli auguri: da dieci anni a questa parte l’ho sempre fatto e lei mi ha sempre risposto con gentilezza e allegria.
Ma dentro di me c’è sempre la paura che veda il mio DM e sospiri alzando gli occhi al cielo, pensando: “Oh no, di nuovo ‘sto stalker, che palle, non poteva mancare”. Nonostante tutte le rassicurazioni e i quory, e i “my dear friend”, e il week end che ho passato da lei e Kristian, continuo a pensare di essere un fan che non sa starsene al suo posto e abusa del fatto di avere una linea diretta con lei.

Poi la gente con cui mi sono confidato mi chiede quanto spesso io le scriva e, effettivamente, le scrivo molto poco: per le occasioni come questa, se succede qualcosa d’interessante, ogni tanto per sapere come sta. Oggettivamente no, non abuso del suo tempo né cerco di monopolizzarlo. Ma l’idea strisciante di essere fastidioso anche a piccole dosi è sempre lì, sullo sfondo di ogni interazione sociale, anche senza il rapporto cantante-fan che la esasperi come in questo caso.

Onestamente non so. È chiaro che la mia ansia sociale è peggiorata notevolmente, ma non so se dipenda dallo stress e dall’ansia generalizzata per il periodo che stiamo tutti attraversando, che hanno ovviamente deteriorato il mio stato mentale in generale, o se invece abbia ragione a puntare il dito contro la Ciospa e questo ulteriore peggioramento sia dovuto al fatto che ancora non mi sono del tutto ripreso dal colpo che mi ha dato.
Non che capirlo mi farebbe chissà che differenza: avere continue epifanie sul mio stato mentale ma non riuscire a usarle come punto di partenza per migliorarlo è il leitmotif di tutto il mio percorso di autoanalisi.

Tuesday 10 November 2020

No holds barred

Possiamo raccontarcela quanto vogliamo, ma essere un gay di destra significa che il tuo odio per gli altri è più forte del tuo amore per te stesso.”
Come da post precedente, la vittoria di Biden alle elezioni americane mi ha ringalluzzito parecchio e in questi giorni non la sto mandando a dire agli scagnozzi di destra che mi capitano a tiro. Questo è un commento che ho fatto su un articolo in cui si parlava di alcune povere vittime di Sindrome di Stoccolma gay storicamente conservatori, e la risposta non è tardata (capitalizzazione e punteggiatura liberamente corrette da me).
“Ma non è vero! Voi continuate a confondere ‘essere gay e pensarla su temi geopolitici, di interesse nazionale ecc’ come la destra con ‘essere un gay che la pensa come la destra italiana attuale sui temi gay’!”
Ora, avrei potuto limitarmi a far notare in maniera concisa che poco importa se sei in disaccordo con le politiche della destra circa la comunità LGBTQ+, se continui a votarli a) dai loro il potere di attuarle e b) dimostri che quella questione, che pure ti riguarda da vicino, è per te meno importante di altre politiche che, essendo di destra, sono esclusive e non inclusive.
Ma dato che ero in vena d’infierire, ho deciso di sviscerare il discorso molto più nel dettaglio, no holds barred.
“No, Tizio, quello che ho detto è un’altra cosa: essere un gay di destra significa odiare talmente tanto qualcun altro (partiamo dagli immigrati, soprattutto quelli non bianchi, ma pian piano scaliamo la lista fino agli Ebrei, poi gli Europei dell’Est, il vicino d’Oltralpe e, spesso e volentieri, anche quello della regione accanto) da essere disposti a privarsi di alcuni diritti fondamentali, in quanto gay, pur di far sì di toglierli a loro. 
Significa essere talmente terrorizzati dal cambiamento e insicuri del proprio valore sociale che la sola idea di dare un punto di partenza equo agli altri diventa ripugnante, sia mai che, con le stesse possibilità, si dimostrino più capaci di noi. 
Significa essere talmente persi di fronte all’idea di un mondo in cambiamento, sempre più interconnesso, da aggrapparsi a quest’idea anacronistica di un’Italia (Francia, Austria, Germania, Polonia, Ungheria) forte, autosifficiente e pronta a tornare ai fasti del passato quando in realtà ciascuna nazione europea, presa da sola, conta talmente poco che con l’alzarsi delle tariffe statunitensi alcuni farmaci sono stati ritirati dalla sanità pubblica perché costavano troppo. Questo di fronte a un’azienda privata, figurarsi di fronte alle vere potenze mondiali. 
 
No, non ho mai detto che un gay di destra odia gli altri gay. È solo che la felicità e la possibilità di autodeterminazione di se stesso e degli altri gay diventano danno collaterale, il prezzo da pagare pur di negare i diritti ad altri gruppi sociali e continuare ad aggrapparsi a questa fantasia di grandezza perduta da riconquistare. 
Vivere così, cedendo alla paura e cercando il male altrui anche a discapito del proprio benessere, è davvero triste.”
Questa risposta mi è valsa un “comunista vecchio stampo, proprio da Festa dell’Unità” da parte di un altro utonto di passaggio (e pensa se avessi parlato di redistribuzione del reddito tramite tassazione spietata dei patrimoni personali sopra una certa cifra).
Onestamente, io non mi vergogno di essere di sinistra. Anzi, è tempo di rimettere le cose nella giusta prospettiva e ricominciare a far vergognare la destra di essere la cloaca che è.

Sunday 8 November 2020

Storie di ordinario bullismo

Su Facebook ho scritto una cosa non esattamente corretta. Ho scritto che, in tutti gli anni di bullismo a scuola, l’unica volta in cui sono riuscito a far smettere del tutto un bullo è stato quando gli ho tirato un calcione sugli stinchi. È successo a metà della prima media: lui non se lo aspettava – non da me, il secchione tranquillo e paziente – ed è rimasto talmente colpito che, nonostante le minacce di aspettarmi “all’uscita”, non mi ha semplicemente cercato più. Poi l’anno dopo l’hanno bocciato, quindi good riddance, good sir.

Ecco, la storia è vera. L’incorrettezza dell’affermazione è che, a pensarci bene, ci sono state altre circostanze in cui sono riuscito a far sì che i bulli mi lasciassero in pace.
Sempre alle medie, c’è stata la mia personalissima Maho Izawa che, non sopportando di non essere più la sola prima della classe ha bullizzato prima l’altra ragazzina studiosa e poi me. C’è stato un intervento da parte della Mater e, di conseguenza, del severo ma giusto professore d’Italiano, ma ciò che ha definitivamente chiuso la questione è stato che ho iniziato a rispondere a tono e, tutt’ora, quando incontro la cretina in questione la saluto con un: “Cavolo, sempre più brutta: ma siamo davvero coetanei?”

Alle superiori, invece, avevo fondamentalmente l’intera classe contro. In seconda avevo ancora il sostegno di Giovix, ma poi ha cambiato scuola e mi sono trovato da solo.
La questione è scoppiata durante un’assemblea di classe quando qualcuno (che mi ha chiesto scusa un paio d’anni fa, tra l’altro), ha reso pubblico un post sul mio precedente blog in cui dicevo peste e corna di tutti dopo la gita scolastica.
Ebbene, ciò che è iniziato come un linciaggio nei miei confronti si è concluso con me che li prendevo a urla uno ad uno, facevo valere le mie ragioni e manipolavo poi il discorso per far emergere i dissapori che avevano tra di loro. Nessuno si aspettava di sentirmi urlare o che mi facessi valere, e di sicuro non erano preparati ad affrontare le loro lotte intestine. Pian piano ho incassato il sostegno de “Le Ripetenti™” (con cui avevo precedentemente chiarito un’incomprensione, e che erano a loro volta emarginate dai vari figli di papà), poi di un altro paio di persone che avevano notato che venivo trattato ingiustamente, qualcun altro che aveva da ridire per conto suo, finché non è diventata una lotta senza quartiere fra tutti, dalla quale sono emerso vincitore: io ho raggiunto rapporti di formale diplomazia o, alla peggio, reciproca ignoranza un po’ con tutti, la classe si è spaccata in due fazioni che non si sono mai riconciliate del tutto nei successivi due anni e mezzo.

Il succo del discorso, comunque, è che l’unico modo per scrollarsi i bulli di dosso è rispondere loro per le rime. La violenza è l’unico linguaggio che conoscono ed è con quella che si risolve la faccenda.
Per cui no, grazie: declino gentilmente l’offerta di trattare con rispetto i trumpisti, i sovranisti, i conservatori e il resto della Destra che si è improvvisamente trovata orfana del supporto alla Casa Bianca.
Questo non è il momento della comprensione: è il momento di presentare il conto. È il momento di dar loro la caccia finché sono ancora vulnerabili. Di farli vergognare per le loro azioni e discorsi. Di tracciare una linea netta e ristabilire cosa è accettabile in una società avanzata e cosa no. Di ridicolizzare la loro retorica obsoleta e priva di reali contenuti. Di ricacciare certe opinioni nelle fogne e nelle cloache a cui appartengono, lontano dall’opinione pubblica e dagli organi legiferanti.

Perché proprio come a scuola, l’empatia non è un linguaggio che i bulli comprendono. Ma i calci negli stinchi, quelli sì: quelli fanno arrivare il messaggio chiaro e tondo. Quindi, quando vedete qualche conservatore che abbaia al web, non fate finta di nulla: blastatelo. Tanto non cambierà opinione: il massimo che si può fare è farlo vergognare tanto che la prossima volta ci penserà due volte prima di aprir bocca. E più lui invoca la libertà di parola, più invocate voi la libertà di presentargli il conto per le sue parole.
Riprendiamoci il web e la società civile, grazie.

Monday 2 November 2020

Terrore istituzionale

Ci sono alcuni argomenti piuttosto caldi nel dibattito pubblico di cui non ho mai parlato né scritto sulle mie varie piattaforme: il DDL Zan qui in Italia e la legge sull’aborto in Polonia. Con tutto che ultimamente sono più politicamente attivo che mai, online.
Da quando Trump si è ammalato di Coronavirus, ho preso l’abitudine di sbirciare Twitter (dove seguo principalmente celebrità d’oltreoceano con evidenti simpatie democratiche) e ho iniziato a commentare attivamente la situazione politica americana con one-liner pungenti.
Altrove, specialmente sulle storie di Instagram, dove so di avere più seguito, ho affrontato diversi argomenti più approfonditamente, più con l’intento di fornire argomentazioni a chi la pensa come me che di cambiare a chi non lo fa perché quelli, semplicemente, non mi seguono (molti post degli scorsi mesi sono nati da annotazioni per le storie su Instagram), ma senza andare ad affrontare quelle due tematiche nello specifico.
Ora, premetto che il mio interesse per i risultati elettorali americani non è un modo per preoccuparmi dei problemi altrui ignorando quelli in casa mia o dietro l’angolo: dipende tutto dall’amara constatazione che i capricci di chi siede alla Casa Bianca hanno ripercussioni concrete e tangibili anche sulla vita quotidiana di noialtri da questa parte dell’Atlantico. È per questo che sono super nervoso per domani.

Detto questo, il motivo per cui non mi preoccupo di queste due faccende molto più vicine è che mi terrorizzano. E non è tanto la vicinanza geografica a terrorizzarmi, quanto il livello istituzionale a cui si trovano.
Mi terrorizza l’idea che il DDL Zan arrivi alla Camera mutilato da mille emendamenti che lo rendano perfettamente inutile. Sarebbe l’istituzionalizzazione dell’omo-transfobia: la comunità LGBTQ+ continuerebbe ad avere zero tutele concrete e si troverebbe nella posizione di non poterne più chiedere perché i conservatori potrebbero gridare che una legge esiste e non serve più discuterne, che abbiamo avuto quello che volevamo, che sono loro le povere vittime imbavagliate.
Fondamentalmente, sto trattenendo il respiro in attesa degli sviluppi, di sapere se questa legge sarà uno strumento di protezione efficace o se è il caso di perdere anche le ultime speranze.

Per quanto riguarda la Polonia, poi, vedere un Paese europeo tornare indietro di decenni non nella mentalità delle frange più ignoranti di popolazione, non negli usi e costumi, ma proprio nelle leggi nazionali… è spaventoso. È spaventoso che sia lo Stato stesso a legiferare per togliere diritti ai suoi cittadini. Contro la bigotteria casuale si può combattere; contro lo Stato, è più difficile.
E la paura è che il morbo si propaghi dalla Polonia agli altri paesi Visegrad, e che da lì rafforzi le posizioni reazionarie anche nell’Europa Occidentale innescando un effetto domino tremendo.

Sì: l’idea che lo Stato si renda complice, se non addirittura fautore, della bigotteria è uno scenario a cui non pensavo avrei mai assistito in vita mia e che mi atterrisce. Mi fa sentire impotente, travolto da qualcosa di troppi più grande, da una lotta impari e senza speranza.
L’unica soluzione è l’Europa Unita: prego che riesca a consolidare i suoi organi decisionali in modo da poter aggirare il Consiglio e la sua ridicola regola dell’unanimità che impedisce di punire economicamente i Paesi che non si dimostrano virtuosi nel rispetto dei propri cittadini.

Thursday 29 October 2020

Il primo non-Lucca

Sto cercando di capire come mi sento riguardo al fatto che, per la prima volta dal 2009, quest’anno salterò il Lucca Comics & Games. Per motivi più che ovvi, direi, ma penso sia comunque qualcosa che vale la pena menzionare.

A rileggermi, è già dal 2013 almeno che vado senza grande entusiasmo per la fiera in sé, ma più come tradizione, per vedere gli amici e per lavorare. L’anno scorso non è andata molto diversamente rispetto al 2018 e, sebbene il lavoro sia stato meno, ho anche speso meno, comprando letteralmente solo due magliette. Per molti versi, è come se non fossi proprio andato.
Mentre scrivevo il post sul cambio dell’ora, mi sono anche accorto che ho smesso di svegliarmi di buon’ora e fiondarmi subito fuori di casa come se perdere tempo a riposare significasse sprecare la mia visita lì, mentre i primi anni passavo ogni secondo in fiera, dalla mattina presto all’ora di chiusura. Anzi, l’anno scorso mi svegliavo con molta calma a metà mattinata giusto in tempo per fare colazione, prendere una spuma bionda al bar e andare a scattare il primo shoot della giornata; finito l’ultimo, tornavo subito a casa per una pennichella di metà pomeriggio per poi raggiungere Alessio e Claudio in orario di chiusura giusto per fare due chiacchiere sulla giornata.
(Per completezza: probabilmente, non prender più il biglietto da anni ha contribuito alla mia rilassatezza nei confronti della fiera. Non spenderci sopra soldi toglie quella frenesia di non voler sprecare nemmeno un secondo del tempo per cui si è pagato.)

A ben pensarci, forse Lucca non è nemmeno più una tradizione; forse è solo testardaggine.
Però il pensiero di non rivedere amici e conoscenti in fiera mi rattrista. Quello e il fatto che se non posso avere qualcosa inizio a volerla.
Ad essere onesto, comunque, non mi sto strappando i capelli. È più il senso di iconoclastia. Mi chiedo anche come ciò si rifletterà quando, in un mondo post-covid, si potrà tornare in fiera e dovrò decidere autonomamente se andare, senza più l’incentivo di non essermi perso nemmeno un’edizione in oltre un decennio.

Ah, e ovviamente quest’anno le previsioni danno soleggiato, massimo nuvoloso, tutti i giorni tranne l’ultimo. La beffa suprema: l’unico Lucca Comics asciutto negli ultimi dieci anni sarà quello a cui nessuno potrà andare.
Quest’anno non la finisce proprio di essere una carogna.

Wednesday 28 October 2020

Passi avanti

Del sogno che ho fatto stanotte ricordo solo la parte finale. Sono certo che fosse successa molta altra roba prima, ma al punto in questione ero a Vinci e c’era qualcuna delle mie amiche del giro cosplay, sebbene non ricordi chi nello specifico. Questa mia amica aveva addosso il vestito rosso della Ciospa, quello che aveva cucito apposta per il nostro shoot. Non appena lo notavo, le proponevo uno shoot al più presto. E sì, una parte di me lo faceva semplicemente perché il vestito le stava proprio bene, un’altra invece per lanciare l’ennesima frecciata alla Ciospa e mostrarle che era perfettamente sostituibile.
In effetti, nei miei piani c’era di usare dei tempi molto veloci e approfittare della brezza per scattare in controluce al tramonto una specie di danza, catturando ogni movimento e drappeggio della stoffa per creare una serie ispirata a Shake It Out di Florence + The Machine molto migliore di quella che avevamo fatto con la Ciospa (che in real life è la foto che meno mi soddisfa di quel set).
Io e la mia amica ci facevamo una passeggiata per stabilire i dettagli e arrivavamo in punta al Molo Audace a Trieste (dove avevo effettivamente fatto quelle foto con la Ciospa) e ci sedevamo a parlare lì. Solo che a un certo punto il mare s’ingrossava: la prima onda s’infrangeva senza problemi davanti al molo, mentre la seconda saliva sopra e rischiava di bagnarci. Allora io all’inizio sollevavo semplicemente il bacino per non rischiare di bagnare il telefono, ma poi mi accorgevo che non bastava e iniziavo a indietreggiare a gattoni cercando di restare dove l’acqua era più bassa. E sì, alla fine ci riuscivo e salvavo il telefono.
Poi mi sono svegliato.

Credo che questo sogno sia stato il riflesso di almeno un paio di cose: Lucca che quest’anno salta, con la mia nostalgia per gli amici di fiera, e il secondo dei revenge shoot per il progetto sugli Hurts, che sto pianificando in un punto in cui ho scattato con la Ciospa qui ma che è molto esposto alle onde quando tira vento (ci sono passato vicino ieri o l’altro ieri e ho proprio notato quanto in su salissero gli spruzzi).
È interessante, però, che anche in sogno stia iniziando a sostituirla del tutto. Nell’ultimo paio d’anni ho sognato diverse volte lei che si comportava fingendo che non fosse successo nulla mentre io non volevo averci a che fare; poi ho sognato che era diventata ostile ed era a sua volta arrabbiata per come avevamo lasciato le cose, ma almeno riconosceva l’accaduto. Adesso finalmente non è comparsa affatto e, anzi, ho iniziato a fare piani sostituendola.
Questo, unito al fatto che mi sono trovato in difficoltà ma sono riuscito a cavarmene fuori sul finale del sogno, spero significhi che sto facendo dei passi avanti nel riportare quantomeno il rancore a livelli gestibili.

A proposito di passi avanti, oggi parlando con un amico sono riuscito a fare un’importante ammissione: il vero motivo per cui non sono più andato in terapia negli ultimi due anni e mezzo è che la mia fiducia verso il mio terapista è venuta meno.
Se qualcuno ricorda le mille paturnie che mi ero fatto per organizzare il viaggio a Roma / Napoli per scattare Belial, il penultimo Infernal Lord, beh, è quello. Non ricordo nemmeno di preciso la sequenza degli eventi, a quanto avevo accennato prima di partire, ma sono piuttosto sicuro che il dramma si sia consumato dopo che ero tornato trionfante. Gli ho parlato di come la mia ansia si fosse rivelata infondata, ho accennato al tema dello shoot e del progetto in generale, e lui ha praticamente smattato che i demoni sono cose con cui non si deve giocare e che avrei dovuto lasciar perdere tutto.
Ecco, in quel momento mi sono sentito personalmente attaccato (di solito lo dico ironicamente, “I feel personally attacked by this”, ma stavolta dico sul serio) e la cosa ha frantumato la mia fiducia. Non mi sono più sentito in uno spazio sicuro in cui potermi aprire senza temere un giudizio, che è la cosa peggiore che può capitare durante una terapia. Ho fatto ancora qualche sessione prima di partire, ricordo di non aver avuto particolari problemi di cui discutere visto che, tolti un paio di inconvenienti, ero più che altro euforico per i progetti post-Vinci che avevo con la Ciospa (povero stronzo), ma poi non sono più tornato nonostante a fine 2018 avessi da gestire la delusione estiva e nel 2019 fosse successo quello che è successo.
Mi sono detto che era per una questione di tempistiche, che tanto tra Lucca e le vacanze natalizie in Sardegna c’erano poche settimane, che poi stavo troppo male e non riuscivo ad andare a chiedere aiuto, ma la realtà è che non sono più tornato perché non riuscivo più a fidarmi di lui, perché l’idea di riprovare ad aprirmi con lui era assurda.
Ecco, ora l’ho detto.
Un’epifania che ho cercato d’ignorare per oltre due anni ma che mi è finalmente salita a galla.
Magari anche questo è un passo avanti e finalmente mi permetterà di cercare altrove e riprendere un percorso di cui ora più che mai sento di aver bisogno.

Sunday 25 October 2020

Ora solare forever

Oggi sono abbastanza scombussolato, come, del resto, era prevedibile. Giro per casa spaesato, non ho idea se sia il caso di avere fame o meno, ho più sonno del solito… un disastro.
Ma se Dio vuole (leggi: se i nostri politici smettono di essere degli imbecilli), questa sarà l’ultima o la penultima volta che accade.

Ho già scritto a più riprese, fin dagli albori del blog su Splinder, quanto odi l’ora legale (edizione 2007, 2009, 2010 e 2018); nel corso degli anni non è cambiato nulla. Per quanto sembri strano, considerando il mio attuale stile di vita, quando mi impongono il jet lag finisco puntualmente per non capire niente per settimane dopo la funesta data. Di conseguenza, sono molto, molto contento che l’Unione Europea abbia finalmente imposto un ultimatum agli Stati membri affinché scelgano un’ora e tengano quelle (nel post del 2018 ho incorporato il video di CGP Grey in cui spiega perché l’ora legale è perfettamente inutile al giorno d’oggi). Ora è solo questione di vedere cosa decideranno i nostri politici, se tenere la solare o adottare la legale. Per quanto mi riguarda, l’importante è che restino fermi, mannaggia a loro.

A quanto pare, comunque, il cambio autunnale lo soffro meno di quello primaverile: è la prima volta da tanto tempo che l’ora legale termina mentre io non sono a Lucca (argomento che penso richiederà un post a parte), e lì è più difficile accorgermi del cambiamento perché non ho una routine e, anzi, giro come una trottola dalla mattina più o meno presto alla sera. Al massimo ecco, quell’ora di sonno in più la domenica arriva come una vera e propria benedizione, in quei giorni.
Stando in casa, però, mi rendo conto che il passaggio all’ora solare mi viene più facile: alla peggio, sono confuso e un po’ assonnato; ma mi accorgo di essere meno ansioso e di avere improvvisamente un sacco di tempo a disposizione. Tutto è meno frenetico, e quel poco di ansia residua che ho svanisce appena guardo l’orologio e mi accorgo che è ancora miracolosamente presto.
Del resto, nel mio primo rant definivo l’ora legale come “un’ora di vita rubata” ed è quando entra in vigore che ho più problemi a trovar pace: probabilmente, perfino nel mio ciclo sonno-veglia snaturato resto comunque legato al ciclo solare e sballarlo di un’ora mi risulta innaturale.

Comunque, pare che l’Europa sia divisa per latitudine, con i Paesi settentrionali che vogliono fermarsi sull’ora solare e quelli meridionali sulla legale. Personalmente preferirei la solare per i motivi che ho descritto sopra, ma davvero, mi basta che l’incubo finisca.
Oh, e le meridiane: l’ora legale permanente sballerebbe le meridiane per sempre, e la cosa mi urterebbe oltremodo. Ora solare forever, please.

Wednesday 14 October 2020

Esistono gli incel gay

Non penso ci sia un modo per indorare il titolo del post – o, se c’è, sono troppo amareggiato dall’umanità per ingegnarmi a trovarlo.
Ebbene sì, signore e signori: esistono anche gli incel gay. Scoperto giusto oggi direttamente su PlanetRomeo fra gli utenti che hanno visitato il mio profilo:

 
Trent’anni, un metro e sessantacinque per novantotto chili. “Vivere pieno di odio, disprezzo e rimpianto. Morire suicida. Il riassunto della mia vita”. Fisico panciuto, senza barba ma peloso, in cerca di amici, sesso o relazione tra i ventisette e i trentun anni.
La morte è tragica ma la vita è misera. Specialmente se sei un incel.
Non chiedetemi una foto, mi troverete troppo brutto o ‘non il mio tipo’. E fidatevi, essere uno svedese brutto significa che il primo pensiero la mattina è ‘la mia vita è disgustosa, voglio morire’.
Inoltre, odio il mio corpo senza bisogno che me lo facciate notare.
 Perché certa gente scrive cose tipo ‘Voglio incontrare brave persone’? Non volete brave persone, volete modelli. Non vorrei mai essere vostro amico (ho due lauree, cercate cos’è una cotutelle, e un lavoro molto ben pagato nel risparmio gestito... la maggior parte di voi hanno solo un diploma della scuola media e lavori di bassa manovalanza), ma almeno amici con benefit. In ogni caso, non ottengo mai ciò che voglio e voi continuate a mentire.
Se c’è qualcuno là fuori, ho imparato a non aspettarmi nulla. Dopo tutto, ci sono più ragioni per fregarsene e non condividere nulla.
Auguro alla maggior parte di voi un cancro al pancreas.
Wow. No, davvero, wow.
Per i pochi fortunati che ancora non sanno cosa sono, gli incel sarebbero gli autoproclamati “involontariamente celibi”, ovvero uomini che ritengono di avere il “diritto” a una relazione sessuale e/o affettiva con una donna e che il loro essere single sia una decisione da parte delle donne, superficiali e arriviste, che subiscono loro malgrado solo perché non sono ricchi o attraenti (da qui celibato “involontario”). La realtà è un pochino diversa e si tratta di uomini che, semplicemente, hanno fallito nel creare rapporti costruttivi con l’altro sesso e anche con se stessi, e odiano quindi tutti: le donne che non gliela danno, gli uomini che hanno più successo di loro, la loro vita perché non ottengono ciò che vogliono anche se puntano i piedi.
Ecco, finora non avevo idea che questo fenomeno esistesse anche nella comunità gay e mi è davvero cascata la mandibola. Anche se, a onor del vero, il tizio qui sembra essere l’unico articolo genuino sull’app: gli altri due profili che escono cercando “incel” sono un venticinquenne alquanto palestrato (sempre se è lui) che ha la parola nel nick ma non scrive nulla nel profilo e un cinquantacinquenne che l’ha menzionata en passant nella bio in altri contesti.
Resta solo il nostro amico “unico svedese brutto” nella storia del suo popolo.

Beh, fortuna per lui che ha solo visitato il mio profilo e non mi ha scritto, se no mi sarebbe partito subito subito un consiglio non richiesto: il suo piccolo flex sull’avere un lavoro ben retribuito gli toglie automaticamente ogni scusa per definirsi “incel”.
Se guadagna bene, vuol dire che può permettersi tutto il sostegno professionale di cui ha bisogno per darsi una sistemata: un dietologo o nutrizionista per perdere peso, un abbonamento in palestra per ridefinire il fisico e, soprattutto, un terapista per lavorare sui problemi di autostima e sul modo che ha di rapportarsi agli altri.
Davvero, non c’è nulla che gli impedisca di trovare aiuto. Anche ipotizzando che di viso non sia un granché e che l’altezza gli dia problemi, i mezzi per intervenire sia sul suo corpo, visto che è chiaramente è una fonte di disagio, sia sulla sua mente, che chiaramente necessita di un intervento – uno che gli permetta di stare bene con se stesso e di non essere sgradevole agli altri, perché sicuramente un atteggiamento del genere non contribuisce a fargli guadagnare punti.
Detto francamente, sedersi a terra e organizzarsi un pity-party piuttosto che rivolgersi a qualcuno che lo guidi nel prendere in mano la sua vita è una sua scelta deliberata, non c’è nulla di “involontario”. Il problema, come per tutti gli incel, non sono gli altri: è lui, la sua autopercezione e il suo modo di porsi nei confronti del mondo.

Thursday 8 October 2020

Polvere addosso

Ho sognato che ero in giro con la Mater.
Era più o meno l’ora del crepuscolo, il cielo era di quell’azzurro scuro e desaturato che assume dopo che il sole è tramontato ma c’è ancora luce, e il Centro Storico era già illuminato dalle lampade al sodio ma non aveva perso ancora i colori, così che le chiazze di luce dorata sfumavano in un alone lilla prima di perdersi nell’azzurrino della luce ambientale.
Io e la Mater eravamo in via Carlo Alberto all’altezza di Piazza dello Sventramento, il selciato era umido e rifletteva le luci dei lampioni. Era inverno e alcuni negozi avevano già le decorazioni natalizie, compresi i tappeti rossi davanti agli ingressi, fradici e sporchi.

Eravamo diretti da qualche parte e, mentre passavamo, una negoziante si mette a spazzare per strada in modo da gettarci addosso la polvere. Io mi innervosisco, le dico di fare più attenzione, e quella inizia a fare la vittima dicendo che la stiamo disturbando. Mentre ci allontaniamo si lagna che è una negoziante temporanea solo per il periodo natalizio come se questo la giustificasse nel buttarci addosso la polvere. Dopo diversi metri, mi volto di colpo e le urlo qualche insulto, dopo di che proseguo meditando vendetta.

Arriviamo in un palazzo del centro storico in un’aula illuminata da quei neon biancastri con la sfumatura quasi verdognola. Siamo lì per un corso d’inglese (nota dolente per la Mater anche IRL) e prendiamo subito posto ai nostri banchi. A una certa, Sharon Den Adel (sì, a quanto pare continuo a sognare cantanti a caso) mi fa notare che non ho la mascherina, e lo dice lasciando capire di essere molto delusa per la mia dimenticanza e negligenza. La lezione sta per iniziare, non avrei tempo di tornare a casa a recuperarla, ma mi accorgo che sotto il banco ce n’è na di quelle farlocchissime senza nemmeno i ferretti; è lì da tanto tempo ed è piena di polvere, ma la indosso comunque per non deludere ulteriormente Sharon. A causa della polvere mi si tappa il naso, ma faccio finta di nulla per non sembrare malato.

Inizia la lezione (Sharon non è la professoressa, è lì per seguire il corso) e la Mater alza la mano per fare una domanda su una cosa che non le è chiara. Una tizia a caso fra gli studenti, però, la interrompe con aria di sufficienza, come se desse per scontato che non sapere quel dettaglio fosse da ignoranti, e la prof inizia a dare corda a lei invece che rispondere alla domanda della Mater.
La cosa mi irrita e quindi le dico di starsene zitta perché qualcuno aveva fatto una domanda prima di lei; quella in tutta risposta sposta il banco a destra del mio e mi risponde accavallando la gamba destra sulla sinistra e dondolandola in modo che la suola della scarpa tocchi i miei pantaloni neri e lasci delle strisciate di polvere grigio chiaro. Io le dico di smetterla e non provarci più, lei mi ignora, al che io la spintono e la faccio cadere di lato con tutto il banco.
La prof si china ad aiutarla a rialzarsi e la fa spostare, ma io non lascio correre perché nel frattempo la Mater, offesa per essere stata ignorata, ha iniziato a raccogliere le sue cose per andarsene. Minaccio di andarmene anch’io (so che, per qualche motivo, la mia presenza lì dà lustro al corso) e insisto che sia ingiusto che la prof non sia inetrvenuta a riprendere la maleducata che ha interrotto la domanda di un’altra studentessa e mi ha pure sporcato apposta i pantaloni.
A quel punto mi sveglio.

Dopo l’ultimo post taggato “cripta onirica”, ho deciso che, se quando mi sveglio ricordo il sogno e mi ha colpito particolarmente, lo annoterò e lo riporterò sul blog così da poterlo rileggere, ricordarlo e magari interpretarlo.
Anche perché sarò sincero: non ho idea di perché i temi ricorrenti di questo sogno siano stati la gente che fa di tutto per irritarmi e la polvere che mi finisce addosso, né tanto meno di perché la Mater sia stata una presenza costante e così importante.
Il mio subconscio funziona in modi misteriosi.

Thursday 1 October 2020

Revenge Shoot

Fra la mia riflessione (un po’ paraculo, bisogna ammetterlo) su come una bella amicizia possa sfumare in una semplice conoscenza senza bisogno di traumi o conflitti e la mia presa di posizione sul far valere i miei sentimenti e opinioni c’è stata, effettivamente, una goccia che ha fatto traboccare il vaso. Quando ho scritto il primo post ero sincero, non portavo rancore ed ero pronto a lasciar correre e metterci silenziosamente una pietra sopra, ma nel frattempo ho avuto modo di cambiare idea e tirare fuori tutto il risentimento di cui, sulle prime, nemmeno mi ero reso del tutto conto.

Oggi, a più di due anni di distanza dal casus belli e a oltre uno e mezzo da quando la persona in questione ha ricevuto quattro pagine word fitte fitte di Reason You Suck speech, mi capita ancora di lanciare frecciate acide e fare battute crudeli con persone informate dei fatti. Il più delle volte il discorso salta fuori per caso, ma capita anche che sia io a creare questo “caso” apposta per arrivare lì. Lo so, mi diverto con poco.

La cosa più interessante è che, in tutto questo, è uscito il nuovo album degli Hurts è molte delle canzoni trattano della fine di un rapporto sottolineando la colpa della controparte. Non sono io, sei tu, teso’. Addirittura, una di queste canzoni riprende quasi pari pari le mie battute conclusive delle quattro pagine di Reason You Suck speech. E considerando che gli Hurts hanno avuto un ruolo indiretto nell’intera faccenda, chi sono io per lasciar correre un’occasione d’oro come questa per lanciare shade sotto forma di foto da includere nel progetto ispirato alla loro musica?

Per cui eccomi qui, appena tornato da uno shoot per il primo di quelli che la Cami definirebbe “revenge shoot” (un po’ come il Revenge Dress di Lady Diana), pronto a riaprire le ostilità e lanciare shade senza che ci sia stata la minima provocazione dalla controparte, di cui non ho notizie dal giorno dopo il RYS speech (perché ovviamente non poteva non trovare una scusa per avere l’ultima parola, bitch).
E non lo faccio nella speranza che arrivi alla persona in questione, né per catarsi o roba simile: semplicemente, è bello prendere una delusione professionale e artistica e trasformarla in materiale per essere creativo.

Del resto, forse dovrei semplicemente rassegnarmi: la mia amicizia è rara, ma quando la concedo è per sempre. Ed è talmente profonda che, se mi si spinge al punto di ritirarla, al suo posto non potrà mai restare indifferenza, ma un rancore che, ugualmente, è per sempre. Sorry not sorry, bitch.

Wednesday 30 September 2020

Classifica musicale generale – 2020

Nelle puntate precedenti:
2016;
2017;
2018;
2019.

Classifiche dalla 51 alla 100:
2018;
2019;
2020.

Classifiche annuali:
2017;
2018;
2019
 
1. Come ti sei appassionato alla posizione numero 30? (Dead Can Dance)
• C’è stata una fortissima azione di lobbying da parte di Claude, Meggie e Wretchie.
2. Prima canzone ascoltata della numero 22? (Goldfrapp)
• Difficile dirlo, visto che moltissime erano ovunque. Ricordo Strange Machine usata da una delle compagne della Lili al saggio di burlesque, ma non sapevo ancora chi la cantasse. La prima che ho ascoltato con cognizione di causa è stata Annabel.
3. Testo preferito della numero 33? (Gwen Stefani)
Shine è il tipo di amico che cerco di essere.
4. Album preferito della numero 49? (Amaranthe)
Massive Addictive: un nome, una garanzia.
5. Canzone preferita della numero 13? (Autumn)
• Vabbè, questa è facilissima: Synchro-Minds!
6. Album peggiore della numero 50? (Siobhán Donaghy)
Revolution In Me ha delle ottime canzoni, ma ne ha anche di davvero brutte e, nel complesso, gli manca una forte visione d’insieme. Il successivo, Ghosts, è un vero capolavoro, il che fa sfigurare ulteriormente il primo.
7. C’è una canzone della posizione numero 39 che senti molto tua? (Emmelie De Forest)
Let It Fall, una delle canzoni definitive su “lascia perdere le situazioni senza futuro”.
8. Bei ricordi legati alla numero 15? (Kari Rueslåtten)
• Per qualche strano motivo la associo tantissimo alla fine del 2010, in particolare allo shoot sul Lago d’Iseo con Ayl Rose.
9. Quanti album possiedi della numero 5? (Evanescence)
• Quattro (Origin, Fallen, The Open Door e Synthesis) più il live Anywhere But Home e tutti i singoli fisici fino a Sweet Sacrifice compreso. L’epoca del self-titled l’ho saltata a pie’ pari.
10. C’è una canzone della numero 45 che ti rende felice? (Brooke Fraser)
Magical Machine è una delle mie feel good song preferite.
11. Canzone preferita della numero 40? (Aurora)
Soulles Creatures: non riesco ad ascoltarla senza avere gli occhi lucidi.
12. Canzone della numero 10 che ti piace di meno? (Marina & The Diamonds)
• Storicamente Bad Kidz, ma lì Marina era ancora giovane e una cappellata ci sta. La noiosissima Orange Trees è più offensiva nella sua esistenza, essendo stata scritta da una cantante con molta più esperienza.
13. Bei ricordi evocati dalla numero 6? (Emilie Simon)
• La volta che ho costretto Stefano a sedersi su una pila di assi bruciate per fare la foto di En Cendres e, soprattutto, la gita a Bordeaux per il concerto.
14. Canzone della numero 38 che associ a un momento o persona? (iamamiwhoami)
Sever a Stefano perché ho scattato una foto ispirata a quella canzone nello stesso shoot di cui sopra.
15. Quale canzone della numero 19 ti emoziona di più? (Theodore Bastard)
Будем Жить, anche in versione Земная Доля, mi entra sempre sotto la pelle.
16. Quante volte hai visto la numero 35 live? (Amy Lee)
• Quattro volte, ma solo con gli Evanescence. Tirasse fuori un album solista e facesse un tour per promuoverlo…
17. Quale canzone ti ha fatto innamorare della 23? (Alizée)
• Curiosamente, per quanto abbia descritto in lungo e in largo come l’avessi scoperta con Moi… Lolita e sebbene abbia avuto per anni Mes Courents Electriques… a fare la polvere fra i miei CD, a farmi innamorare di lei tanto da procurarmi l’intera discografia è stata, quindici anni dopo, Les Collines (Never Leave You).
18. Album preferito della numero 11? (Panic! At The Disco)
• Sono tuttora molto combattuto tra Death Of A Bachelor e Too Weird To Live, Too Rare To Die!.
19. Prima canzone ascoltata della numero 14? (Susanne Sundfør)
• Come dimenticarla? The Silicone Veil!
20. Canzone preferita della numero 27? (Róisín Murphy)
• Ciospa o non Ciospa, resta Pandora.
21. Album preferito della numero 16? (Stream Of Passion)
• Il sempiterno The Flame Within.
22. Prima canzone ascoltata della numero 47? (Placebo)
The Bitter End, e all’inizio l’avevo pure odiata!
23. C’è una canzone della 18 che trovi catartica? (Draconian)
• Nonostante tutto, sì: The Marriage Of Attaris, The Death Of Hours e, soprattutto, It Grieves My Heart.
24. Come hai scoperto la numero 21? (Tristania)
• Sono stati il passo logico successivo dopo i Sirenia.
25. Canzone della numero 26 che ti rende felice? (Nemesea)
Believe.
26. Canzone preferita della numero 3? (The Gathering)
• Ma vogliamo riparlare della volta che Silje aveva dedicato Saturnine a “these lovely people in the front row” perché io, Luisa e gli altri l’avevamo fermata prima del concerto e, tra una foto e un autografo, le avevamo chiesto specificamente se l’avrebbe suonata perché è la preferita più o meno di tutti?
27. Album preferito della numero 2? (Within Temptation)
• Dico sempre The Unforgiving: è un grandissimo album con una struttura impeccabile, ottime melodie e arrangiamenti che hanno rinfrescato e revitalizzato i Within Temptation.
28. Prima canzone ascoltata della numero 32? (Clare Maguire)
Bullet, grazie a Luisa che me l’ha fatta ascoltare per progettare una foto a tema per il nostro shoot a Venezia, lo stesso per il quale mi ha fatto conoscere gli Hurts.
29. Testo preferito della numero 8? (Delain)
Pristine, Shattered e Lullaby.
30. Quante volte hai visto la numero 17 live? (Sia)
• Nessuna, ma credo sarebbe un’esperienza molto interessante.
31. Come hai scoperto la numero 44? (Leandra)
• Grazie all’Innominabile.
32. Album della 12 che ritieni sottovalutato? (Eivør)
• Il fatto stesso che Eivør non sia in vetta a ogni classifica immaginabile rende l’intera sua opera sottovalutata. (Dovendone scegliere uno, Bridges, che è ottimo ma si è trovato strizzato tra due album ancora migliori).
33. Canzone peggiore della numero 29? (Epica)
• La scelta è sempre tra la boccata di sciroppo di mais che è Twin Flames e quell’obbrobrio saputello di This Is The Time.
34. Prima canzone ascoltata della numero 34? (Röyksopp)
• Questa la so: Poor Leno su MTV! E la ricordo perché avevo da poco rivisto Return Of The Jedi e la creatura nel video musicale mi ricordava gli Ewok.
35. Album preferito della numero 28? (Delerium)
• Anche se Karma è iconico, per me Poem resta insuperato.
36. Quante volte hai visto la numero 42 live? (Karen Elson)
• CHI DEVO ASSASSINARE PER AVERNE LA POSSIBILITÀ?
37. C’è qualche canzone della 36 che consideri un guilty pleasure? (Phildel)
• HELL NO, tutto ciò che ha fatto Phildel è fantastico!
38. Come hai scoperto la numero 48? (Lucia)
• Se dico ancora una volta “grazie a Luisa” finisce che mi denuncia per stalking musicale.
39. Album preferito della numero 7? (Anathema)
Weather Systems.
40. C’è qualche canzone della numero 31 che ti mette nostalgia? (Meg Myers)
Heart Heart Head e tutto l’EP Make A Shadow, che ascoltavo mentre andavo a Firenze a incontrare Francisco diverse estati fa.
41. Canzone della 41 che non ti piaceva ma adesso ami? (Les Discrets)
• Non direi: il mio indice di gradimento è rimasto abbastanza costante.
42. Testo preferito della posizione numero 24? (Emilie Autumn)
Rose Red praticamente parla di me.
43. Canzone più emozionante della numero 46? (White Sea)
• Due terzi di Tropical Odds (Ellipses, Bloodmoon, Secret, One Bad Eye e Bloodline in particolare), NYC Loves You e Cannibal Love.
44. Canzone della numero 25 che ti rende felice? (Anneke Van Giersbergen)
• La frizzantissima Sunny Side Up che ci parla della simpaticissima Miranda, una manic pixie dream girl che rende tutti felici e contenti! Ovviamente sono sarcastico, quella canzone è orribile. Feel Alive riesce a mettermi di buonumore senza cheese.
45. Canzone preferita della numero 9? (Florence + The Machine)
• Uh, questa è tosta. Storicamente Blinding, e penso sia tuttora insuperata, ma anche capolavori come Seven Devils, Wish That You Were Here, Pure Feeling e The End Of Love meritano una menzione speciale, per non parlare dell’unica cosa buona dell’intera ultima stagione di Game of Thrones, Jenny Of Oldstones.
46. Primo album ascoltato della numero 37? (The 3rd And The Mortal)
• L’iconico Tears Laid In Earth.
47. Membro preferito della numero 4? (Hurts)
• Adam: Theo col Mocio Vileda in testa non si può vedere.
48. Prima canzone ascoltata della posizione numero 43? (Sirenia)
• Sono piuttosto sicuro che sia stata Seven Sirens And A Silver Tear un annetto prima che iniziassi ad ascoltarli più seriamente, cosa avvenuta grazie a Star-Crossed.
49. Album che possiedi della numero 20? (Lady Gaga)
• I primi quattro.
50. Il miglior ricordo associato alla numero 1? (Theatre of Tragedy)
• Dieci anni fa a quest’ora ero già arrivato a Stavanger per il loro concerto finale. DIECI ANNI FA.