Sunday 26 June 2022

Deadlocked (o il punto di rottura)

This world,
Its evil ways,
The pain that I hide:
Let’s make this happen!
 
Che poi, a pensarci bene, è un ciclo: inizio ad accumulare negatività perché non sono bravo a processarla in maniera costruttiva, passano mesi e magari nemmeno me ne rendo conto finché, d’estate, inizia ad approssimarsi il mio punto di rottura, i miei comportamenti o atteggiamenti sfuggono al controllo e diventano sempre più autodistruttivi, Katia se ne accorge, mi fa sedere, me lo fa notare e, finalmente, riesco a scuotermi un po’ e tirarmi fuori dalla crisi.
Per questa volta. Perché la cosa che mi ha davvero fatto sorridere, ieri notte, è stato rendermi conto che è un pattern che tende a ripetersi spesso proprio d’estate. Di solito più verso luglio-agosto, ma non è sorprendente che a ‘sto giro sia successo a giugno, visto lo stress di quest’anno.
A questo giro è stata una domanda piuttosto diretta che ha ricevuto una risposta altrettanto diretta.
“Senti, potrebbe essere solo una mia impressione per questo o quel motivo, ma: stai diventando più cattivo ultimamente?”
“Sì”, ho risposto subito, senza esitazione. “Sì, è vero. È una cosa che ho notato anch’io in più episodi, in queste ultime settimane. E ha iniziato a preoccuparmi.”
 
Volendola buttare sulle analogie, nel momento in cui ho sentito di non avere più le forze e la pazienza per essere una Margaery, l’idea era di lasciar libera l’Olenna e dare un po’ di pan per focaccia a chi se lo meritava. Solo che, sempre più spesso, mi sono ritrovato a pensare: “I choose violence”. E non mi stancherò mai di dirlo: essere una Cersei è mai una buona idea. Sentirsi costretti in un angolo e rispondere facendo quanto più male possibile agli altri non è una soluzione sostenibile, tanto meno lo è farne in maniera indiscriminata partendo da un vago senso di sentirsi nel giusto.
La buona notizia è che, appunto, me ne stavo già rendendo conto da solo: c’erano momenti in cui mi sentivo davvero tossico. Un po’ mi sentivo giustificato, date le circostanze; un po’ pensavo che, tutto sommato, fosse dovertente. Per lo più, era pura e semplice dipendenza da Schadenfreude. Ma sentirmi dire che la tossicità si nota così tanto e non è divertente è stata la spintarella di cui avevo bisogno per decidere che è davvero il caso di darmi una regolata, perché tentare di avvelenare la vita agli altri finisce per avvelenare anche me a piccole dosi.

Per dovere di completezza, visto che indagare a fondo le cause del mio comportamento è necessario per migliorarlo, è il caso che lo annoti: mi sento esasperato da tutto. Letteralmente tutto: ovunque mi giri c’è un motivo di rabbia. Il mondo intero, l’atteggiamento generale dell’umanità, il senso di impotenza e stagnazione, se non direttamente l’impressione che, come società, stiamo addirittura tornando indietro. Anni e anni di lotte che sembrano aver fallito completamente. I diritti civili stanno sparendo dappertutto, siamo in piena guerra, i progressi sul fronte climatico sono trascurabili... non c’è una cosa, una, che non vada male.
Così, da qualche parte lungo la strada, ho gettato la spugna.

So anche identificare il momento in cui è partita questa mia spirale verso l’incattivimento: nel 2020, quando Trump si è preso il covid e mi sono fiondato su Twitter per leggere le reazioni. E poi per aggiungere le mie.
E poi ci sono state le elezioni americane, in un momento in cui sentivo che anche le nostre destre erano in difficoltà, e allora mi sono detto: “È tempo di bullizzare i bulli”. Dare loro una dose della loro medicina, farli sentire come hanno fatto sentire gli altri per tutto questo tempo, caricare su di loro tutto il peso sociale di essere persone orribili con idee orribili.
Solo che, lungo la strada, ho iniziato a ritenere lo sforzo sociale dietro quest’idea sempre più vano. Invece che argomentare il mio sdegno, se non per far cambiare idea almeno per piantare quella vocina che rovina il “divertimento” quando la gente si comporta in un certo modo, ho iniziato a ricorrere a semplici, generici, sciocchi insulti che, in effetti, lasciano il tempo che trovano. Spiegare al fascista medio perché il suo fascismo deriva semplicemente dalla paura gli rovina la giornata molto più che sentirsi dare del povero cretino.

E tutto questo, lo ribadisco, è un semplice coping mechanism per il malessere che sento dentro. Uno che non solo non lo risolve, ma finisce per far stare peggio anche me: non mi rende poi tanto distinguibile dalla gente che ha ridotto il mondo a un posto che è una completa e costante fonte di disagio.
E io non voglio essere questo.

Qualche misura per invertire la tendenza l’avevo già presa nelle scorse settimane: ad esempio, ho evitato di infilarmi in baruffe digitali che sarebbero finite in gara di insulti, lasciato cadere discorsi che mi avrebbero irritato, scorso oltre notizie che avrei potuto commentare in maniera caustica, eccetera, limitandomi solo ai casi più eclatanti. Dovrei impegnarmi a farlo ancora di più, lasciando correre anche i casi eclatanti: alla fin fine, è uno spreco di energie che non porta a nulla. Non riuscirò a isolarmi ed evitare di occuparmi di attualità, ma non sono obbligato a dire la mia a tutti i costi alimentando la caciara che si forma intorno: posso anche solo prendere atto della cosa e andare avanti con la mia vita.
Ho anche notato che non ho praticamente bloggato quest’anno. Pensavo dipendesse dal fatto che la mia vita è piuttosto piatta (a questo punto per scelta, ma quello è un altro paio di maniche), ma la verità è che non avevo voglia di dialogare con me stesso su ciò che sta succedendo in generale. Scrivere uno stato tagliente su Facebook o cercare gente da insultare sotto i meme altrui è molto più semplice che analizzare come un avvenimento mi fa sentire e tirarne fuori un post coerente.
È però una cosa che dovrei riprendere a fare perché, appunto, non sono bravo a processare i miei stati emotivi e questa è una valvola di sfogo che mi aiuta molto. Anche per questo ho scritto questo post: ieri sera Katia mi ha aiutato a dare forma e voce alla consapevolezza che già stavo sviluppando, e qui ho deciso di cristallizzarla in forma scritta per non perderla di vista.
Ho spesso il vizio di ignorare la mia voce interiore e cercare segni esterni che me la sbattano in faccia. A volte mi faccio i tarocchi (ho smesso dal 2020, sempre perché non ho molta voglia di chiacchierare con me stesso). A volte presto attenzione alle piccole coincidenze, come la scena in The Umbrella Academy che abbiamo visto subito dopo aver parlato, in cui Allison e Diego vanno in cerca di risse con i suprematisti bianchi, o la citazione di Deadlocked dei Tristania con cui ho aperto il post, che ho trovato fra i ricordi di Facebook – entrambe descrivono bene lo stato d’animo che ha causato il mio incattivirmi e mostrano quanto sbagliato sia continuare su questa china.
Molto più spesso, è la migliore amica che sono fortunato ad avere, che quando inizio ad andare troppo alla deriva mi prende per i capelli e mi aiuta a tirarmi fuori dall’acqua alta.
Katia mi ha consigliato di scrivere una lettera a me stesso, a questo riguardo. La lettera è questa, ma non sarebbe completa se non fosse un po’ anche una lettera a lei e non si concludesse con:
Grazie, Katia.