Monday 28 October 2019

For want of a nail

Ok, dai, anche quest’anno è arrivato l’ultimo colpo di coda della sfiga pre-lucchese, quindi sono pronto a partire.

Ricordate come il bruttissimo taglio di capelli che ho fatto a metà settembre mi ha portato a procrastinare lo scatto della fototessera, senza la quale ho ritardato la richiesta del rinnovo della carta d’identità, che è caduta proprio il giorno dell’aggiornamento di sistema del ministero, che ha ritardato la spedizione e consegna del documento, che ha ritardato la mia partenza per Trieste, che al mercato mio padre comprò?
Ebbene, quando viaggio da e per Trieste d’estate, spedisco sempre la roba che non sta nel bagaglio a mano RyanAir in una scatola con SDA. A questo giro, ho spedito tutto giovedì, così il pacco sarebbe arrivato comodamente oggi che ero in casa, invece che venerdì che ero ancora in volo.
Beh, così come la richiesta della CdIE è capitata proprio nel giorno dell’aggiornamento, la spedizione del mio pacco è capitata proprio nell’unico giorno di sciopero dei corrieri SDA. Il risultato? Il pacco è fermo a Bologna, cosa che ho potuto scoprire solo contattanto il centro assistenza via Skype – Skype, nel 2019! – e arriverà in data da destinarsi.

Naturalmente, dentro la scatola c’è il pannello riflettente che avevo intenzione di portarmi a Lucca per non bestemmiare anche quest’anno le luci e ombre in postproduzione e, errore mio, il caricabatterie della fotocamera.
Ergo, corsa in centro da Euronics, che però il lunedì è chiuso, salto carpiato sulla prima 29 di passaggio per andare da Mediaworld alle Torri, acquisto di un caricabatterie universale, con tanto di senso di déja-vu per l’anno scorso.
Ovviamente, nella fretta mi sono dimenticato di prendere la batteria della fotocamera per fare la prova, il commesso non ha saputo determinare la compatibilità dell’apparecchio dalla foto che gli ho mostrato su google, ho indovinato che ci fosse dall’illustrazione sul retro, e quindi mi è salita l’ansia di aver potenzialmente buttato via dei soldi inutilmente. Mentre aspettavo si facesse un’ora adatta per mangiare, ché già che ero alle torri almeno mi sarei gratificato dall’ex Old Wild West, ho aperto il pacco e ho notato che il caricabatterie aveva una sola linguetta per collegarsi alla batteria, non due; quindi niente cena finché non sono tornato a casa e non ho notato che la seconda linguetta era rimasta nascosta sotto il coperchio che non si era ritratto del tutto. Quindi niente comfort food per bilanciare la serata, ma la solita, noiosa pizza d’asporto.

Comunque, anche quest’anno me la sono cavata. Il pacco lo ritirerà il coinquilino, mi arrangerò a farmi prestare sapone per il viso, shampoo e balsamo, avrò la barba lunga perché anche il rasoio elettrico è nel pacco (in compenso potrò definire i bordi perché di rasoi normali ne ho sia qui che ad Alghero) e sono già stressato prima ancora di partire.
Tutto questo grazie al Ministero degli Interni e i suoi ritardi. Secondo me non si sono ancora ripresi dallo schifo che ha fatto l’ex capo della baracca ed è per questo che hanno tirato su ‘sto casino.

Monday 21 October 2019

Carta d’identità: l’epilogo

Ok, ‘sta storia della carta d’identità sta sfuggendo a ogni grazia di Dio, ma almeno si è conclusa più o meno bene.
A sorpresa, è arrivata oggi. Il biglietto di ritorno per Trieste l’avevo fatto per il 25 – il 29 parto già per Lucca ed era l’ultima data possibile per avere almeno il tempo di respirare – quindi, senza notizie, la Mater e io abbiamo deciso di cautelarci. Siamo andati alle poste per informarci su come farle la delega, l’impiegato allo sportello consulenze più imbecille nella storia dei raccomandati ci ha detto che avremmo dovuto parlare all’ufficio del piano di sopra… che è inaccessibile senza appuntamento, e il telefono ovviamente squillava a vuoto.
Fortunatamente, la sua collega allo sportello corrispondenza ha avuto pietà delle mie occhiaie, ha controllato e – sorpresa! – ha visto che la raccomandata non solo era partita, ma era in mano al postino, che l’avrebbe recapitata oggi stesso!
Da lì, cosa a perdifiato fino a casa controllando ogni singolo motorino per intercettarlo in caso fosse già in arrivo, perché se non l’avessi ritirata quel giorno, avrei potuto farlo all’ufficio postale solo a partire da venerdì stesso, cosa impossibile visto che ho il volo la mattina prestissimo. Per fortuna, arrivato a casa, non ho trovato l’avviso di giacenza, così ho aspettato nell’androne che la Mater tornasse in modo da cautelarmi in caso il postino avesse suonato proprio mentre ero in ascensore (a questo punto, ero pronto a veder andare storta qualsiasi cosa), poi sono tornato a casa, ho praticamente scavato i solchi in terrazzo a forza di uscire a controllare il traffico e, alla fine, sono corso al citofono come ho sentito il campanello e la tanto agognata tessera è nelle mie mani.

Per inciso, l’impiegato che l’ha imbustata doveva essere davvero ubriaco di mojito, perché ha spalmato l’adesivo per tenerla incollata al foglio di accompagnamento proprio sul codice a barre del retro. Come ho provato a metterla nella custodia, quasi non sono riuscito a tirarla fuori, ché si è prontamente incollata. Non oso immaginare alle schifezze che ci si attaccheranno sopra rendendo il codice illeggibile.
Grazie, uffici pubblici italiani: riuscite a rovinare anche le botte di fortuna come quella di oggi.

Wednesday 16 October 2019

Papeete 1 – Narciso 0

Per inciso, la mia carta d’identità, che avrebbe dovuto arrivare entro sei giorni lavorativi dalla richiesta (leggi: oggi) non è ancora neanche stata imbucata. Mi sa che l’impiegato del Ministero degli Interni addetto alle carte d’identità elettroniche non ha ricevuto la notizia che la pacchia è finita causa cambio di ministro, ed è ancora al Papeete col mojito in mano.

Come l’ho scoperto? Ho provato a tracciare il numero della racomandata (sul sito di Poste Italiane, ripeto, Poste Italiane, a cui hanno affidato un documento importante), e la risposta è stata che la spedizione non esiste.
Volete che muoia d’infarto?
Alle poste (a cui ho dovuto telefonare, cfr. siti inaffidabili) mi hanno detto che significa semplicemente che ancora non è partita: il sistema assegna al documento un numero di tracciabilità preventivo che viene indicizzato dalle Poste solo a spedizione avvenuta. All’ufficio anagrafe mi hanno fatto sapere che la colpa non è di un impiegato ubriaco di rum con l’alito che sa di lime e menta come il suo Capitano, ma di un aggiornamento del sistema operativo del Ministero che, pensa la fortuna, è caduto proprio il giorno in cui io ho fatto richiesta. Naturalmente la ricezione è slittata e non si ha idea di quando mi spediranno ‘sto dannato pezzo di plastica. Sempre per la serie che l’informatica dovrebbe migliorare la vita di tutti, ma non se vivi in Italia.

Intanto, io sto qui, che devo ripartire per Trieste, e non so cosa fare: il documento mi arriverà per raccomandata all’indirizzo di residenza (qui) e devo essere io specificamente a ritirarlo. Se voglio che lo faccia la Mater, devo farle una delega… col documento che non ho.
Che poi, partire come? Potrei andare con i tre fogli A4 del modulo di richiesta stampato, che mi valgono come carta d’identità temporanea, ma poi? Avrei addirittura il passaporto per viaggiare, ma potrei ancora ritirare il documento alle poste quando torno per Natale? La giacenza dura così a lungo? Non so cosa fare.
Forse non resta che fare il biglietto e incrociare le dita, va’. Sto quasi iniziando a capire i rant anti-sistema di quella pazza scoppiata di Heike dei Draconian: non è che voglio sentirmi speciale a tutti i costi, è che la burocrazia moderna è tremendamente fallata.

Comunque, il lato positivo è che, essendo già costantemente in ansia per questa faccenda, ne sto approfittando per sistemare tutte le altre cose che me ne provocano già di loro: il calendario delle commissioni a Lucca, il viaggio a Milano per vedere Marina, e via dicendo. Così almeno mi risparmio l’ansia per la prossima volta.

Monday 14 October 2019

Joker è un film confuso

Ok, togliamoci subito i disclaimer:
1) A parte quel disastro che è Suicide Squad, non ho visto nessuno dei vecchi film con Joker, né ho mai letto i fumetti o guardato i cartoni animati. Mi pare di aver afferrato in giro per il web che questo film sia almeno in parte una decostruzione / risposta / sovversione del Joker presentato lì, soprattutto quello scritto da Nolan, ma la cosa non m’interessa: valuto il film in sé e per sé.
2) La prova recitativa di Joaquin Phoenix è magistrale; sound e fotografia lo sono altrettanto. Ma questi elementi da soli non fanno un film.
3) Ci saranno spoiler.

Detto questo, Joker è un film confuso.

Credo di essere in minoranza, ma sono uscito dal cinema pensando: meh. ¯\_(ツ)_/¯
Probabilmente ciò non sarebbe successo se non avessero fatto vedere l’ennesima scena della morte dei genitori di Bruce Wayne presentato il film come il fratello serio dei cinecomic, ma nel momento in cui mi proponi un film che vuole essere più complesso del solito guerra = brutta, terrorismo = brutto, avarizia = brutta, eroe = salva la situazione, botte da orbi e qualche esplosione per rendere il tutto spettacolare, devi scegliere con attenzione quale messaggio vuoi veicolare e farlo con chiarezza. Joker questo non lo fa.
Di solito sono il primo a dire che un film non va giudicato in base allo hype o al backlash che genera, ma è pur vero che il discorso che se ne fa online – un film di feroce critica sociale e politica, che mostra finalmente la malattia mentale spoglia degli stereotipi hollywoodiani – rende chiaro sia a cosa Joker mirasse in termni di risposta del pubblico, sia con quanta superficialità e cerchiobottismo abbia affrontato, nella pratica, entrambi gli argomenti.
E no, non basta buttare lì una battuta di dialogo su come “Io non sono qui per fare politica, sono qui per intrattenere” per pararsi il culo e assolvere l’intento autoriale: nel momento in cui usi un tema come cardine della trama del tuo film, la direzione che dai alla storia ti fa prendere una posizione; e se il tema che scegli è sensibile e socialmente rilevante, la tua posizione deve essere chiara.

Prendiamo l’ambivalenza sulla malattia mentale, ad esempio.
Il film ci presenta Arthur Fleck come un individuo con un disturbo mentale che viene progressivamente marginalizzato dalla società: nel quotidiano è vessato anche da perfetti sconosciuti, a livello istituzionale un taglio di fondi lo lascia senza assistenza psichiatrica e farmacologica. Le cose iniziano a precipitare finché, più o meno a metà, il film introduce un tema parallelo: “La parte peggiore di avere una malattia mentale è che le persone si aspettano che ti comporti come se non l’avessi”.
“Wow”, dico io, spettatore in lotta da anni con la depressione e che sente tutto il peso sociale della propria malattia, “mi sento proprio capito da questo film”.
Da lì in poi, però, Arthur inizia a marciarci, sulla malattia, consapevole del suo degenerare ma incurante delle conseguenze. Il film inquadra questo cambiamento come empowering: Arthur non è più timoroso e costantemente vessato ma, grazie alla “libertà” dalle medicine (lo dice testualmente a una certa) è in grado di farsi valere e rispondere ai torti che subisce. E lo fa ripagando la violenza con altra violenza, fino a che un regolamento di conti estemporaneo non lo rende un idolo delle folle, strappandolo definitivamente alla pateticità della sua anonima vita. Tutto ciò mentre si esplora come fosse stata indirettamente la malattia mentale di sua madre a ridurlo in quello stato.
Qual è, allora, il messaggio sulla malattia mentale? Che è un problema da risolvere? Che è la soluzione a un disagio esistenziale? Va curata partendo da una riforma sociale che fornisca le giuste reti di sicurezza per non lasciare il malato solo, o va abbracciata e alimentata come mezzo di emancipazione personale?
Le contraddizioni continuano anche in come il rapporto dei neurotipici con Arthur è mostrato: bello il messaggio su Gary che si salva perché è l’unico che ha trattato bene Arthur. Peccato solo per Sophie, che è stata cordiale con Arthur una volta, è diventata oggetto della sua ossessione ed è finita ammazzata off-screen.
Quindi? Qual è il messaggio? Prendi esempio, spettatore, sii gentile e la gentilezza ti tornerà indietro? O stai attento, spettatore, basta un sorriso e una battuta fuori posto per finire ucciso?

La confusione è aumentata dall’incertezza nel framing del film: vero che lo stato di Arthur non è imbellettato e finisce spesso e volentieri per diventare un cringefest che rischia di alienare il pubblico, ma è mostrato come protagonista indiscusso. Al punto che tutti gli omicidi che compie on-screen sono in qualche modo “meritati”, è lui che reagisce alla brutalità dei suoi aguzzini, lo spettatore deve tifare per lui. Quello più gratuito, la giovane madre single dell’appartamento accanto che uccide perché non è davvero sua morosa, avviene invece off-screen, sia mai che lo spettatore smetta di tifare. Lascio che sia qualche donna, parte in causa, ad analizzare come il film glissa su un femminicidio.
 
Edit: Todd Phillips giura e spergiura che Sophie non è morta, dicendo di aver girato una scena di lei che vede Arthur in TV, tagliata per non distrarre dal punto di vista di lui. E che comunque “si capisce” dal film; anzi, molte persone a cui ha chiesto l’avrebbero capito perché Arthur ha un codice morale e uccide solo chi gli ha fatto un torto.
Il che peggiora solo la situazione, perché a) chiaramente no, non si capisce, quindi il regista ha sopravvalutato il suo film e fatto una pessima scelta in fase di montaggio, e b) mostra un ulteriore tema buttato dentro ma trattato con superficialità. Con tutte le storie che si sentono di uomini in uno stato mentale molto meno precario di quello di Arthur, che diventano violenti perché percepiscono il rifiuto da parte di una donna proprio come un torto, dare per scontato che questa dinamica non si sia innescata dimostra con quanta poca cura l’intero storyline dello stalking e della relazione immaginaria sia stato concepito.

La questione sociale è, se possibile, sviluppata ancora peggio, e ci vuole ingenuità per interpretarla come messaggio progressista e anti-establishment.
Il problema di Arthur – finché è inquadrato come problema, per lo meno – è di natura sociale: la corruzione politica ed economica, che taglia i fondi alle cure, esaspera la sua situazione personale. Parallelamente, l’intera città vive un disagio crescente col progressivo inasprirsi del divario fra classi ricche e povere. I ricchi fingono di interessarsi, ma sono, alla meglio, ciechi verso la reale situazione, alla peggio disonesti e opportunisti. Il messaggio sembra essere che lo status quo è sbagliato, che il capitalismo rampante sta trasformando tutti in esseri cinici e privi di empatia, che un cambiamento è assolutamente necessario perché la situazione è insostenibile.
Eppure, questo cambiamento si concretizza in forma altamente negativa. La scintilla che fa partire le proteste è l’omicidio di tre yuppie da parte di un pazzo: le classi popolari si lasciano accecare dalla cultura dell’invidia e interpretano quel gesto meschinamente personale come socialmente sovversivo. Da lì si arriva alle rivolte nelle strade con morti indiscriminate.
Ma lo spettatore sa che l’eroe della rivolta è un pluriomicida con problemi mentali: per estensione, tutti quelli che lo seguono – che letteralmente gli si radunano intorno che nemmeno Daenerys in Mhysa, partecipano alla follia. Quindi? Status quo brutto e cattivo, o rivoluzione brutta e cattiva?
Questa parte mi urta particolarmente perché strizza l’occhio senza pudore a un pubblico progressista ma, in realtà, veicola una visione di fondo profondamente conservatrice: è durante le rivolte che abbiamo l’ennesima scena della sparatoria degli Wayne, ed è lì che, lo sappiamo, nasce Batman. I moti rivoluzionari sono una follia, un sogno febbrile, le conseguenze delle azioni di un pazzo, sono il nemico: l’establishment, sotto forma di Batman, arriverà a soffocarle e riportare all’ordine le classi popolari che chiedono più diritti! Questo film è ipocrita quanto Rent, dipinge questo bel quadro di riscatto sociale mentre fa di tutto per dimostrare quanto sia futile, effimero e dannoso, e come lo status quo prevarrà sempre.

Fra l’altro, il film non tenta nemmeno di trovare il giusto mezzo, di mostrare come entrambe le fazioni abbiano torto su alcune cose ma ragione su altre: l’élite non ha mai un momento in cui si rende conto di star sbagliando, le manifestazioni non portano a nulla se non a violenza indiscriminata. È una gara a chi ha più torto, e la mitologia di Batman sottintende il resto, che il sistema, per quanto fallato, vada tutto sommato bene così e tentare di cambiarlo peggiori solo le cose.

In conclusione, quindi, Joker è ben lontano dall’essere il film di spessore a cui si atteggia. È un cinecomic che, nel tentativo di sembrare più serio dei colleghi, si imbarca in una serie di discorsi seri che non ha la chiarezza per affrontare. Ci prova in tutti i modi, a ingannare lo spettatore promettendo di diffondere grandi messaggi importanti, ma ciò lo fa risultare semplicemente pretenzioso e, soprattutto, confuso su quale sia la storia che vuole raccontare.

Tuesday 8 October 2019

Burocrazia portami via

Se è vero che ormai ho imparato (o mi sono rassegnato) ad affrontare un po’ tutto nella vita, una fonte di stress che non riesco a ridimensionare sono gli uffici pubblici della Repubblica Italiana. Voglio dire, c’è un motivo se da anni la mia situazione col medico di base è un casino: chi ha il coraggio di andare alla ASL di Trieste per chiarire la faccenda?
Ebbene, per quanto mi lamentassi della mia carta d’identità a forma di lenzuolo, sciupata sui bordi (perfino la custodia in plastica è a brandelli) e con una foto obsoleta in cui avevo i capelli lunghi e giusto un accenno di pizzetto, ora che è arrivato il momento di rinnovarla e fare l’elettronica mi sono ritrovato in un incubo.

Intanto perché devo fare la fototessera e ultimamente in foto mi sembro sempre un mostro; il fatto che il parrucchiere di qui mi abbia fatto un taglio che, appena sono uscito, mi ha provocato un meltdown tale che solo Katia è riuscita a trattenermi dal diventare Britney 2007 non aiuta. Comunque, alla fine mi sono fatto sto benedetto autoritratto su sfondo bianco, ho applicato una quantità generosa di fluidifica ai capelli per dar loro un senso, ho tolto brufoli e occhiaie (fra i vantaggi di essere fotografi c’è uscire bene nei documenti) e quella parte l’ho sistemata.
Per il resto, ho trent’anni, dovrei essere adulto, dovrei saper gestire queste cose. Invece è stata la Mater ad andare all’anagrafe e prendere appuntamento per me, perché io stavo già per rinunciare e tornare a Trieste col passaporto.
Il fatto è che per fissare l’appuntamento serve letteralmente solo parlare con l’impiegato allo sportello, e il giorno dopo sei già pronto ad andare, bollettino del pagamento e fototessera digitalizzata alla mano. Sul sito del Ministero degli Interni, invece, descrivono una trafila interminabile, un appuntamento che può essere dato dall’una alle due settimane dopo, e solo previa registrazione sul sito stesso… che può avvenire solo quando hai la fortuna di beccare online un admin che ti dia manualmente le credenziali dopo che hai fatto richiesta.
Seriamente, Repubblica Italiana, che problemi hai? L’informatizzazione della burocrazia è stata fatta per facilitare le cose sia ai cittadini sia agli impiegati pubblici, non per complicarle. Da quando parlare con le persone risolve i problemi più velocemente che googlare e compilare moduli online? Non hai imparato nulla da JustEat?

Comunque stamattina sono andato e nessuno si è accorto che la mia fototessera è stata beauty-ritoccata. Anzi, l’impiegata mi ha fatto i complimenti per la qualità della foto, ché la gente arriva lì con i selfie fatti alla meno peggio da cellulare, e mi ha ringraziato per avergliela portata già ridimensionata; e meno male che sempre il sito del Ministero paventava regole draconiche sulle fototessere, con istruzioni precise circa il formato, le proporzioni, la posizione, i DPI e le dimensioni, pena la squalifica.
In compenso, ho ricambiato la cortesia aiutandola a navigare l’explorer del computer, che ha un sistema operativo speciale (come un bambino speciale) e fa i capricci con i supporti USB: un po’ di tentativi e ho trovato il modo di aprire la foto, scaricarla sul computer e allegarla al format digitale per la richiesta. Relativamente rapido e indolore.

Naturalmente sono stato accompagnato dalla Mater, che ha dovuto subire i miei nervi a fior di pelle, e altrettanto naturalmente, una volta tornati a casa, mi sono buttato a letto a recuperare il sonno che avevo perso la notte prima per l’ansia e che mi è crollato addosso tutto assieme una volta che la tensione è scemata.
Odio gli uffici pubblici italiani. Riescono a rendere qualcosa che dovrebbe essere semplice – avere un pezzo di plastica che mi identifichi come cittadino del mio Paese – un inferno di complicazioni. Fortuna che da qui al 2029, quando dovrò rinnovare la carta d’identità, la società civile sarà collassata sotto il peso dei cambiamenti climatici, i documenti non avranno più alcun significato e potrò risparmiarmi tutto questo stress.