Tuesday 23 June 2020

Feeling alive again

Per chi se lo fosse chiesto, la storia che ho condiviso su quello che è stato l’ultimo post sul blog per oltre due mesi è andata a finire per il meglio: probabilmente la macchia sotto l’occhio era davvero la puntura di qualche moscerino (tant’è che, in realtà, un leggero prurito me lo faceva). Con una blanda pomata antistaminica e un po’ di pazienza è passato tutto – senza contare che di lì a poco è comunque iniziato il lockdown e il problema di non voler uscire perché ero “sfigurato” è diventato irrilevante.

Resta il fatto che la mia percezione di me stesso è legata a fattori precari ed esterni: la mia produttività e integrazione nel tessuto sociale, che al momento è sotto zero, e il mio aspetto esteriore.
In queste ultime settimane, il secondo è stato fortemente minato dal fatto che l’ultimo taglio di capelli l’ho avuto a dicembre prima di partire. E non è nemmeno una questione d’ironia, di me che prima li ho portati lunghi fino a metà schiena e ora do di matto appena crescono poco poco: è che la lunghezza di sei mesi è semplicemente brutta, ingestibile, e mi sta malissimo. Così, come quando l’anno scorso me li avevano tagliati malissimo, ho sofferto anche ora nel guardarmi con il casino che avevo in testa, specie da quando ha superato prima i power hair à la Hillary Clinton, poi perfino il caschetto da Beatles Anni Sessanta per trasformarsi in una qualche atrocità hippie Anni Settanta. E fortuna che la Mater almeno aveva fatto un buon lavoro dandomi una spuntata sul retro verso metà aprile.

Insomma, non credo di dover spiegare ulteriormente perché abbia contato i giorni che mancavano all’appuntamento col parrucchiere. Una volta che la quarantena dura è stata sollevata, mi sono dato ancora un paio di settimane per accertarmi sulla situazione in città, dopo di che ho chiamato verso fine maggio e il primo appuntamento disponibile era oggi.
Non credo nemmeno di dover spiegare – o poter mettere a parole, se pe questo – il sollievo che ho provato guardandomi allo specchio con i capelli finalmente tagliati. Anche perché memore dello scempio che il parrucchiere cinese mi ha fatto l’anno scorso, quest’anno ho chiesto consiglio a un’amica di qui e sono andato da un parrucchiere d’alto bordo che ha fatto un lavoro impeccabile (è specializzato in tagli vintage e ha fatto tutto, tutto interamente con le forbici, niente macchinetta tosapecore!). Giuro, sono uscito da lì sentendo il ritornello di Alive dei Goldfrapp in testa, synth Anni Ottanta e tutto: “I’m feeling alive again, alive again! I’m feeling alive again, alive again!”.
Arrivato a casa, mi sono dato giusto il tempo di pranzare e ho sfruttato il capolavoro di styling che avevo in testa per fare un paio di foto, tra cui anche una ispirata proprio a questa canzone, che postprodurrò con gradienti pastello e forme geometriche al neon.
Non credo di aver mai progettato una foto così colorata e solare, ma mi sento genuinamente felice. Mi sento bello, mi guardo allo specchio e mi piace ciò che vedo. È una sensazione che mi è mancata così a lungo che ora non voglio mancare di celebrarla a dovere.

Saturday 20 June 2020

Convergenze

Stavo ripensando a Tumblr. Da quando ci sono tornato stabilmente, più di due anni fa, non è cambiato un granché, così come non è cambiato il fatto che, per via delle mie regole di pubblicazione, la mia coda ha sempre dalle cinque alle otto settimane di post programmati, cambiare l’ordine dei quali è tedioso e non vale la fatica.

È quindi una coincidenza se questo mese c’è stato un aumento nella percentuale di persone di colore nei miei post: sono foto che ho visto, mi sono piaciute e ho messo in coda almeno un paio di mesi. Può sembrare che voglia cavalcare l’onda del BLM o che, notando la preponderanza di modelli e modelle bianchi nel mio Tumblr, sia corso frettolosamente ai ripari, ma il tempismo è dipeso solo dal numero di post già in programma.
Così come è una coincidenza, ad esempio, che Snowpiercer stia andando in onda proprio in queste settimane –  una serie il cui perno è una lotta di classe in cui gli oppressi si oppongono, tra le altre cose, anche alla brutalità incontrollata delle forze dell’ordine. Ed è vero, come rivoluzione è di natura socio-economica, non razziale, ma il leader è nero e ciò rende la serie involontariamente molto rilevante, coi tempi che corrono. Il fatto che Snowpiercer sia rimasto intrappolato per anni in un limbo di produzione e sia riuscito ad andare in onda solo ora è un’ulteriore coincidenza in questo senso.

Un’altra osservazione da fare è però che, come le proteste attuali sono il punto di rottura di una situazione che si è deteriorata nel corso degli ultimi anni, anche queste tempistiche sono, in un certo sense, figlie della stessa evoluzione socio-culturale.
Andre Layton, per restare sull’esempio di Snowpiercer, è nero perché già da qualche anno si è posta attenzione su quanto prevalente fosse la scelta di attori bianchi nelle parti principali, e si è fatto uno sforzo cosciente per migliorare questo aspetto. E temi come il profiling e la polizia americana che prende specificamente di mira le minoranze etniche sono stati trattati senza indorare la pillola già l’anno scorso in serie come The Boys o Lucifer – particolarmente interessante nella seconda, visto che la polizia è protagonista dello show ma si è comunque posta attenzione a mostrare il fenomeno come sistemico e ricorrente, non con la solita scusa delle “mele marce”.
Allo stesso modo, non è improbabile pensare che i blog che seguo su Tumblr abbiano percepito l’eco della questione e abbiano iniziato a postare foto più variegate che ho a mia volta intercettato e inserito in coda di pubblicazione giusto in tempo per questo mese.

Come discorso può sembrare futile, ma mi dà speranza che ci sia davvero un cambiamento in atto. Il fatto che ci siano state convergenze di tante piccole cose tematicamente rilevanti ma messe in moto prima degli eventi di questo mese forse significa che davvero a qualcuno là fuori importa e si preoccupa davvero di migliorare il mondo, anche nel piccolo, invece che saltare sul bandwagon nel momento in cui la causa diventa popolare.

Thursday 18 June 2020

Pareti vuote

Forse dipende dal fatto che negli ultimi tre mesi tutto ciò che avuto è stata la mia routine in casa senza possibilità di variazione, ma essere sradicato da camera mia mi ha causato un piccolo attacco d’ansia nei giorni scorsi.
Nei mesi scorsi ho avuto un paio di momenti ipocondriaci in cui mi si chiudevano gola e naso e, immediatamente, una parte di me temeva il covid; l’altra parte, perfettamente consapevole di quanto fosse irrazionale visto che ero chiuso in casa, sapeva che si trattava solo di allergia da muffa.
Quest’anno è stato parecchio umido ed è uscita qualche macchietta un po’ ovunque in casa: in camera mia c’erano diversi focolai, addirittura ho trovato due volte di fila la mia cintura di cuoio (appesa per mesi all’attaccapanni perché chi usciva dove?) del tutto ammuffita. Ora che è arrivato il bel tempo, sanificare e imbiancare casa è imperativo.

Solo che mentre lavoriamo mi tocca dormire in un’altra stanza e la cosa mi ha destabilizzato. La prima sera, quando mi sono trasferito per permettere alla Mater di entrare in mattinata e svuotare armadio e comò del contenuto più leggero senza svegliarmi, ero perfino paralizzato all’idea di accendere il computer in quel setting nuovo, cosa che ho aggirato accendendolo in cucina per guardare qualcosa a cena. Poi pian piano tutto è rientrato, ho ascoltato la mia musica nuova e vecchia (ho iniziato a esplorare Fever Ray, è finalmente uscito l’ottimo primo album di Blanche e ho recuperato Ala.ni, Loïc Nottet e Gaga), ho fatto le mie partite a The Sims 4 e ho sentito Katia la sera per guardare qualcosa insieme, tutto regolare.

Però ecco, aver perso il mio rifugio, anche se solo per pochi giorni, mi ha mandato in confusione e dato qualche momento d’ansia di cui avrei fatto volentieri a meno. Il lato positivo è che, a quanto pare, ho un vero talento per l’imbiancatura e i lavori procedono spediti: il più è stato lavare prima le pareti e poi i mobili con la varechina (ne abbiamo respirata tanta che se starnutiamo igienizziamo il reparto covid di qualche ospedale), mentre oggi la Mater si è occupata di fare gli angoli delle pareti e del soffitto con la pennellessa e io sono intervenuto col rullo su tutto il resto; poi abbiamo pulito tutto in tandem e voilà, c’è solo da aspettare che la tinta si asciughi prima di rimettere i mobili al loro posto e riempirli di tutta la roba, accuratamente lavata e igienizzata a parte.

Quindi niente, riavrò tutta la mia quotidianità quanto prima, ma ciò non mi ha impedito di sentirne tremendamente la mancanza. Come fanno le persone normali a funzionare senza tutti questi intoppi?

Friday 12 June 2020

Essere Corvonero nel Mese del Pride 2020

Cara JK,

Sono un Corvonero fatto, finito e pure orgoglioso. Lo metto in tutte le mie biografie online (perfino sulle app di dating) e, se mi presento a qualche potterhead, è una delle prime cose che dico su di me.
E sai che c’è? In un certo senso, l’ho scelto io. Al mio primo giro su Pottermore sono stato smistato in Serpeverde, solo al secondo in Corvonero. Mi si potrebbe definire uno hatstall, un testurbante, e mi definisco Corvonero perché mi ci identifico spontaneamente: ho scelto di essere Corvonero invece che Serpeverde.
Hai già capito dove sto andando a parare, vero?
 
Cioè, immagino che lo capisca anche se chiaramente tu un Corvonero non lo sei proprio: ci vorrebbe un minimo di cervello per capire che il Mese del Pride potrebbe non essere il momento migliore per sollevare una controversia sul diritto delle persone trans di identificarsi col genere che sentono loro – per non parlare delle persone non-binarie o agender, perché se non riesci a concepire l’esistenza delle persone trans, non ha senso sovraccaricare il tuo cervellino di mezza età con tutto il resto.
E sì, sto volutamente semplificando le tue affermazioni: chiaramente ammetti che le persone trans esistono fisicamente, semplicemente non pensi che la loro esperienza di vita sia valida, che abbiano diritto ad autodeterminarsi, o che la loro condizione abbia bisogno di protezione contro la discriminazione – il che è anche peggio.
Il punto è che ultimamente sto riflettendo se sia il caso di continuare a identificarmi cone Corvonero, pubblicamente e non. Un po’ da dicembre, molto negli ultimi giorni.
Non che abbia problemi con la Casata stessa, ci mancherebbe, ma ne ho nel continuare ad associarmi alla tua proprietà intellettuale.
Ma poi mi sono detto, perché dovrei rinunciare a qualcosa che mi ha aiutato a dar forma alla mia visione del mondo solo perché l’autrice è una TERF? Penso sia arrivato il momento di invocare la Morte dell’Autore.

Il che significa, Jo, che la tua opera è diventata più grande di te, chiaramente più della tua piccola mentalità. Sì, avresti potuto gestire meglio le questioni razziali vere e la rappresentazione nel testo vero e proprio è pressoché nulla al di fuori della stretta eteronormatività, ma hai anche scritto e pubblicato la serie tra i primi Anni Novanta e metà Duemila, sarebbe ingiusto applicarvi gli standard attuali. Ma il punto è che l’intera tua opera è un grido contro la discriminazione e la violenza sulla base dello stato di nascita di una persona. Mostra quanto grande sia l’effetto che la discriminazione ha sia sulla vita quotidiana delle persone, sia sulla vita pubblica e la comunità in generale, e che le istituzioni hanno il compito di non lasciare indietro nessuno. Mostra sia come gesti anche piccoli possano ferire chiunque in qualunque momento, sia come la discriminazione sistemica e istituzionalizzata finisca per far collassare il tessuto stesso della società.
E questo, Joanne, è più grande di te. Il tuo messaggio è cresciuto più di te e sopravvivrà tutto ciò che sei come persona: la tua visione del mondo, i limiti a quanto tu sia "progressista", perfino la sincerità del tuo intento – che a questo punto può essere messa in dubbio – quando hai incluso queste tematiche nei tuoi libri.
In sostanza, il tuo bimbo letterario è cresciuto e può vivere senza di te. Possiamo amarlo nonostante abbiamo perso ogni ragione per amare chiunque l’abbia scritto. E anzi, il fatto che un messaggio così positivo abbia permeato la tua opera nonostante tu stessa discrimini un particolare gruppo la dice lunga su quanto sia fondamentale e universale, perché nemmeno la tua piccola mentalità meschina può impedirgli di diffondersi.
 
Detto questo, da Corvonero orgoglioso ti inviterò sempre a passare un po’ di tempo da sola col tuo cervello (possibilmente via da Twitter) a esplorare le ragioni per cui ti comporti in un certo modo, istruirti sia sulle ragioni empiriche del backlash che hai subito sia sulle esperienze aneddotiche delle persone reali che soffrono a causa di una mentalità come la tua, riconoscere i limiti dei pregiudizi che hai e superarli.
E sottolineo che lo dico da Corvonero perché la base stessa della tua posizione è fortemente antiscientifica ed è quindi antitetica con ciò che secondo il Cappello Parlante è il mio valore fondamentale.

Ad esempio, il tuo ragionamento non è solo transfobico, ma ha anche profonde radici nella misandria, che è altrettanto ingiusta. L’intero motivo per cui vorresti escludere le donne trans dai safe space ha radici nell’idea che, per creare un luogo sicuro per le donne, tutto ciò che ha a che fare con gli uomini, per quanto alla lontana, debba essere escluso. Le implicazioni sono che a) tutti gli uomini sono intrinsecamente violenti e predatori, a prescindere dalle loro esperienze di vita, b) le donne trans sono intrinsecamente violente e predatrici a causa del cromosoma con cui sono nate, a prescindere dalle loro esperienze di vita e personalità, e c) non riconosci che anche le donne cisgender possono essere violente e predatrici, sia verso le altre donne che verso gli uomini.
Tutto questo, semplicemente, non è vero: è confutato dalla scienza stessa e, se continui a negarlo, fai prima ad ammettere che è frutto di un tuo pregiudizio, così possiamo metterci l’anima in pace.
E lasciami anche sottolineare un’ovvietà: nel fare ciò, discrimini le donne trans due volte, sia per chi sono (donne trans) sia per chi non sono (uomini). Pensi ch sia giusto? Pensi che qualsiasi causa tu creda di difendere ne valga la pena? Pensi di poterti definire progressista e socialmente consapevole? Non puoi, perché ciò per cui lotti è il riconoscimento dei tuoi pregiudizi, una parte dei quali coincide marginalmente con una causa progressista.
 
Proprio quest’anno, in cui il Mese del Pride è coinciso con Black Lives Matter e abbiamo visto come tutte le cause sociali siano interconnesse e vadano combattute in un fronte unitario, non c’è proprio spazio per te e il tuo tipo di “attivismo sociale”. Abbiamo bisogno di alleanza e unità, non esclusione ed elitismo. Non possiamo accettare qualcuno che pensa sia giusto lottare per una causa a discapito di un’altra.
Detto in soldoni, levati di mezzo, perché il femminismo starà meglio senza di te e le tue amiche TERF, mentre l’attivismo LGBTQ+ non ha bisogno di finire nel tuo fuoco incrociato, grazie.

Monday 1 June 2020

Riflessioni sul Mese del Pride 2020

E così si è fatto giugno. Normalmente a quest’ora si dovrebbe lucidare i lustrini e colorare gli arcobaleni, ma quest’anno, con tutto ciò che sta succedendo, temo ci si dovrà limitare all’attivismo online e fare a meno dei cortei.

Il fatto che il Pride quest’anno sia cancellato è una delusione. Ma alla luce degli avvenimenti più recenti, penso sia doveroso rimettere le cose nella giusta prospettiva: significa che possiamo permetterci di sospendere il Pride o celebrarlo low-key.
È vero, lo stato dei diritti LGBTQ+ è estremamente disomogeneo: alla meglio è ancora fragile e costantemente messo in dubbio, alla peggio terrificante e profondamente ingiusto; almeno in Occidente, però, siamo a un punto in cui possiamo saltare un anno senza sentirci costretti a scendere per strada per essere sentiti. Se possiamo concentrarci sul preservare la nostra salute sul lungo termine, significa che le nostre vite non sono in pericolo immediato (almeno per ora).

Che è poi il motivo per cui simpatizzo molto con la comunità Afroamericana che si è sollevata in protesta in questi ultimi giorni. Cioè, pensiamoci: un enorme gruppo si persone stanno volontariamente mettendo la loro salute a rischio (beh, più di quanto non lo sarebbe già solo affrontando la polizia) per far sentire le proprie voci. Quanto devono sentirsi in pericolo per scendere per strata in un momento come questo? Quanto devono essere brutte le circostanze?

Una rivolta così non scoppia dal nulla: è il risultato di una discriminazione estesa, ubiqua e sistematica. Sistematica nel senso che l’intero sistema è ostile a un particolare gruppo di persone: non è solo qualche mela marcia o cane sciolto, va ben oltre i singoli individui.
Questo non significa che dovremmo prendere un altro gruppo di persone – la polizia – e demonizzarlo indiscriminatamente: in quel caso sì, si tratta di individui, alcuni violenti e spregevoli, altri silenziosamente complici, altri che invece sono davvero lì per aiutare e proteggere gli altri. Ma dobbiamo riconoscere che è il sistema a essere difettoso, che è pieno di pregiudizi che danno a quegli individui violenti il potere di agire contro uno specifico gruppo di persone senza che ci sia una ragione logica. Indottrina le persone a dare la colpa alle vittime dipingendole come violente e sospette, allena la società in generale a considerare la violenza contro di loro normale e giustificata quando, in realtà, non lo è più che verso qualsiasi altra etnia. È questo che noi, alleati bianchi, dobbiamo impegnarci a fondo a sradicare, istruendoci, imparando quanto pià possiamo su quali sono i fatti, le statistiche, i casi più eclatanti, e correggendo gli altri bianchi in modo che i pregiudizi non continuino a diffondersi.

Ho sentimenti contrastanti per quanto riguarda la protesta violenta – e forse è ipocrisia, visto che come uomo gay ho dei diritti solo perché una donna trans nera ha lanciato un mattone sulla polizia e da lì si è scatenato l’inferno per giorni.
Di solito auspico metodi diversi, infiltrare il sistema per cambiarlo dall’interno con mezzi legali piuttosto che partire alla carica fuori dalla legalità. D’altro canto, è piuttosto chiaro che la via legale non ha prodotto risultati significativi, quindi forse questo scossone è necessario perché noi, che non viviamo il razzismo sulla nostra pelle, capiamo quanto la situazione sia orribile.
In ogni caso, non è questo il punto: le rivolte sono un sintomo, e ciò che dobbiamo concentrarci a curare è il razzismo sistematico che le ha causate.

Ci tengo a sottolineare quanto sia importante che la comunità LGBTQ+ sia vicina a quella Nera e a tutte le altre minoranze in tutto il mondo: stiamo combattendo su fronti diversi della stessa guerra. Dopo tutto, esistono posti in cui le vite delle persone LGBTQ+ sono in pericolo tanto quanto lo sono le vite degli afroamericani negli USA; quindi, come comunità, capiamo eccome come ci si senta, anche se personalmente viviamo in posti in cui l’omofobia è meno apertamente violenta.
E nemmeno sapere per esperienza diretta com’è essere vittime di discriminazione ci impedisce dal diventare involontariamente gli oppressori di qualcun altro: esistono gay razzisti e neri omofobi, gay misogini e donne transfobe.
Abbiamo bisogno di empatia per vincere questa lotta. Dobbiamo sostenere le cause altrui se vogliamo far avanzare la nostra, pensare che anche gli altri stanno affrontando la nostra stessa discriminazione, solo per ragioni differenti, e che la lotta per migliorare la società è di tutti.

Il che mi porta al mio ultimo punto, che è rivolto specificamente alle persone di colore: vi prego, abbiate pazienza con noi in questo momento. E per noi, intendo gli alleati bianchi: sicuramente saremo maldestri nell’unirci alla vostra lotta, perché la discriminazione razziale non fa parte delle nostre esperienze personali e quindi non siamo consapevoli di tutte le ramificazioni; ma abbiamo buone intenzioni.
Ad esempio, quando un alleato etero mi dice che una rappresentazione positiva della comunità LGBTQ+ non dovrebbe essere una gran notizia perché non dovrebbe esserci differenza, capisco che ha buone intenzioni e vorrebbe davvero un mondo in cui la differenza è superata, ma gli spiego con calma che arrivare alla piena uguaglianza è un processo che necessita di attraversare una fase di rappresentazione positiva per contrastare quella negativa che l’ha preceduta.
Quindi, quando abbiamo buone intenzioni ma facciamo qualche stupidaggine cercando di aiutare, per favore, non prendetela a male, piuttosto indicateci le giuste risorse per istruirci e diventare alleati migliori.

Ci sono momenti in cui tutto questo sembra senza speranza. Sembra che abbiamo lottato con tutte le forse tanto a lungo e ottenuto pochissimo. Ma le cose stanno cambiando. Stanno migliorando, anche se lentamente. Non dobbiamo rinunciare: dobbiamo unirci, tutti noi, e pretendere una società migliore su tutti i fronti.
I cambiamenti richiedono tempo, ma prima o poi arrivano: nessuno può fermarli. Possiamo avere imprevisti, ritardi, momenti in cui sembra che l’intera società stia andando indietro, ma nessuno può dis-vedere, dis-sentire o disimparare qualcosa. Di fronte alla verità di cosa la discriminazione fa agli esseri umani, persino la persona peggiore ha quel piccolo granello di dubbio, o vergogna, o consapevolezza che ciò che fa è sbagliato e ci saranno conseguenze. E quando persone meno cattive, o migliori, o proprio brave ne diventano consapevoli, non possono tornare indietro, diventeranno parte del miglioramento della società.
È un lavoro tremendo, ma insieme possiamo farcela.

Buon mese del Pride a tutti quelli a cui è stato detto di vergognarsi per ciò che sono.