E così si è fatto giugno. Normalmente a quest’ora si dovrebbe lucidare i lustrini e colorare gli arcobaleni, ma quest’anno, con tutto ciò che sta succedendo, temo ci si dovrà limitare all’attivismo online e fare a meno dei cortei.
Il fatto che il Pride quest’anno sia cancellato è una delusione. Ma alla luce degli avvenimenti più recenti, penso sia doveroso rimettere le cose nella giusta prospettiva: significa che possiamo permetterci di sospendere il Pride o celebrarlo low-key.
È vero, lo stato dei diritti LGBTQ+ è estremamente disomogeneo: alla meglio è ancora fragile e costantemente messo in dubbio, alla peggio terrificante e profondamente ingiusto; almeno in Occidente, però, siamo a un punto in cui possiamo saltare un anno senza sentirci costretti a scendere per strada per essere sentiti. Se possiamo concentrarci sul preservare la nostra salute sul lungo termine, significa che le nostre vite non sono in pericolo immediato (almeno per ora).
Che è poi il motivo per cui simpatizzo molto con la comunità Afroamericana che si è sollevata in protesta in questi ultimi giorni. Cioè, pensiamoci: un enorme gruppo si persone stanno volontariamente mettendo la loro salute a rischio (beh, più di quanto non lo sarebbe già solo affrontando la polizia) per far sentire le proprie voci. Quanto devono sentirsi in pericolo per scendere per strata in un momento come questo? Quanto devono essere brutte le circostanze?
Una rivolta così non scoppia dal nulla: è il risultato di una discriminazione estesa, ubiqua e sistematica. Sistematica nel senso che l’intero sistema è ostile a un particolare gruppo di persone: non è solo qualche mela marcia o cane sciolto, va ben oltre i singoli individui.
Questo non significa che dovremmo prendere un altro gruppo di persone – la polizia – e demonizzarlo indiscriminatamente: in quel caso sì, si tratta di individui, alcuni violenti e spregevoli, altri silenziosamente complici, altri che invece sono davvero lì per aiutare e proteggere gli altri. Ma dobbiamo riconoscere che è il sistema a essere difettoso, che è pieno di pregiudizi che danno a quegli individui violenti il potere di agire contro uno specifico gruppo di persone senza che ci sia una ragione logica. Indottrina le persone a dare la colpa alle vittime dipingendole come violente e sospette, allena la società in generale a considerare la violenza contro di loro normale e giustificata quando, in realtà, non lo è più che verso qualsiasi altra etnia. È questo che noi, alleati bianchi, dobbiamo impegnarci a fondo a sradicare, istruendoci, imparando quanto pià possiamo su quali sono i fatti, le statistiche, i casi più eclatanti, e correggendo gli altri bianchi in modo che i pregiudizi non continuino a diffondersi.
Ho sentimenti contrastanti per quanto riguarda la protesta violenta – e forse è ipocrisia, visto che come uomo gay ho dei diritti solo perché una donna trans nera ha lanciato un mattone sulla polizia e da lì si è scatenato l’inferno per giorni.
Di solito auspico metodi diversi, infiltrare il sistema per cambiarlo dall’interno con mezzi legali piuttosto che partire alla carica fuori dalla legalità. D’altro canto, è piuttosto chiaro che la via legale non ha prodotto risultati significativi, quindi forse questo scossone è necessario perché noi, che non viviamo il razzismo sulla nostra pelle, capiamo quanto la situazione sia orribile.
In ogni caso, non è questo il punto: le rivolte sono un sintomo, e ciò che dobbiamo concentrarci a curare è il razzismo sistematico che le ha causate.
Ci tengo a sottolineare quanto sia importante che la comunità LGBTQ+ sia vicina a quella Nera e a tutte le altre minoranze in tutto il mondo: stiamo combattendo su fronti diversi della stessa guerra. Dopo tutto, esistono posti in cui le vite delle persone LGBTQ+ sono in pericolo tanto quanto lo sono le vite degli afroamericani negli USA; quindi, come comunità, capiamo eccome come ci si senta, anche se personalmente viviamo in posti in cui l’omofobia è meno apertamente violenta.
E nemmeno sapere per esperienza diretta com’è essere vittime di discriminazione ci impedisce dal diventare involontariamente gli oppressori di qualcun altro: esistono gay razzisti e neri omofobi, gay misogini e donne transfobe.
Abbiamo bisogno di empatia per vincere questa lotta. Dobbiamo sostenere le cause altrui se vogliamo far avanzare la nostra, pensare che anche gli altri stanno affrontando la nostra stessa discriminazione, solo per ragioni differenti, e che la lotta per migliorare la società è di tutti.
Il che mi porta al mio ultimo punto, che è rivolto specificamente alle persone di colore: vi prego, abbiate pazienza con noi in questo momento. E per noi, intendo gli alleati bianchi: sicuramente saremo maldestri nell’unirci alla vostra lotta, perché la discriminazione razziale non fa parte delle nostre esperienze personali e quindi non siamo consapevoli di tutte le ramificazioni; ma abbiamo buone intenzioni.
Ad esempio, quando un alleato etero mi dice che una rappresentazione positiva della comunità LGBTQ+ non dovrebbe essere una gran notizia perché non dovrebbe esserci differenza, capisco che ha buone intenzioni e vorrebbe davvero un mondo in cui la differenza è superata, ma gli spiego con calma che arrivare alla piena uguaglianza è un processo che necessita di attraversare una fase di rappresentazione positiva per contrastare quella negativa che l’ha preceduta.
Ad esempio, quando un alleato etero mi dice che una rappresentazione positiva della comunità LGBTQ+ non dovrebbe essere una gran notizia perché non dovrebbe esserci differenza, capisco che ha buone intenzioni e vorrebbe davvero un mondo in cui la differenza è superata, ma gli spiego con calma che arrivare alla piena uguaglianza è un processo che necessita di attraversare una fase di rappresentazione positiva per contrastare quella negativa che l’ha preceduta.
Quindi, quando abbiamo buone intenzioni ma facciamo qualche stupidaggine cercando di aiutare, per favore, non prendetela a male, piuttosto indicateci le giuste risorse per istruirci e diventare alleati migliori.
Ci sono momenti in cui tutto questo sembra senza speranza. Sembra che abbiamo lottato con tutte le forse tanto a lungo e ottenuto pochissimo. Ma le cose stanno cambiando. Stanno migliorando, anche se lentamente. Non dobbiamo rinunciare: dobbiamo unirci, tutti noi, e pretendere una società migliore su tutti i fronti.
I cambiamenti richiedono tempo, ma prima o poi arrivano: nessuno può fermarli. Possiamo avere imprevisti, ritardi, momenti in cui sembra che l’intera società stia andando indietro, ma nessuno può dis-vedere, dis-sentire o disimparare qualcosa. Di fronte alla verità di cosa la discriminazione fa agli esseri umani, persino la persona peggiore ha quel piccolo granello di dubbio, o vergogna, o consapevolezza che ciò che fa è sbagliato e ci saranno conseguenze. E quando persone meno cattive, o migliori, o proprio brave ne diventano consapevoli, non possono tornare indietro, diventeranno parte del miglioramento della società.
È un lavoro tremendo, ma insieme possiamo farcela.
Buon mese del Pride a tutti quelli a cui è stato detto di vergognarsi per ciò che sono.
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