Thursday 29 October 2020

Il primo non-Lucca

Sto cercando di capire come mi sento riguardo al fatto che, per la prima volta dal 2009, quest’anno salterò il Lucca Comics & Games. Per motivi più che ovvi, direi, ma penso sia comunque qualcosa che vale la pena menzionare.

A rileggermi, è già dal 2013 almeno che vado senza grande entusiasmo per la fiera in sé, ma più come tradizione, per vedere gli amici e per lavorare. L’anno scorso non è andata molto diversamente rispetto al 2018 e, sebbene il lavoro sia stato meno, ho anche speso meno, comprando letteralmente solo due magliette. Per molti versi, è come se non fossi proprio andato.
Mentre scrivevo il post sul cambio dell’ora, mi sono anche accorto che ho smesso di svegliarmi di buon’ora e fiondarmi subito fuori di casa come se perdere tempo a riposare significasse sprecare la mia visita lì, mentre i primi anni passavo ogni secondo in fiera, dalla mattina presto all’ora di chiusura. Anzi, l’anno scorso mi svegliavo con molta calma a metà mattinata giusto in tempo per fare colazione, prendere una spuma bionda al bar e andare a scattare il primo shoot della giornata; finito l’ultimo, tornavo subito a casa per una pennichella di metà pomeriggio per poi raggiungere Alessio e Claudio in orario di chiusura giusto per fare due chiacchiere sulla giornata.
(Per completezza: probabilmente, non prender più il biglietto da anni ha contribuito alla mia rilassatezza nei confronti della fiera. Non spenderci sopra soldi toglie quella frenesia di non voler sprecare nemmeno un secondo del tempo per cui si è pagato.)

A ben pensarci, forse Lucca non è nemmeno più una tradizione; forse è solo testardaggine.
Però il pensiero di non rivedere amici e conoscenti in fiera mi rattrista. Quello e il fatto che se non posso avere qualcosa inizio a volerla.
Ad essere onesto, comunque, non mi sto strappando i capelli. È più il senso di iconoclastia. Mi chiedo anche come ciò si rifletterà quando, in un mondo post-covid, si potrà tornare in fiera e dovrò decidere autonomamente se andare, senza più l’incentivo di non essermi perso nemmeno un’edizione in oltre un decennio.

Ah, e ovviamente quest’anno le previsioni danno soleggiato, massimo nuvoloso, tutti i giorni tranne l’ultimo. La beffa suprema: l’unico Lucca Comics asciutto negli ultimi dieci anni sarà quello a cui nessuno potrà andare.
Quest’anno non la finisce proprio di essere una carogna.

Wednesday 28 October 2020

Passi avanti

Del sogno che ho fatto stanotte ricordo solo la parte finale. Sono certo che fosse successa molta altra roba prima, ma al punto in questione ero a Vinci e c’era qualcuna delle mie amiche del giro cosplay, sebbene non ricordi chi nello specifico. Questa mia amica aveva addosso il vestito rosso della Ciospa, quello che aveva cucito apposta per il nostro shoot. Non appena lo notavo, le proponevo uno shoot al più presto. E sì, una parte di me lo faceva semplicemente perché il vestito le stava proprio bene, un’altra invece per lanciare l’ennesima frecciata alla Ciospa e mostrarle che era perfettamente sostituibile.
In effetti, nei miei piani c’era di usare dei tempi molto veloci e approfittare della brezza per scattare in controluce al tramonto una specie di danza, catturando ogni movimento e drappeggio della stoffa per creare una serie ispirata a Shake It Out di Florence + The Machine molto migliore di quella che avevamo fatto con la Ciospa (che in real life è la foto che meno mi soddisfa di quel set).
Io e la mia amica ci facevamo una passeggiata per stabilire i dettagli e arrivavamo in punta al Molo Audace a Trieste (dove avevo effettivamente fatto quelle foto con la Ciospa) e ci sedevamo a parlare lì. Solo che a un certo punto il mare s’ingrossava: la prima onda s’infrangeva senza problemi davanti al molo, mentre la seconda saliva sopra e rischiava di bagnarci. Allora io all’inizio sollevavo semplicemente il bacino per non rischiare di bagnare il telefono, ma poi mi accorgevo che non bastava e iniziavo a indietreggiare a gattoni cercando di restare dove l’acqua era più bassa. E sì, alla fine ci riuscivo e salvavo il telefono.
Poi mi sono svegliato.

Credo che questo sogno sia stato il riflesso di almeno un paio di cose: Lucca che quest’anno salta, con la mia nostalgia per gli amici di fiera, e il secondo dei revenge shoot per il progetto sugli Hurts, che sto pianificando in un punto in cui ho scattato con la Ciospa qui ma che è molto esposto alle onde quando tira vento (ci sono passato vicino ieri o l’altro ieri e ho proprio notato quanto in su salissero gli spruzzi).
È interessante, però, che anche in sogno stia iniziando a sostituirla del tutto. Nell’ultimo paio d’anni ho sognato diverse volte lei che si comportava fingendo che non fosse successo nulla mentre io non volevo averci a che fare; poi ho sognato che era diventata ostile ed era a sua volta arrabbiata per come avevamo lasciato le cose, ma almeno riconosceva l’accaduto. Adesso finalmente non è comparsa affatto e, anzi, ho iniziato a fare piani sostituendola.
Questo, unito al fatto che mi sono trovato in difficoltà ma sono riuscito a cavarmene fuori sul finale del sogno, spero significhi che sto facendo dei passi avanti nel riportare quantomeno il rancore a livelli gestibili.

A proposito di passi avanti, oggi parlando con un amico sono riuscito a fare un’importante ammissione: il vero motivo per cui non sono più andato in terapia negli ultimi due anni e mezzo è che la mia fiducia verso il mio terapista è venuta meno.
Se qualcuno ricorda le mille paturnie che mi ero fatto per organizzare il viaggio a Roma / Napoli per scattare Belial, il penultimo Infernal Lord, beh, è quello. Non ricordo nemmeno di preciso la sequenza degli eventi, a quanto avevo accennato prima di partire, ma sono piuttosto sicuro che il dramma si sia consumato dopo che ero tornato trionfante. Gli ho parlato di come la mia ansia si fosse rivelata infondata, ho accennato al tema dello shoot e del progetto in generale, e lui ha praticamente smattato che i demoni sono cose con cui non si deve giocare e che avrei dovuto lasciar perdere tutto.
Ecco, in quel momento mi sono sentito personalmente attaccato (di solito lo dico ironicamente, “I feel personally attacked by this”, ma stavolta dico sul serio) e la cosa ha frantumato la mia fiducia. Non mi sono più sentito in uno spazio sicuro in cui potermi aprire senza temere un giudizio, che è la cosa peggiore che può capitare durante una terapia. Ho fatto ancora qualche sessione prima di partire, ricordo di non aver avuto particolari problemi di cui discutere visto che, tolti un paio di inconvenienti, ero più che altro euforico per i progetti post-Vinci che avevo con la Ciospa (povero stronzo), ma poi non sono più tornato nonostante a fine 2018 avessi da gestire la delusione estiva e nel 2019 fosse successo quello che è successo.
Mi sono detto che era per una questione di tempistiche, che tanto tra Lucca e le vacanze natalizie in Sardegna c’erano poche settimane, che poi stavo troppo male e non riuscivo ad andare a chiedere aiuto, ma la realtà è che non sono più tornato perché non riuscivo più a fidarmi di lui, perché l’idea di riprovare ad aprirmi con lui era assurda.
Ecco, ora l’ho detto.
Un’epifania che ho cercato d’ignorare per oltre due anni ma che mi è finalmente salita a galla.
Magari anche questo è un passo avanti e finalmente mi permetterà di cercare altrove e riprendere un percorso di cui ora più che mai sento di aver bisogno.

Sunday 25 October 2020

Ora solare forever

Oggi sono abbastanza scombussolato, come, del resto, era prevedibile. Giro per casa spaesato, non ho idea se sia il caso di avere fame o meno, ho più sonno del solito… un disastro.
Ma se Dio vuole (leggi: se i nostri politici smettono di essere degli imbecilli), questa sarà l’ultima o la penultima volta che accade.

Ho già scritto a più riprese, fin dagli albori del blog su Splinder, quanto odi l’ora legale (edizione 2007, 2009, 2010 e 2018); nel corso degli anni non è cambiato nulla. Per quanto sembri strano, considerando il mio attuale stile di vita, quando mi impongono il jet lag finisco puntualmente per non capire niente per settimane dopo la funesta data. Di conseguenza, sono molto, molto contento che l’Unione Europea abbia finalmente imposto un ultimatum agli Stati membri affinché scelgano un’ora e tengano quelle (nel post del 2018 ho incorporato il video di CGP Grey in cui spiega perché l’ora legale è perfettamente inutile al giorno d’oggi). Ora è solo questione di vedere cosa decideranno i nostri politici, se tenere la solare o adottare la legale. Per quanto mi riguarda, l’importante è che restino fermi, mannaggia a loro.

A quanto pare, comunque, il cambio autunnale lo soffro meno di quello primaverile: è la prima volta da tanto tempo che l’ora legale termina mentre io non sono a Lucca (argomento che penso richiederà un post a parte), e lì è più difficile accorgermi del cambiamento perché non ho una routine e, anzi, giro come una trottola dalla mattina più o meno presto alla sera. Al massimo ecco, quell’ora di sonno in più la domenica arriva come una vera e propria benedizione, in quei giorni.
Stando in casa, però, mi rendo conto che il passaggio all’ora solare mi viene più facile: alla peggio, sono confuso e un po’ assonnato; ma mi accorgo di essere meno ansioso e di avere improvvisamente un sacco di tempo a disposizione. Tutto è meno frenetico, e quel poco di ansia residua che ho svanisce appena guardo l’orologio e mi accorgo che è ancora miracolosamente presto.
Del resto, nel mio primo rant definivo l’ora legale come “un’ora di vita rubata” ed è quando entra in vigore che ho più problemi a trovar pace: probabilmente, perfino nel mio ciclo sonno-veglia snaturato resto comunque legato al ciclo solare e sballarlo di un’ora mi risulta innaturale.

Comunque, pare che l’Europa sia divisa per latitudine, con i Paesi settentrionali che vogliono fermarsi sull’ora solare e quelli meridionali sulla legale. Personalmente preferirei la solare per i motivi che ho descritto sopra, ma davvero, mi basta che l’incubo finisca.
Oh, e le meridiane: l’ora legale permanente sballerebbe le meridiane per sempre, e la cosa mi urterebbe oltremodo. Ora solare forever, please.

Wednesday 14 October 2020

Esistono gli incel gay

Non penso ci sia un modo per indorare il titolo del post – o, se c’è, sono troppo amareggiato dall’umanità per ingegnarmi a trovarlo.
Ebbene sì, signore e signori: esistono anche gli incel gay. Scoperto giusto oggi direttamente su PlanetRomeo fra gli utenti che hanno visitato il mio profilo:

 
Trent’anni, un metro e sessantacinque per novantotto chili. “Vivere pieno di odio, disprezzo e rimpianto. Morire suicida. Il riassunto della mia vita”. Fisico panciuto, senza barba ma peloso, in cerca di amici, sesso o relazione tra i ventisette e i trentun anni.
La morte è tragica ma la vita è misera. Specialmente se sei un incel.
Non chiedetemi una foto, mi troverete troppo brutto o ‘non il mio tipo’. E fidatevi, essere uno svedese brutto significa che il primo pensiero la mattina è ‘la mia vita è disgustosa, voglio morire’.
Inoltre, odio il mio corpo senza bisogno che me lo facciate notare.
 Perché certa gente scrive cose tipo ‘Voglio incontrare brave persone’? Non volete brave persone, volete modelli. Non vorrei mai essere vostro amico (ho due lauree, cercate cos’è una cotutelle, e un lavoro molto ben pagato nel risparmio gestito... la maggior parte di voi hanno solo un diploma della scuola media e lavori di bassa manovalanza), ma almeno amici con benefit. In ogni caso, non ottengo mai ciò che voglio e voi continuate a mentire.
Se c’è qualcuno là fuori, ho imparato a non aspettarmi nulla. Dopo tutto, ci sono più ragioni per fregarsene e non condividere nulla.
Auguro alla maggior parte di voi un cancro al pancreas.
Wow. No, davvero, wow.
Per i pochi fortunati che ancora non sanno cosa sono, gli incel sarebbero gli autoproclamati “involontariamente celibi”, ovvero uomini che ritengono di avere il “diritto” a una relazione sessuale e/o affettiva con una donna e che il loro essere single sia una decisione da parte delle donne, superficiali e arriviste, che subiscono loro malgrado solo perché non sono ricchi o attraenti (da qui celibato “involontario”). La realtà è un pochino diversa e si tratta di uomini che, semplicemente, hanno fallito nel creare rapporti costruttivi con l’altro sesso e anche con se stessi, e odiano quindi tutti: le donne che non gliela danno, gli uomini che hanno più successo di loro, la loro vita perché non ottengono ciò che vogliono anche se puntano i piedi.
Ecco, finora non avevo idea che questo fenomeno esistesse anche nella comunità gay e mi è davvero cascata la mandibola. Anche se, a onor del vero, il tizio qui sembra essere l’unico articolo genuino sull’app: gli altri due profili che escono cercando “incel” sono un venticinquenne alquanto palestrato (sempre se è lui) che ha la parola nel nick ma non scrive nulla nel profilo e un cinquantacinquenne che l’ha menzionata en passant nella bio in altri contesti.
Resta solo il nostro amico “unico svedese brutto” nella storia del suo popolo.

Beh, fortuna per lui che ha solo visitato il mio profilo e non mi ha scritto, se no mi sarebbe partito subito subito un consiglio non richiesto: il suo piccolo flex sull’avere un lavoro ben retribuito gli toglie automaticamente ogni scusa per definirsi “incel”.
Se guadagna bene, vuol dire che può permettersi tutto il sostegno professionale di cui ha bisogno per darsi una sistemata: un dietologo o nutrizionista per perdere peso, un abbonamento in palestra per ridefinire il fisico e, soprattutto, un terapista per lavorare sui problemi di autostima e sul modo che ha di rapportarsi agli altri.
Davvero, non c’è nulla che gli impedisca di trovare aiuto. Anche ipotizzando che di viso non sia un granché e che l’altezza gli dia problemi, i mezzi per intervenire sia sul suo corpo, visto che è chiaramente è una fonte di disagio, sia sulla sua mente, che chiaramente necessita di un intervento – uno che gli permetta di stare bene con se stesso e di non essere sgradevole agli altri, perché sicuramente un atteggiamento del genere non contribuisce a fargli guadagnare punti.
Detto francamente, sedersi a terra e organizzarsi un pity-party piuttosto che rivolgersi a qualcuno che lo guidi nel prendere in mano la sua vita è una sua scelta deliberata, non c’è nulla di “involontario”. Il problema, come per tutti gli incel, non sono gli altri: è lui, la sua autopercezione e il suo modo di porsi nei confronti del mondo.

Thursday 8 October 2020

Polvere addosso

Ho sognato che ero in giro con la Mater.
Era più o meno l’ora del crepuscolo, il cielo era di quell’azzurro scuro e desaturato che assume dopo che il sole è tramontato ma c’è ancora luce, e il Centro Storico era già illuminato dalle lampade al sodio ma non aveva perso ancora i colori, così che le chiazze di luce dorata sfumavano in un alone lilla prima di perdersi nell’azzurrino della luce ambientale.
Io e la Mater eravamo in via Carlo Alberto all’altezza di Piazza dello Sventramento, il selciato era umido e rifletteva le luci dei lampioni. Era inverno e alcuni negozi avevano già le decorazioni natalizie, compresi i tappeti rossi davanti agli ingressi, fradici e sporchi.

Eravamo diretti da qualche parte e, mentre passavamo, una negoziante si mette a spazzare per strada in modo da gettarci addosso la polvere. Io mi innervosisco, le dico di fare più attenzione, e quella inizia a fare la vittima dicendo che la stiamo disturbando. Mentre ci allontaniamo si lagna che è una negoziante temporanea solo per il periodo natalizio come se questo la giustificasse nel buttarci addosso la polvere. Dopo diversi metri, mi volto di colpo e le urlo qualche insulto, dopo di che proseguo meditando vendetta.

Arriviamo in un palazzo del centro storico in un’aula illuminata da quei neon biancastri con la sfumatura quasi verdognola. Siamo lì per un corso d’inglese (nota dolente per la Mater anche IRL) e prendiamo subito posto ai nostri banchi. A una certa, Sharon Den Adel (sì, a quanto pare continuo a sognare cantanti a caso) mi fa notare che non ho la mascherina, e lo dice lasciando capire di essere molto delusa per la mia dimenticanza e negligenza. La lezione sta per iniziare, non avrei tempo di tornare a casa a recuperarla, ma mi accorgo che sotto il banco ce n’è na di quelle farlocchissime senza nemmeno i ferretti; è lì da tanto tempo ed è piena di polvere, ma la indosso comunque per non deludere ulteriormente Sharon. A causa della polvere mi si tappa il naso, ma faccio finta di nulla per non sembrare malato.

Inizia la lezione (Sharon non è la professoressa, è lì per seguire il corso) e la Mater alza la mano per fare una domanda su una cosa che non le è chiara. Una tizia a caso fra gli studenti, però, la interrompe con aria di sufficienza, come se desse per scontato che non sapere quel dettaglio fosse da ignoranti, e la prof inizia a dare corda a lei invece che rispondere alla domanda della Mater.
La cosa mi irrita e quindi le dico di starsene zitta perché qualcuno aveva fatto una domanda prima di lei; quella in tutta risposta sposta il banco a destra del mio e mi risponde accavallando la gamba destra sulla sinistra e dondolandola in modo che la suola della scarpa tocchi i miei pantaloni neri e lasci delle strisciate di polvere grigio chiaro. Io le dico di smetterla e non provarci più, lei mi ignora, al che io la spintono e la faccio cadere di lato con tutto il banco.
La prof si china ad aiutarla a rialzarsi e la fa spostare, ma io non lascio correre perché nel frattempo la Mater, offesa per essere stata ignorata, ha iniziato a raccogliere le sue cose per andarsene. Minaccio di andarmene anch’io (so che, per qualche motivo, la mia presenza lì dà lustro al corso) e insisto che sia ingiusto che la prof non sia inetrvenuta a riprendere la maleducata che ha interrotto la domanda di un’altra studentessa e mi ha pure sporcato apposta i pantaloni.
A quel punto mi sveglio.

Dopo l’ultimo post taggato “cripta onirica”, ho deciso che, se quando mi sveglio ricordo il sogno e mi ha colpito particolarmente, lo annoterò e lo riporterò sul blog così da poterlo rileggere, ricordarlo e magari interpretarlo.
Anche perché sarò sincero: non ho idea di perché i temi ricorrenti di questo sogno siano stati la gente che fa di tutto per irritarmi e la polvere che mi finisce addosso, né tanto meno di perché la Mater sia stata una presenza costante e così importante.
Il mio subconscio funziona in modi misteriosi.

Thursday 1 October 2020

Revenge Shoot

Fra la mia riflessione (un po’ paraculo, bisogna ammetterlo) su come una bella amicizia possa sfumare in una semplice conoscenza senza bisogno di traumi o conflitti e la mia presa di posizione sul far valere i miei sentimenti e opinioni c’è stata, effettivamente, una goccia che ha fatto traboccare il vaso. Quando ho scritto il primo post ero sincero, non portavo rancore ed ero pronto a lasciar correre e metterci silenziosamente una pietra sopra, ma nel frattempo ho avuto modo di cambiare idea e tirare fuori tutto il risentimento di cui, sulle prime, nemmeno mi ero reso del tutto conto.

Oggi, a più di due anni di distanza dal casus belli e a oltre uno e mezzo da quando la persona in questione ha ricevuto quattro pagine word fitte fitte di Reason You Suck speech, mi capita ancora di lanciare frecciate acide e fare battute crudeli con persone informate dei fatti. Il più delle volte il discorso salta fuori per caso, ma capita anche che sia io a creare questo “caso” apposta per arrivare lì. Lo so, mi diverto con poco.

La cosa più interessante è che, in tutto questo, è uscito il nuovo album degli Hurts è molte delle canzoni trattano della fine di un rapporto sottolineando la colpa della controparte. Non sono io, sei tu, teso’. Addirittura, una di queste canzoni riprende quasi pari pari le mie battute conclusive delle quattro pagine di Reason You Suck speech. E considerando che gli Hurts hanno avuto un ruolo indiretto nell’intera faccenda, chi sono io per lasciar correre un’occasione d’oro come questa per lanciare shade sotto forma di foto da includere nel progetto ispirato alla loro musica?

Per cui eccomi qui, appena tornato da uno shoot per il primo di quelli che la Cami definirebbe “revenge shoot” (un po’ come il Revenge Dress di Lady Diana), pronto a riaprire le ostilità e lanciare shade senza che ci sia stata la minima provocazione dalla controparte, di cui non ho notizie dal giorno dopo il RYS speech (perché ovviamente non poteva non trovare una scusa per avere l’ultima parola, bitch).
E non lo faccio nella speranza che arrivi alla persona in questione, né per catarsi o roba simile: semplicemente, è bello prendere una delusione professionale e artistica e trasformarla in materiale per essere creativo.

Del resto, forse dovrei semplicemente rassegnarmi: la mia amicizia è rara, ma quando la concedo è per sempre. Ed è talmente profonda che, se mi si spinge al punto di ritirarla, al suo posto non potrà mai restare indifferenza, ma un rancore che, ugualmente, è per sempre. Sorry not sorry, bitch.