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Friday, 31 December 2021

Classifica musicale annuale – 2021

Nelle puntate precedenti:

2017;
2018;
2019;
2020.

Classifiche generali (1-50):
2016;
2017;
2018;
2019;
2020;
2021.

Classifiche generali (51-100):
2018;
2019;
2020;
2021.

1. Come ti sei appassionato alla posizione numero 30? (Siobhán Donaghy)
• Grazie alla reunion delle Vere Sugababes: ho adorato la sua voce su Flatline e ho provato ad ascoltarla da solista. Ottima, ottima idea.
2. Prima canzone ascoltata della numero 22? (Loreen)
• Adesso mi ritireranno la tessera di gay perché ai tempi non seguivo ancora l’Eurovision, ma è stata In My Head, non Euphoria.
3. Testo preferito della numero 33? (Blanche)
• Quella meraviglia che è Pain.
4. Album preferito della numero 49? (Within Temptation)
The Unforgiving.
5. Canzone preferita della numero 13? (Delerium)
• Hanno un catalogo talmente vasto che sceglierne una sola è impossibile: dico Silence, A Poem For Byzantium e Stay.
6. Album peggiore della numero 50? (Goldfrapp)
Head First ha il suo fascino camp, non lo nego, ma come album dei Goldfrapp…?
7. C’è una canzone della posizione numero 39 che senti molto tua? (The Gathering)
• Allora, sentite, Silje ha dedicato Saturnine a me e ai mei amici quella volta al concerto a Milano: più mia di così!
8. Bei ricordi legati alla numero 15? (Hurts)
• Ogni volta che ho finalmente fatto una foto ispirata alla loro musica che la Ciospa mi aveva fatto rimandare per anni e anni e anni.
9. Quanti album possiedi della numero 5? (Portishead)
• Tutti: i tre di studio e il Roseland NYC Live.
10. C’è una canzone della numero 45 che ti rende felice? (Susanne Sundfør)
Fade Away e, in generale, tutto Ten Love Songs: mi ricordano le uniche settimane felici del 2015 mentre ero a Calenzano.
11. Canzone preferita della numero 40? (White Sea)
• Mi rifiuto di menzionarne meno di una per pubblicazione: Cannibal Love, NYC Loves You, Ellipsis, Amazon.
12. Canzone della numero 10 che ti piace di meno? (Anneke Van Giersbergen)
• *Meme del gabbiano che inspira profondamente* “Miranda… takes her eggs… sunny side up… in the morniiiiing”.
13. Bei ricordi evocati dalla numero 6? (Evanescence)
• La volta che ho realizzato il mio sogno adolescenziale di limonare ascoltando My Immortal a un concerto. Ah, se i rotolini di Pescy potessero parlare…
14. Canzone della numero 38 che associ a un momento o persona? (Woodkid)
The Golden Age (canzone e album in generale) a Francischino e i pomeriggi che abbiamo passato insieme a Firenze.
15. Quale canzone della numero 19 ti emoziona di più? (Roniit)
Still The Air.
16. Quante volte hai visto la numero 35 live? (Fever Ray)
• Magari, specie perché reinterpreta i vecchi brani con il sound dell’album attuale quando li ripropone durante il tour successivo!
17. Quale canzone ti ha fatto innamorare della 23? (Theatre of Tragedy)
• Allora, disclaimer: ne ho apprezzato i meriti e ho deciso di diventare un loro fan grazie a Venus e Aégis in generale, ma a farmi davvero innamorare sono state Debris e Storm (album).
18. Album preferito della numero 11? (Pure Reason Revolution)
• Mi sento sporco a scriverlo (non per l’album, che è ottimo, ma per la frase): Amor Vincit Omnia.
19. Prima canzone ascoltata della numero 14? (Soap&Skin)
• Di lei in collaborazione, Goodbye con Apparat; di lei da sola, Me And The Devil. Entrambe grazie a quel capolavoro che è Dark.
20. Canzone preferita della numero 27? (Charotte Wessels)
• Adoro da morire Superhuman: il testo, la melodia, l’arrangiamento con quegli archi tremolanti… Perfetta!
21. Album preferito della numero 16? (Sleepthief)
• Mi sa che è proprio Mortal Longing.
22. Prima canzone ascoltata della numero 47? (Sirenia)
• Questa la ricordo: Seven Sirens And A Silver Tear!
23. C’è una canzone della 18 che trovi catartica? (Kari Rueslåtten)
Wintersong.
24. Come hai scoperto la numero 21? (Oliver Goodwill)
• Da quella volta che ha interpretato quel bonazzo di Wolfie nel video di Call Me When You’re Sober degli Evanescence (sì, quel Wolfie è anche un musicista!).
25. Canzone della numero 26 che ti rende felice? (Victoria)
• Mmh, felice? Forse qualcosa delle tamarrate in bulgaro pre-maturità e pre-Eurovision? Però in generale mi rende felice aver scoperto Victoria in sé.
26. Canzone preferita della numero 3? (Róisín Murphy)
• Resta sempre quella meraviglia di Pandora.
27. Album preferito della numero 2? (Marina & The Diamonds)
• Con o senza Diamonds è sempre Froot.
28. Prima canzone ascoltata della numero 32? (Frou Frou)
• Aver sentito It’s Good To Be In Love è un trademark di qualsiasi adolescente dei primi Anni Duemila.
29. Testo preferito della numero 8? (Emilie Autumn)
Rose Red.
30. Quante volte hai visto la numero 17 live? (Eivør)
• Dal vivo dal vivo nessuna, ma ho assistito a svariati suoi live streaming dalla pandemia in poi. Comunque è un’esperienza da fare: dai suoi live album è chiaro che dal vivo Eivør è una divinità scesa in terra!
31. Come hai scoperto la numero 44? (Billie Eilish)
• Questa è insolita, ma è entrata nel mio radar grazie a Katia che me ne parlava spesso! Mi piace ascoltarla anche per questo, perché è raro che condividiamo musica.
32. Album della 12 che ritieni sottovalutato? (Rag’n’Bone Man)
Life By Misadventure è inferiore a Human, ma non è male e mi sembra sia passato del tutto inosservato; è un peccato.
33. Canzone peggiore della numero 29? (Florence + The Machine)
• Ribadisco tutto ciò che ho già scritto su Call Me Cruella.
34. Prima canzone ascoltata della numero 34? (Ramin Djawadi)
• “Para, para-para, para-para, para-para, para-para”. (Anche al di fuori della serie, però, è Light Of The Seven).
35. Album preferito della numero 28? (Elusive)
The Great Silence.
36. Quante volte hai visto la numero 42 live? (Röyksopp)
• Mai, ma se fanno un tour con Susanne Sundfør, Karin Dreijer e Jonna Lee mi fiondo in prima fila.
37. C’è qualche canzone della 36 che consideri un guilty pleasure? (Emmelie De Forest)
• L’ennesima ottima cover di Young And Beautiful che valorizza quel testo sciocchino in un modo che Laña non si sognerebbe nemmeno.
38. Come hai scoperto la numero 48? (Tom Ellis)
• Sentendolo cantare in Lucifer, ovviamente!
39. Album preferito della numero 7? (Emilie Simon)
Tutti. (Se proprio devo sceglierne solo uno, Végétal.)
40. C’è qualche canzone della numero 31 che ti mette nostalgia? (Paolo Buonvino)
• Sentire Truth mi fa venire voglia di riguardare I Medici e girare per Firenze.
41. Canzone della 41 che non ti piaceva ma adesso ami? (Autumn)
• Non ho avuto nessun cambiamento di opinione così drastico, ma ai tempi quando ero un metallino imbruttito consideravo Satellites un guilty pleasure alla meglio. Adesso l’ho semplicemente abbracciata per la canzone fantastica e dannatamente catchy che è.
42. Testo preferito della posizione numero 24? (Anette Olzon)
Bye Bye Bye già per il solo fatto di essere uno stacce ai Naituiss.
43. Canzone più emozionante della numero 46? (Lucia)
Holy è talmente emozionante che quando la ascolto mi fa sciogliere. Nonostante il trauma, non mi è rimasta impressa come “la canzone che ascoltavo quando la tempesta tropicale mi ha ucciso l’iPod”, è troppo magnifica.
44. Canzone della numero 25 che ti rende felice? (Hearts Of Black Science)
• Il T. Almgren Remix di Unfolding, in primo luogo perché è serena, in secondo perché la associo a una fanfiction Jaspward che leggevo mentre la ascoltavo. I regret nothing.
45. Canzone preferita della numero 9? (Diablo Swing Orchestra)
• Direi sempre Heroines.
46. Primo album ascoltato della numero 37? (Leprous)
Aphelion, e da lì sto andando a ritroso.
47. Membro preferito della numero 4? (Delain)
• Ora me la tirerò da morire, ma Charlotte mi segue su Instagram e visualizza sempre le mie storie, just saying.
48. Prima canzone ascoltata della posizione numero 43? (Alcest)
Souvenirs D’Un Autre Monde, duh.
49. Album che possiedi della numero 20? (ISON)
• Ho entrambi i primi EP.
50. Il miglior ricordo associato alla numero 1? (Epica)
• Tutti quelli che ho condiviso con le fantastiche persone che ho conosciuto grazie al forum di Epica Italy, tra cui la volta che mi sono fatto la foto con Daddy. E sì, è compresa la “piacevole” passeggiata a Bondeno che ha involontariamente lanciato la mia collaborazione fotografica con Luisa.

Tuesday, 12 October 2021

Stacked Smoke

La cosa più vicina a un incendio che io abbia mai vissuto è stata la Notte dei Lunghi Allarmi nella casa dello studente a Trieste. Ovvero, un prolungato quanto falso allarme dovuto a cause non meglio precisate che con gli incendi veri e propri non aveva nulla a che fare.
Almeno fino a stasera. Ieri sera, tecnicamente. Insomma, poche ore fa.
 


Sono le undici meno spicci di sera. Vado in bagno, sento odore di bruciato e, contrariamente al solito, scrollo le spalle e me ne frego. Dico “contrariamente al solito” perché al secondo piano abbiamo un tossicodipendente che vive da solo e io, essendo ansioso, ho sempre paura che metta la roba sui fornelli, si faccia di qualcosa e lasci che tutto bruci, quindi di solito mi affaccio a vedere se c’è fumo da lui.
Oggi, dicevo, decido di fregarmene e, tempo le undici, qualcuno ci suona il campanello: sono le vicine del piano di sopra che ci avvisano che c’è un incendio e dobbiamo scappare.
No, sul serio: c’è un incendio e dobbiamo scappare. Il pianerottolo è pieno di fumo, ci entra pure in casa.

Onestamente, non so tutt’ora come mi sia sentito in quel momento. Ho afferrato il telefono e chiamato il 118, dicendo con una voce incerta e incredula che c’era un incendio al mio indirizzo. E sottolineo, incredulo, perché queste cose di solito capitano o nei film, o agli altri.
Onestamente, mi fa strano ritrovarmi ora sotto shock perché, lì per lì, non credo di aver avuto paura. Non c’erano fiamme in vista e non penso che il cretino fosse riuscito a dar fuoco a chissà cosa – stupidamente non mi passa per la testa che le fiamme potrebbero raggiungere la bombola del gas, ma dettagli. Mi infilo un paio di pantaloni con le tasche, ci butto dentro l’iPod perché col cavolo che lo lascio bruciare se qualcosa va storto, poi il telefono e il borsellino con carte e documenti; infilo il computer nella borsa e prendo quello, la fotocamera e il teleobiettivo; la Mater nel frattempo ha afferrato un borsone e ci ha buttato dentro tutte le cartelle di documenti nostri, della casa e di chi più ne ha più ne metta.
Le vicine di sopra hanno già raccattato la loro roba, infilato il gatto nel trasportino e stanno scendendo. Noi ci accodiamo – rigorosamente per le scale, mai ascensore in queste situazioni – facendo il secondo giro di scampanellate a tutti.
Il grosso del fumo è nel terzo piano, il che significa che sta salendo, indovinate un po’, dal secondo, dalla casa del tossico. What a surprise. Dirimpetto a lui, la vedova (del tutto sola) è già da qualche mese che dà i numeri e mostra segni di senilità, e si rifiuta di uscire e mettersi in salvo. Io e la Mater la incoraggiamo, e quella chiude il portone. Ok.
Al piano di sotto, aiutiamo l’altra vedova, quella pluri-novantenne e super acciaccata (e anche lei del tutto sola), a scendere le scale. Ci troviamo sul marciapiede con i vigili del fuoco già sul posto e iniziamo a fare la conta: manca solo quella del secondo piano. Dal pian terreno portano un paio di sedie per far accomodare le più anziane. La Mater resta con la vedova del primo piano, tenendole le mani sulle spalle per tranquillizzarla; io afferro il telefono e chiamo Katia per avvisarla che potrei tardare un po’ al nostro appuntamento serale di visione di serie tv e roba su YouTube. La prima cosa che mi esce è una risata isterica che fa agghiacciare anche me. Giro l’angolo mentre le racconto in breve cosa succede perché improvvisamente sono fuori dalla grazia del Signore. Con tutto che non ho avuto paura sul momento e non sembra esserci nulla di davvero pericoloso.
Riattacco, mi assicuro che la Mater e la vedova stiano bene, mi avvicino ai canadesi del terzo piano perché, in tutto quel casino, col cavolo che mi lascio sfuggire l’occasione di parlare (e snarkare) in inglese. E perché, essendo i penultimi arrivati, si trovano in disparte e la cosa mi dispiace. Gli ultimi arrivati del palazzo sono quelli del pianterreno e hanno fornito le sedie, quindi almeno non sono esclusi.

Il nostro tossico ovviamente importuna i passanti curiosi che casualmente hanno da portare a spasso i cani proprio qui, chiedendo loro se hanno sigarette. Quando quello del terzo piano commenta che sente di nuovo odore di bruciato, io ribatto: “Yeah, well, somebody’s smoking. The irony. And the nerve.” facendo ridacchiare la moglie. Mi becco volentieri i complimenti per il mio inglese, ripercorriamo la mia carriera scolastica, scopro che lei aveva considerato di studiare a Trieste alla mia stessa facoltà, e intanto chiedo conferma ai pompieri che quella del secondo piano stia bene. Sì, per fortuna.
Ogni tanto mi avvicino anche alla Mater e alla vedova per vedere come stanno. La vedova ha freddo. Io poggio le borse, mi levo la giacca e gliela poggio sulle gambe, un po’ già pregustandomi i complimenti.
Si fa circa mezzanotte quando ci danno il via libera per tornare a casa; per fortuna la Mater si è fermata a fare pipì prima di uscire, e onestamente non l’ho nemmeno sgridata per quello perché immaginavo ne avremmo avuto per un po’.
 
Ringraziamo i pompieri, riaccompagniamo la vedova al primo piano, disseminiamo “buonanotte” ai vicini intorno a noi, torniamo a casa, spalanchiamo tutte le finestre, la vedova chiama e ringrazia tantissimo sia la Mater sia me: ecco i tanto agognati complimenti. Mi sento generoso e mando un WhatsApp al Guasto per dargli io la notizia e rassicurarlo sul fatto che noi stiamo tutti bene e la casa non ha subito danni, non si sa mai che finiamo sulla Nuova e lui legga. Chiamo Katia, le racconto e mi accorgo che inizio a tremare e sentirmi esausto: l’adrenalina è calata e sta subentrando lo shock.
Shock per cosa non lo so, visto che non ho visto le fiamme ed ero sempre consapevole che il pericolo fosse relativamente basso. Ma mi guardo intorno, vedo i miei pupazzi, i CD, i libri, l’armadio con i vestiti, tutte le cose che avrei perso se l’incendio si fosse propagato. Forse è la puzza pervasiva di bruciato, che si attacca a tutto e non lascia tregua anche ora che l’aria è tornata tecnicamente respirabile.
Forse, concludo, anche se è stato piccolo, è pur sempre stato un incendio, e gli incendi sono eventi intrinsecamente traumatici. E poi io sono un Tyrell: sono piuttosto suscettibile alle fiamme.
La battuta migliore, però, l’ha fatta Katia quando le ho detto che tutto è partito dal tossico che cucinava.
 
Ma stava cucinando cibo o crack?

Ha poi concluso che, visto che come inspiravo i fumi scoppiavo a ridere, probabilmente era la seconda. E, in tutto ciò, io rosicavo perché l’unica volta che avrei avuto ragione a insospettirmi per la puzza di bruciato non l’ho fatto. Mannaggia.
 
In questo momento sono esausto. Fisicamente esausto. Anche mentalmente: non ho avuto problemi a guardare Midnight Mass, ma ora non riuscirei, ad esempio, ad ascoltare musica o leggere o giocare a The Sims 4. Sto scrivendo più che altro per buttare fuori questo groppo di emozioni la cui natura non ho nemmeno compreso io stesso, e che si sono affastellate rapidamente quanto in sordina per tutta la sera.
Però adesso posso dire di essere sopravvissuto a un incendio. Non male, per un Tyrell.

Friday, 10 September 2021

Evanescence, dieci anni dopo

Sono passati dieci anni e credo sia il caso di parlare di Evanescence.
Non la band, non l’EP del 1998, ma l’album che porta questo titolo perché – lo sostengo ancora – Pescy & co. non avevano idea di cosa inventarsi.
Del resto, ho postato per il decennale del mio primo ascolto di Fallen, per quello dell’uscita di The Open Door, quindi perché rompere la tradizione? Dieci anni fa ad oggi Evanescence veniva diffuso illegalmente su internet (con un mesetto buono di anticipo rispetto alla pubblicazione, cosa che mi fece sghignazzare non poco) e sento di aver qualcosa da dire a riguardo.
 
Ovvero, col senno di poi ammetto che potrei essere stato eccessivamente duro con quell’album. Almeno un pochino.
Con questo no, Stefano, non sto dicendo che Evanescence fosse segretamente un bell’album fin dall’inizio: resto fondamentalmente dello stesso parere che espressi ai tempi (qui rifinito e approfondito come recensione vera e propria per Armonie Universali), al massimo alleggerirei un po’ il giudizio su un paio di brani. Però sarei sleale a non ammettere che lo espressi in maniera molto più dura del necessario e misi fin troppa enfasi sui lati negativi delle canzoni per pura Schadenfreude e pettiness.
Evanescence non è un buon album, ma non è la macchia indelebile sulla cultura musicale occidentale che cercai di farne all’epoca. A volte, vuoi per le circostanze, vuoi per stanchezza artistica, vuoi per la fretta, una band pubblica un album brutto: pace, ce ne si fa una ragione e si spera in quello successivo. Perché, quindi, tutta quell’acredine?

Beh, con dieci anni di maturità in più posso ammettere che il mio principale problema con Evanescence è che detesto non avere ragione. La sua stessa esistenza, a prescindere dal contenuto, mi urta perché ha smentito le mie teorie secondo le quali Pescy volesse lasciar morire gli Evanescence di incuria per dedicarsi al progetto solista, che ero pronto a sbattere in faccia con somma soddisfazione alla gentaglia del fanclub.
Che poi l’album fosse oggettivamente carente è stata una fortunata (quanto prevedibile) coincidenza, un bonus che mi ha permesso di ammantare di validità e critica musicale seria un’antipatia viscerale e personale. Per questo ho spolpato e rosicchiato la critica a quel disco con lo stesso gusto che riservavo alle alette di pollo dei Mastri d’Arme: perché avevo la scusa perfetta per farlo a pezzi a ragion veduta senza essere tacciato di parzialità. Ma sì, il vero motivo per cui criticare quella produzione opaca e cacofonica, quel songwriting insipido, quel sound generico e quegli arrangiamenti superficiali mi portava così tanto piacere è che rosicavo perché non avevo avuto ragione sul futuro della band. Quello, più il desiderio segreto di convincere quanta più gente possibile che quel disco non fosse necessario, così da sentirmi dire: “Cavolo, Alessandro, quanto sarebbe stato meglio se avessi avuto ragione e si fossero sciolti davvero!”. O che l’evidente mediocrità del prodotto fosse il colpo di grazia e la band si sciogliesse subito dopo.
Beh, a riguardarla dopo tutti questi anni, l’intera situazione era piuttosto ridicola. Me l’ero presa a morte per una futilità incredibile – se anche Pescy avesse messo la band in pausa a tempo indeterminato per fare le cose da solista, anche cinque, sei anni di silenzio non ne avrebbero necessariamente decretato la fine. E comunque, non fu poi molto tempo dopo che i miei gusti musicali maturarono e io stesso giunsi alla conclusione che un suo album solista synthpop sulla Luna (sempre per citare Stefano) sarebbe stato molto interessante.
 
Comunque sia andata con il non-split della band, ci tengo a sottolineare che in retrospettiva ho avuto ragione su praticamente tutto il resto circa il disco, come le interviste di Pescy hanno man mano rivelato esplicitamente o tra le righe: lei voleva dedicarsi al progetto solista, è stata la label a richiamarla (verosimilmente per via dei We Are The Fallen), le ha tirato dietro il materiale solista che aveva riconvertito di corsa ad album degli Evanescence, e poi hanno dovuto riscrivere tutto in fretta e furia – e da qui il disco è uscito com’è uscito.
 
Volendo dare un giudizio meno caustico, avrei comunque fatto fuori Siccoviroll Siccoviroll e The Other Side perché sono indegne, Made Of Stone continua a non potersi sentire (e non capisco perché i fan la adorino tanto), e Erase This avrebbe avuto bisogno di un vero ritornello.
Per il resto, se spengo il cervello e faccio finta forte forte che sia un’altra band, quasi quasi perfino Du Uocciuocciuon non è così insopportabile; buttata in radio ci sta, e forse non mi farebbe più perdere l’erezione per poterci alzare senza dare nell’occhio dalla panchina di Parco Sempione su cui stavamo limonando quella volta.
Sono anche abbastanza deciso a salvare Say You Will: non è un granché, ma nemmeno attivamente offensiva (perlomeno finché Pescy non tenta di cantarla live).
Droppate quelle tre canzonacce e incluse invece le quattro bonus track, avrebbe potuto essere un album decente degli Evanescence: non il loro migliore, sempre prodotto malissimo, ma ben sopra la sufficienza risicatissima che gli diedi ai tempi.
 
Quanto alla band, col senno di poi, sono tutto sommato contento di non aver avuto ragione: una volta fatta pace con Pescy, non mi sarei privato per nulla al mondo né di Synthesis, specie per come ha riportato in vita le canzoni di Evanescence, né tantomeno di The Bitter Truth.
Comunque, ritengo che l’intera epopea de La Pescivendola e dell’album peggiore di una delle mie band preferite sia una delle esperienze che più mi ha fatto crescere come fan e ascoltatore di musica: ho imparato che gli artisti hanno diritto a un loro arbitrio e una loro vita privata, che le loro creature possono anche sparire, ma i ricordi rimarranno sempre, che evolversi e cambiare idea è positivo, e che l’industria musicale è più complessa di “Ommioddio, se gli Evanescence non fanno un altro album entro tot tempo non avranno più i soldi per fare dei bei videclip e dovranno rassegnarsi a Pescy che fa jogging sul Brooklyn Bridge la sera per smaltire il matrimonio” (perché un rancore è per sempre, DeBeers™).

Ps, lo ribadisco per Stefano e Lukas: io sono stato perfido, ma Evanescence continua a essere un album brutto.
E per controbilanciare a questo mio momento di sincerità, ricordiamoci di quella volta che Pescy è cascata come una pera cotta sul palco.
DU UOCCIUOCCI– SBAM!


Saturday, 14 August 2021

Protectio memoriae

In un esercizio di assoluta futilità e pettiness, ho iniziato da un paio di giorni a togliere i tag della Ciospa a tutti i vecchi post su Facebook che li contenevano.
A dirla tutta, il vero motivo per cui non l’avevo fatto già gli anni scorsi è il ridottissimo tempo che dedicavo a quell’incubo di social network, figurarsi se avevo voglia di scavare tra i post passati. Ma dato che quest’anno Zuckerberg ha deciso di spammarmi i ricordi sotto forma di notifica quotidiana, probabilmente in un disperato tentativo di farmi trascorrere più tempo sulla sua piattaforma, ho ricominciato a scorrerli anche solo per levarmi la notifica, provando fastidio ogni volta che vedevo la Ciospa taggata.
Così ho deciso di intervenire caso per caso: basta uno schiocco di dita e voila, damnatio memoriae.
A volte lo faccio subito dopo mezzanotte, così che, se apre la pagina, dei suoi ricordi, non li troverà sicuramente. A volte me ne dimentico, e mi chiedo se l’anno prossimo si accorgerà che manca qualcosa.

Che poi mi chiedo: è davvero pettiness, la mia?
A muovermi è una specie di pudore. Si tratta dei miei ricordi, in fondo, e non voglio che una persona che si è dimostrata immeritevole del mio affetto e della mia considerazione vi abbia accesso.
È diverso rispetto alle foto: quelle, per quanto cariche di ricordi, hanno un valore primariamente artistico ed espressivo; c’è stato del lavoro da parte sua (per quanto, spesso, riluttante) ed è una cosa che rispetto.
Ma i post di cazzeggio su Facebook… quelli no. Non ha diritto di riviverli con me. Mi sono trovato spesso a sorridere per la nostalgia o perché dicevamo e facevamo cose genuinamente divertenti, e subito ho pensato che no, non si merita di sorridere e ricordare anche lei: ha perso quel diritto quando ha deciso di ignorare ciò che avevo da dirle per cercare di uscirne pulita.

Alla fine, forse non è nemmeno davvero una damnatio, quanto piuttosto una protectio memoriae. Lei ha fatto la sua scelta quando ha deciso di darmi per scontato pensando che non ci sarebbero state conseguenze. Ebbene, anche queste lo sono: mi riprendo l’esclusiva sui momenti di amicizia, visto che ormai posso essere certo della loro genuinità solo da parte mia.

Tuesday, 18 May 2021

Idraulicidio 2 – il ritorno

Chi è il povero deficiente che, la notte tra giovedì e venerdì, è rimasto in piedi fino alle quattro e mezza del mattino a guardare il live streaming degli Evanescence perché, tanto, la mattina dopo non aveva nulla da fare e poteva recuperare il sonno?
Naturalmente io.
E chi è che invece è stato balzato giù dal letto perché il termoidraulico ha nuovamente deciso di presentarsi di testa sua a fare i lavori la mattina stessa senza il minimo preavviso?
Ovviamente sempre io.
Francamente, mi sembra che, tra i due, l’unico che si sta impegnando perché non avvenga un idraulicidio sia io.
 
E così, è iniziata la cinque giorni (perché c’era di mezzo il week end) di lavori più esasperante della storia per installare i termosifoni e i relativi tubi dell’acqua calda. Perché il vecchio bacucco e i suoi anziani amici di merenda sono la crew più disorganizzata che ci potesse essere, e invece che partire da una stanza (sempre svuotata in fretta e furia), fare tutto quello che c’era da fare e poi passare alla successiva permettendoci di pulire e rimettere a posto, sono andati in ordine sparso, facendo un po’ qui, un po’ lì, andando avanti e indietro, sporcando una stanza, impolverando l’altra, rompendo lo sgabellino per salire a frugare sui pensili e pure il mio caricabatterie perché maremma impestata, se ti dico di aspettare che il comodino lo sposto io ci sarà un motivo.
La cosa più frustrante di questo loro approccio caotico è che, una volta pulito dietro loro in una stanza, il giorno dopo saremmo stati punto e accapo, perché prima hanno riempito di polvere e calcinacci facendo i buchi, poi hanno smosso quello che era rimasto infilando i tubi, poi hanno trapanato ancora per fissare le staffe, e noi, per tre giorni di seguito, abbiamo dovuto pulire sempre le stesse stanze, perché mica potevamo stare in mezzo alla polvere in tutto l’appartamento, e pure con la domenica di mezzo! Per non parlare poi che, con tutta la grazia elefantesca che hanno, il bel lavoro di imbiancatura che avevo fatto solo l’anno scorso è bello che andato.
 
Oh, e, fra l’altro, parlando di buchi nel muro, mica ‘sti tre imbecilli mi sbagliano di dieci centimetri buoni l’altezza dei tubi che dallo sgabuzzino entrano in camera mia? Nonostante si potessero regolare con l’altezza del tubo del gas che avevano installato la volta prima?! Sul serio, mi hanno trapanato un cratere nel muro per nulla, poi l’hanno dovuto richiudere a sputo e rifarlo nel posto giusto perché, oltre a essere orribili, i tubi a quell’altezza si sarebbero sovrapposti al cassettone dell’avvolgibile! Ma si può essere più imbecilli?
 
Di buono, in tutto ciò, c’è solo che ho avuto i miei momenti in cui sentirmi super intelligente.
Il primo perché sui tubi bianchi in PVC c’era un’orribile stampa in nero con vari dettagli tecnici, che i tre babbioni ovviamente non si sono premurati di mettere rivolta verso il muro. La Mater si stava già disperando per quanto brutte fossero le scritte, ma io mi sono ricordato di tutti i video che ho visto su PoppenAtelier e mi sono detto che se l’acetone va bene per togliere le facce stampate sulla plastica delle bambole, probabilmente avrebbe funzionato anche con le scritte sul PVC, e così è stato. Parte delle pulizie ha compreso quindi passare il cotone debitamente imbevuto sui tubi, lasciando le scritte solo su quelli dello sgabuzzino in caso servano un domani.
Il secondo perché l’aspirapolvere aveva improvvisamente iniziato a malfunzionare. Non si faceva in tempo ad accenderlo che subito si illuminava la spia del flusso d’aria insufficiente, nonostante avessimo cambiato il sacchetto due settimane prima dopo i lavori precedenti.
Col terrore che qualche calcinaccio aspirato avesse rotto qualcosa, mentre la Mater non c’era mi sono messo a fare diversi testi, scoprendo che la spia si accendeva solo quando tutto era chiuso e installato correttamente. Senza tubo, si accendeva dopo un po’; con lo sportellino del sacchetto aperto non si accendeva; senza sacchetto, che pure era mezzo vuoto, nemmeno. Sono così giusto con acume alla conclusione che il problema fosse che la polvere della muratura fosse più densa di quella normale (infatti l’aspirapolvere pesava uno sproposito) e che quindi ne bastasse molto meno per ostruire il passaggio dell’aria e far credere ai sensori che fosse troppo pieno per operare. Voilà, problema risolto.
Altro che questi imbecilli che non fanno altro che crearne di nuovi.

In ogni caso, mancano solo l’installazione della caldaia (in balcone, e per la quale non dovrò essere svegliato nuovamente la mattina), il collaudo e messa in funzione dell’impianto, e la sistemazione dei tubi dell’acqua calda, che non si capisce come avverrà. Fortunatamente, per nulla di ciò dovremo più svuotare l’intera casa senza preavviso. E francamente, quando avremo finito suggerirò caldamente alla Mater di cercare un’altra ditta per la manutenzione; non che serva molto convincimento, pure lei in ‘sti giorni è stata a tanto così da un bell’idraulicidio.

Saturday, 24 April 2021

Bambini grandi

Non so cosa sia stato. Forse la lentezza con cui ho abbassato entrambe le posate. Forse il lampo omicida che mi ha attraversato lo sguardo. Forse la combinazione tra lampo omicida e oggetti acuminati in mano. Il fatto sta che la Mater ha sùbito fatto marcia indietro sulla richiesta che io comunicassi al Guasto delle spese per l’installazione del gas e del riscaldamento in casa e gli chiedessi i documenti necessari per richiedere le agevolazioni di stato, e si è proposta di farlo lei stessa.
Di nuovo, dopo le ultime settimane ho seri dubbi che abbia la sensibilità necessaria per rendersi conto di quanto vicino io sia al punto di rottura e che dover mediare tra lei e il suo ex non avrebbe aiutato, quindi devo davvero aver fatto un’espressione tale da farle tornare in mente i discorsi su quanto mi sia rotto le scatole di far loro da cuscinetto. O forse, dopo che l’ultima volta non le ho fatto sconti sulla mia rabbia per come finisce sempre per tirarmi in mezzo e lasciare a me le conseguenze, ha pensato che fosse il caso di risparmiarsi il mio muso lungo (“Osi usare i miei incantesimi contro di me, Potter?”).

Comunque, dopo i convenevoli e una breve introduzione in cui gli dicevo che bisognava parlare della casa e gli passavo la Mater, ho assistito alla scena surreale di sentirli parlare tra di loro con toni civili e in maniera costruttiva. Due bambini grandi che non hanno più bisogno della baby sitter! Francamente non ricordo proprio quando fosse stata l’ultima volta in cui avevano parlato direttamente: mi viene in mente quando siamo andati tutti assieme a comprare il condizionatore per camera mia, ed era un paio d’anni prima che mi trasferissi a Trieste! C’è perfino stata una vaga cordialità nel chiedersi come stessero, di questi tempi, e alla fine si sono accordati su tutto e lui ha accettato senza trascinare i piedi di fare la sua parte.
Naturalmente la Mater non si è lasciata sfuggire l’occasione di trollarlo un po’. Con l’espressione e il tono di voce della gatta che sta per saltare sul bancone della cucina a rubare la fettina lasciata a scongelare, lo ha informato di essersi prenotata il vaccino, gli ha ricordato che hanno aperto uno hub in Paese, gli ha dato tutte le istruzioni su come fare anche una volta tornato e dopo aver saltato la chiamata del suo anno, e ha chiesto con finta innocenza come stesse andando in Turchia ora che hanno chiuso tutti i voli perché la situazione è fuori controllo. Il tutto ignorando bellamente me che le gesticolavo di starsene zitta e chiudere la chiamata finché eravamo in vantaggio e avevamo ottenuto ciò che volevamo, prima che lui cambiasse idea.
La cosa esilarante, però, è stata notare che il Guasto ha ancora palesemente timòre della sua ex moglie perché, lungi dalle filippiche che gli ho permesso di fare il mese scorso, i suoi tentativi di controbattere sono stati molto affannosi, brevi e decisamente patetici, e lei se li è gustati con malcelata soddisfazione fino a rosicchiare l’osso come faccio io con le alette di pollo speziate dei Mastri d’Arme.

Nonostante ciò, la telefonata si è conclusa in positivo e ci siamo portati a casa la vittoria. Non solo, i miei genitori si sono comportati – lo ribadisco! – da bambini grandi capaci di dialogare direttamente senza bisogno che io faccia da intermediario.
Capisco il rifiuto categorico della Mater di dargli i suoi contatti visti alcuni incidenti immediatamente post-divorzio quando al vecchio numero arrivavano telefonate oscene, ma d’ora in poi sarò ben disposto a ospitare le chiamate, non di più. Per cortesia, signori, il contenuto sbrigatevelo da soli senza la baby sitter. Siete adulti e vacc– ok, questa è un po’ fuori luogo, ma il succo l’avete capito, no?

Tuesday, 13 April 2021

Turchia portami via

Stupido io che ogni tanto ci riprovo.
Qualche giorno fa ho di nuovo sentito il Guasto, e inizio a pensare che questa faccenda di andare via in Turchia in piena pandemia sia più una scusa per non dire nuovamente che il vaccino mamma mia.
A sentire lui, lì va tutto bene. È tutto sicuro, non c’è nessun rischio, la gente è cauta ma la vita procede normale e il virus non c’è; giusto oggi, Breaking Italy ha pubblicato un paio di statistiche sulla Turchia, che è il Paese in orbita europea col più alto indice di contagi, tanto che perfino la Russia ha chiuso tutti i voli per non peggiorare ulteriormente la propria situazione. Cioè, stando alle grafiche presentate dal buon Shy, la situazione è questa:



Solo ieri, i nuovi casi positivi in Turschia sono stati più dell’intera popolazione di Alghero: c’è posto per altre tre o quattro volte il paesino del Guasto.



Qui invece la curva dei contagi per milione di abitanti paragonata a quella della Germania. Sta andando decisamente tutto bene, ve’?
 
E no, stavolta non è perché si beve la propaganda di regime dell’ennesimo dittatore per partito preso: anzi, Erdocoso non ci sta affatto simpatico perché sta bombardando il confine del BFF del Guasto, ché ci sono i Curdi – e guai a toccare la Siria e al Guasto, non ci vede più.
No no, a ‘sto giro il regime non ci piace, quindi la scelta di credere al fatto che non ci sia il virus in Turchia ha a che fare col complotto del virus in sé. È un modo per convincere se stesso che non ci sia da preoccuparsi e che possa continuare a giocare al complottista che ha capito tutto.
Per contro, l’idea che, quando tornerà, “ne parleremo” e “vedremo” quando e se si vaccina è solo l’ennesima bugia che quell’uomo mi ha detto da che mi ha messo al mondo.
Io onestamente inizio a essere esasperato. Non so nemmeno perché mi stia a preoccupare per lui.

Friday, 9 April 2021

Oblio

Oggi mi è capitata una cosa che mi ha fatto rimanere male: per la prima volta in vita mia, una mia ex professoressa non aveva la minima idea di chi io fossi. L’ho incontrata, l’ho salutata con un sorriso chiaramente intuibile sotto la mascherina e lei ha continuato a guardarmi con la faccia da Errore 404 anche dopo che ho provato a ricordarle in che classe fossi, chi fossero i miei compagni, in che anno avesse insegnato da noi, eccetera. Ironicamente, si è trattato della prof di filosofia e storia.
E no, non Monica, la prof giovane del quinto anno che adoravo. No, era quella prima, quella che ho avuto in terza e quarta e che mi ha lasciato con buchi enormi in tutto ciò che è successo prima di Kant.
 
In realtà non è sorprendente che non si ricordasse di me o dei miei compagni: la mia classe è stata per lei una specie di afterthought, un’ultima cosa fatta male e controvoglia prima di andare in pensione. Ho il vago ricordo che dovesse andarci già alla fine del nostro terzo anno ma, per qualche motivo, ne avesse aspettato ancora uno prima di farlo – e boy, quanto si vedeva che non ne aveva più voglia!
Il quarto è stato forse l’anno in cui ho avuto la media genrale più alta, tutto grazie ai dieci fiammanti in storia e filosofia. Dieci, proprio in pagella. In pratica, quella prof lì non ne aveva talmente voglia che le interrogazioni – che già erano calendarizzate – consistevano nel presentarsi alla cattedra con gli appunti il più in ordine e colorati possibile, farle dare uno sguardo, iniziare a parlare vagamente dell’argomento, droppare un riferimento più o meno forzato a Berlusconi, Ratzinger o simili, sedersi comodi e godersi lei che andava in berserk e faceva un’ora di comizio sui mali della Destra italiana o della Chiesa cattolica. “Bravissimi, si vede che siete preparati: dieci a tutti e tre!”, concludeva ogni volta (le interrogazioni di storia e filosofia di quell’anno erano gli unici momenti in cui ero in lega con due della sezione scansafatiche di classe mia, visto che ogni volta che andavamo tutti e tre assieme scattavano le scintille).
È facile, quindi, immaginare perché non si ricordi di me e della mia classe: non aveva voglia di insegnarci, non aveva voglia di interrogarci, non aveva voglia di stare a scuola, a maggior ragione non si sarà scomodata a memorizzare le nostre facce. Sarò stato uno di quei mascalzoncelli che, quindici anni fa, non vedeva lora di sbolognare per andarsene a godersi la pensione in santa pace.
 
Però ci sono rimasto lo stesso male. Non mi era mai capitato di non aver lasciato un’impressione su qualche mio ex insegnante. Perfino il professore di educazione fisica delle medie, quello che mi aveva lasciato lì col pollice fratturato dalla pallonata del mio compagno senza nemmeno degnarsi di controllare, mi ricorda sempre con rispetto e mi manda i saluti tramite la Mater quando la incontra. Sono sicuro che perfino la supplente di musica di quell’anno, che non poteva vedermi, si ricorderà di me se le dico: “Sono quello che aveva costretto a suonare il flauto col pollice fratturato dicendo che mentiva su dolore e gonfiore; oh, e a proposito, quando è tornata la titolare di cattedra ha provato il flauto e si è accorta che stonava per un difetto di fabbrica – non che lei se ne sarebbe mai potuta accorgere, visto che al massimo mimava i movimenti con la matita in aula”. (Sempre per la serie: “Un rancore è per sempre, DeBeers spostati”.)
Divago. Dicevo: essere un bravo studente che impressiona gli insegnanti è stata una parte fondamentale della mia identità per tanti di quegli anni che esser stato dimenticato da uno di loro, per quanto ci siano motivi validi, mi ha lasciato un brutto sapore in bocca. È come se mi avessero tolto quelle poche glorie che ero riuscito a conquistarmi e nel cui ricordo posso crogiolarmi in mancanza di materiale più recente.
Ed è ironico perché questa in particolare non è un’insegnante di cui ho particolare stima: era uno strumento per tirare su facilmente la media, non ricordo nulla di quel poco che ci ha insegnato, e mi rendevo conto che non meritavo nessuno dei voti che mi metteva. Del resto, se non ricorda nemmeno uno studente con la presunta media del dieci, dubito che, anche impegnandomi davvero, avrei fatto la differenza. Cioè, i voti li metteva a casaccio quindi non le sono rimasti impressi, ma almeno in consiglio di classe le avranno dovuto pur dire: “Ah, ma che bravo questo studente!”.
Che poi, probabilmente mi ferirebbe molto di più se Monica non si ricordasse di me: con lei mi sono davvero impegnato e, per quanto abbia ancora delle lacune vistose (lei si era messa le mani nei capelli quando aveva visto quanto poco la sua collega avesse coperto), ricordo tutto (beh, a parte Hegel, di lui ricordo solo che era un imbecille) e ho ancora grandissima stima di lei.

Quindi? Boh, sono talmente demoralizzato che mi dispiace che una persona che non stimo non si ricordi di me dopo quindici anni perché essere un ex studente brillante è uno dei pochi vanti che posso ancora permettermi. Yay.

Sunday, 21 March 2021

Genitore uno e gen– I can’t even

Io… io non ce la faccio. I can’t. Davvero. I can’t even.

La filippica antivaccinista c’è stata, a colpi di “Adesso sperimenteranno sui bambini – capisci?! Vogliono usare i bambini come cavie!”, ma non è stata il piatto forte della telefonata. Il vero motivo per cui il Guasto voleva parlare con me più a lungo, con più calma e con una linea più stabile dell’internet mobile turco a bordo di un pullman era per chiedermi di raggiungerlo lì in Turchia perché vuole presentarmi un paio di ragazze.
Che di nuovo, pover’uomo, non è colpa sua, sono io che non ho le forze di affrontare la battaglia che sarebbe un coming out con lui e il resto della sua famigliola bacata (ho un cugino che è finito sui giornali per le sue esternazioni omotransfobiche, btw). E capisco che magari spera semplicemente di infilarmi a lavorare lì e sistemarmi così, ché l’età avanza e avrà paura di lasciarsi dietro un figlio che è un casino. Ma che visione distorta di me e/o del mondo deve avere se pensa che la Turchia possa offrirmi un futuro e una qualità della vita soddisfacenti?
Fra l’altro, anche tralasciando le differenze culturali che renderebbero il mio benessere psicologico in Turchia alquanto improbabile, mi urta che non mostri il minimo riguardo nemmeno per la mia salute fisica nel breve termine. Cioè, per andare lì dovrei fare almeno due scali, più tutti i trasporti pubblici di terra, con possibilità di contagio che, tampone o non tampone, si moltiplicano. E una volta lì, “Al massimo te ne stai in casa”, grazie tante, con lui che a quanto pare fa il pendolare in pullman e rischia di portarmi il virus.
Ma è scemo? È demenza senile? Semplicemente non si rende più conto di come si faccia a stare al mondo?

Alla fine, ho deragliato il discorso e chiuso la chiamata chiedendogli di mandarmi le foto di queste fantomatiche ragazze e di farmi un video in cui mi mostra il suo appartamento. Questo l’ha messo di buonumore perché ho finto di interessarmi alla sua vita lì e anche per quest’anno ce la siamo scansata.
Se non altro la costernazione comune mi ha fatto passare l’arrabbiatura con la Mater: perfino lei ha ammesso che, dei due, quello più sfortunato sono io, perché da un marito si può sempre divorziare, da un padre no.

Genitore uno e genitore due

Sorpresa sorpresa: la chiamata col Guasto, che ho fatto come seconda cosa appena sveglio (dopo aver pranzato) e ho tentato di buttare su un blando: “Auguri! Qui fa un freddo bestia, lì?”, si è conclusa con: “Adesso sono sul pullman, sto tornando a casa. Ci sentiamo fra un paio d'ore e parliamo”.
Così a naso, ha sentito la Ziaccia, quella gli ha detto che sono preoccupato, e adesso mi toccherà sorbirmi un'altra tirata no-vax alla quale dovrò annuire e sorridere come un ebete nel tentativo di evitare un'escalation.
Ribadisco: certo che la Mater poteva anche farseli, gli affari suoi.

Oh, e a proposito: lei adesso mi sta girando intorno stile squalo alla disperata ricerca di un “Ma no, dai, non è colpa tua”, un “Non sono arrabbiato”, o un “Come potevi sapere che sarebbe finita così?” che francamente mi rifiuto di darle. Gliel'ho detto in faccia: sa benissimo com'è fatto il suo signor ex, che anche se parti con le migliori intenzioni lui riesce comunque a mandare tutto in vacca, quindi poteva benissimo evitare di esasperarmi dicendomi di avvisarlo fino a farmi cedere pur di farla stare zitta. Perché tanto mica è lei, che deve averci a che fare, no! Sono sempre io! Allora, o smette di lanciarmi addosso al suo ex quando non ha assoluta necessità di comunicargli qualcosa, o si assume le sue responsabilità e sbroglia lei i casini che crea. Se ha tanto a cuore che quello lì non crepi di covid, che gli telefoni e ci parli.
 
Personalmente, sono stufo di trovarmi sempre in mezzo a due persone che non dovrebbero avere più nulla a che fare l'uno con l'altra. L'unica decisione sensata che abbiano mai preso è stata quella di divorziare, perché averci a che fare in combo sarebbe decisamente al di sopra delle mie capacità.

Friday, 19 March 2021

Il Guasto

Secondo un detto russo dell’epoca pre-cellulari, “Gli uomini sono come i telefoni pubblici: o occupati, o guasti”. Quando un’amica della Mater litigava con suo marito, prendeva ispirazione da questo detto ed esordiva le chiamate strillando: “Tutti guasti!”. Da lì, il passo successivo è che il soprannome coniato per il Procreatore dalla Mater e la sua amica è “Il Guasto”. Proprio per antonomasia. E considerando i numeri che ha tirato per tutti gli anni della separazione e del divorzio, era pienamente meritato.
D’altro canto, se non fosse stato guasto, la Mater non avrebbe divorziato da lui, giusto?
 
Ed è proprio la Mater, che i cavoli suoi non se li sa fare, ad avermi infilato nell’ennesima brutta situazione. Stavolta non perché ho dovuto fare da cuscinettro tra loro, ma perché ha letto la notizia che il paese del Guasto aveva pubblicato il calendario per le vaccinazioni degli anziani e mi ha suggerito di approfittare della telefonata d’obbligo per la festa del papà e avvisarlo, così da permettergli di tornare in tempo per fare tutto.
“Grande errore. Grande. Enorme.”

Gif obbligatoria perché l’amore per Giulia Roberts è l’unica cosa che io e il Guasto abbiano in comune.

Se la sua partenza per l’estero coi tempi che corrono me ne aveva dato il sospetto, la lunga filippica antivaccinista che ha attaccato me l’ha confermato: è del tutto partito di capoccia sulla faccenda del covid. E lo è, fra l’altro, a correnti alternate: il momento prima il virus è tutta una montatura e nei vaccini c’è soluzione fisiologica, quello dopo i vaccini sono pieni di veleno che non funziona contro la malattia ma causa la morte nel sessanta percento dei casi.
Ora, avendo due genitori anziani ho imparato da tempo che non vale la pena di sprecare energie nel far cambiar loro idea, specie lui, che è molto ignorante. Ma alcune delle sparate che ha fatto erano talmente oltraggiose che non ce l’ho fatta, a trattenermi, e ho tentato discretamente di controbattere, solo per sentirmi rimandare a video pubblicati su “Faccebùc” da luminari di cui “i giornali non parlano”. Cioè, davvero, uno ad uno tutti gli argomenti del complottista medio, sono sconvolto.
Così, quella che doveva essere una rapida telefonata di finti auguri è diventata un’incubo che non finiva mai e che ha confermato che non importa quanto basse siano le mie aspettative, lui riuscirà sempre a deludermi.

Riattaccato il telefono, il male di vivere e lo spirito autolesionista erano tali che ho di nuovo dato ascolto alla Mater e ho chiamato la Ziaccia per avvisare lei sulle date. Trovandola inaspettatamente cooperativa, ho dato sfogo alla mia frustrazione circa il suo signor fratello (mascherandola da preoccupazione) e ho scoperto di sfondare una porta aperta, con lei esasperata da mesi per le sue sparate antiscientifiche, assolutamente contraria al viaggio in Turchia, rassegnata perché, giustamente, “Ma cosa potevo fare, legarlo al letto?”, e alquanto seccata dalle serate brave di lui a bere vino fatto in casa in cantina con gli amici e rigorosamente senza mascherina. Se non altro, comunque, non sapeva che fossero uscite le date e mi ha ringraziato tanto per averla avvisata perché non vede l’ora di vaccinarsi: magari con questo stunt mi sono guadagnato un po’ di punti testamento.

E niente, al momento sono ancora frastornato. Dalla stupidità del Guasto, dal fatto che perfino la Ziaccia, campionessa di scemenze catto-integraliste, stia dimostrando più buonsenso di lui, dall’aver trovato comprensione in un membro di quella famiglia. Per quanto sia contorto, sentirmi dire dalla Ziaccia che capisce la mia preoccupazione e frustrazione mi è stato in qualche modo di conforto: se persino lei è d’accordo, quello sbagliato è davvero lui. Non che cercassi più alcuna validazione in quella famiglia, dopo che non ricordo chi di loro aveva detto (con ironia involontaria, vista la valenza che la parola ha assunto per me): “Ormai è guasto anche lui, che se lo tenga” di me e della Mater dopo che tutte le battaglie legali erano fallite. Ma perché non godersi quel breve momento in cui non sono io quello sbagliato? Tanto durerà poco, perché so già cosa succederà.
Eh già, perché quel che è peggio è che non posso nemmeno dirmi: “Vabbè, tanto la festa del papà capita una sola volta l’anno, sono a posto per altri trecentosessantacinque giorni”. No, perché il compleanno del Guasto cade fra due giorni, quindi dovrò sentirlo di nuovo a breve. E sicuramente per allora avrà sentito la Ziaccia, che gli avrà riferito delle mie preoccupazioni, caricandolo a molla per una filippica antivaccinista.
Potevo farmeli, gli affari miei, no?

Monday, 15 February 2021

Congelare l’oggi

In questo momento fuori ci sono 2°; anche in casa fa un freddo cane. E io sto qui, che vorrei approfittare delle temperature per congelare l’oggi (che per me è ancora ieri) perché tra qualche ora (che è ancora domani) dovrò affrontare una cosa spiacevole.

Piccola premessa: giovedì ero fuori dalla Grazia del Signore. Alla Mater è finito il toner della stampante, così ne ho approfittato per affrontare i miei first world problems, accompagnarla al famoso laboratorio informatico e chiedere notizie dal centro assistenza della batteria. Il tecnico ha almeno avuto il buonsenso di sprofondare dall’imbarazzo quando ha ammesso di essersi “dimenticato” di richiamarmi e informarmi che dal centro assistenza gli hanno detto che probabilmente è difettosa e va sostituita.
E niente, non l’ho sgozzato a mani nude solo perché non riuscivo a decidere per cosa fossi più arrabbiato: se perché si era dimenticato di chiamarmi o perché avevo ragione fin dall’inizio a dire che il problema era la batteria e, se mi avesse dato ascolto e avesse quantomeno provato a chiamare mentre aspettavamo il dannato alimentatore, l’avremmo potuta risolvere già allora e mi sarei risparmiato tre mesi e mezzo di stress costante e micro-attacchi d’ansia quotidiani. In ogni caso, professionalità alle stelle.

Ecco, la cosa spiacevole è che domattina dovranno testare se il mio Macbook può funzionare del tutto senza batteria. Il motivo? La batteria, che è in garanzia, me la sostituiscono senza costi aggiuntivi, ma per spedirla devono prima ricevere quella fallata.
No, sul serio: e io cosa dovrei fare nel mentre, se il Mac non funziona senza?
 
È questo il dubbio che dovrò affrontare domattina (in realtà manderò la Mater, così almeno dormirò mentre il computer non è qui con me). Quello di non decidermi ad andare a dormire quando ho incombenze spiacevoli il giorno dopo è un pattern che ho riconosciuto già da tempo. In realtà sono anche parecchio stanco, ma non riesco a staccarmi dalla parvenza di stabilità che l’oggi ancora è capace di darmi. E come nel 2016, scrivo proprio per svuotare la testa e lasciare che sia il sonno a costringermi ad affrontare il futuro con i miei problemi da Primo Mondo.
Per inciso, vorrei far finta di essere sorpreso per la batteria fallata ma l’anno scorso, quando ruppi lo schermo del telefono, me lo sostituirono con uno originale ma con un difetto di fabbrica, tanto che il telefono era quasi inutilizzabile e dovettero sostituire lo schermo di nuovo: conosco la mia fortuna, per cui santa pazienza e via, si affronta questo ennesimo contrattempo.

Sunday, 31 January 2021

Pandemia e serietà

“Sai, stavo pensando…”, faccio io a cena, guardando il calendario.
“Sì?”, risponde la Mater.
“Oggi è domenica 31 gennaio. Praticamente è febbraio…”
Lei sogghigna: “Non è che, già che ci sei, rimani fino al mio compleanno?”
Ci guardiano e scoppiamo a ridere.

Questo del compleanno è un nostro inside joke: è proprio “rimanendo fino al compleanno di mamma” (ufficiosamente aspettando di vedere come si evolveva la situazione quando i primi casi sono arrivati in Nord Italia) che sono finito a stare ormai oltre un anno qui da lei invece che su da me, e francamente non è che me ne lamenti.
La battuta è poi diventata che, già che c’ero, potevo rimanere fino al mio compleanno a maggio, e infine che sono rimasto fino al compleanno dell’anno dopo. E non è nemmeno l’unico inside joke che abbiamo circa la pandemia – il più eclatante, quando si starnutisce invece che “salute“ ormai diciamo “Non ce n’è coviddi”. È quel meccanismo di difesa psicologico per cui si cerca di ridimensionare una situazione in qualcosa di risibile per non impazzire. Ma pur ridendoci sopra, prendiamo entrambi molto seriamente le norme di contenimento: usciamo il meno possibile, indossiamo sempre la mascherina (sopra il naso!), non viaggiamo, rispettiamo le norme igieniche (se già odiavo avere le mani sporche, ora provo un malessere fisico a non lavarmele dopo essere rincasato), non votiamo Renzi… facciamo la nostra parte per non finire ammalati e non aggravare ulteriormente la situazione collettiva.

In compenso, poco dopo lo scambio di cui sopra mi ha chiamato il Procreatore. “Ciao, Ale, sto andando in Turchia: non è che vuoi venire?”
E niente, fa già ridere così.
In sostanza, l’azienda per cui lavorava (e per conto della quale ha continuato a fare consulenze internazionali) sta aprendo una filiale da qualche parte lì e serviva che andasse un mio cugino addestrato dal Procreatore; il quale cugino ha subìto un intervento, così il proprietario, pur di non ritardare i lavori, ha deciso di andare lì trascinandosi dietro, in piena pandemia, un ottantenne con già problemi pregressi di sinusiti e malattie respiratorie.
Mi chiedo cosa direbbero i suoi Compagni dell’allora PCI, a sapere che ha messo a rischio la sua salute al servizio del capitalismo per beneficiare il padrone.
Per inciso, i due signori sono stati fermati all’imbarco dell’aereo per la Turchia, visto che sono partiti senza test sierologico, e si sono trovati costretti a prendere un albergo a Roma in attesa dei risultati di quello che hanno fatto lì sul posto. Complimenti, ulteriori occasioni di contagio. Che poi, il Procreatore è vecchio e tonto, posso capire, ma il padrone? Non si è informato sui documenti necessari per un viaggio internazionale, coi tempi che corrono? Non ce la posso fare.
Per non parlare del fatto che tempo qualche settimana e probabilmente l’avrebbero pure vaccinato, mannaggia a lui: che fretta c’era?

In tutto questo, nonostante le aspettative bassissime che ormai gli riservo sempre, il Procreatore mi ha deluso per l’ennesima volta. Vero, l’anno scorso a una certa ci siamo sentiti e ha iniziato a vomitare teorie del complotto sul 5G, i poteri forti e le cure nascoste, con me che, nella più totale disperazione, gli ho dato corda pur di chiudere la conversazione a suon di: “Sì, papà, ma è meglio non parlarne ora, sai… parliamone quando ci vediamo di persona senza telefoni, wink wink”. Ma qualche mese dopo, quando i casi hanno iniziato a diffondersi anche in Paese, aveva ricantato tutto e iniziato a prendere la situazione sul serio, e per un attimo ho sperato, ho sperato davvero che fosse rinsavito.
Poi a Natale ci siamo sentiti e mi ha detto che, quando fosse finita la zona rossa nazionale, ci saremmo visti “magari a pranzo in qualche ristorante”, ma ho ancora tentato di illudermi che fosse un tentativo goffo di organizzarsi per passare del tempo insieme, che per abitudine avesse pensato a un pranzo fuori. Invece no, evidentemente ha sempre continuato a non volersi rendere conto della gravità della situazione e non si meritava quel poco di credito che ero disposto a dargli.
Ecco, è questa la vera mancanza di serietà nell’affrontare una pandemia: non le battute, non gli scherzi, non le risate. È il viaggio non necessario di un uomo nella fascia più a rischio e con una storia di problemi respiratori. Andiamo bene.

Ps: quando mi sono rifiutato categoricamente di muovermi ora, lui ha parlato di “dopo la pandemia” in termini che mi hanno lasciato sottintendere un’idea di andare a vivere e lavorare lì. Nello Stato di Erdogan. Fra l’altro in Kurdistan, una zona che immagino essere assolutamente tranquilla e stabile. Ora, vero che, povero imbecille, era convinto che la Ciospa fosse la mia fidanzata e non sa di me, ma anche tralasciando il piccolo dettaglio che mi butterebbero giù da un tetto, pensa davvero che sarei disposto a rinunciare anche solo all’accesso a Internet e Netflix? Bitch, please.

Monday, 11 January 2021

Assistere a un evento di portata storica

Devo ammettere che l’idea di aver assistito a un altro evento della portata dell’11 settembre ancora non si è del tutto depositata nella mia mente: l’ho presa abbastanza sul ridere, sul faceto.
Forse è perché il numero contenuto di vittime rispetto a quella volta inganna sulle proporzioni, forse perché, dopo tutto ciò che è successo nel giro degli ultimi dodici mesi, ormai nulla sembra più improbabile. Forse è perché non erano i miei due grattaceli newyorkesi preferiti, o forse perché nessuno si aspetterebbe di inanellare due eventi del genere di fila nel corso della propria vita. Ma è tutto così distante e ovattato che mi viene da accettarlo senza obiezioni come si fa con gli eventi assurdi in sogno: per qualche strano motivo, seguono la logica del mondo onirico e quindi ovvio che accadano così, duh.
Al momento l’intera faccenda è più che altro una fonte d’intrattenimento su Twitter, dove la gente che seguo (per lo più attori, musicisti e artisti, per lo più americani) ovviamente non parla d’altro; il mio contributo al discorso consiste nel lanciare frecciate, tipo sottolineare che la gente che sbraita “Make America great again!” è la stessa che ha dimostrato che gli Stati Uniti sono un Paese nei cui palazzi governativi chiunque può entrare come nulla fosse, o ironizzarci sopra, ad esempio vantarmi di aver avuto ragione, l’anno scorso, quando avevo detto che lasciare che i follower di Trump seguissero il suo consiglio di iniettarsi la varechina nelle vene era una soluzione – a un problema diverso dal covid, ma comunque una soluzione.

Il motivo per cui sto scrivendo questo post è proprio per fermarmi un attimo, mettere lo snark da parte e cercare di spacchettare quello che è successo per trarre qualche conclusione.
Ad esempio, la disorganizzazione del colpo di stato la dice lunga sulla mentalità di chi vi ha partecipato. O meglio, un’organizzazione di fondo c’è stata – il raduno stesso in primis, ma anche i dettagli sempre più orribili che stanno venendo a galla, tipo le fascette di plastica per sequestrare i membri del congresso, gli agenti collusi, i repubblicani che hanno fatto entrare la gente a studiare il luogo. La disorganizzazione a cui mi riferisco è altra: sono andati lì a volto scoperto, con telefoni e altri dispositivi che permettevano il tracciamento, spesso addirittura postando su internet le prove di aver partecipato a un crimine federale di massa, convinti che bastasse entrare in Campidoglio, fare la voce grossa, sequestrare qualche politico e impiccarne qualcun altro sulla pubblica pubblica piazza perché Trump rimanesse al potere.
Hanno dato per scontato che le forze dell’ordine e l’esercito fossero dalla loro parte, che nessun ufficiale avrebbe reagito e che, male che andasse, l’avrebbero fatta franca comunque. E ora sono shoccati – shoccati! – che l’FBI li stia rintracciando uno ad uno.

È forse questo il lato della vicenda che mi terrorizza di più spingendomi a cercare a tutti i costi di riderci sopra: che una fetta di popolazione di uno Stato socialmente avanzato sia così scollata dalla realtà da credere di poter fare quel che vuole senza alcuna conseguenza. A questo giro erano i Democratici in congresso, al prossimo ci passerà sotto qualsiasi altra categoria di persone. E dato che ciò che succede negli Stati Uniti purtroppo finisce per avvelenare pure noi oltreoceano, inizio a temere seriamente per l’integrità della società in cui vivo.

Thursday, 31 December 2020

Classifica musicale annuale – 2020

Nelle puntate precedenti:

2017;
2018;
2019.

Classifiche generali (1-50):
2016;
2017;
2018;
2019;
2020.

Classifiche generali (51-100):
2018;
2019;
2020.

1. Come ti sei appassionato alla posizione numero 30? (Ala.ni)
• Grazie al mio amico Claudio. Un altro Claudio. Sembra che un po’ tutti i Claudi diano buoni consigli musicali.
2. Prima canzone ascoltata della numero 22? (Sleepthief)
• La ricordo benissimo: Rainy World, il pomeriggio in cui Luisa venne a trovarmi a Trieste!
3. Testo preferito della numero 33? (Autumn)
Synchro-Minds, e ricorderò sempre quando la band confermò la mia teoria che il “third eye” con cui il protagonista visualizzava l’interlocutore fosse la webcam!
4. Album preferito della numero 49? (Nick Cave & The Bad Seeds)
Murder Ballads, duh.
5. Canzone preferita della numero 13? (Fever Ray)
Keep The Streets Empty For Me. Questi sono i danni che ha fatto Dark.
6. Album peggiore della numero 50? (Placebo)
• L’album che mi piace di meno è il self-titled ma, oggettivamente, è iconico, a differenza del derivativo, compitino-ben-fatto Loud Like Love.
7. C’è una canzone della posizione numero 39 che senti molto tua? (Anneke Van Giersbergen)
Lost And Found. Ho iniziato a chiedermi se Anneke non l’abbia scritta per un terapista.
8. Bei ricordi legati alla numero 15? (Marina & The Diamonds)
• Il concerto del 2019, specialmente per la bella giornata che ho passato con Stefanino.
9. Quanti album possiedi della numero 5? (We Are The Fallen)
• Ai tempi comprai Tear The World Down principalmente come atto di protesta verso Pescy; non me ne pento, è comunque un album molto gradevole.
10. C’è una canzone della numero 45 che ti rende felice? (Evanescence)
• Ok, sembra una brutta battuta, ma ce ne sono; ci sono quelle catartiche che poi mi fanno stare meglio, e quelle che mi mettono proprio di buonumore tipo… Gùd Inàf, che è lA pRiMa CaNzOnE fElIcE dEgLi EvAnEsCeNcE! Ovviamente scherzo, quella è da latte alle ginocchia: Anywhere è nettamente superiore.
11. Canzone preferita della numero 40? (Billie Eilish)
When I Was Older. Fra l’altro, mi pento di averla bollata come ennesima ragazzina triste di passaggio, all’inizio: ha molto più spessore di quel che potrebbe sembrare!
12. Canzone della numero 10 che ti piace di meno? (Panic! At The Disco)
• Tolti le varie intro / interludi / cavolate da mezzo minuto, From A Mountain In The Middle Of The Cabins.
13. Bei ricordi evocati dalla numero 6? (Rose Chronicles)
• Li ascoltavo in treno durante un viaggio a Torino quasi dieci anni fa; una volta arrivato, poi, nel mezzo dello shoot mi accorsi che lo specchietto della reflex si era sporcato e, scattando a caso per vedere se il sensore era a posto, mi uscì questa foto, che intitolai come una loro canzone e che adoro ancora oggi.
14. Canzone della numero 38 che associ a un momento o persona? (Tactile Gemma)
• Stavo ascoltando Creepy-Crowlies una volta a giugno 2009 mentre mangiavo un cono grande col gusto del mese di Grom, che era fior di latte con amarene candite. Quando la ascolto, tutti quei vibrafoni mi fanno ancora sentire quel saporino di amarena che… mmh!
15. Quale canzone della numero 19 ti emoziona di più? (Hurts)
Illuminated. Ma una menzione d’onore va a Liar che, per ironia, nel ritornello riporta parola per parola la conclusione della mia missiva alla Ciospa.
16. Quante volte hai visto la numero 35 live? (Florence + The Machine)
• Una volta durante il tour di Ceremonials: è stata incredibile!
17. Quale canzone ti ha fatto innamorare della 23? (Allie X)
Bitch, sentita in concerto quando ha aperto per Marina a Milano. Onestamente però non so se mi avrebbe colpito altrettanto se l’avessi sentita prima su disco: Allie rende molto meglio dal vivo che in studio!
18. Album preferito della numero 11? (Loïc Nottet)
Selfocracy è notevolmente superiore rispetto al secondo.
19. Prima canzone ascoltata della numero 14? (Blanche)
City Lights, duh. Chiunque dica che all’Eurovision non c’è buona musica è un ignorante che conosce solo Salvador Sobral e Mahmood.
20. Canzone preferita della numero 27? (Emmelie De Forest)
Let It Fall, e comunque con Emmelie vale lo stesso discorso di prima sull’Eurovision.
21. Album preferito della numero 16? (Nemesea)
The Quiet Resistance resta insuperato.
22. Prima canzone ascoltata della numero 47? (Lady Gaga)
• Eh. Questa sì che è una bella domanda. Sicuramente avrò sentito qualcosa da The Fame a qualche serata gaia (era proprio il periodo in cui ci andavo), ma non me la filavo e, anzi, ero attivamente opposto alla sua esistenza. La prima che ricordo di aver ascoltato è Bad Romance per curiosità dopo che i ReVamp l’avevano coverizzata dal vivo (e c’è un motivo se è l’unica canzone buona che abbiano mai suonato).
23. C’è una canzone della 18 che trovi catartica? (Diablo Swing Orchestra)
Justice For Saint Mary. La parte finale simil-dubstep è la catarsi fatta musica.
24. Come hai scoperto la numero 21? (Elusive)
• Me li consigliarono gli admin del forum dei Theatre of Tragedy visto che erano un progetto di Tommy Olsson.
25. Canzone della numero 26 che ti rende felice? (The Bryan Ferry Orchestra)
Young And Beautiful, ennesima riprova del fatto che sarebbe stata una signora canzone se non per Laña del Rey.
26. Canzone preferita della numero 3? (Delain)
Pristine, anche se quest’anno dovrei dire The Greatest Escape.
27. Album preferito della numero 2? (The Gathering)
• Butto lì Souvenirs dal periodo di Anneke e Disclosure da quello di Silje, ma è una scelta pressoché impossibile.
28. Prima canzone ascoltata della numero 32? (Eivør)
• Non è una classifica musicale se non menziono Luisa almeno due volte: è lei che mi ha fatto ascoltare True Love.
29. Testo preferito della numero 8? (Anathema)
• “And when I dream, I dream of you; then I wake – tell me, what could I do?
30. Quante volte hai visto la numero 17 live? (Phildel)
• Mai, ma è nella mia bucket list!
31. Come hai scoperto la numero 44? (Paolo Buonvino)
• Ho iniziato a guardare I Medici per Daniel Sharman nudo; ho continuato per quello, Contessina e la fantastica colonna sonora.
32. Album della 12 che ritieni sottovalutato? (Siobhán Donaghy)
• L’intera sua discografia è sottovalutata per il semplice fatto di non essere stata in cima a qualsiasi classifica ai tempi, ma Ghost è uno degli album pop migliori degli Anni Duemila e lo conosciamo io, Siobhán e, forse, i suoi genitori.
33. Canzone peggiore della numero 29? (Susanne Sundfør)
• Prima del Live At The Barbican avrei detto Mantra, ma dal vivo è riuscita a diventare fantastica perfino lei. Dico la title track di Music For People In Trouble perché fondamentalmente è un interludio (rispetto all’anno scorso ho fatto pace con Live At Salle Pleyelle).
34. Prima canzone ascoltata della numero 34? (Karen Elson)
100 Years From Now, usata come sottofondo di The Midnight Hour su Paranormal Zone. Ps: KAREN ELSON MI HA RINGRAZIATO NELLE SUE STORIE INSTAGRAM PER AVER COMPRATO IL SUO LIBRO.
35. Album preferito della numero 28? (Portishead)
Dummy.
36. Quante volte hai visto la numero 42 live? (Aurora)
• Quest’anno stiamo proprio rigirando il coltello nella piaga degli artisti che non ho mai visto live ma vorrei da matti.
37. C’è qualche canzone della 36 che consideri un guilty pleasure? (Rose McGowan)
• Considerando il personaggio, il fatto stesso di ascoltare Rose McGowan è borderline un guilty pleasure di questi tempi.
38. Come hai scoperto la numero 48? (Soap&Skin)
• Allora, qui Dark ha davvero fatto danni: non solo ha messo due canzoni negli episodi, ma la sigla, Goodbye di Apparat con Soap&Skin, è la mia canzone più ascoltata dell’anno con oltre 230 ascolti. Non uscirò mai più da questo tunnel!
39. Album preferito della numero 7? (Loreen)
Ride, quello di cui nessuno conosce l’esistenza perché un po’ tutti hanno smesso di filarsela post-Eurovision.
40. C’è qualche canzone della numero 31 che ti mette nostalgia? (Kari Rueslåtten)
Other People’s Stories mi ricorda lo shoot con Luisa a Venezia!
41. Canzone della 41 che non ti piaceva ma adesso ami? (Morning Parade)
Seasick e Close To Your Heart.
42. Testo preferito della posizione numero 24? (Delerium)
• Troppi per elencarli tutti, visto che per la maggior parte hanno testi bellissimi; così su due piedi mi viene da dire Stay.
43. Canzone più emozionante della numero 46? (Dejafuse)
• Il fatto che la loro musica sia emozionante quanto la lavatrice ai risciacqui è probabilmente il motivo per cui sono durati così poco. Sorry, Nienke.
44. Canzone della numero 25 che ti rende felice? (Luk Evans)
• Quando inquadrano il suo culo ignudo nella seconda stagione di The Alienist! Ah, come? Dicevate canzone, non scena? Uhm… At Last, credo?
45. Canzone preferita della numero 9? (Goldfrapp)
Stranger, che è anche una perfetta descrizione della mia vita affettiva.
46. Primo album ascoltato della numero 37? (L’Âme Immortelle)
• Sono piuttosto sicuro di aver ascoltato ...In Einer Zukunft Aus Tränen Und Stahl per intero perché adoravo Will You?, ma a diciassette-diciott’anni non ero ancora pronto a quella quantità di elettronica.
47. Membro preferito della numero 4? (Emilie Simon)
• Emilina sarebbe la mia preferita anche se fosse un ensamble di cento musicisti!
48. Prima canzone ascoltata della posizione numero 43? (Amaranthe)
• Questa la ricordo: Drop Dead Cynical.
49. Album che possiedi della numero 20? (Theatre Of Tragedy)
• Tutto quello che hanno fatto in almeno un’edizione. “Almeno” perché di Forever Is The World ho la deluxe, la tour edition con Addenda, l’edizione giapponese che mi ha regalato di Hein e addirittura il vinile.
50. Il miglior ricordo associato alla numero 1? (Within Temptation)
• Nonostante la magnificenza del concerto ad Anversa, ricordo con più affetto il concerto a Milano nel 2011: eravamo quasi tutti lì e ancora tutti amici. Che bei tempi.

Sunday, 27 December 2020

Counting my blessings

Sono uno che odia profondamente la gara della sofferenza: sentirmi dire che c’è chi sta messo peggio di me non mi dà nessuna consolazione, non risolve i miei attuali problemi e, anzi, mi fa sentire delegittimato nelle mie emozioni. Il che aggiunge, al disagio che già provo per il problema in sé, rabbia nei confronti di chi usa il luogo comune.
A volte, però, non guasta rimettere le cose un po’ in prospettiva quando il paragone nasce spontaneamente – perfino quando questa arriva dritto dalle app di dating.

Dato che la Sardegna è praticamente il deserto, specie con i filtri stringenti che metto io, mi capita di scrollare l’elenco di PlanetRomeo fino ad arrivare non solo in zona Roma ma, dato che l’aera di ricerca non è una linea ma un cerchio, addirittura in Tunisia e Algeria.
Ho notato che, come nelle varie zone d’Italia, anche dall’altra parte del Mediterraneo i profili tendono ad avere motivi ricorrenti su base geografica: quelli tunisini e algerini sono la non-impersonazione di celebrità. In sostanza, stando all’elenco di Romeo, il Nordafrica sarebbe pieno di adoni da calendario, attori più o meno famosi, modelli di Vogue Hommes e altri esemplari di manzi che improvvisamente hanno deciso di andare in vacanza da quelle parti, imparare la lingua locale e… oh, no, se non altro buona parte di questi utenti scrive, in inglese o francese, che la foto non è loro.

Inutile dirlo, i profili fake sono tutt’altro che un fenomeno unico di lì, eh: qui in Sardegna una volta ho trovato un presunto Matthew Djordjevic; a Trieste mi è capitato un Richard Madden che, quando gli ho dovuto spiegare le frecciate a tema Game of Thrones (non sapeva nemmeno chi fosse il suo “prestavolto”!), mia ha assicurato di essere “più bello” di Richard (“E chi sei, allora, Natalie Dormer?”).
Ma ci sono differenze: per prima la diffusione capillare, per seconda l’ammissione immediata di non essere loro in foto. Perché solitamente, quando uno si finge più o meno maldestramente un quarto di manzo, lo scopo dell’illusione è farsi mandare nudes dal malcapitato di turno: sapere già in partenza che la foto è falsa non dispone alla fiducia.
Quindi non posso fare a meno di chiedermi: cosa li spinge a fare una cosa del genere?

Di sicuro il bisogno di anonimato: date le circostanze socio-politiche e legali, dichiararsi è impossibile. E no, non è un’esagerazione o uno stereotipo inventato da noi Occidentali: ho chattato con un ragazzo tunisino e se n’è lamentato ampiamente.
Il compromesso fra nascondersi e assecondare il desiderio è quindi entrare in chat nella maniera più anonima possibile. Ma per quello basterebbe un petto decapitato, un paesaggio o qualche altra immagine randomica, come è costume diffuso qui in Sardegna. (L’opzione di non mettere nulla è più adatta a Grindr, dove il filtro foto è limitato al pacchetto premium, mentre PlanetRomeo permette di non far comparire in elenco i profili senza foto anche in versione base).
Ciò però non spiega un trend così specifico – la foto altrui, ma subito smentita. Purtroppo, il mio conoscente aveva come immagine un disegno esoterico, quindi non ho potuto chiedergli come ragionino i finti manzi magrebini e posso solo tirare a indovinare.
 
Certo, un bell’uomo cattura lo sguardo più dell’ennesimo tramonto sul mare e attira, quindi, più visite. Ma né quello né la semplice voglia di farsi mandare nudes, che sicuramente è un altro fattore, bastano: come dicevo, i finiti Richard Madden nostrani fanno orecchie da mercante quando si fa notare la loro menzogna, men che meno ammetterebbero subito di non essere loro in foto.
Temo che in questo caso si tratti del desiderio di essere qualcun altro – o, più specificamente, il desiderio di non essere se stessi. Forse più ancora che voler attirare gli sguardi o fingersi alti, col fisico scolpito e i lineamenti cesellati, la foto profilo dichiaratamente falsa è una fantasia, un what could have been. È un desiderio di evasione, di essere un uomo più libero e meno odiato – perché subire tutta questa repressione, alla lunga, avvelena anche lo spirito più anticonformista che lotta per sentirsi in pace con se stesso.
Normalmente, i fake mi fanno arrabbiare – principalmente perché mi sento insultato nell’intelligenza se pensano che ci caschi. In questo caso, però, mi suscitano empatia: dev’essere davvero brutto vivere col desiderio inconscio non di avere un’esistenza migliore, ma di essere proprio qualcun altro, finire con l’assorbire un tale rifiuto verso se stessi che l’unica soluzione è proprio annullarsi e immaginarsi una persona del tutto diversa – perché di nuovo, la finzione non è a danno del visitatore, per lui è chiara e tonda.

Come dicevo, che gli altri abbiano problemi peggiori non risolve i miei, ma a volte rimettere le cose in prospettiva aiuta ad apprezzare meglio ciò che si ha. Per quanto anch’io abbia problemi di autostima, non sono così radicati da farmi immaginare di essere una persona del tutto diversa, e in questo sono fortunato. Sono fortunato per essere cresciuto in un ambiente in cui sì, essere un adolescente gay era difficile, ma non mi ha lasciato traumatizzato così profondamente.