Monday 11 January 2021

Assistere a un evento di portata storica

Devo ammettere che l’idea di aver assistito a un altro evento della portata dell’11 settembre ancora non si è del tutto depositata nella mia mente: l’ho presa abbastanza sul ridere, sul faceto.
Forse è perché il numero contenuto di vittime rispetto a quella volta inganna sulle proporzioni, forse perché, dopo tutto ciò che è successo nel giro degli ultimi dodici mesi, ormai nulla sembra più improbabile. Forse è perché non erano i miei due grattaceli newyorkesi preferiti, o forse perché nessuno si aspetterebbe di inanellare due eventi del genere di fila nel corso della propria vita. Ma è tutto così distante e ovattato che mi viene da accettarlo senza obiezioni come si fa con gli eventi assurdi in sogno: per qualche strano motivo, seguono la logica del mondo onirico e quindi ovvio che accadano così, duh.
Al momento l’intera faccenda è più che altro una fonte d’intrattenimento su Twitter, dove la gente che seguo (per lo più attori, musicisti e artisti, per lo più americani) ovviamente non parla d’altro; il mio contributo al discorso consiste nel lanciare frecciate, tipo sottolineare che la gente che sbraita “Make America great again!” è la stessa che ha dimostrato che gli Stati Uniti sono un Paese nei cui palazzi governativi chiunque può entrare come nulla fosse, o ironizzarci sopra, ad esempio vantarmi di aver avuto ragione, l’anno scorso, quando avevo detto che lasciare che i follower di Trump seguissero il suo consiglio di iniettarsi la varechina nelle vene era una soluzione – a un problema diverso dal covid, ma comunque una soluzione.

Il motivo per cui sto scrivendo questo post è proprio per fermarmi un attimo, mettere lo snark da parte e cercare di spacchettare quello che è successo per trarre qualche conclusione.
Ad esempio, la disorganizzazione del colpo di stato la dice lunga sulla mentalità di chi vi ha partecipato. O meglio, un’organizzazione di fondo c’è stata – il raduno stesso in primis, ma anche i dettagli sempre più orribili che stanno venendo a galla, tipo le fascette di plastica per sequestrare i membri del congresso, gli agenti collusi, i repubblicani che hanno fatto entrare la gente a studiare il luogo. La disorganizzazione a cui mi riferisco è altra: sono andati lì a volto scoperto, con telefoni e altri dispositivi che permettevano il tracciamento, spesso addirittura postando su internet le prove di aver partecipato a un crimine federale di massa, convinti che bastasse entrare in Campidoglio, fare la voce grossa, sequestrare qualche politico e impiccarne qualcun altro sulla pubblica pubblica piazza perché Trump rimanesse al potere.
Hanno dato per scontato che le forze dell’ordine e l’esercito fossero dalla loro parte, che nessun ufficiale avrebbe reagito e che, male che andasse, l’avrebbero fatta franca comunque. E ora sono shoccati – shoccati! – che l’FBI li stia rintracciando uno ad uno.

È forse questo il lato della vicenda che mi terrorizza di più spingendomi a cercare a tutti i costi di riderci sopra: che una fetta di popolazione di uno Stato socialmente avanzato sia così scollata dalla realtà da credere di poter fare quel che vuole senza alcuna conseguenza. A questo giro erano i Democratici in congresso, al prossimo ci passerà sotto qualsiasi altra categoria di persone. E dato che ciò che succede negli Stati Uniti purtroppo finisce per avvelenare pure noi oltreoceano, inizio a temere seriamente per l’integrità della società in cui vivo.

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