Qual è la linea sottile che separa un’amicizia o conoscenza che si rende utile dallo stalking? Questo è il dilemma.
Oggi pomeriggio mi arriva un messaggio da una conoscente che abita nella mia stessa via: mi dice che, attaccato al mio citofono, c’è un avviso di giacenza per un pacco che non mi è stato consegnato. Pacco sul cui contenuto non ho la minima idea, visto che non ho ordinato nulla in questo periodo, ma non è questo il punto. Il punto è che questa persona, evidentemente, stava camminado per la via, è passata davanti al mio portone, ha visto il bigliettino attaccato al citofono e ha pensato bene di fermarsi per vedere cosa fosse e a chi era indirizzato. Una persona che non è una mia amica stretta e non frequento assiduamente. Una semplice conoscente con cui sono in rapporti amichevoli, con cui ci si è visti spesso, l’anno scorso, perché si ha un hobby in comune, ma null’altro.
Non so decidere bene a che grado nella scala della tragicommedia collocare questo avvenimento. Interpretarlo come segno di affetto e cura nei miei confronti perché metti che una folata di vento o la pioggia staccassero lo scotch e io, magari non uscendo fino al giorno dopo, perdessi la ricevuta? O come segno dello squilibrio mentale di una persona che, passando, controlla spasmodicamente tutti i portoni per vedere chi ha ricevuto la posta?
Probabilmente la verità sta nel mezzo: non l’ha fatto con cattive intenzioni, né perché ha a cuore la mia corrispondenza. Semplicemente, è una di quelle persone incapaci di farsi gli affari propri, che devono ficcanasare nella vita di tutti; e ha manie di protagonismo tali che ha sentito il bisogno di essere lei a darmi la notizia. Entrambe le motivazioni di questo suo comportamento mi irritano, perché non mi piace che una persona si senta in diritto di ficcare il naso nella mia vita a mia insaputa solo perché sa come mi chiamo e dove abito, anche se è una cosa tutto sommato innocente e anche potenzialmente utile. Con le pettegole di paese ho già abbondantemente dato da piccolo, non me ne servono di trapiantate in città.
Bred from a thought, A little movement in the air Takes shape, in a few seconds Becomes a monster.
È successo un po’ come quando ho pensato per la prima volta di tagliarmi i capelli: un’idea randomica, passeggera, che credevo non avesse alcun seguito. Quella volta è stato il video sulle acconciature da uomo dell’ultimo secolo (tutto ciò che c’è stato fra gli Anni Dieci e i Cinquanta doveva essere mio), questa volta è stato continuare a trovarmi le foto di Raphaël Say sul feed di Instagram: porca miseria, quanto gli stanno bene, soprattutto il hoop con la borchietta che pende.
Tempo qualche mese e quella piccola idea non solo non è passata, ma è rimasta a fermentare in fondo alla mia mente, producendo sempre più fumi fino a intossicarmi del tutto. Così ho chiesto alla Mater quando fosse il giorno con la luna più giusta perché le ferite guarissero – una cosa super wiccan scoppiata, lo so, ma in queste cose meglio un po’ di superstizione in più in caso funzioni, e se non si avvera almeno non fa danno – ed era oggi; e quando sono passato allo studio di tatuaggi che mi avevano consigliato per prendere appuntamento, il proprietario mi ha detto che il piercer viene da Sassari una volta a settimana proprio di giovedì, una coincidenza perfetta.
Così eccomi qui, con un foro fresco fresco al lobo dell’orecchio sinistro e una barretta di acciaio chirurgico che lo attraversa. Sulla soglia dei trent’anni ho deciso di farmi l’orecchino.
Side note, ho deciso di andare da un piercer professionista e farmi mettere l’acciaio chirurgico perché non è il mio primo giro in giostra: nel 2006, a diciassette anni, addirittura prima di aprire questo blog, avevo deciso di farmi due buchi in alto sull’orecchio sinistro. In un negozio di bigiotteria, con la pistola e con due stud con gli strass in pura lega di tetano. A parte il male cane dei due buchi in successione, le cose sono poi andate malissimo perché i materiali degli orecchini erano dubbi, la tecnica è stata pessima, regole sanitarie queste sconosciute, la cartilagine è difficile da far guarire, eccetera. Fra l’altro, Quella Luana ci affibbiò pure un calcione mentre nuotavamo in piscina, il giorno primo del famigerato litigio, e lo fece apposta perché mi guardò con aria tutta soddisfatta mentre mi tenevo l’orecchio dolorante.
Ma divago. Il fatto sta che a dicembre ‘sti buchi mi facevano ancora talmente male da non poterci nemmeno dormire sopra, così ho rinunciato e li ho lasciati richiudere.
So bene che il lobo è tutt’altra faccenda – tant’è che ho sentito un pochino di fastidio, nemmeno dolore – ma ho preferito non correre rischi e affidarmi a un professionista che sapeva ciò che faceva. Vediamo un po’ come va a finire.
Di nuovo, sono sulla soglia dei trent’anni e un po’ mi sento stupido a dare tutta questa importanza a una cosa che per altri può sembrare scontata, ma piercing e tatuaggi sono sempre un po’ riti di passaggio. Chissà cosa mi porterà il mio.
Finalizzare il distacco non è mai stato il mio forte. Tecnicamente, io e Vanessa, la mia fidanzatina dell’infanzia, staremmo ancora insieme visto che non si è mai detto “Senti, lasciamoci” dopo che mi sono trasferito via in terza elementare. Ed è vero che in questo caso nessuno si è fatto male, la faccenda è morta e sepolta dato che non ci si è più visti negli ultimi vent’anni e, da allora, ognuno è andato per la propria strada (dovrei provare ad aggiungerla su Facebook, btw?) ma, nel corso della mia vita, la mancanza di chiusura ha portato a situazioni alla spinose, assurde, disastrose o anche solo vagamente fastidiose.
(Per inciso, che la chiusura non sia il mio forte è ovvio, visto e considerato che, a distanza di oltre vent’anni, la Mater e il suo Signor Ex ancora non sono in grado di racimolare quel briciolo di maturità e civiltà per comunicare direttamente senza me a fare da tramite, perfino su faccende di natura estremamente pratica; giusto oggi è stato lui a mandarmi a chiedere a lei una fattura sempre per gli stessi lavori, e seriamente, ragazzi, piantatela.)
Ora, per fortuna non tutti sono Quella Luana: non sempre lasciare un rapporto esausto a languire sullo sfondo, evitando di dire ad alta voce che è bello che finito, causa anni di disagio e stalking. Giovix è stato un po’ un’altra Vanessa: abbiamo iniziato a sentirci sempre meno, anche perché siamo cresciuti in direzioni molto diverse e in comune avevamo solo i ricordi dell’adolescenza, finché un giorno non mi sono più trovato fra i suoi amici di Facebook. Niente drama, niente ufficializzazioni, semplicemente ci siamo persi per strada, un’amicizia che è andata delicatamente verso la buona notte.
E poi ci sono situazioni che si ritrovano a metà fra Luana e Giovix. Amicizie bizzarre a più fasi, che iniziano ad assottigliarsi sempre di più finché non arriva un qualche litigio a distruggerle. E anche se poi ci si mette sopra una pezza perché è più comodo così che tenersi il broncio, le cose non tornano più come prima perché, semplicemente, non ne vale la pena. Non vale la pena di riparare una comunicazione che, a conti fatti, è sempre stata superficiale e selettiva, basata più sul condividere tossicità che sul costruire un rapporto. Nessuno dei due ci mette vero impegno, chi perché probabilmente non ne è capace, chi perché aveva sentito un vero e proprio sollievo dopo la rottura, è contento che i rapporti rimangano distanti e li ha riallacciati quel minimo solo per risparmiarsi sfuriate, frecciate, voci messe dietro e altre simpatiche cose che ha visto fare alla controparte.
Tutto considerato, quindi, mi fa strano esserci rimasto male di fronte all’ufficializzazione della fine di quest’amicizia. Sembrava quella che più probabilmente sarebbe scivolata silenziosamente verso la buona notte, e invece ha alzato la voce e fatto intendere che non ci sono più né confidenza né comunicazione, nemmeno finte. Il tempo è passato, ci si è allontanati – o meglio, la lontananza è diventata palese – e si è due perfetti estranei.
O forse sono sorpreso per l’improvviso moto di schiettezza da parte di una persona che non consideravo capace di esserlo. Magari è vero che tutti cresciamo e che prima o poi si riesce anche a fare a meno di maschere, sotterfugi e cose dette solo alle spalle.
Nel post sul famoso litigio dei piatti sporchi, avevo promesso che avrei parlato, in concomitanza di un altro anniversario, di ciò che successe fra la sfortunata gita nei pressi di Roma e lo stalking da parte di Quella Luana negli anni successivi. Poi me ne sono del tutto dimenticato, ma quest’altro anniversario era l’aver iniziato a indossare la chiavetta d’oro al collo.
Per riassumere, Luana mi aveva regalato un pendente d’oro a forma di metà cuore con su scritto 4ever Friends da una parte e Lola dall’altra. Lei aveva l’altra metà, quella con Alex. Siccome le mie opzioni circa le catenine su cui portare il pendente erano nulle, la Mater mi regalò la sua catenina preferita. Da allora, non la tolsi praticamente più.
Il sabato in cui Quella Luana e suo padre mi riaccompagnarono a Civitavecchia per prendere il traghetto del ritorno, lei era vestita dimostrativamente molto scollata, con una collana floreale intorno al collo ma senza la catenina 4ever Friends – Alex. Una volta tornato a casa, decisi di fare altrettanto, ma mi dispiaceva non indossare più la catenina, visto che nel frattempo la Mater ne aveva già comprata una nuova per sé. Così mi ricordai che i miei genitori avevano comprato casa quando io avevo pochissime settimane e i precedenti proprietari mi avevano regalato un ciondolo a forma di chiave come buon augurio.
Caso volle che in quei mesi fossi tutto un fremito per l’imminente arrivo di The Open Door degli Evanescence; il primo singolo, Call Me When You’re Sober, uscì proprio nelle settimane del dramma di Luana e parlava di Amy che trovava la forza di terminare un rapporto tossico senza rimpianti, ripensamenti e lacrime. Quale migliore coincidenza? Da allora, la chiave è quella della open door da cui escono le persone tossiche della mia vita e la indosso 24/7 per ricordarmi che non devo farmi del male pur di salvare un rapporto esausto.
Una foto pubblicata da Alessandro Narciso (@gothicnarcissus) in data:
Tutto bello e tutto facile sulla carta; nella realtà un po’ meno. Perché se la colpa del litigio grosso, quello che ha mandato tutto in frantumi, fu sua (e su questo non sono disposto a negoziare), il conseguente degenerare della situazione fu in buona parte colpa mia. All’epoca mi giustificai dicendo che povera Luana, a parte me davvero non aveva nessuno; che se me ne andavo io, chi le rimaneva? Che ero meschino a prendermela così per uno screzio, che la mia rabbia era solo una fase, che se aspettavo, se mi sforzavo, saremmo tornati come prima. O che, in alternativa, prima o poi si sarebbe stancata lei di cercarmi a vuoto.
Fatto sta che, qualche mese dopo, Luana mi contattò in lacrime per dirmi che le era morto il cane. Sul momento, le offrii conforto; lei colse la palla al balzo e tornò come se nulla fosse successo. “Allora, Ale, come va con pianoforte? Hai iniziato a fare canto? Dai, che dobbiamo mettere su una band! Mi traduci questo testo che ho scritto sulla morte di Ice?”. Non mi chiese mai scusa per quello che era successo, io non glielo feci mai notare perché mi sembrava assurdo che non ci arrivasse lei. Eppure, proprio il fatto che non ci avesse nemmeno pensato, che forse era il caso di provare a rimediare, mi ferì ancora di più. Vedere il suo numero in chiamata mi rivoltava letteralmente lo stomaco. Solo che, invece che fare chiarezza e dirle senza mezzi termini che a) mi doveva delle grosse scuse, e b) in ogni caso poteva infilarsele dove le pareva perché non era possibile tornare a com’eravamo prima, feci il gioco del silenzio e sperai che si stancasse di essere accolta con storie inverosimili quella volta ogni dieci che le rispondevo al telefono. Ciliegina sulla torta, quando di troncare si trattò, usai un ennesimo pretesto, e solo quando nemmeno questo fu sufficiente le dissi che, semplicemente, non provavo più amicizia per lei dopo quello che era successo l’estate prima. Troppo tardi, quando ormai il torto era diventato mio. Quando avevo lasciato che la situazione si putrefacesse invece che mettere un punto fermo, risparmiare false speranze a lei e tanto logorio di nervi a me.
Parlandone col terapeuta, è emerso che, in sostanza, ho una paura fottuta dei distacchi. Consensuali o non consensuali, naturali o prematuri, con persone, attività, situazioni, cose: qualsiasi sia il distacco, mi spaventa tanto che preferisco una situazione stagnante e insoddisfacente piuttosto che affrontare la fine di qualcosa. Vero, progetto degli Infernal Lords lasciato a due lavori dal completamento perché non mi decido a organizzare questi ultimi shoot?
Comunque, in dieci anni, si spera, sono maturato. Ho avuto il tempo di processare la faccenda di Luana e imparare dai miei errori. Se anche devo essere io a prendermi la colpa di aver sfasciato tutto ufficialmente perché non so scendere a compromessi, sticazzi, rivendico con orgoglio di essere brutto e cattivo, anche più di quanto non lo sia realmente.
Fin qui, ho scritto questo post al primo pomeriggio, rimettendo i fatti in ordine e chiarendomi le idee. Adesso, dopo una passeggiata per riflettere meglio, alcune ultime faccende sbrigate ad Alghero prima di ripartire e, soprattutto, concluso con due lunghissimi messaggi e un’ora e nove minuti di telefonata un rapporto d’amicizia che era diventato profondamente insoddisfacente, posso dirlo: Luana, cara Luana, Quella Luana, finalmente ho imparato la lezione che avrei dovuto imparare con te. Che la gente non mi legge nel pensiero e, se voglio concludere un rapporto, devo semplicemente farlo. Le mezze soluzioni non sono soluzioni.
Spero che questo sia almeno una briciola della giustizia che avrei dovuto farti.
È da dieci anni che ho questo blog. Prima di lui, sempre nel 2006 ci fu un breve e non del tutto riuscito esperimento su LiveJournal; poi, qualche mese dopo, approdai su Splinder. Scelsi una grafica ispirata a The Open Door degli Evanescence, che sarebbe uscito di lì a poco, buttai giù il primo paio di post, poi una conoscente propose di trasformarlo in un blog a quattro mani e io accettai. Tempo un paio di settimane e lei abbandonò l’idea, così GothicDoor rimase tutto mio.
Ed eccoli lì, dieci anni di vita telematica, fra l’entusiasmo del primo anno, il ritorno di fiamma in quello successivo, i post continui quando ancora non mi ero disilluso della vita adulta e indipendente, i ritmi più calmi dei due anni successivi; il silenzio stampa quando Splinder chiuse, mentre cercavo una piattaforma su cui trasferirmi: su Blogspot avevo già il blog da fotografo, ma il file in cui Splinder mi aveva salvato i post non era compatibile, e sono riuscito ad aggiustare tutto solo dopo più di un anno; e poi la rinascita sulla nuova piattaforma.
Ne sono successe tante, qui sopra. Tanto per cominciare, ci ho conosciuto il mio primo ragazzo; e anche il mio primo vecchio viscido ossessionato dai giovani. Ed è stato per mesi l’unico canale tramite il quale Dadine, la mia stalker, aveva modo di stalkerizzarmi. Ho scritto post troppo sopra le righe che hanno scatenato conflitti armati con persone a cui tenevo, ho scritto per chiedere scusa, ho scritto per dire cose che non riuscivo a esprimere e la cosa ha aiutato ad appianare delle divergenze. Ho appuntato sogni, momenti di crescita, avvenimenti importanti, momenti tristi, o anche solo scemenze. E il blog c’è sempre stato.
Sono cambiato molto e non posto più come dieci anni fa. Non apro il blog per qualsiasi sfogo da mezza riga – adesso c’è Facebook per quello. Ma questo blog è sopravvissuto anche all’avvento dei social istantanei, per cui penso davvero di volergli bene. Anche quando lo trascuro perché non ho voglia di pensare alla mia vita, figurarsi scriverne. Anche se sono passato da appassionati sfoghi sui miei piccoli drammi quotidiani e cronache di relazioni più o meno disfunzionali, a postare più che altro le mie opinioni su argomenti di cronaca o cultura generale, e parlare molto meno di me stesso e quel che mi accade. Anche se negli ultimi due anni ho abbandonato la tradizione del post per l’anniversario. Eppure, eccomi qui, con qualcosa che dà forma a quello che nella mia testa è solo un turbinio di eventi sfuocati. Che mi ricorda che tante volte non ho passato un buon momento, ma le cose sono sempre andate avanti, in qualche modo. O che ho avuto spesso dei bei momenti e, nonostante gli ostacoli, nulla può portarli via.
Oggi fa un caldo che la metà basta; avevo in programma un giro alla Galleria dell’Accademia di Firenze con una delle persone a cui voglio più bene in assoluto, ma è saltato; la sera vado a Rifredi a prendere un’altra delle persone a cui voglio più bene in assoluto e, fino ad allora, ho del tempo da perdere; una terza persona a cui voglio più bene in assoluto, che ho visto questo week end, è già tornata a casa, così, mi sono parcheggiato all’ombra di San Lorenzo, dove il caldo dà un po’ di tregua, e mi sto gustando The Black Dahlia di Ellroy, finalmente libero dalla distrazione di internet, del lavoro, della partenza da organizzare o del troppo sonno per concentrarmi.
Ok, in realtà una distrazione c’è: suppergiù a quest’ora ricorre il decimo anniversario di uno dei grossi traumi della mia vita adulta.
Ieri era il compleanno di Luana. Quella Luana. La quale, un tempo, era una delle persone a cui volevo più bene in assoluto. Oggi è il giorno dopo il compleanno di Quella Luana.
Dieci anni fa, il compleanno di Quella Luana ricadeva di martedì: lo ricordo bene perché ero andato a trovarla nei pressi di Roma per passare qualche giorno con lei. Ero arrivato il giorno prima, un lunedì, e i piani erano di restare tre, massimo quattro giorni perché l’ospte è come il pesce – dopo tre giorni inizia a puzzare. Ma “se non resti almeno una settimana, Alessa’, mi offendo!”, e così il traghetto del ritorno (ché ancora non c’era RyanAir) l’avevo prenotato per sabato. Che cretino.
Ripensandoci, già allora non ero senza colpe; almeno una delle cose che poi Quella Luana mi ha rinfacciato era vera: ero troppo accomodante, perfino più di adesso. In quei giorni, Quella Luana aveva la luna di traverso per motivi suoi e io ho lasciato che mi usasse come punching ball emotivo: cercavo di fare da paciere fra lei e sua mamma, non l’ho presa a voci quando, il giorno del compleanno, in piscina mi ha tirato apposta un calcione all’orecchio su cui avevo appena fatto i buchi, sorridevo per gli insulti randomici… insomma, lei era quella il cui umore faceva da banderuola ed esplodeva per un nonnulla, e io ero quello che inspirava profondamente, sollevava lo scudo anti-sommossa e aspettava pazientemente che i suoi capricci fossero finiti, senza ricordarle che anch’io ero una persona e magari avrebbe potuto evitare di passarmi sopra come un carrarmato. Mentre parlavamo una sera, sua mamma fece un’osservazione molto vera: “Tu sei suo amico perché non vivi vicino a lei; la prendi a piccole dosi e la sopporti così. Ma di quelli che la sopportano tutto il giorno, fa terra bruciata subito”.
Comunque, dicevo, il dramma che avrebbe fatto collassare anni e anni di amicizia “Fratello! Sorella! Per sempre!” scoppiò mercoledì 26 luglio 2006 intorno a quest’ora. Mi ero alzato in tempo per pranzo, avevo lasciato il letto sfatto per far evaporare il sudore, mi ero messo a tavola con Quella Luana. Faceva caldo umido perfino in casa e, finito di mangiare, non si respirava. Casca la domanda fatidica: chi lava i piatti? Io o lei? Dico io: “Mmh… Non ne ho molta voglia… Magari dammi una mezz’ora che digerisco e poi vado?”
In cui io, come al solito, sono Margaery.
Apriti cielo. Io non faccio niente in quella casa, non faccio niente nella mia vita, non ho nemmeno rifatto il letto, sono inutile, BAM!, porta sbattuta e se ne andò al computer. I tre giorni successivi li passai per conto mio a guardare la TV (visto che in paese non c’era nulla da fare e spostarsi a Roma era un casino). La sera la passavo in veranda a sorseggiare vodka con la mamma di Quella Luana e cercare di non parlare del comportamento della figlia. Con scarso successo, vedesi osservazione di cui sopra. Lei sparita del tutto; io lì, a casa sua apposta per lei, e lei non mi parlava più per chi doveva lavare i piatti mercoledì a pranzo. La nostra amicizia è sostanzialmente finita per quello.
Nei dettagli di quel che successe dopo scendrò in un altro post, ché c’è un altro decimo anniversario in arrivo. Ma se prima ho parlato di “trauma”, non era proprio un’iperbole: quell’avvenimento mi ha segnato profondamente. È da allora che provo sempre un certo disagio a chiedere o ricevere ospitalità, soprattutto per più giorni. Ho costantemente paura di essere di troppo e non gradito, di star scroccando, e che chi mi ospita abbia accettato per pura formalità sperando che poi mi tirassi indietro e gli risparmiassi il peso della mia presenza in casa. Sono davvero ossessivo nel cercare di rendermi utile, come se fare le cose in casa significasse che, dopo tutto, non sono completamente inutile lì. C’è da apparecchiare? Dove sono le posate, le prendo? Posso dare una mano a tagliare qualcosa? Rimesto nella pentola mentre fai altro? Metto a scaldare? Sparecchio? Ti passo il piatto? Vuoi che li lavi io i piatti? Ma ti aiuto a spolverare? Cristoddio, dammi qualcosa da fare perché se sto seduto qui mentre tu fai le cose in casa di sicuro finisce che un’altra amicizia mi va a puttane.
E sì, col senno di poi lo capisco che la mia amicizia con Quella Luana non è finita per i piatti sporchi da lavare, ma perché era sbilanciata in partenza. Che non abbiamo litigato per il letto sfatto, ma perché lei era una dannata psicopatica e io lasciavo che mi usasse come sfiatatoio. E anche che ho avuto la mia fetta enorme di colpa, dopo, nel non averle esternato quel che pensavo (e sì, aveva ragione a dire che sono troppo passivo nei litigi) e spiegato chiro, tondo e subito perché, dal mio punto di vista, l’amicizia non era più recuperabile, invece che procrastinarla per mesi e mesi.
Resta però il fatto che, da allora, misuro il mio diritto di stare al mondo in base a ciò che posso fare per rendere la mia presenza a casa d’altri il meno disagevole possibile. Non c’è quindi da sorprendersi se la mia musofobia sia andata alle stelle nelle scorse settimane, visto che dovevo mettermi in una situazione – essere ospitato – che nella mia testa è fonte di conflitto totalizzante.
Comunque questo week end ho visto BriarRose, ieri ho visto Francischino e stasera finalmente vedo Katia; è un anniversario tondo di un avvenimento funesto, ma sono quattro giorni e mezzo che sono ospite della famiglia di Katia, mi trovo a provocare disagio (grazie agli scioperi di Trenitalia), eppure non sembrano infastiditi dalla mia presenza. Forse perché hanno la lavastoviglie e i piatti sporchi vanno lì?
Se non altro, anniversario non ti temo: è solo uno stupido litigio di uno stupido, afoso pomeriggio di dieci anni fa, non è un cattivo augurio. Razionalmente l’ho capito: le persone che ho intorno ora sono molto più salubri e di sicuro non scateneranno la terza guerra mondiale se mi cade un tovagliolo per terra. Forse è arrivato il momento di sepellire il fantasma di Quella Luana e convincermi che, in cambio dell’ospitalità, offro una compagnia tutto sommato piacevole.
I’m only happy when I’m on the run, I broke a million hearts just for fun. I don’t belong to anyone.
Sono le due di notte in punto.
Fuori piove nonostante i ventinove gradi, che non sembrano volersi abbassare. Il risultato è un velo di umidità caldiccia che impregna qualsiasi cosa e rende l’aria praticamente irrespirabile, la pelle appiccicosa e il letto una specie di inferno. Il condizionatore ha camminato tutto il giorno, ma dato che ci sono ospiti nella stanza accanto, dove passa il tubo della condensa che si collega al motore, non voglio tenerlo acceso tutta la notte per via del rumore.
Tutto qusto rende la notte insonne e particolarmente frustrante, visto che non mi viene nemmeno voglia di mangiucchiare qualcosa per sfogare la fame nervosa, e che, a quanto pare, l’insonnia da afa sta mietendo meno vittime di quante sarebbe il caso.
In tutto ciò, oggi ho aperto un cassetto con dentro della corrispondenza cartacea e ho trovato due lettere di una ragazza la cui esistenza avevo totalmente rimosso. Corrispondenza “per vezzo”, visto che ci si sentiva via Messenger. Nella prima mi ha riassunto in breve gli allora diciannove (quasi venti) anni della sua vita, nella seconda mi ha esposto nei dettagli (e con una sequela di espressioni stereotipate e diabetiche) tutto il suo amore, sbocciato dopo un concerto assieme (incontro casuale sul posto) e un anno di corrispondenza telematica durante il quale ricordo di averla calcolata poco e niente perché avevo già sentito puzza di bruciato. Non ricordo come sia andata a finire, ma evidentemente dopo tot abbiamo smesso di sentirci, visto che non ricordavo nemmeno di averla conosciuta, o il contenuto delle due lettere.
Sinceramente non capisco perché le ragazze si innamorino così facilmente di me. Solo negli ultimi sette anni mi vengono in mente almeno undici casi di donne che si sono dichiarate più o meno esplicitamente, un paio di cui ho un forte sospetto ma che si sono risolti nella più totale discrezione e senza compromettere l’amicizia e almeno un altro che poteva andare a parare lì ma è sfumato prima ancora di nascere. Di questi undici, due si sono conclusi con una salda amicizia, un altro ha portato ad una salda amicizia dopo un lungo periodo di assenza di contatti, due sono stati ripetutamente negati dalle dirette interessati ma conclamati dai fatti (ciao, Luana), uno ha rischiato di mandare a monte un matrimonio con figli (cosa che ho scoperto sul posto), uno è stato un incubo di stalking con tentativi di incontro, pedinamenti telematici (e non solo) e quant’altro (ciao, Dadine), i restanti si sono conclusi con un devastante naufragio di amicizie, alcune anche piuttosto strette, fra scenate e piagnistei senza possibilità di recupero. Tutto questo senza ovviamente contare le fangirl di GothicNarcissus, che costituiscono una categoria a sé stante.
La cosa mi secca alquanto, perché se da una parte mi sento un verme a spezzare il cuore di una persona a cui tengo o che comunque mi fa pena solo sulla base della sua assenza di pene (per non parlare di situazioni tremende tipo rifiutare “un singolo bacio” a una donna abbastanza più grande di me con gli occhi lacrimevoli perché il marito dormiva nella stanza accanto mentre ero loro ospite), dall’altra ci sono anche quelle che perseverano nonostante l’evidenza dei fatti, con comportamenti che oscillano fra il “tutto ciò che ti serve è una brava donna che ti faccia cambiare idea”, al “fai una prova con me, al massimo non ti piace”, ai tentativi di corss-dressing come se quella potesse essere la soluzione al problema (di nuovo, ciao, Dadine). Ma io cosa posso farci? In realtà, in questi casi non è nemmeno vero che, come dice Santa Marina, spezzo i cuori per divertimento, anzi, mi sento proprio uno schifo a farlo. Per cui, ragazze, siete avvisate: non c’è storia. Vi posso volere un mondo di bene e mi fa piacere se ricambiate, ma non innamoratevi di me in modo romantico, è inutile. O, se proprio dovete, fate come le due sagge che non l’hanno mai lasciato a intendere e se lo sono fatto passare senza provocare drammi, tant’è che mi chiedo tutt’ora se non me lo sia immaginato.
In tutto ciò non posso nemmeno dire che le cose vadano meglio sul frangente uomini, visto che, tolto il Coniglietto nei mesi passati, le uniche alternative alle donne che mostrano concreti segni di interesse (morbosamente) romantico nei miei confronti sono maniaci telematici, pippaioli virtuali (con nomi anche di un certo prestigio che mi hanno totalmente sconvolto, ma che ho promesso di portarmi nella tomba), fake che pensano che non mi accorga che si sono fatti il profilo con foto di modelli famosi (ma non famosi da Tumblr, eh: famosi dalle copertine delle riviste di moda maschile, proprio antisgamo) e che si aspettano che dia via le istantanee del mio pisello come se fossimo alla lotteria, o simili. Se non altro, ultimamente i veci brutti e chiattoni sembrano essersi dileguati.
Magari in giro c’è anche di meglio, eh, ma questo meglio o non dà proprio segnali, oppure ne dà di contrastanti, e sincermente in questi casi preferisco indirizzare altrove le mie energie. Mentre per gli indesiderati, dal Vangelo secondo Marina: I don’t belong to anyone.
Similmente a quanto feci in questo post, riassumiamo le puntate precedenti in piccole pillole.
♠ La pausa-esami universitaria è finita e ora ricominciano i corsi. Io non ne ho voglia. Davvero, non ne ho affatto. Purtroppo non esiste un corrispondente italiano altrettanto efficace quanto l’azzeccatissima espressione inglese, ma è un periodo in cui tutto ciò che voglio è to dream my life away.
♠ “A volte ritornano”. Io ci aggiungerei un bel “magari a volte”, perché in realtà ritornano sempre. Posso non poterne più, eh? Ne ho il diritto?
♠ Sto diventando sempre più insofferente a tutto ciò che mi circonda. Odio il fatto che la casa dello studente abbia le pareti sottili e si senta tutto, porca miseria, tutto. Odio che a mensa ci sia sempre la fila, odio il chiacchiericcio costante: la gente sta iniziando a diventare odiosa non solo nel momento in cui con la sua presenza mi rovina le foto, ma anche nella vita quotidiana. Il che non va bene. E se devo dirla tutta, odio anche entrare e trovare la puzza della pizza tonno e cipolle, o gorgonzola, o il venerdì quando l’intera mensa esala fetore di pesce. Che dramma essere poveri.
♠ Non ho più voglia di uscire la sera. Fare tardi girando per Trieste da un locale all’altro mentre regolarmente si parla sempre e solo dell’università inizia ad essere snervante. Questo sabato un mezzo malessere mi ha consentito di disertare la festa gaia in maschera, in cui mi sarei dovuto lasciar mascherare da Britnispìrs dalla Fra, e sinceramente non mi è dispiaciuto nemmeno più di tanto: la musica sarebbe stata un’agonia, non ci sarebbe stato nessuno che mi facesse venire anche solo la curiosità di pensare a come sarebbe stato provarci, e alla fine mi sarei semplicemente dato all’alcool indiscriminato tornando a casa barcollante e sfatto. Quanto desidero un qualche localino gotico...
♠ Siamo ancora a metà febbraio e io sono già in crisi d’astinenza di Angel Sanctuary. Spiegatemi ora come faccio a campare ancora un mese prima del prossimo volume. Anche rileggendo tutto il manga dall’inizio non riuscirei a darmi sollievo. A volte mi sento un maledetto masochista se penso che nel mio hard disk esterno gli archivi con tutte le scan dei volumi fino alla fine del manga ridono tranquillamente di me, che li tengo lì solo per ritagliare le immagini migliori per la mia collezione. È folle perseverare nella mia volontà di non volermi guastare il piacere della lettura su carta, lo so. Ma è anche vero che un piacere per il quale si lotta e soffre è molto più intenso. Basta, ora vado in fumetteria a vedere se almeno è uscita Nana, porca miseria!
♠ Ho finito tutti i racconti di Le Fanu che precedono Carmilla. Pur continuando a pensare che quell’incompetente di Gianni Pilo andrebbe fustigato con passione e forza, dato che mi traduce “delusions” con “delusioni” e non è capace di rendermi la rima fra “pity” e “city” di una filastrocca mettendo “pietà” e “città” a fine verso, cosa per la quale non ci vuole nemmeno Scuola Interpeti, se non altro le ultime tre storie sono state davvero carine. Ma di Le Fanu parlerò approfonditamente una volta finito il libro.
♠ In realtà, il mio malumore è riassumibile in: mi manca la Bloempje e sono impaziente come un dannato per il concerto di Emilie Autumn giovedì a Torino, il photoshoot con BriarRose e la Fumettopoli di domenica. Mercoledì, arriva presto che così parto!
Hello again, familiar morning routine. Time is ebbing away, but I feel no rush today, No urge, no hurry, just the rhythm of the rain Sliding by. I’m not here… I’m not nearly, nearly there, Not nearly, nearly there.
A dirla tutta, sta diventando sempre più difficile lasciare Milano per tornare a Trieste. Un po’ perché sono stati dei giorni molto intensi e decisamente soddisfacenti, un po’ perché a Trieste mi attendono la routine universitaria e, in particolare, gli esami. Un altro po’ perché mi trovo molto bene in compagnia di Ayl e l’atmosfera di Brera mi si addice davvero molto, e anche perché non ho fatto tutto ciò che avrei voluto fare (secondo la legge individuata da Ayl per la quale è impossibile che io riesca a fare due Infernal Lords nello stesso viaggio).
Mercoledì è stato un giorno intenso quasi quanto martedì, in cui ho fatto in pratica due photoshoot di fila: il primo è stato a casa di Ayl con Nick Chiron, che ha posato in maniera eccellente (e quando dico eccellente, intendo dire davvero eccellente) per uno dei miei demoni, il secondo è stato sempre con lui, Ayl e Jillian nell’orto botanico di Brera (che, per chi non lo sapesse, sarebbe l’Accademia delle Belle Arti). E questa era il famoso motivo per cui adoravo Ayl un paio di post fa: è stata proprio lei a far sì che Babbo Natale si attivasse e mi portasse il bel modello come specificamente richiesto nella letterina dello scorso Natale, contattandomelo su Facebook (che, escluso questo piccolo episodio, è il Male) e mostrandogli il mio progetto. Ergo, nuovo Infernal Lord in arrivo, che precederà probabilmente quello impersonato da Kiyubi, che è ancora in progress a causa della quantità esorbitante di materiale necessario per la manipulation (e sto pensando seriamente di infilarci pure Jerome o Rutger degli Autumn, perché non so dove reperire tutti i visi che mi servono).
Il pomeriggio è stato consacrato al riposo, mentre la sera abbiamo portato avanti la tradizione di andare a cena almeno una volta al giapponese, nel nostro ristorante di fiducia, ovvero Uke. Fra una cosa e l’altra, non ho mai raccontato qui sul blog la storia di Uke. La sera dopo la Fumettopoli, quando ero andato per la seconda volta da Ayl, ancora a novembre, io, lei e la sua coinquilina avevamo deciso di andare a mangiare fuori al giapponese. Trovato un nugolo di ristoranti nella zona di Porta Ticinese, siamo andati a cercarne uno che servisse il ramen, ma dopo aver appurato che era introvabile, ci siamo decisi per un ristorante che si chiama Ume: con il kanji del nome giusto sopra la M che somigliava così tanto ad una K, a noi due fangirl è venuto automatico leggere “uke” e iniziare a ridere come deficienti per tutta la cena sotto lo sguardo perplesso della coinquilina di Ayl. Dato che poi il cibo era ottimo e il numero civico 69, l’abbiamo eletto nostro ristorante giapponese di fiducia.
Ieri, mentre cenavamo, abbiamo poi deciso che anche noi apriremo un ristorante, che chiameremo Seme. Essendo io seme, ne sarò ovviamente il proprietario, ma dato che serve anche un po’ di uke nella gestione, Ayl sarà la mia co-proprietaria (in un test una volta le uscì che era 99% uke). Michele, il ragazzo di Ayl, farà la mascotte, e starà fuori dal ristorante vestito da orsetto ad attirare le fangirl. I camerieri saranno tutti rigorosamente maschi e tutti rigorosamente uke, vestiti come Sebastian di Kuroshitsuji. E, soprattutto, si cucinerà il benedetto ramen!
A questo punto, considerando che poi abbiamo passato il resto della serata a ridere come deficienti piegati in due ascoltando Mireille Mathieu su Youtube, si può ben intuire perché l’idea di tornare alla vita ordinaria sia così grigia. In questo momento, cambierei un po’ il titolo della canzone degli Autumn in Forget To Remember (Che Ho Gli Esami). Oh well.
Ps: fortunatamente, nonostante oggi fosse il tanto temuto Dies Irae e Ayl si fosse ritrovata il temibile spillone Voodoo infilato nella pancia, il mio viaggio è andato bene comunque: gli Orsetti del suo Reame mi hanno protetto con le loro zampine sollevate e sono riuscito a tornare a casa senza incidenti degni di nota, se non quelli che si sono prontamente aggiustati da soli, a dimostrare che, comunque, una forza mistica che si opponeva alla protezione degli Orsetti c’era.
...e una rosa è solo una rosa. E le rose vanno amate tutte, a prescindere da chi le regala e quanto in fretta appassiscono.
Ci pensavo domenica mentre, nonostante il freddo e l’umidità, mi fermavo a scattare una fotografia a quella piccola rosellina appassita che si protendeva verso il cielo, mentre tentavo di preservarne almeno l’immagine dall’essere effimera: io amo le rose. Huysmans può riempire quanto vuole la bocca di Des Esseintes su quanto siano inflazionate, pretenziose eccetera, ma io le trovo sempre delicate e magnifiche. Io di rose ne posseggo tre, e tutte e tre a modo loro eterne. La prima è la più importante di tutte: è una rosa rossa di stoffa, regalo che mi fece la Bloempje per San Valentino l’anno in cui stavamo insieme. L’ho sempre tenuta assieme al cuore antistress sul comodino, sempre, entrambe le volte che ci eravamo lasciati, e l’ho sempre amata profondamente, sia lei che il cuore con la scritta “Ti Amo”, perché sotto sotto ho sempre saputo che è vera a prescindere da ciò che può succedere. È bella quanto lo è la mia Bloempje, con le sue forme così delicate e il velluto morbido sotto i polpastrelli. Come si potrebbe non amarla? La seconda me l’hanno regalata Alessandra e Giovanni per i miei diciannove anni: eravamo in pizzeria e si è avvicinato uno di quei venditori ambulanti. Così, me ne hanno presa una a metà fra lo scherzo e il serio. A distanza di quasi due anni, è ancora lì, appesa alla mia libreria con i petali avvizziti, un tempo rossi, rivolti verso il basso. È così bella, nella decadenza della morte, e questa bellezza durerà in eterno. La amo perché ha in sé un fascino tutto gotico, e mi ricorda che il mondo ha tanta bellezza da offrire anche nelle cose più piccole o impensate. La terza è sempre rossa, ed anch’essa un regalo. È una rosa trattata chimicamente affinché non appassisca mai, conservando intatta tutta la sua bellezza, nonché la conferma della mia teoria secondo la quale la Bellezza necessita sempre dell’Artificio. Mi è arrivata in circostanze piuttosto scomode, che sono degenerate subito dopo (beh, in verità erano già belle che degenerate, ma dettagli). Per questo motivo, in quanto regalo di una persona sgradevole, avrei dovuto odiarla. E invece, non ha giaciuto nell’armadio per mesi come il resto, ma è sempre stata lì a deliziare la mia vista. Perché una rosa è sempre una rosa. Non ha colpa di ciò che le accade, non viene guastata dalle mani che la toccano: nasce semplicemente per essere amata. E allora, al pensiero che potesse essere odiata per le sue vicissitudini, il mio cuore ha pianto con lei e l’ha accolta, facendomela amare nonostante tutto. Perché il destino delle rose è questo: toccare i cuori sempre e comunque, a prescindere da ciò che viene imposto loro di rappresentare. Delle mie tre Rose, solo la prima, quella della Bloempje, mi ha toccato il cuore sia per il suo essere Rosa che per il suo essere Dono. La seconda è stata un balocco e da tale si è elevata a tesoro. La terza voleva essere un simbolo di qualcosa che non m’interessa, ed ha finito per essere preziosa solo per quella che è la sua reale essenza: la Bellezza. Io amo le Rose.
Ne parlavamo giusto l’altro giorno con Ayl: avere un blog e renderlo privato significa snaturarlo. Si parte dal presupposto che se uno tiene un blog online è perché vuole che gli internauti, anche perfetti sconosciuti, lo leggano ed eventualmente dicano la loro. Se non si vuole che ciò accada, semplicemente non si scrive, senza drammi e senza paturnie.
È sostanzialmente questo il motivo che mi ha spinto a cercare di tenere i commenti abilitati a tutti fino a quando non ho davvero raggiunto il punto di saturazione. Ed è sempre per questo che il blog è ancora pubblico nonostante tutto. Eppure, ultimamente mi è passata quasi del tutto la voglia di scriverci, come dimostra il silenzio stampa di questi ultimi giorni. Sapere che certe persone indesiderate continuano a farsi gli affaracci miei e ricamarci sopra indisturbate non è un grosso incentivo alla scrittura. Per questo, sto pensando seriamente di spedire gli inviti a chi di dovere e sparire dalla circolazione.
Detto ciò, sono tornato a Trieste già domenica scorsa ma la cosa non mi ha fatto felice come le volte precedenti. Mi sento lontano mille miglia da qui, da ciò che faccio e dalle persone con cui ho a che fare.
In compenso, al mio ritorno ho trovato tutti i cd che avevo ordinato (ed erano davvero un botto) e il volume di Angel Sanctuary 13, che mi ha fatto strillare tutto ieri pomeriggio come una fangirl. L’unica cosa pallosa è, come al solito, che aspettare due mesi per il prossimo numero è puro masochismo, e mi chiedo davvero cosa mi trattenga dall’aprire tutti gli archivi rar che ho sull’hard disk esterno e leggermelo sul pc. Ah, santa pazienza di una fangirl! Ma almeno c’era Rosiel. Kyaaaah!
Ps: nel frattempo godetevi questo screenshot di Sharon den Adel con i bigodini alle prove di un concerto preso dritto dritto dal dvd del Mother Earth Tour!
È vero: arrivato a vent’anni che ancora sbavo su personaggi di anime, manga, libri, videogiochi e quant’altro e dormo abbracciato al cuscino, con fra le tante l’abitudine di lasciar asciugare i capelli all’aria anche in pieno inverno pur di evitare il crespo, la necessità fisica di ascoltare musica dall’iPod in mezzo alla folla per non entrare in crisi claustrofobica o misantropica, il bisogno ossessivo-compulsivo di comprare cd, la mia scala di valori distorta, i miei sbalzi d’umore, la crudeltà gratuita, i vestiti che devono essere prima belli e poi comodi e tutte le altre mie caratteristiche eccentriche, io per primo non rientro nella definizione di “normale” (e francamente la cosa non mi fa altro che piacere). E tuttavia, il diritto di dire che ho a che fare con persone assolutamente folli, nel senso peggiore del termine, ce l’ho tutto eccome. Ma andiamo con calma.
Una domanda ricorrente che mi fanno tutti quelli che vedono la mia catenina, che in tutto il 2009 ho tolto solo una volta (per fare la foto di Astaroth) è: “Che bella! Cos’è, la chiave del tuo cuore?”. Inutile dire che fanno tutti una faccia molto perplessa quando io, il sorriso sulle labbra, rispondo candidamente: “No. In realtà è la chiave della porta da cui escono le persone che mando affanculo”. Ebbene, come chiaramente visibile nella foto di Me-Setsuna di cui sotto, questa chiave la porto al collo sin dalla seconda metà del 2006, più precisamente da agosto, quando ha sostituito un altro pendente. La chiave me l’avevano regalata come buon augurio i precedenti proprietari di casa mia quando i miei avevano stipulato il contratto – io avevo due mesi e spiccioli – e per diciassette anni era rimasta dimenticata in fondo a un cassetto. Poi, la Mater mi ha regalato quella catenina, che era stata a sua volta un regalo, per portare un certo pendente. Quando ho dovuto smettere di indossarlo, mi dispiaceva per il sacrificio della Mater (che ne aveva nel frattempo comprata un’altra per sé) e ho deciso di riempirla così.
La scelta non è stata casuale: il precedente pendente mi era stato regalato da lei, la celeberrima, l’unica e inimitabile (quasi, purtroppo) Luana, ed era una metà cuore recante da una parte l’incisione “Lola” e dall’altra “4ever Friends”. Dopo tutta la serie di eventi che chi mi conosce sa bene, quando ho visto che l’ultimo giorno che sono stato da lei dimostrativamente non indossava la sua metà ho deciso che avrei tolto anche la mia. Solo che, come accennato sopra, volevo conservare la catenina. Il caso volle che di lì a due mesi uscisse The Open Door degli Evanescence, anticipato dal singolo Call Me When You’re Sober in cui l’allora Amy Lee mandava a stendere il suo ex fidanzato, così ho avuto il flash sulla chiave e ho deciso di adottarla con questo esatto significato.
Ebbene, ora viene il bello: sono passati quasi tre anni e mezzo da allora, e sia la chiave che la mia risoluzione sono ancora al loro posto. Purtroppo, non solo loro: anche Luana! È sempre lì che, a intervalli regolari, spunta fuori come il giochino del Kinder Sorpresa, pronta ad attirare la mia attenzione in ogni modo possibile e immaginabile. Tralasciando che a pazze del genere sembra che ci sia abbonato, la cosa è terribilmente snervante. Perché il caro Giovanni può dire quel che cavolo gli pare e piace, ma se che Luana sia venuta a fare le vacanze dai parenti del Merilend per vedere lui e non me può anche essere credibile, no, non me la bevo che lui di sua iniziativa mi abbia proposto di andarla a trovare “eddai, fate pace!”. È chiaro come il sole-la luna-le stelle tutti assieme che in questo caso (come in altri) l’amico comune è mandato dalla persona che tenta a tutti i costi di riconciliarsi con me. E io sto qui come un idiota a chiedermi il perché, cosa c’è di così difficile da capire nel fatto che non voglio più saperne e non mi possono imporre la loro compagnia.
A questo proposito, vorrei chiarire le idee a Giovanni e a tutti quelli che, come lui, pensano che io non abbia di meglio da fare, durante la mia giornata, che odiare e farmi il sangue amaro per queste persone: no, non c’è nessuna “ostilità, peraltro idiota” che “va avanti da tempo”. Ovvio, nel momento in cui me le vedo spuntare davanti come funghi sono esasperato e un po’ mi fanno anche incavolare, ma la cosa finisce lì. Non è che fra un attacco e l’altro (sì, lo so, sembra herpes) sto costantemente a pensare a loro, a quanto le odio e a quanto auguro loro ogni male: semplicemente mi stanno del tutto, completamente indifferenti. Per me sono meno che nullità, sono proprio nulla. N-u-l-l-a. Non a caso sono sempre loro, in un modo o nell’altro, a cercarmi, mentre la mia vita va avanti tranquillamente e serenamente senza che il loro non esistere in essa la condizioni in alcun modo. È molto triste, certo, ma se con i suoi continui tentativi di tornare Luana non avesse consumato del tutto i buoni ricordi che avevo di lei, qualcosa sarebbe rimasto, al posto del nulla. Per questo Luana (e chi con te), una buona volta: fattene una ragione. La porta si è chiusa alle tue spalle, e la chiave è girata nella toppa. Non c’è via di ritorno.
A questo punto, confido davvero nella Befana: l’Epifania tutte le feste si porta via. Magari anche le pazze ossessivo-compulsive.
So che farò scalpore, disse il razzo. E poi scoppiò.
Sapete qual è la cosa divertente? Dato che il moscato era finito, quest’anno è iniziato con un brindisi a base d’acqua fra me e Alessandra. Brindisi seguito a ruota da un’appassionata partita ad Uno, che mi ha visto vincitore di buona parte delle mani, con tanto di scene comiche tipo tre rilanci del Pesca 4 seguiti da tre Pesca 2 che hanno costretto la povera Ale a pescare la bellezza di ventidue carte nel giro di due turni. Fuori c’erano i fuochi d’artificio, ma noi ce ne siamo bellamente fregati, e presto abbiamo messo via anche le carte da Uno. Il motivo?
In realtà, quest’anno è iniziato nel migliore dei modi, ovvero con la Bloempje al telefono e, subito dopo, Velvet Goldmine. Avevo adocchiato il dvd mentre cercavo Murka che, come al solito, era terrorizzata dai fuochi d’artificio, e ho deciso che, dato che sia io che Ale adoriamo quel film, nessun inizio sarebbe stato più degno per la nuova decade. Essendo entrambi due fan accaniti di Oscar Wilde, ci siamo puntualmente messi a battere le mani come due fangirl ad ogni citazione che capitava (come quella in apertura di post), ed essendo due fanatici degli yaoi, abbiamo sbavato ad ogni scena erotica e/o gaia che ci capitava. Purtroppo, aver visto il film un milione di volte a testa ha fatto sì che non piangessimo come fontane, ma non si può avere tutto. Peraltro, si rende necessario che inserisca qualche riferimento al film nel sequel del racconto, dato che nel primo ho parlato di Moulin Rouge! in occasione della gita parigina dei protagonisti.
Finito il film, invece che andarcene a nanna abbiamo riaperto le ostilità con Uno mentre spettegolavamo allegramente dei nostri casi umani, miei e suoi, concludendo che la soluzione migliore è la stessa proposta da Luisa: farli conoscere, spingerli ad un bel suicidio di gruppo e poi dire che è stata qualche setta satanica. Sarebbero tantissime le esistenze a migliorare, così, a partire dalle loro: se soffrono così tanto, perché non montano in macchina e non si tirano giù dal Ponte di Calabona (rinomato luogo di suicidi poco lontano da Alghero) o non si fanno ripescare dissanguati con i polsi tagliati in una vasca da bagno? Beh, ora saremo cattivi tutto l’anno, ma questa non è una novità.
Dopo le poche ore di sonno, invece, da veri otaku appassionati di Super Mario quali siamo abbiamo attaccato il mio fedele Nintendo Game Cube e ci siamo dati alla pazza gioia. Se si escludono, tuttavia, le pause di disintossicazione durante le quali abbiamo messo su Super Mario Sunshine, ci siamo dedicati in maniera quasi esclusiva a quel bel figone che è Marth di Super Smash Bros. Melee. L’abbiamo mosso in tutti gli scenari possibili e immaginabili, abbiamo fatto tutti i cambi d’abito disponibili, stabilendo che il migliore è senza dubbio il completo rosso scuro, e soprattutto, mettevamo in pausa e zumavamo su di lui ogni volta che capitava in una posa interessante. Le parte migliore è stata quando ci era capitato di combattere contro un altro Marth mosso dalla CPU e li abbiamo bloccati entrambi in due pose molto uke: il nostro piegato in avanti praticamente a novanta a sferrare un colpo con il sedere in bella mostra, e l’altro che, volando via, si era ritrovato supino con le gambe spalancate. Dopo questa, abbiamo mollato ogni modalità automatizzata e abbiamo attaccato con scontri da 10 minuti ciascuno del nostro Marth in rosso scuro (da sbav) vs Marth del computer in bianco (che faceva troppo principe azzurro sfigato), scoprendo così un vero fetish per lui con le orecchie da coniglio in testa e la bacchetta magica con la stellina in mano (quando poi si aggiungeva anche l’invisibilità che lo faceva scintillare era il top: noi, reduci di Velvet Goldmine, ci vedevamo i lustrini glam e iniziavamo a dare di matto). E il bello è che abbiamo continuato anche oggi, prima che i suoi la venissero a prendere!
Insomma, Capodanno da nerd ma con stile, perversione e tantissime risate. Peraltro, non mi sono connesso per cui ho evitato le paturnie un po’ di tutti, il che, si spera, mi porterà fortuna per il nuovo anno. Come inizio non è affatto male, l’unica cosa è che ora voglio un degno sostituto del nostro bel Principe Rosso virtuale.
Cari lettori, a questo giro del bilancio di fine anno siamo orgogliosi di presentare un’ospite d’onore qui sul blog: Alessandra, aka Keyci, che è qui da me ( – Salve! – ) per passare un piacevole capodanno guardando i fuochi d’artificio in mezzo alla folla. Peccato che stia diluviando e lei si sia fatta male ad una caviglia ( – In modo molto misterioso che non racconterò mai a nessuno – ), ergo i programmi subiranno qualche piccola variazione ( – Tipo megatorneo di Uno! – ). Ad ogni modo, ne approfittiamo e facciamo un bel bilancio assieme.
Partiamo dalle cose brutte. A me-Ale-Narciso, questo 2009 ha portato in primo luogo una ridda di persone spiacevoli con cui avere a che fare, a partire da un grosso litigio col Procreatore giusto a inizio anno, continuando con i vari casi umani (che di certo leggeranno questo post quindi sì, sei proprio tu) dei quali non riesco ancora a liberarmi (e qui facciamo menzione speciale per Luana, che è scesa in Merilend per trascorrere le vacanze con alcuni parenti. Scommettiamo che il Capodanno lo passa ad Alghero?), per finire con amici che si sono rivelati delle palle al piede. Sinceramente, tutto questo tempo da devolvere in beneficenza per sorbire le paturnie di gente palesemente squilibrata non ce l’ho avuto, motivo per cui mi sono trovato spesso a subire tonnellate di negatività mentre già avevo i cavoli miei. In secondo luogo, tanto, tantissimo stress in periodo di esami. Ovviamente, era qualcosa a cui ero preparato, ma le manovre della nostra amica EnteroGelmini non hanno aiutato affatto. Inoltre, da segnalare qualche periodo di malattia e una brutta scottatura su viso e avambracci in occasione del Gods of Metal che non si è svolto sotto la pioggia come previsto. E poi, sinceramente, non mi viene in mente altro. Alla fine, la Pazza Francese è stata la peggiore cosa che mi è capitata quest’anno, per cui tolta lei non ho molto da lamentarmi.
Ad Ale-Keyci, per fortuna, questo 2009 ha lasciato ancora solo due persone spiacevoli, complice anche il cambio dal liceo all’università. In compenso, quel buontempone del suo Procreatore le ha regalato un iPod ROSA con capienza minima al posto della reflex. Anche lei ha da segnalare una brutta scottatura estiva (molto peggio della mia), mentre per il resto ci sono solo magagne trascurabili. A parte la storta alla caviglia l’ultimo dell’anno, giusto per levarsi l’ultima sfiga…
Per quanto riguarda le cose belle: Io-Ale-Narciso ho da segnalare ben tre magnifici concerti (due degli Epica e uno dei Delain) che sono stati semplicemente la fine del mondo, sia per la performance in sé che per le situazioni varie. Ho conosciuto la bellezza di diciotto band che apprezzo molto, e c’è stata una marea di release discografiche davvero notevoli, prima fra tutte Forever Is The World dei Theatre of Tragedy. Ho comprato la mia prima reflex e mi sono dato seriamente alla fotografia, passando da essere solo un modello a fotografo, ed iniziando il mio primo progetto serio (The Infernal Lords, ricordiamolo sempre che non fa male). Poi ho fatto le mie prime Fumettopoli e il mio primo Lucca Comics (e dovrò decisamente rifarle), dove ho completato la mia collezione di Kaori Yuki Presenta e God Child, inclusi i numeri ultrarari. Inoltre, ho dato quasi tutti gli esami del mio anno, il che è ottimo, e ho fatto anche un sacco di conoscenze positive. Ho fatto una magnifica vacanza a Düsseldorf dove ho comprato vagonate di cd e vestiti e, a Trieste, ho visto tanta di quella neve quanta non ne ho mai visto nel resto della mia vita. Ed ultimo ma non meno importante, ho affinato ulteriormente il mio stile e ho finito la prima stesura del mio racconto.
Ale-Keyci ha finalmente avuto grandi evoluzioni in campo artistico e procede a gonfie vele: teatro e danza, cortometraggio e band. Ha finito il liceo e ha avuto modo di liberarsi di buona parte dei suoi casi umani (perché non mancano a nessuno, evidentemente). Ha fatto un viaggio a New York in cui si è ovviamente dormito molto poco, ma questi sono dettagli, e dove si è travestita da uomo e non è stata riconosciuta. È stata invitata col suo gruppo ad un festival internazionale di teatro. Neve anche per lei (anche se non tanta quanto la mia) durante un avventuroso week end in montagna con due amici tutt’altro che avventurosi. Fra le varie, ha acquistato la bellezza di novantasei ombretti. Per concludere, ha avuto un lunghissimo e molto divertente flirt (con una persona che ancora non si è mossa, ma diamo qualcosa da fare anche al 2010).
Nota positiva per entrambi, abbiamo terminato l’anno con una bella passerella di disegni di Kaori Yuki presi direttamente dalla mia collezione. Oh wow!
E insomma, abbiamo concluso questa decade decisamente su una nota positiva. Il Capodanno assieme sarà un buon auspicio. Ovviamente, domani mi aspetto di sentire la Bloempje al telefono perché si dice che come passi Capodanno poi passi tutto l’anno, e lei deve esserci per forza per fare del 2010 un anno splendido. Alessandra invece chiede che Quella Certa Persona si decida e non sia solamente gelosa. E direi che qui concludiamo e lasciamo decidere al 2010 cos’altro portarci.
In Lingua Italiana dei Segni (quella che usa la signorina che si vede nel riquadro piccolo del telegiornale la domenica pomeriggio, per intenderci), “mamma” si dice strusciando il palmo della mano destra sulla guancia, come fosse una specie di carezza; “papà” invece si fa sempre vicino alla guancia, ma col notorio gesto che indica il denaro. Ora, potrai ben intuire che i sordomuti italiani hanno capito tutto dalla vita, ovvero che la mamma coccola e il papà finanzia (beh, io l’avevo capito già a sette anni, ma non è questo il punto). Di conseguenza, uniformati alla tua funzione primaria e fammi il favore di esaudire almeno tutte le richieste di cui sotto:
• Riportaci Santa Vibeke da Sokndal. Anche in versione solista, non importa, basta che le metti in mano un microfono e la fai salire su un palco. • En passant, dalla Norvegia fai una piccola deviazione in Svezia e portami giù anche Anders Jacobsson dei Draconian: vuoi o no che la mia vita sessuale migliori? • Gradirei anche un po’ di cd, specialmente rari, che mi mancano, tipo i demo di Autumn, Draconian, Delain, The Crest e Octavia Sperati, i singoli dei Theatre of Tragedy e dei Tristania ed Enchant di Emilie Autumn. • Visto che siamo in tema, di’ per favore ad Emilie e a Leandra che se fanno uscire un album nuovo nel 2010 mi fanno molto contento. • Regala a me e alla Bloempje un biglietto per Torino, così finalmente ci vediamo nella nostra città e io le posso fare un bel po’ di foto, sia a lei che a BriarRose, la Emilie Autumn nostrana. • Già che siamo in tema, portami tanti bei modelli maschi per farmi continuare con la mia serie sui Signori dell’Inferno. Nick Chiron è il primo della lista. • Fai guarire Figlia, così la smette di girare da un medico all’altro e può raggiungere me e la Bloempje/Padra a Torino. En passant, prendi anche la Nipota, così riuniamo tutta la famiglia. • E a proposito di famiglia, fa’ trovare un lavoro decente e ben remunerato alla Mater. O in alternativa, fai cadere il governo così non perde uno di quelli attuali. O magari entrambe le cose. • Visto che passi già da Napoli, porta anche un po’ di serenità ad Aldo e alla sua famiglia, che se la meritano. • E dato che parliamo di serenità, risali da Roma e porta la neve a Serena, così facciamo contenta anche lei. • In omaggio a tutto ciò, la spilla che Ben Barnes ha nella foto di qualche post fa sarebbe ben gradita.
Dato che comunque mi rendo conto che ti ho caricato di molte richieste, non faccio il tirchio e ti do anche io qualcosa in cambio. Hai piena libertà di portarti via chi vuoi, ma anche tutti, fra: Meri Demurtas, possibilmente prima che registri il nuovo album con i Tristania; Tamarrja Terrunen (il cui nome d’arte è Tarja Turunen) e magari pure tutti i suoi fan, così ci liberiamo della parte peggiore del female fronted metal in una botta; il Procreatore, sostituendolo però con un fantoccio ologramma che continui a spedirmi gli alimenti e firmi certi documenti; il Papa-paparatzi(nger) (cit. Lady Gaga), e magari pure il Berlusca, visto che Gesù Bambino e la Madunina si sono rivelati inaffidabili; prendi anche la nostra amica EnteroGelmini, così la scuola torna alla normalità e non si vedono più cose assurde tipo professori e studenti uniti dalla stessa parte (a protestare); infine, ho tutta una serie di simpatici Casi Umani da farti portar via, così magari riesco a passare una giornata senza che nessuno disturbi me e Luisa per scemenze senza né capo né coda.
Io avrei finito. Dato che Natale è già domani, ti consiglio di attivarti al più presto, dando la priorità a portarmi Anders (magari infiocchettato e nudo nel letto), e lasciandoti per ultimi i Casi Umani: credimi, per quelli ti serve la slitta vuota. È stato un piacere fare affari con te, a risentirci l’anno prossimo.
Ormai è confermato, è destino che io debba piacere alle donne: se alla Jota l’unica a rivolgermi dei complimenti (o meglio, letteralmente coprirmi di complimenti, col mio ego che si gonfiava stile palloncino all’elio) è stata una donna, qualcosa di anormale deve esserci. Peraltro, era pure una signorina quarantaduenne, la quale ha fortunatamente avuto il buonsenso di riconoscere che si sarebbe innamorata di me “se avesse avuto vent’anni di meno”. Cara mia, hai guadagnato tanti punti nel riconoscere che per un ragazzo di vent’anni nel fiore della sua bellezza e giovinezza con uno spiccatissimo complesso di Dorian Gray tu sei decisamente fuori fascia massima. L’avesse capito anche il vecchio che all’altra Jota ha cercato ripetutamente di abbordarmi (e peraltro in maniera decisamente troppo diretta), probabilmente si sarebbe evitato di vedere la scintilla di disgusto nei miei occhi mentre rispedivo pazientemente al mittente il braccio che mi aveva avvolto intorno allo stomaco. Chiamatemi superficiale, ma per me l’amore ha età. Ovvio, ci si può innamorare anche a ottant’anni suonati, ma non di persone venti-trent’anni più giovani, è semplicemente ridicolo. Quindi, miei cari vecchi, fate il passo commensurato alla gamba e cercatevi qualcuno della vostra età. Anche perché, diciamocelo, se un giovanotto si mette con voi è più probabile che sia per motivi prettamente materialistici che non perché brucia d’amore (e sì, Signora Ciccone, la cosa vale anche per te).
Chiarito questo punto fondamentale, l’altra faccia della medaglia della nostra simpatica quarantaduenne è che, sebbene sapesse stare al suo posto e fosse pure un’ex-punk (e dunque apprezzasse la mia mise alternativa), era, ahimé, abbastanza partita di testa, e mi ha praticamente presentato tutti i Gemelli che le capitavano a tiro nella speranza di trovare il mio uomo ideale (non capirò mai perché le fangirl dei boys’ love abbiano questa fissa di voler far accoppiare i ragazzi a tutti i costi, anche più che non rimorchiarseli loro). D’altro canto, è ormai ampiamente dimostrato che se c’è un maniaco/decerebrato/caso umano nel raggio di due chilometri e mezzo, di certo questo finisce a me. E a questo proposito, vale la pena di spendere due parole circa la nostra amica francofona che, da brava abitante della Ville Lumière, si è improvvisata regista e ha diretto un magnifico filmino nella sua testa. Ebbene, cara la nostra cretina parisienne, mi dispiace per la tua carriera cinematografica, ma le canzoni dei Placebo di certo non le spreco per sedicenni maniache con tendenze suicide che vivono oltralpe. Al contrario, il post precedente era dedicato ad una persona che con me ha parlato francese in situazioni piuttosto intime, ama notoriamente i Placebo, in particolare questa canzone, ed è importante nella mia vita. Ora, chére, a te manca totalmente quest’ultimo requisito (e pure il primo, fra l’altro), per cui mi dispiace, ma non è te che sto aspettando. E anzi, il fatto che tu ti sia attribuita l’importanza che nella mia vita ha solo quella persona mi ha fatto letteralmente inviperire. Lì da voi questa la chiamano lese-majesté, sai? E a questo punto posso benissimo dedicarti questa, di canzone in francese:
Tes airs affectés, malléables. Tu vis tes désirs, réveille-toi, yeah, yeah. Qui est-ce? Quelqu’un a soufflé ton nom, Et tu sembles incertain plus que tout.
In tutto ciò, continua a sfuggirmi come questa scema abbia anche solo potuto pensare che io potessi dedicare un post del genere a lei. Ce ne vuole di demenza, davvero. Lucifero, sostienimi.
Da qualche giorno sto riportando un po’ di annotazioni varie, troppo inconsistenti per dar vita autonomamente a dei post, ma che forse, insieme, riusciranno ad essere un piccolo spaccato di vita vissuta.
♠ Dopo essere cresciuto abituato ad avere cuscini in quantità, in questo periodo, in cui ne ho a disposizione uno solo mentre attendo che la Mater mi spedisca gli altri via Poste Africane, ho notato che non ho problemi a dormire senza un cuscino sotto la testa. Ne ho molti, invece, senza un cuscino da abbracciare.
♠ È da un po’ di notti insonni che ci faccio caso, ma sulla collina che si vede in lontananza dalla mia finestra c’è un gruppo di lucine gialle al neon che disegnano alla perfezione la forma di un mezzo pentagramma rovesciato. Mancano solo le punte del Fuoco e della Terra. Se avessi un treppiede e un teleobiettivo tipo quello della nostra Veronica, ve le mostrerei volentieri.
♠ Parlando della spontaneità inesistente del mio carattere, e del fatto che in realtà io sono davvero come appaio nella mia foto AngelDaemon, Claudio mi ha detto che allora sono un Reggicalze: gotico, minuto e sexy. Lo prendo come un complimento, ovvio.
♠ J’était curieux de voire ce que se passe au papier et a l'encre sous l’eau. Pour cet expérience, j’ai utilisé une lettre pour étudier l’encre du stylo et un poème imprimé à l’ordinateur pour l’autre type d’encre. La lettre et le poème étaient arrivés ensemble par poste. Bien sur, je suis cruel. E indovinate un po’ perché l’ho scritto in francese.
♠ Qualcuno può dire alle zanzare che l'estate e finita e, con essa, anche la loro stagione lavorativa e sì, la loro vita?
♠ Oggi sono finalmente arrivati a casa della Mater i CD che avevo ordinato online un paio di settimane fa. Le chiedo di spacchettarli e dirmi quali ci sono, e lei mi telefona e mi dice che ce ne sono due uguali. Mi scende un colpo, le chiedo di ricontrollare meglio, e lei mi dice che si era sbagliata, e che i due cd incriminati erano Elegy e Legend Land. Insomma, il Red Dress di Zia Livia ha colpito ancora.
♠ Per pura curiosità, ho lanciato un sondaggio fra i miei watchers di deviantART, dal titolo “Vi mancano le foto che mi ritraggono?”. I risultati sono stati: • 48% Sì, ma mi piacciono anche la tua nuova direzione e crescita artistica. (54) • 36% Sì, ti seguo solo per vedere la tua faccia! (40) • 14% Non molto, ma non mi dispiacerebbe se ogni tanto ne facessi qualcuna. (15) • 3% No, mi ero stufato di vedere la tua faccia! (3)
Ebbene. Ringrazio il totale di 79 persone che apprezzano il mio lavoro attuale, e posso rassicurarle dicendo loro che qualche concept con me davanti all’obbiettivo ce l’ho, per il futuro. Alle altre tre persone dedico un grazie ancora maggiore: almeno so che sono le uniche che di certo apprezzano la mia arte, senza soffermarsi sul mio bel viso. Alle restanti 40 suggerisco invece di chiudere deviantART (dato che presumo siano bimbeminkia quattordicenni i cui account sono più che superflui per la community) e andare dritte dritte sul mio MySpace (pensavate qualcos’altro, eh?), dove troveranno mie foto a volontà, anche scattate alla meno peggio in momenti quotidiani: date le loro pretese culturali, anche quelle saranno perfette per loro.
Diciamocelo: dato che ogni tanto il vizio di trasformare la mia vita in romanzo salta ancora fuori, ho passato gli ultimi due giorni a fantasticare su chi potesse essere il misterioso visitatore francofono che commentava il mio blog. Gli indiziati erano due. Ebbene…
…sgamata. È lei. È tornata. Come Luana. Devo rendere il blog privato per liberarmene?
E, detto proprio con tutto il cuore: vaffanculo! E io che mi ero illuso che fosse il bel francese dai capelli lunghi. Possibile che riesca solo a fare danno? Gesù, quanto mi girano!
Sì, oggi posso dirlo: sono davvero soddisfatto di me stesso. Perché passare quattro moduli di ECDL con preparazione zero (avevo letto si e no metà del modulo uno) non è una cosa da tutti. E così, cinque crediti sono stati messi in tasca, per un totale di diciotto. Il che è ottimo, mi fa sentire decisamente risollevato. Certo, fra me e la casa dello studente si ergono ancora i tre esami-scoglio, ma diavolo, almeno uno lo devo passare!
Per festeggiare la riuscita dell’impresa, ho ordinato i celeberrimi Anfibi Demonia Riot-12 dal sito di Lullaby Dream, scontati da 144 a 138,80 euro tasse e spedizione comprese, ed ora attendo che arrivino. Ho notato che in quanto a calzature ha delle proposte davvero notevoli sia per uomo che per donna. Ammetto che la maggior parte dei prezzi sono spropositati, ma rifarsi gli occhi non costa nulla (tranne nel mio caso, che appena li ho visti ho deciso che sarebbero stati miei, prima o poi).
Naturalmente, c’è chi tenta a tutti i costi di guastarmi la giornata, ma stasera non ho proprio voglia di cascarci. Faccio notare pubblicamente che le avvertenze non sono lì per bellezza, per cui davvero se gli anonimi non si presentano e non mi vanno a genio io prendo e cancello i loro commenti. Naturalmente, essere preso per deficiente non rientra fra le cose di mio gradimento, ed ecco che ho fatto sparire un paio di commenti inutili, così come alcune notes di deviantART si son perse fra le varie che ricevo e sono state cancellate “per sbaglio” senza nemmeno essere state lette ed un certo contatto su MSN è stato bloccato e tolto dall’elenco. Perché io le persone delle quali non mi importa una mazza le tratto come mi pare, e se a loro non sta bene la porta sanno dov’è, non sono certo io a trattenerle. Ciò non significa ovviamente che io accetti di farmi prendere da loro per i fondelli: essendo non solo superflue, ma addirittura fastidiose per la mia quotidianità, non mi faccio scrupoli a estrometterle del tutto. Punto. E con questo, considero la vicenda conclusa.
Ciò detto, torno al mio ottimo umore e attendo con ansia la Simoncina, i Riot-12, Angel Sanctuary 10 che esce il 9 luglio per celebrare la fine (si spera decorosa) dei miei esami, e mi intrattengo chattando tranquillamente su MSN con le persone a cui tengo tenendo da parte quelle che mi infastidiscono e le loro manie ossessive. Non male, come programma, ve’?
Premesso che né il titolo, né le lyrics della canzone delle Octavia Sperati che ho citato sono stati messe casualmente, forse sarebbe il caso che chiarissi una volta per tutte ciò che io intendo per “trivialità” e “dettagli insignificanti” delle vite altrui: annunci solenni di cose insignificanti tipo che qualcuno non ci sarà in tal data per questo o quel motivo. Sono cose che non solo non mi interessano, ma mi irritano pure. Di grazia, cosa dovrebbe fregarmene? Cosa? Davvero certa gente pensa di avere sulla mia vita un’incidenza tale da mandarmi nel panico se non si fa viva per un giorno? Non capisco proprio da dove venga tutta questa presunzione da parte di gente che conta meno di niente. Che seccatura. Che enorme, inenarrabile seccatura.
Ciò detto, il secondo round degli esami si è concluso. Ho passato il temutissimo esame di Inglese Passiva tenuto da quella vera e propria Istituzione della traduzione italiana che è Federica Scarpa, e pure con un ottimo voto, considerando il soggetto, ovvero 27. E mi sono rimasti i tre esami che sin dall’inizio avevo identificato come le piaghe della mia esistenza: Lingua Italiana, Inglese Attiva e Neerlandese Attiva. Dopo di che, si riparlerà in autunno di Tedesco, dopo la mia vacanza studio in Terra Germanica che, si spera, mi metterà in condizioni di capire almeno un testo, cosa della quale le varie prof non si sono preoccupate con noi principianti. Oh well. Il lato positivo è che con la conclusione del modulo delle Discipline Linguistiche, altri cinque crediti mi sono stati riconosciuti. Spero di passare almeno uno dei tre esami-scoglio, in modo da poter sbloccare dieci o otto crediti tutti insieme e sistemarmi per la casa dello studente.
Nel frattempo, mi consolo con due cose: in primo luogo, sabato andrò a Monza per vedere gli Epica al Gods of Metal. L’idea di stare sotto il sole cocente dell’una del pomeriggio mi terrorizza, ma per la Simoncina e compagni questo e altro. In secondo luogo, sono totalmente a corto di idee per il racconto, ma almeno non fremo per continuare a scrivere senza averne il tempo e la possibilità. Spero che la fine delle incombenze universitarie mi permetta di riprendere la scrittura, dato che sono a tre, massimo quattro capitoli dalla conclusione.