Oggi fa un caldo che la metà basta; avevo in programma un giro alla Galleria dell’Accademia di Firenze con una delle persone a cui voglio più bene in assoluto, ma è saltato; la sera vado a Rifredi a prendere un’altra delle persone a cui voglio più bene in assoluto e, fino ad allora, ho del tempo da perdere; una terza persona a cui voglio più bene in assoluto, che ho visto questo week end, è già tornata a casa, così, mi sono parcheggiato all’ombra di San Lorenzo, dove il caldo dà un po’ di tregua, e mi sto gustando The Black Dahlia di Ellroy, finalmente libero dalla distrazione di internet, del lavoro, della partenza da organizzare o del troppo sonno per concentrarmi.
Ok, in realtà una distrazione c’è: suppergiù a quest’ora ricorre il decimo anniversario di uno dei grossi traumi della mia vita adulta.
Ieri era il compleanno di Luana. Quella Luana. La quale, un tempo, era una delle persone a cui volevo più bene in assoluto. Oggi è il giorno dopo il compleanno di Quella Luana.
Dieci anni fa, il compleanno di Quella Luana ricadeva di martedì: lo ricordo bene perché ero andato a trovarla nei pressi di Roma per passare qualche giorno con lei. Ero arrivato il giorno prima, un lunedì, e i piani erano di restare tre, massimo quattro giorni perché l’ospte è come il pesce – dopo tre giorni inizia a puzzare. Ma “se non resti almeno una settimana, Alessa’, mi offendo!”, e così il traghetto del ritorno (ché ancora non c’era RyanAir) l’avevo prenotato per sabato. Che cretino.
Dieci anni fa, il compleanno di Quella Luana ricadeva di martedì: lo ricordo bene perché ero andato a trovarla nei pressi di Roma per passare qualche giorno con lei. Ero arrivato il giorno prima, un lunedì, e i piani erano di restare tre, massimo quattro giorni perché l’ospte è come il pesce – dopo tre giorni inizia a puzzare. Ma “se non resti almeno una settimana, Alessa’, mi offendo!”, e così il traghetto del ritorno (ché ancora non c’era RyanAir) l’avevo prenotato per sabato. Che cretino.
Ripensandoci, già allora non ero senza colpe; almeno una delle cose che poi Quella Luana mi ha rinfacciato era vera: ero troppo accomodante, perfino più di adesso. In quei giorni, Quella Luana aveva la luna di traverso per motivi suoi e io ho lasciato che mi usasse come punching ball emotivo: cercavo di fare da paciere fra lei e sua mamma, non l’ho presa a voci quando, il giorno del compleanno, in piscina mi ha tirato apposta un calcione all’orecchio su cui avevo appena fatto i buchi, sorridevo per gli insulti randomici… insomma, lei era quella il cui umore faceva da banderuola ed esplodeva per un nonnulla, e io ero quello che inspirava profondamente, sollevava lo scudo anti-sommossa e aspettava pazientemente che i suoi capricci fossero finiti, senza ricordarle che anch’io ero una persona e magari avrebbe potuto evitare di passarmi sopra come un carrarmato. Mentre parlavamo una sera, sua mamma fece un’osservazione molto vera: “Tu sei suo amico perché non vivi vicino a lei; la prendi a piccole dosi e la sopporti così. Ma di quelli che la sopportano tutto il giorno, fa terra bruciata subito”.
Comunque, dicevo, il dramma che avrebbe fatto collassare anni e anni di amicizia “Fratello! Sorella! Per sempre!” scoppiò mercoledì 26 luglio 2006 intorno a quest’ora. Mi ero alzato in tempo per pranzo, avevo lasciato il letto sfatto per far evaporare il sudore, mi ero messo a tavola con Quella Luana. Faceva caldo umido perfino in casa e, finito di mangiare, non si respirava. Casca la domanda fatidica: chi lava i piatti? Io o lei? Dico io: “Mmh… Non ne ho molta voglia… Magari dammi una mezz’ora che digerisco e poi vado?”
Apriti cielo. Io non faccio niente in quella casa, non faccio niente nella mia vita, non ho nemmeno rifatto il letto, sono inutile, BAM!, porta sbattuta e se ne andò al computer. I tre giorni successivi li passai per conto mio a guardare la TV (visto che in paese non c’era nulla da fare e spostarsi a Roma era un casino). La sera la passavo in veranda a sorseggiare vodka con la mamma di Quella Luana e cercare di non parlare del comportamento della figlia. Con scarso successo, vedesi osservazione di cui sopra. Lei sparita del tutto; io lì, a casa sua apposta per lei, e lei non mi parlava più per chi doveva lavare i piatti mercoledì a pranzo. La nostra amicizia è sostanzialmente finita per quello.
Nei dettagli di quel che successe dopo scendrò in un altro post, ché c’è un altro decimo anniversario in arrivo. Ma se prima ho parlato di “trauma”, non era proprio un’iperbole: quell’avvenimento mi ha segnato profondamente. È da allora che provo sempre un certo disagio a chiedere o ricevere ospitalità, soprattutto per più giorni. Ho costantemente paura di essere di troppo e non gradito, di star scroccando, e che chi mi ospita abbia accettato per pura formalità sperando che poi mi tirassi indietro e gli risparmiassi il peso della mia presenza in casa. Sono davvero ossessivo nel cercare di rendermi utile, come se fare le cose in casa significasse che, dopo tutto, non sono completamente inutile lì. C’è da apparecchiare? Dove sono le posate, le prendo? Posso dare una mano a tagliare qualcosa? Rimesto nella pentola mentre fai altro? Metto a scaldare? Sparecchio? Ti passo il piatto? Vuoi che li lavi io i piatti? Ma ti aiuto a spolverare? Cristoddio, dammi qualcosa da fare perché se sto seduto qui mentre tu fai le cose in casa di sicuro finisce che un’altra amicizia mi va a puttane.
E sì, col senno di poi lo capisco che la mia amicizia con Quella Luana non è finita per i piatti sporchi da lavare, ma perché era sbilanciata in partenza. Che non abbiamo litigato per il letto sfatto, ma perché lei era una dannata psicopatica e io lasciavo che mi usasse come sfiatatoio. E anche che ho avuto la mia fetta enorme di colpa, dopo, nel non averle esternato quel che pensavo (e sì, aveva ragione a dire che sono troppo passivo nei litigi) e spiegato chiro, tondo e subito perché, dal mio punto di vista, l’amicizia non era più recuperabile, invece che procrastinarla per mesi e mesi.
Resta però il fatto che, da allora, misuro il mio diritto di stare al mondo in base a ciò che posso fare per rendere la mia presenza a casa d’altri il meno disagevole possibile. Non c’è quindi da sorprendersi se la mia musofobia sia andata alle stelle nelle scorse settimane, visto che dovevo mettermi in una situazione – essere ospitato – che nella mia testa è fonte di conflitto totalizzante.
Comunque questo week end ho visto BriarRose, ieri ho visto Francischino e stasera finalmente vedo Katia; è un anniversario tondo di un avvenimento funesto, ma sono quattro giorni e mezzo che sono ospite della famiglia di Katia, mi trovo a provocare disagio (grazie agli scioperi di Trenitalia), eppure non sembrano infastiditi dalla mia presenza. Forse perché hanno la lavastoviglie e i piatti sporchi vanno lì?
Se non altro, anniversario non ti temo: è solo uno stupido litigio di uno stupido, afoso pomeriggio di dieci anni fa, non è un cattivo augurio. Razionalmente l’ho capito: le persone che ho intorno ora sono molto più salubri e di sicuro non scateneranno la terza guerra mondiale se mi cade un tovagliolo per terra. Forse è arrivato il momento di sepellire il fantasma di Quella Luana e convincermi che, in cambio dell’ospitalità, offro una compagnia tutto sommato piacevole.
Comunque, dicevo, il dramma che avrebbe fatto collassare anni e anni di amicizia “Fratello! Sorella! Per sempre!” scoppiò mercoledì 26 luglio 2006 intorno a quest’ora. Mi ero alzato in tempo per pranzo, avevo lasciato il letto sfatto per far evaporare il sudore, mi ero messo a tavola con Quella Luana. Faceva caldo umido perfino in casa e, finito di mangiare, non si respirava. Casca la domanda fatidica: chi lava i piatti? Io o lei? Dico io: “Mmh… Non ne ho molta voglia… Magari dammi una mezz’ora che digerisco e poi vado?”
In cui io, come al solito, sono Margaery. |
Apriti cielo. Io non faccio niente in quella casa, non faccio niente nella mia vita, non ho nemmeno rifatto il letto, sono inutile, BAM!, porta sbattuta e se ne andò al computer. I tre giorni successivi li passai per conto mio a guardare la TV (visto che in paese non c’era nulla da fare e spostarsi a Roma era un casino). La sera la passavo in veranda a sorseggiare vodka con la mamma di Quella Luana e cercare di non parlare del comportamento della figlia. Con scarso successo, vedesi osservazione di cui sopra. Lei sparita del tutto; io lì, a casa sua apposta per lei, e lei non mi parlava più per chi doveva lavare i piatti mercoledì a pranzo. La nostra amicizia è sostanzialmente finita per quello.
Nei dettagli di quel che successe dopo scendrò in un altro post, ché c’è un altro decimo anniversario in arrivo. Ma se prima ho parlato di “trauma”, non era proprio un’iperbole: quell’avvenimento mi ha segnato profondamente. È da allora che provo sempre un certo disagio a chiedere o ricevere ospitalità, soprattutto per più giorni. Ho costantemente paura di essere di troppo e non gradito, di star scroccando, e che chi mi ospita abbia accettato per pura formalità sperando che poi mi tirassi indietro e gli risparmiassi il peso della mia presenza in casa. Sono davvero ossessivo nel cercare di rendermi utile, come se fare le cose in casa significasse che, dopo tutto, non sono completamente inutile lì. C’è da apparecchiare? Dove sono le posate, le prendo? Posso dare una mano a tagliare qualcosa? Rimesto nella pentola mentre fai altro? Metto a scaldare? Sparecchio? Ti passo il piatto? Vuoi che li lavi io i piatti? Ma ti aiuto a spolverare? Cristoddio, dammi qualcosa da fare perché se sto seduto qui mentre tu fai le cose in casa di sicuro finisce che un’altra amicizia mi va a puttane.
E sì, col senno di poi lo capisco che la mia amicizia con Quella Luana non è finita per i piatti sporchi da lavare, ma perché era sbilanciata in partenza. Che non abbiamo litigato per il letto sfatto, ma perché lei era una dannata psicopatica e io lasciavo che mi usasse come sfiatatoio. E anche che ho avuto la mia fetta enorme di colpa, dopo, nel non averle esternato quel che pensavo (e sì, aveva ragione a dire che sono troppo passivo nei litigi) e spiegato chiro, tondo e subito perché, dal mio punto di vista, l’amicizia non era più recuperabile, invece che procrastinarla per mesi e mesi.
Resta però il fatto che, da allora, misuro il mio diritto di stare al mondo in base a ciò che posso fare per rendere la mia presenza a casa d’altri il meno disagevole possibile. Non c’è quindi da sorprendersi se la mia musofobia sia andata alle stelle nelle scorse settimane, visto che dovevo mettermi in una situazione – essere ospitato – che nella mia testa è fonte di conflitto totalizzante.
Comunque questo week end ho visto BriarRose, ieri ho visto Francischino e stasera finalmente vedo Katia; è un anniversario tondo di un avvenimento funesto, ma sono quattro giorni e mezzo che sono ospite della famiglia di Katia, mi trovo a provocare disagio (grazie agli scioperi di Trenitalia), eppure non sembrano infastiditi dalla mia presenza. Forse perché hanno la lavastoviglie e i piatti sporchi vanno lì?
Se non altro, anniversario non ti temo: è solo uno stupido litigio di uno stupido, afoso pomeriggio di dieci anni fa, non è un cattivo augurio. Razionalmente l’ho capito: le persone che ho intorno ora sono molto più salubri e di sicuro non scateneranno la terza guerra mondiale se mi cade un tovagliolo per terra. Forse è arrivato il momento di sepellire il fantasma di Quella Luana e convincermi che, in cambio dell’ospitalità, offro una compagnia tutto sommato piacevole.
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