Oggi mi è capitata una cosa che mi ha fatto rimanere male: per la prima volta in vita mia, una mia ex professoressa non aveva la minima idea di chi io fossi. L’ho incontrata, l’ho salutata con un sorriso chiaramente intuibile sotto la mascherina e lei ha continuato a guardarmi con la faccia da Errore 404 anche dopo che ho provato a ricordarle in che classe fossi, chi fossero i miei compagni, in che anno avesse insegnato da noi, eccetera. Ironicamente, si è trattato della prof di filosofia e storia.
E no, non Monica, la prof giovane del quinto anno che adoravo. No, era quella prima, quella che ho avuto in terza e quarta e che mi ha lasciato con buchi enormi in tutto ciò che è successo prima di Kant.
In realtà non è sorprendente che non si ricordasse di me o dei miei compagni: la mia classe è stata per lei una specie di afterthought, un’ultima cosa fatta male e controvoglia prima di andare in pensione. Ho il vago ricordo che dovesse andarci già alla fine del nostro terzo anno ma, per qualche motivo, ne avesse aspettato ancora uno prima di farlo – e boy, quanto si vedeva che non ne aveva più voglia!
Il quarto è stato forse l’anno in cui ho avuto la media genrale più alta, tutto grazie ai dieci fiammanti in storia e filosofia. Dieci, proprio in pagella. In pratica, quella prof lì non ne aveva talmente voglia che le interrogazioni – che già erano calendarizzate – consistevano nel presentarsi alla cattedra con gli appunti il più in ordine e colorati possibile, farle dare uno sguardo, iniziare a parlare vagamente dell’argomento, droppare un riferimento più o meno forzato a Berlusconi, Ratzinger o simili, sedersi comodi e godersi lei che andava in berserk e faceva un’ora di comizio sui mali della Destra italiana o della Chiesa cattolica. “Bravissimi, si vede che siete preparati: dieci a tutti e tre!”, concludeva ogni volta (le interrogazioni di storia e filosofia di quell’anno erano gli unici momenti in cui ero in lega con due della sezione scansafatiche di classe mia, visto che ogni volta che andavamo tutti e tre assieme scattavano le scintille).
È facile, quindi, immaginare perché non si ricordi di me e della mia classe: non aveva voglia di insegnarci, non aveva voglia di interrogarci, non aveva voglia di stare a scuola, a maggior ragione non si sarà scomodata a memorizzare le nostre facce. Sarò stato uno di quei mascalzoncelli che, quindici anni fa, non vedeva lora di sbolognare per andarsene a godersi la pensione in santa pace.
Però ci sono rimasto lo stesso male. Non mi era mai capitato di non aver lasciato un’impressione su qualche mio ex insegnante. Perfino il professore di educazione fisica delle medie, quello che mi aveva lasciato lì col pollice fratturato dalla pallonata del mio compagno senza nemmeno degnarsi di controllare, mi ricorda sempre con rispetto e mi manda i saluti tramite la Mater quando la incontra. Sono sicuro che perfino la supplente di musica di quell’anno, che non poteva vedermi, si ricorderà di me se le dico: “Sono quello che aveva costretto a suonare il flauto col pollice fratturato dicendo che mentiva su dolore e gonfiore; oh, e a proposito, quando è tornata la titolare di cattedra ha provato il flauto e si è accorta che stonava per un difetto di fabbrica – non che lei se ne sarebbe mai potuta accorgere, visto che al massimo mimava i movimenti con la matita in aula”. (Sempre per la serie: “Un rancore è per sempre, DeBeers spostati”.)
Divago. Dicevo: essere un bravo studente che impressiona gli insegnanti è stata una parte fondamentale della mia identità per tanti di quegli anni che esser stato dimenticato da uno di loro, per quanto ci siano motivi validi, mi ha lasciato un brutto sapore in bocca. È come se mi avessero tolto quelle poche glorie che ero riuscito a conquistarmi e nel cui ricordo posso crogiolarmi in mancanza di materiale più recente.
Ed è ironico perché questa in particolare non è un’insegnante di cui ho particolare stima: era uno strumento per tirare su facilmente la media, non ricordo nulla di quel poco che ci ha insegnato, e mi rendevo conto che non meritavo nessuno dei voti che mi metteva. Del resto, se non ricorda nemmeno uno studente con la presunta media del dieci, dubito che, anche impegnandomi davvero, avrei fatto la differenza. Cioè, i voti li metteva a casaccio quindi non le sono rimasti impressi, ma almeno in consiglio di classe le avranno dovuto pur dire: “Ah, ma che bravo questo studente!”.
Che poi, probabilmente mi ferirebbe molto di più se Monica non si ricordasse di me: con lei mi sono davvero impegnato e, per quanto abbia ancora delle lacune vistose (lei si era messa le mani nei capelli quando aveva visto quanto poco la sua collega avesse coperto), ricordo tutto (beh, a parte Hegel, di lui ricordo solo che era un imbecille) e ho ancora grandissima stima di lei.
Quindi? Boh, sono talmente demoralizzato che mi dispiace che una persona che non stimo non si ricordi di me dopo quindici anni perché essere un ex studente brillante è uno dei pochi vanti che posso ancora permettermi. Yay.
No comments:
Post a Comment