Saturday 5 December 2020

La costanza dell’incostanza

Da qualche settimana ho ripreso in mano, dopo svariati anni, il pianoforte. L’ultima volta che mi ci ero dedicato era stata intorno al 2018 per tentare (senza successo) di imparare la sigla di Westworld. Prima di allora, avevo tentato con Light Of The Seven da Game of Thrones nel 2016, e Father Father di Susanne Sundfør nel 2015 (avevo ancora i capelli lunghi, gasp). Entrambe abbandonate dopo un po’ perché erano troppo oltre le mie già non stellari e a lungo trascurate capacità di pianista.
Quest’anno ci sono ricascato di nuovo con Goodbye di Apparat e Soap&Skin. L’idea mi allettava già da qualche mese, così ho trovato lo spartito di una riduzione per pianoforte e ho iniziato a impararla.

Stranamente, a questo giro sto procedendo molto più spedito che le ultime volte che ho tentato di imparare qualche brano da autodidatta – in buona parte perché finalmente mi sono imbarcato in un’impresa alla mia portata. Ho sempre pensato che, non andando più a lezione, mi mancasse il fiato sul collo dell’insegnante a motivarmi e darmi disciplina, ma forse non si tratta di quello. Forse l’insegnante serviva più che altro a darmi metodo, era il parere esperto che stabiliva su quante battute fosse il caso di esercitarmi prima di proseguire con lo spartito, a che punto fossero arrivati i miei progressi e se fosse il caso di provare o meno ad assemblare le due mani, e così via.
Per quanto riguarda il fiato sul collo, invece, ad aiutarmi con l’apprendimento è proprio il fatto che a questo giro non sto pretendendo nulla da me stesso. Non mi sono imposto di esercitarmi tot minuti al giorno, né tutti i giorni: quando ho voglia, quando ho ascoltato la canzone e ne ho l’anima talmente piena che tracima dalle dita, quando sono curioso di vedere come suonerebbe quella battuta a cui non sono ancora arrivato, quando voglio provare a sentire le due mani assieme. Ecco, allora mi siedo sullo sgabello, scopro i tasti e inizio a esercitarmi. Anche più volte al giorno, se mi va. O non lo faccio se non mi va. Ed è proprio questa libertà, che mai avevo provato suonando, che mi mantiene motivato e curioso.
Ho scoperto la costanza dell’incostanza.

Ps: ma ci credete che in otto anni di pianoforte nessuno mi aveva mai insegnato a usare i pedali? Ho dovuto andare a tentoni e, con grande orgoglio, penso di essermi districato. Yay for me!

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