Ho sognato di avere trentanove anni.
Non ricordo nient’altro, se non l’età che avevo, di essermene accorto all’improvviso ed essere entrato nel panico.
Non so se avessi sbagliato a contare, se avessi dormito per nove anni e mi fossi svegliato solo in quel momento, se la quarantena fosse durata tanto, se semplicemente il tempo fosse trascorso monotono e indistinguibile fino a quella data. Fatto sta che all’improvviso mi accorgevo di avere trentanove anni quando avrei dovuto averne meno. Ero sulla soglia dei quaranta e non solo la mia vita non aveva direzione alcuna, ma non avevo fatto nulla di rilevante in questo tempo, non avevo assaporato niente, non me l’ero goduta.
È stata una delle poche volte in cui svegliarmi è stato un sollievo.
Che poi, è un panico stupido: quest’idea che la vita termini poco dopo i trenta potevo avercela a vent’anni, ma ora molte persone che ammiro, compresa la mia migliore amica, sono intorno ai quaranta o li hanno superati. Certo, “un tempo per ogni cosa e per ogni cosa uno spazio”, se mi perdo qualcosa a un’età diventa un po’ sciocco sperare di recuperarla quando è passata, ma non è quello il punto. Forse il numero è stato arbitrario e il mio cervello ha semplicemente processato il fatto che ho trascorso un anno in letargo forzato dopo una buona mezza decade in letargo autoindotto.
A questo punto, presumo che dovrei scrivere qualcosa di positivo e ispirante, tipo che mi è suonata la sveglia ed è tempo di impegnarmi per non avere il timore o dubbio o rimpianto di non aver vissuto al massimo, ma sinceramente non me ne frega nulla e un po’ penso che sia troppo tardi. Otto anni troppo tardi. E comunque, non che il futuro offra queste grandi prospettive in generale, men che meno a me.
Al diavolo: la sveglia è fatta per essere ammazzata.
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