Oggi pomeriggio la Mater mi ha incastrato a fare l’albero di Natale.
Con un po’ di magheggi ben piazzati, sono riuscito a farle aprire i rami da sola e, alla fine, il mio contributo è stato sedermi accanto alla scatola e passarle gli addobbi, che lei si ingegnava ad appendere al nuovo abete finto.
Mentre tiravo fuori l’ultima pallina trasparente superstite, mi è caduta e, essendo di plastica fragile, si è rotta. Era dentro una scatolina rigida, lottare con la linguetta del coperchio e farsela scivolare di mano è un attimo. Tutto estremamente plausibile.
Eccetto che l’ho fatta cadere apposta.
Non so. Forse è il gatto che è in me. Forse era curiosità di vedere se bastasse così poco per romperla. Forse perché, delle tre palline fragili, è sempre stata quella che mi piaceva di meno e mi seccava che fosse proprio lei la superstite. Forse era un po’ di iconoclastia.
Ricordo anche quando l’ho comprata, nel 1999 all’ex Standa, con mio padre. A conti fatti, ricordo quando, dove e come ho comprato più o meno tutti gli addobbi, eccetto quelli più vecchi di me. Il festone di perline e campanelle all’Upim di Sassari nel 1994, quel giorno c’era anche la Ziaccia e la Mater mi aveva comprato anche un mini-set di Lego Paradisa. Delle palline del 1995 ne è rimasta una sola, ché all’altra già da anni si era crepato il rivestimento e si vedeva più polistirolo che colore. Quelle un po’ anonime che ci sbolognarono dei conoscenti di famiglia che dovevano traslocare sono facili da riconoscere: sono arrivate dopo che avevo comprato il gel glitter per decorare le più semplici che già avevamo. E non parliamo dei nastrini.
A una certa, la Mater ha fatto un’osservazione strana. All’ennesimo mugugno disinteressato con cui ho risposto al suo cinguettare su quanto fosse venuto bene l’albero, ha detto: “Non ti sei affezionato a quest’albero di Natale. Ti manca il vecchio”. Osservazione probabilmente aiutata dal fatto che sono cascato dal pero quando mi ha fatto notare che l’aveva già tirato fuori e addobbato l’anno scorso, cosa che avevo totalmente rimosso.
Solo che no, non mi manca il vecchio, quello che avevamo avuto fin da quando ero bambino, finché i rami non hanno iniziato a staccarsi, con ancora il ramo di fico intagliato e posizionato sulla punta del tronco dal Procreatore per mettere il puntale perché Maremma Maiala, mai che facciano un albero su cui sia davvero possibile infilarlo.
Non mi manca, dicevo, e ho anzi tirato un sospiro di sollievo quando la Mater l’ha buttato. Gli ultimi due anni l’abbiamo addobbato ed è rimasto lì spento, dimenticato in salotto finché è arrivato il momento di disfarlo.
E poi sono riuscito a ritardare di due-tre anni l’acquisto del nuovo, con una scusa o l’altra (finché è bruciato il negozio dove volevamo andare, non sto scherzando!), perché averci a che fare non fa che peggiorare il mio umore.
Ma la cosa peggiore è che un po’ mi dispiace. C’è una parte di me a cui sotto sotto mancano i tempi in cui tutta la faccenda natalizia mi entusiasmava tanto da memorizzare quando e dove ho preso quali addobbi, e ricordare in che ordine andassero messi sull’albero con la stessa facilità con cui saprei ricostruire il Faro dell’Isola Paradisa a distanza di vent’anni. Mi sembra di ritrovarmi privo di una facile valvola di sfogo e occasione per essere di buonumore che invece altre persone trovano con grande facilità. Non per la religione, non per le menate sulla famiglia – ché per la Mater almeno un’oretta al telefono la dedico quasi ogni giorno per tutto l’anno, mentre se alcuni parenti non li sento mai di sicuro c’è un buon motivo che non sparisce a Natale – quanto per me personalmente, per avere un paio di settimane di allegria, per quanto superficiale e stupida, piuttosto che aggravare ulteriormente il mio stato mentale.
Voglio chiudere con una nota un po’ più positiva: quest’anno ho partecipato alle feste giocando al Whamageddon e a meno di otto ore dal traguardo non sono ancora finito nel Whamhalla. Speriamo bene.
Oh, e oltre a godermi, come sempre, l’ottima cover di Santa Baby (aka l’unica canzone natalizia davvero onesta) di Emilie Simon che ci illustra l’unico vero significato del Natale, mi sono improvvisato singer-songwriter e ho riscritto il classico di Mariah Carey:
Oh, e oltre a godermi, come sempre, l’ottima cover di Santa Baby (aka l’unica canzone natalizia davvero onesta) di Emilie Simon che ci illustra l’unico vero significato del Natale, mi sono improvvisato singer-songwriter e ho riscritto il classico di Mariah Carey:
Every single fucking Christmas
There’s the present-buyng craze,
Boring songs about fake feelings
Saccharine as diabetes.
Fuck the toy electric trains,
And fuck the carols and refrains.
Also, fuck the candy canes:
All I want for Christmas…
…
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