Thursday, 26 December 2019

La coda della cometa

A me la disonestà intellettuale non piace. Non piace nemmeno quando è usata per portare avanti cause che condivido, perché si finisce per creare un castello di carte che, quando crolla, scredita il tutto. Ultimamente, nell’epoca della post-verità, quando i fatti non contano nulla, perfino chi cerca di migliorare il discorso pubblico e la società si è abbassato a queste tattiche meschine, e ciò non va affatto bene.

Prendiamo ad esempio un evergreen del dibattito ateo, di cui io stesso faccio parte: non è possibile che Dio abbia creato la luce il primo giorno se ha creato il Sole e le stelle solo il quarto.
Ah no? Dillo alla radiazione cosmica di fondo, che è la luce che si è sprigionata dal Big Bang prima ancora che anche solo protoni ed elettroni potessero aggregarsi in atomi, figurarsi diventare stelle.
Questo argomento getta le radici nella disonestà intellettuale perché, scientificamente parlando, non è corretto dire che nell’Universo non ci sia stata luce fino alla formazione delle prime stelle: anche se supporta una causa che condivido, non posso condonarlo. (Senza contare che è segno di grande ignoranza, perché basta leggere quattro righe dopo per trovare la vera fallacia logica, ovvero che le piante siano state create prima del sole e delle stelle; per criticare qualcosa bisogna quantomeno conoscerlo).

Nel mio adorato periodo natalizio, questo genere di cose sembra crescere esponenzialmente: forse in reazione al senso di fratellanza e pace preconfezionate che le lucine colorate portano, forse perché un po’ a tutti (me compreso) piace distinguersi facendo polemica su qualcosa di super popolare che non piace, forse perché ormai il Natale è un tale mucchio di parole vuote che lo viviamo per osmosi culturale e non ci preoccupiamo nemmeno più di ripescare la conoscenza pregressa che ne abbiamo avuto ai tempi del catechismo.
Ad esempio, non so che Bibbia abbiate letto voi da bambini, ma nella mia Giuseppe e Maria non erano rifugiati che nessuno voleva, erano due elettori fuori sede che hanno trovato tutti gli alberghi pieni. Supporto il discorso sull’accoglienza (pur con le mie riserve) e sono assolutamente d’accordo sull’importanza (specie pragmatica) di non abbandonare migranti e rifugiati a se stessi, ma è un esempio che non c’entra niente: punta a strappare una reazione di pancia dalla gente che si vede toccare la Natività, magari cercare di estendere il senso di empatia che si prova per il povero Gesù Bambino nato in una mangiatoia anche ai veri poracci che arrivano qui (spoiler: la gara per l’empatia la vincono sempre i feticci di legno). Beh, così non si fa che intorbidire ulteriormente un dibattito che ha perso ogni razionalità, e abbassarsi a usare la stessa scorrettezza di Salveenee & co. Non importa se è a fin di bene, è pur sempre un inganno.

E già che parliamo di Natività, la corona della faziosità natalizia quest’anno se la aggiudica Bansky con la sua Scar of Bethlehem, una rivisitazione della classica scena davanti a un muro di cemento con un buco a forma di stella lasciato da un colpo di mortaio.
Beh, Bansky ha dimenticato la coda della cometa.


Il fatto è che è così facile, dalla comodità dell’Occidente, ridurre quel conflitto a una tifoseria da stadio, scegliere la nostra squadra del cuore ed ergerla a faro di purezza e innocenza contro i malvagi. La realtà, però, se ne frega di cosa è facile. La realtà è complicata. A maggior ragione, quella di un conflitto che va avanti da tre quarti di secolo.
Quel muro non esiste nel vuoto. Esiste nel contesto ben specifico di un conflitto che, detto semplicemente, è bilaterale. In oltre settant’anni, entrambe le parti hanno accumulato una tale montagna di torti, di tentativi di appianare le cose per poi inasprirle, di tattiche poco ortodosse, che arrivati nel 2019 è intellettualmente disonesto puntare il dito sugli uni fingendo che gli altri non abbiano fatto nulla. Questi costruiscono il muro; quelli lanciano razzi e accoltellano i civili. Questi bombardano scuole e ospedali; quelli ci nascondono dentro le armi.
Se vogliamo davvero liberarci di questo residuo marcio della Guerra Fredda (perché alla fine non è che un proxy fra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti sfuggito orribilmente di mano), dobbiamo smettere di fare il tifo, smettere di riportare le notizie a metà, smettere di giustificare dicendo: “Eh, ma allora prima”, e osservare la situazione con sufficiente onestà intellettuale per riconoscere che torti e ragione sono spalmati sull’intera scacchiera.
Se indichiamo la cometa, indichiamo anche la coda. Tutto il resto è faziosità.

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