Wednesday, 24 December 2014

Per Natale desidero solo Capodanno

Ieri pomeriggio fare l’albero di Natale mi è proprio pesato. Quest’anno sono antinatalizio al massimo: sarà che è il primo senza Murka, o che lottare contro gli strascichi dell’influenza non dispone molto bene. O l’aneurisma che ho rischiato col Procreatore e la Ziaccia, o che la televisione è più molesta e filocattolica che mai e oggi non hanno nemmeno dato La Signora in Giallo. Ma davvero, mi sono proprio dovuto costringere, ho aperto i rami controvoglia, uno per uno, fino a che non ho messo qualche luce e il puntale a forma di cometa, e lì ho avuto l’illuminazione: stampare la sonda Rosetta e attaccarcela. Finalmente mi sono fatto una risata e ho continuato a cuore più leggero. Ma sempre un po’ meccanicamente e con grande noia.
Del resto, ho smesso di aspettare il Natale a dieci anni.

Da piccolo adoravo il Natale. Contavo i giorni in attesa dell’Immacolata e, puntuale come le campane della messa del mattino, appena mi svegliavo tiravo giù l’albero dalla mensola, aprivo tutti i rami a cui arrivavo (la Mater faceva gli altri), e poi mi arrampicavo sulle sedie per addobbarlo. Sulla disposizione degli adobbi, mi facevo aiutare dalla Mater solo per le luci, tutto il resto era compito mio. Ogni anno, appena arrivavano gli addobbi nei negozi, ne compravo qualcuno nuovo, ed è così che se ne sono stratificati di ogni forma, colore e varietà, sempre alla ricerca del famoso nastrino fucsia. Ogni ghirlanda di luci e nastrino di carta aveva il suo posto e, sebbene lo schema si arricchisse di continuo, è arrivato più o meno invariato fino ai giorni nostri; solo fatto con sempre meno cura e interesse. Negli ultimi sette anni, addirittura, l’albero l’ho fatto alla chetichella proprio subito prima di Natale – anche se per questioni logistiche, ovvero perché la Mater vuole sempre aspettare che io sia in casa per farlo, e torno sempre intorno al 20.

Il perché e percome abbia perso il mio slancio natalizio è una storia abbastanza stupida, in realtà. Non ho idea di cosa fosse successo, ma ricordo che nel 1999 la Mater mi mise in punizione verso la fine di novembre, e questa punizione era proprio non fare l’albero di Natale. Già allora avevo imparato il mio meccanismo di difesa preferito, ovvero fingere di non volere affatto qualcosa nel momento in cui non potevo averlo o rischiavo di perderlo. In seguito la situazione si è appianata, ma un paio di giorni prima di Natale è scoppiato il vero dramma: abbiamo fatto l’albero, poi io e la Mater siamo andati tutti contenti a Sassari a comprare un po’ di decorazioni nuove, goderci un po’ le luminarie, prenderci qualche dolcetto e fare tutte quelle cose tipiche del Natale. Forse tutti e due volevano recuperare il tempo perso, ma abbiamo comprato davvero un sacco di cosine belle non solo per l’albero, ma un po’ per tutta casa, e non vedevamo l’ora di decorare tutto.
Al ritorno, la brutta scoperta: avevo lasciato Murka chiusa in camera mia, e a lei era scappata la pipì sul mio piumone.
Ecco, io e la Mater abbiamo avuto la nostra dose di attrito e screzi – rileggendo i primissimi tempi del blog, mi rendo conto che in quegli anni c’era tutta la tensione tipica fra un genitore e un figlio adolescente – ma un litigio violento come quello non lo ricordo proprio. Che poi, era una svista mia e Murka decisamente non aveva colpa, ma è davvero scoppiato il finimondo. È stata la sfuriata di una sola notte, il giorno dopo abbiamo fatto pace, ma ha lasciato il segno: tutte le decorazioni, tutte le cosine che avevamo preso, improvvismente le ho guardate con occhi diversi. Le ho odiate, le vedevo stupide e futili, inutili di fronte a ciò che succede davvero nella vita. Per qualche anno le ho appese comunque cercando di notarle il meno possibile, poi, appena crescendo ho davvero iniziato a ridimensionare il natale, le ho nascoste sul fondo della scatola degli addobbi, sotto la carta da regali mai utilizzata, a mai più rivederci. Già troppo se maneggio quelle che vanno sull’albero stesso e sopporto le luminarie per strada.
Di tutte le decorazioni, ormai sono affezionato solo a due: il piccolo alberello di stoffa che ho usato su All I Want For Christmas Is New Year’s Day, che è arrivato svariati anni dopo, e un altro alberello da mobile con le fibre ottiche; peccato che, due anni fa, del secondo si sia bruciato il motorino delle luci dopo che ero partito per Trieste, e quindi la Mater l’abbia buttato. Fantastico, avrebbe potuto far seguire tutto il resto.
Perché nonostante non ci abbiamo pensato più, nonostante non ricordi nemmeno bene cosa sia successo, per me il Natale è diventato sinonimo di quell’episodio. Crescendo, poi, ho iniziato a capire quanto siano davvero vuote le feste, quanto preconfezionati i buoni sentimenti di cui tutti si riempiono la bocca, quanto assurda la struttura religiosa che lo regge e bla bla radical chic, ma tutto è partito dalle lucine per strada, dai festoni sbrilluccicanti, dalle stelline di carta da appendere a lampadari e finestre. E la Mater, povera donna, ogni anno cerca di trascinarmi fuori a vedere le luminarie (e, ora, fotografarle) con tutto l’entusiasmo che aveva anche lei quando da piccolo le amavo, e sostanzialmente ci butto un occhio solo per fare contenta lei.
E dopo quel penoso incidente natalizio, anche l’albero ha mantenuto quell’antipatia che la punizione dell’Immacolata, per quanto revocata, gli aveva gettato addosso: addobbarlo è diventato un onere, accenderlo qualcosa che se va bene si ricorda di fare la Mater, e onestamente farei fuori metà degli addobbi, che sono purtroppo raddoppiati perché nel frattempo ce ne hanno regalati varie persone che cambiavano casa e non li volevano appresso, per non dover perdere tutto questo tempo a sistemarli ogni anno. Fortuna che nel frattempo almeno alcune ghirlande di luci si sono fulminate, liberandomi della loro presenza. L’albero, poi, ha giusto un paio d’anni meno di me e sta letteralmente cadendo a pezzi – solo quest’anno si sono staccati quattro rami, e non perché ci abbia messo troppa forza. Prima o poi verrà il giorno in cui la Mater si troverà costretta a buttare anche lui, e spero che non voglia spendere un mucchio di soldi per comprarne uno nuovo. Io me ne laverò le mani, delegando a lei anche il destino degli addobbi, senza dirle che guardandoli quest’anno ho visto solo un mucchio di cose vecchie e malconce: luci sbiadite dal troppo uso, nastrini sempre più spelacchiati, palline e campanelle graffiate per tutte le volte che Murka le ha fatte rotolare giù, altre spaccate dall’umidità col polistirolo interno che spunta dal rivestimento, altre scolorite con i disegni quasi cancellati. Qualcosa di talmente obsoleto da farmi davvero chiedere quale sia il senso di esporlo, ma che in qualche modo rappresenta fisicamente il mio spirito natalizio. Del resto, hanno iniziato a deteriorarsi proprio quando io ho smesso di curarmene.

Oh, e buon Natale a tutti.

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