Wednesday, 6 May 2020

Rehoboam


Ho giusto due righe conclusive su Westworld e Clementine:
NO SCUSA, HBO, IN CHE SENSO AVEVI ANGELA SARAFYAN IN COSTUME SUL SET DEL SEASON FINALE E NON SI SONO VISTE SCENE CON LEI?! CHI HA DECISO DI TAGLIARLA VIA DALL’EPISODIO?!
Detto questo, la mia fiducia nel payoff dello storyline di Maeve è stata ben riposta, a ‘sto giro, perché sono riusciti a darle una degna conclusione, e anche Dolores ha avuto una fine soddisfacente. Senza fare spoiler, inizio a chiedermi se la ricomparsa randomica di Clementine non fosse del foreshadowing e non acquisti senso nella prossima stagione in relazione a un certo avvenimento, ma non ci spero più di tanto: probabilmente rimarrà un’incongruenza nella continuità dello show perché a nessuno frega di Clementine dalle parti degli sceneggiatori.

Cambiando discorso (ma non troppo), un po’ mi scoccia aver trascurato il blog in questi due mesi: da qualche anno avevo preso la buona abitudine di postare almeno qualcosa ogni mese. Certo, ci sono stati dei momenti in cui ho scritto meno, ma di solito ho sempre lasciato almeno un post abbozzato o qualche annotazione registrata sulla data in cui mi era venuta in mente, così da poi potermi rimmergere in quei pensieri per completare e pubblicare il post quando fossi stato più ispirato nello scrivere.
A questo giro, però, non ho avuto nulla da dire né da annotare per tempi migliori, così il blog è rimasto in silenzio. Il che forse, tutto sommato, ha un valore simbolico: il buco di due mesi nel blog rispecchia quello nella nostra vita collettiva.

Non che io mi possa lamentare più di tanto, eh: così come, per coincidenza, mi sono trovato in Sardegna e ho potuto godermi le attenzioni della Mater e una zona relativamente meno pericolosa in quanto a contagi, mi ero anche iscritto a un corso online di fotografia organizzato dalla curatrice del MoMA che mi ha impegnato con lo studio sei settimane di quarantena, dando un senso a quel periodo. Corso che, per inciso, ho concluso con un voto di 98 su 100, come il diploma della maturità. Ma il punto è che mi sono passato la quarantena meglio di tanti altri, senza la frustrazione di non poter uscire e vedere gente, senza dovermi scontrare con una quotidianità spezzata o giornate improvvisamente vuote e troppo lunghe: ho avuto qualcosa con cui impegnare il tempo in un momento in cui la mia quotidianità era comunque in un limbo, per cui sono andato avanti un po’ come sempre. L’unica cosa di cui ho sofferto è stata l’ansia per la situazione generale, sia italiana sia internazionale.

Per questo, per molti versi è stato strano guardare questa stagione di Westworld, incentrata sull’impatto negativo che algoritmi e tecnologie di previsione comportamentale hanno sull’umanità, mentre nel mondo reale regna il caos.
Perfino fuori dal parco, il mondo di Westworld è molto ingiusto, con un profondo divario fra ricchi e poveri, una pace e un ordine sociale fragilissimi tenuti su a sputo tarpando le ali della maggior parte delle persone. Nel mondo concepito dal supercomputer Rehoboam, gli esseri umani non hanno più possibilità di scelta o di essere felici degli Host nel parco – per certi versi, è una distopia ancora peggiore perché non c’è un tasto di reset alla fine del ciclo narrativo, quelle vite sono sprecate e distrutte per davvero.
Però, nonostante il framing cerchi di essere il meno ambiguo possibile nel descrivere questo sistema come oppressivo, non posso fare a meno di domandarmi se non sia, dopo tutto, il male minore, visto che è esplicitamente mostrato che l’alternativa è il collasso della civilizzazione umana.

Ecco, guardare uno show che esplora il fallimento delle tecnologie come ausilio nel preservare la nostra società e correggere i nostri impulsi autodistruttivi è piuttosto angosciante in un momento in cui qualcosa di low-key apocalittico sta accadendo davvero sotto i nostri occhi senza quelle tecnologie. Lo scenario ipotetico in cui un supercomputer influenza le sorti dell’umanità causando estreme difficoltà sociali su scala mondiale si scontra con una realtà in cui queste estreme difficoltà sociali ce le siamo create da soli. La sensazione è che non importa cosa facciamo, quali soluzioni tentiamo di adottare, siamo comunque spacciati.

Ultimamente mi trovo spesso a commentare scherzosamente: “Quanto si vede che questo film / show è stato fatto prima del covid”. Di solito la battuta riguarda piccolezze igieniche, di prossimità delle persone, di leggerezza nei controlli su cui però verte la trama e che oggi, con la consapevolezza di aver sbattuto la faccia su come un virus si diffonde, sarebbero inconcepibili.
Ecco, anche la terza stagione di Westworld, si vede che è stata fatta prima del covid, ma per un motivo ben diverso: un messaggio potente, che l’umanità è autosufficiente e ha in sé i mezzi e l’arbitrio per salvarsi, diventa irreale in un momento in cui, lasciati a noi stessi, siamo allo sbaraglio completo e non riusciamo nemmeno più a immaginare come sarà il mondo fra due settimane.
A volte ho genuinamente il terrore che il mondo che ho conosciuto fino ai trent’anni sia scomparso per sempre e ad attendermi, per il resto della mia vita, ci sia qualcosa di sconosciuto e ancora più difficile da affrontare.

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