Friday 2 September 2016

Metti la testa a posto, Belle!

Lui: “Questo sarà il giorno in cui si avvereranno i tuoi sogni!
Lei: “E tu che cosa ne sai dei miei sogni, Gaston?
Lui: “So tutto! Senti, immaginati la scena: una rustica casina di caccia, la mia ultima preda che arrostisce sul fuoco, la mia mogliettina che mi massaggia i piedi… mentre i piccoli giocano sul pavimento con i cani – naturalmente, ne avremo sei o sette.
Lei: “Cani?
Lui: “No, Belle! Ragazzi robusti, come me!
Lei: “Immagina la scena…

No, non è l’ennesimo post in cui si analizza in maniera arguta e approfondita il rapporto diretto fra precarietà lavorativa, mancanza di servizi e bassa natalità: è un semplice sfogo, ché è tutto il giorno che ci macino sopra e ho solo bisogno di buttar fuori.
Ci sono tante di quelle cose che si potrebbero dire sul Ministero della Salute, oggi, che non so nemmeno da dove iniziare. Forse dal far notare che quattro mesi fa si faceva ostruzionismo su certi temi al grido: “No all’utero in affitto, il corpo è della donna!!!”, mentre oggi si è deciso che l’erogazione degli ovuli è un servizio pubblico comunitario? Con tanti saluti alla dignità della donna, che non era un’incubatrice su gambe da affittare?
In realtà, questo è stato un mio pensiero a posteriori. La reazione a caldo è stata: “Chi diamine ha messo Gaston come Ministro della Salute?”.

In cui il #FertilityDay è Gaston e il libro la dignità delle donne. O quella umana in generale.

No, sul serio: la presunzione di sapere che tutte le donne, o uomini, vogliano fare figli, e di dir loro quando e come farlo, e che emanciparsi culturalmente vada a detrimento della missione procreativa, sembra uscita direttamente dalla bocca di Gaston. E Gaston è una caricatura del sessismo più becero. Sul serio siamo governati da ‘sta gente?
Ci sarebbe da aprire uno studio per capire come la campagna promozionale del #FertilityDay sia riuscita a far incazzare tutti, ma proprio tutti i tessuti sociali italiani con precisione chirurgica. A partire dal nome, un anglicismo gratuito che ricorda il già indigesto Family Day. E poi gli slogan – tutti, chi più chi meno, vanno a pungere qualcuno sul vivo: donne in (precaria) carriera, giovani disoccupati che vorrebbero avere figli, coppie sterili… perfino me. E non perché ho consapevolmente deciso che non voglio fare figli: mi ha offeso in quanto figlio.

Ma il saluto romano / dito accusatore del fratellino mai nato?

Fatemi capire: avere un solo figlio è una sfortuna? Anzi, nemmeno una sfortuna, una punizione per non essersi mossi prima? Cavolo, avermi fatto figlio unico è una delle poche cose circa il mio concepimento di cui sono grato ai miei genitori, ora salta fuori che hanno fatto male? Che non è meglio fare un solo figlio e impegnarsi a dargli il meglio, bisogna farne il più possibile?
Mi verrebbe da pensare che siamo tornati ai tempi in cui i figli non erano esseri umani del cui concepimento, nascita e crescita si è responsabili, ma semplice forza-lavoro gratuita con cui portare soldi in famiglia; e, considerando che l’intera faccenda è un tentativo di ringiovanire la decrepita popolazione italiana per far entrare nuove tasse al sistema pensionistico, concettualmente non sono andato nemmeno troppo lontano.

Ma magari hanno ragione gli (sparuti) apologisti della campagna (io ne ho intravista una sola nella mia rete sociale). Magari l’intento è davvero solo “informare, prevenire le malattie che rendono sterili e spiegare al cittadino il funzionamento del suo corpo” (tralasciando che, però, l’educazione sessuale nelle scuole NO perché è gender). Magari il problema non è tanto l’hashtagFertilityDay ma gli slogan e le “cartoline” create da Mediaticamente, l’azienda grafica che ha vinto il bando per la campagna. Del resto, un’azienda ha un nome che sfrutta il cliché “è un’avverbio, ma descrive anche la nostra mente”, e voi vi fidate della loro creatività? Siete deficienti?
Ma forse tutto lo snark e le minacce velate e le frecciatine e la passivo-aggressività ce li hanno messi loro. Lasciamo stare cicogne e retorica e associazioni mentali sfortunate; andiamo a leggere semplicemente cosa dice il Piano Nazionale per la Fertilità del Ministero. Ok, c’è quel tremendo “facciamo più figli per la Patria” che fa tanto Ventennio, ma quanta iperreattività c’è stata, in effetti?

Beh, ci sono varie cose che fanno sembrare il documento una specie di propaganda non del tutto onesta a favore della Sacrosanta Famiglia Tradizionale. Ad esempio, c’è una certa propensione a fornire dati non incoraggianti sulle “forme di unione alternative al matrimonio” ma glissare (o non dire nulla) sulle controparti delle famiglie “tradizionali”, si sa mai che magari siano troppo simili. Ma i paragrafi più incriminati in assoluto sono il 2.3, sul “ruolo del livello di istruzione e della condizione professionale”, e il 2.4, in cui si analizza come “l’asimmetria dei ruoli porta al rinvio”. Che no, non è una constatazione del fatto che chi non ha un lavoro stabile ma ha un cervello in testa difficilmente si metterà a figliare, ma sostanzialmente dice che si stava meglio quando si stava peggio. Nello specifico, quando le donne stavano peggio. Tre stralci di testo, nero su bianco. Uno dal paragrafo 2.3:
L’analisi non può prescindere dal mettere in relazione la tematica più generale dell’istruzione con il ritardo nei tempi della maternità/paternità. La crescita del livello di istruzione per le donne ha avuto come effetto sia il ritardo nella formazione di nuovi nuclei familiari, sia un vero e proprio minore investimento psicologico nel rapporto di coppia.
E due dal paragrafo 2.4:
La maternità nei paesi occidentali, nel corso di un periodo relativamente breve, si è modificata. È divenuta una ricerca consapevole, non più subita, frutto di scelte e convenzioni appartenenti ad altri. La maternità non è più un destino biologico […].
Cosa fare, dunque, di fronte ad una società che ha scortato le donne fuori di casa, aprendo loro le porte nel mondo del lavoro sospingendole, però, verso ruoli maschili, che hanno comportato anche un allontanamento dal desiderio stesso di maternità?
La collettività, le istituzioni, il competitivo mondo del lavoro, apprezzano infatti le competenze femminili, ma pretendono comportamenti maschili.
Dopo avere valorizzato le caratteristiche di indipendenza e realizzazione di sé delle bambine e giovani donne, dopo aver fatto in modo che si tendesse ad una parità di genere, che ha portato alla conquista di un titolo di studio, spesso di secondo livello e un lavoro agognato, magari di responsabilità, la maternità appare improvvisamente alle donne come un preoccupante salto nel buio, un ostacolo ai progetti di affermazione personale.
Nel paese degli stereotipi di genere, quello “mammone”, dei “bamboccioni” e della pubblicità con il “mulino”, una donna su cinque non fa più figli.
In passato, l’orologio biologico delle donne era anche la vicina/parente impicciona che chiedeva insistentemente “novità” alla sposina. Oggi, in periodo di comunicazione politically correct, occorre spiegare, informare in modo capillare e continuativo, portare a conoscenza delle donne e degli uomini che la fertilità è una curva gaussiana che comincia a scendere molto prima che la donna consideri la questione come un’opportunità.
Cioè, in sostanza è un male che le donne abbiano scoperto che nella vita c’è di più che sgravare continuamente e rammendare montagne di calzini? È un male incoraggiare le bambine (ma anche i bambini, eh!) a seguire i loro sogni – che siano mettere su famiglia così come realizzarsi professionalmente? È un male che parenti e vicini si facciano gli affari loro? No, perché parafrasato e riassunto, il contenuto di queste citazioni è:

Tralasciando che metà delle virgole le ho aggiunte io per pietà; ma l’istruzione non serve.

Insomma, è già abbastanza fastidioso che lo Stato tenti di mettere becco sulla vita famigliare delle persone in qualsiasi modo non siano sovvenzioni, servizi e altre risorse messe a disposizione del cittadino. Sentirsi dire come gestire il proprio corpo, cosa fare del proprio tempo libero, del rapporto di coppia, della sessualità e, porca miseria, persino dello sperma e degli ovuli è piuttosto ansiogeno: sono campi talmente personali, intimi per definizione, che dà già fastidio quando vengono a ficcarci il naso i nostri genitori, figurarsi la Lorenzin e i suoi galoppini. Ma farlo in una maniera così prevaricatrice, utilizzando una campagna mediatica dalla forma supponente e condiscendente, spesso addirittura offensiva, e un testo dai contenuti così retrogradi e addirittura fascisti… beh, non c’è da sorprendersi se, tanto per cambiare, siamo la barzelletta del resto del mondo.
Che poi, io ci ho a che fare da tutta la vita, con una famiglia di nove tra fratelli e sorelle, ed è una delle cose più disfunzionali che abbia mai visto. Altro che forza nella tradizione. Personalmente, il giorno in cui uno dei galoppini della Lorenzin – nome a caso… Gaston! – verrà a casa mia a controllare dove, come, quando e a che scopo infilo il pisello… beh, la mia reazione sarà una soltanto:


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