Tuesday 20 September 2016

Stuck on Stucky

Di solito, essere single non mi dà particolare fastidio: mi lascia un sacco di tempo da dedicare a me stesso (anche troppo: overthinking, anyone?), seguire le mie passioni e cercare di sbrogliare il casino che ho in testa. Ci sono momenti, però, in cui la cosa mi frustra oltremodo – ed è quando la solitudine mi mette i bastoni fra le ruote proprio nel seguire le mie passioni.
Textbook case: dopo la maratona di film Marvel di qualche mese fa, sono sprofondato fino ai gomiti nella Stucky (la ship di Captain America e il Soldato d’Inverno); ora che è uscito in DVD Civil War, che può riassumersi in “Gli Avengers si pestano per il ragazzo del Cap”, ci sono ricascato con tutti i piedi e mi piacerebbe da matti portare un cosplay di Steve e Bucky a Lucca, prima o poi, facendo tanto, tanto, tanto fanservice (ovviamente faremmo la versione Anni Quaranta pre-siero, visto che al massimo ho il fisico di Steve mingherlino). E non è una cosa che mi va di fare, per dire, con un amico con benefit: sarebbe più divertente ed emozionante da condividere con qualcuno per cui nutro un sentimento più romantico. E se scoperchiamo quel vaso di Pandora che è la lista delle foto che voglio fare con un fidanzato, beh, non finiamo più.

Sì, guardo i film Marvel come film romantici. Problemi?

Spiegare il mio “problema” alle persone normali, che amano col cuore e non con la testa, per cui i sentimenti sono travolgenti e non funzionali ad altri aspetti della loro vita, è un po’ complicato e richiede una premessa.
Essendo paranoico, soffro di un disagio estremo per lo stereotipo del fottografo marpione, quello che ti propone di fare foto ma in realtà vuole un pompino. È un atteggimento che disprezzo dal profondo, per cui, al momento di scattare con un perfetto sconosciuto, mantengo le cose il più asettiche possibile. Poi, per carità, possiamo benissimo fare amicizia, magari anche uscire insieme, ma a foto fatte, postprodotte e pubblicate: fino a quel momento, il rapporto è strettamente professionale, arrivederci e grazie. È anche per questo che preferisco far posare amici: c’è fiducia reciproca, il problema non va a porsi e non finisco a farmi paranoie su che idee si faranno delle mie intenzioni. Per cui, se da una parte sono categorico nel non far colare il mondo fotografico in quello privato, non ho problemi e, anzi, amo fare il contrario.

Del resto, il soggetto di una foto è tutto nell’occhio del fotografo: uscirà come lo percepisce chi manovra la fotocamera (ed è per questo che, ad esempio, chiunque, ma proprio chiunque, uomo o donna, posi per Terry Richardson sembra una mignotta). Certe foto che ho in mente, per come le ho immaginate, richiedono che io provi una forte attrazione o addirittura un coinvolgimento emotivo verso il mio soggetto, perché quello è l’unico modo che ho per trasmettere genuinamente le emozioni che voglio che abbiano. Il soggetto deve essere desiderato, amato, venerato e, perché lo sembri sull’immagine, deve esserlo innanzi tutto nella mia testa.
Non parliamo, poi, delle foto di coppia che ho in mente: alla meglio, deve esserci una tensione erotica o emotiva reciproca; alla peggio, ci si deve spogliare insieme. Anche qui, l’amico fotogenico con benefit potrebbe essere una soluzione, ma sono dei concept talmente importanti per me che non voglio buttarli lì tanto per, senza vivere appieno l’esperienza. Sono foto che hanno bisogno di una genuinità che due modelli a caso, o due amici che scopano, non potrebbero mai trasmettere. Men che meno se devo posare anch’io, che difendo il mio spazio personale con unghie e denti e non mi metterei mai abbastanza a mio agio da farle funzionare.
C’è poi il fatto che mi scoccia chiedere favori; odio sentirmi in difetto. Andando a scattare con un ragazzo con cui sto non avrei il problema, perché i suoi sentimenti mi darebbero un vantaggio da sfruttare per bypassare le mie paranoie. Avrei modi concreti per ricambiare il favore (non necessariamente quelli che state pensando, maliziosi) e, nella mia testa, sarebbe più facile venirsi incontro.

Per cui, riassumendo, di condividere la vita quotidiana con qualcuno, onestamente, fottesega: anzi, è una prospettiva che mi inquieta un po’. Ma, per forza di cose, ho bisogno di qualcuno con cui condividere almeno parte della mia vita artistica perché abbia la profondità emotiva che cerco. La cosa diventa particolarmente frustrante man mano che nuove idee si aggiungono all’ormai chilometrica lista che ho fatto: l’ultima è Eternal degli Evanescence, che non riesco più ad ascoltare senza sbuffare perché continuo a trovarmi davanti agli occhi il trittico di foto che mi ispira e mi secca da morire non avere i mezzi per farlo. E non parliamo nemmeno di Ten Love Songs di Susanne Sundfør, su cui ho pianificato un’intera serie. Non è un caso se nelle varie app come nick ho titoli di sue canzoni: mi sono iscritto nella speranza di trovare materiale per fare quelle dieci dannate foto.
So che come discorso sembra abbastanza cinico, ma considerando l’importanza che l’arte ha per me a livello umano, e che è il filtro attraverso cui processo le mie emozioni, se trovo un partner artistico in qualcuno dal mio punto di vista significa che le cose si fanno davvero serie.

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