Thursday 14 September 2017

Silence Glaive

Non sono pronto a dire addio alla sonda Cassini. È sempre stata lì, fin da quando ho iniziato a imparare l’astronomia, un po’ come un parente con cui sono cresciuto, e pensare che domani si disintegrerà nell’atmosfera di Saturno mi riempie di tristezza.
Della Cassini si parlava già ne l’Universo: Grande Enciclopedia dell’Astronomia – quella della De Agostini a cura di Piero Angela, che usciva a fascicoli con le videocassette. Nonostante mancasse ancora un anno al lancio (avvenuto nel 1997), era un progetto talmente atteso per l’incredibile tecnologia che lo costituiva e l’ambiziosità degli obiettivi scientifici che ci si sfregava già le mani e si facevano previsioni in vista dell’arrivo nel Sistema Saturniano nonostante mancassero ancora sette anni.

Saturno era stato appena sfiorato dal Pioneer 11 e dalle Voyager durante i loro tour del Sistema Solare. La Pioneer ha scattato qualche immagine a bassa risoluzione, fatto alcune misurazioni e scoperto l’esistenza dell’anello F. La Voyager 1 ha mandato le prime immagini ad alta risoluzione del pianeta e alcuni satelliti; per studiare Titano, il satellite più grande di Saturno, e la sua misteriosa atmosfera, è stata addirittura deviata la sua traiettoria impedendole di raggiungere Urano e Nettuno. La Voyager 2 ha completato il lavoro con ulteriori misurazioni e nuove immagini: tante scoperte e innumerevoli interrogativi a cui rispondere con una sonda che orbitasse Saturno per diverso tempo.
Da qui è nato il progetto Cassini-Huygens.

Il doppio nome perché uno degli obiettivi più ambiziosi della missione era far atterrare un modulo, chiamato Huygens, sulla superficie di Titano. La sua atmosfera ricca di azoto, opaca, impedisce di vederne la superficie, da qui la necessità di studiarla direttamente in loco mentre il modulo-madre mappa il pianeta col sonar dall’orbita.
E mentre la Cassini è figlia della NASA, la Huygens è stata costruita dall’ESA, con l’ASI (l’Agenzia Spaziale Italiana) che ha fornito i sistemi di controllo: l’Europa ha parcheggiato una sonda sul più grande satellite di Saturno e l’Italia ne ha costruito componenti fondamentali!
E la superficie ghiacciata modellata dal clima, i laghi di metano, i fiumi di idrocarburi che variano secondo la stagione, come Piero Angela ipotizzava nelle videocassette del 1997 sono stati confermati.

Fra gli obiettivi importanti, c’è stata Phoebe, la più grande delle lune irregolari di Saturno, che si trovava in una posizione sfavorevole al passaggio delle sonde Voyager. La Cassini avrebbe fornito le prime e uniche immagini ad alta definizione della sua superficie, e avrebbe potuto farlo solo all’andata perché Phoebe orbita a enorme distanza, del tutto fuori portata dalla zona in cui il fulcro della missione si sarebbe svolto. Beh, nell’unica visita la Cassini ha mappato l’intera superficie del satellite, ne ha misurato le caratteristiche, saggiato la composizione e ha sollevato interessanti interrogativi sulla sua origine. Ha superato ogni aspettativa già in partenza.

Saturno nel 2016.

Ma oltre a queste commissioni uniche e irripetibili, per anni e anni ha studiato approfonditamente Saturno, la sua atmosfera, i suoi anelli, i maggiori satelliti, raccogliendo un’infinità di dati. Nel 2008, a undici anni dal lancio e dopo quattro di permanenza intorno a Saturno, la missione era considerata conclusa con successo e si parlava già di cosa fare della sonda. Niente affatto: la sonda funzionava ancora alla perfezione, c’era ancora tanto da scoprire, e il progetto è stato prolungato per ben due volte; dal 2008 si è arrivati al 2016.
Fra gli incredibili risultati riportati abbiamo uno studio approfondito e di tutte le lune maggiori, compresa la scoperta di attività idro-geologica e un possibile oceano sotterraneo d’acqua liquida su Encelado; la scoperta di decine e decine di satelliti minori, fra pastori degli anelli e irregolari esterni; lo studio degli anelli e della loro composizione, come vengono influenzati dai satelliti-pastore, come si evolvono le formazioni temporanee dovute agli impatti con meteoroidi; lo studio dell’interazione dell’anello di Phoebe con le altre lune – nello specifico, il mistero della doppia colorazione di Giapeto; uno studio approfondito dell’atmosfera di Saturno, compresi i vortici polari, uno dei quali è circondato dal famoso Esagono, mentre l’altro ha la prima struttura del tutto analoga a quella degli uragani terrestri confermata su un altro pianeta. E per la gioia dei meno esperti, abbiamo fotografie dettagliate e mozzafiato di ogni dettaglio di Saturno, dei suoi anelli e di tutte le sue lune, perfino piccoli sassi di un chilometro e mezzo come Methone!

Methone, un sassolino cosmico di cui abbiamo una foto perfetta!

Insomma, per tredici anni la Cassini ci ha abituati a un flusso giornaliero di nuovi, interessantissimi dati da Saturno. Nove anni oltre il progetto iniziale. Questa sonda ha superato qualsiasi aspettativa in fatto di longevità – una cosa che è essa stessa oggetto di studio per ottimizzare le future missioni – e l’unico motivo per cui si è deciso di terminare il suo operato è il combustibile che si sta esaurendo; tutti gli strumenti funzionano ancora perfettamente.
La ragione per cui si è deciso di terminare la missione ora piuttosto che, semplicemente, lasciar funzionare la sonda fino a che gli strumenti non si saranno guastati (probabilmente, di questo passo, quando il Sole sarà già una gigante rossa) è pragmatica: lasciarla in orbita intorno a Saturno senza carburante per correggere la traiettoria lascia aperta la possibilità che si schianti su una delle lune ghiacciate, sul cui potenziale di ospitare vita extraterrestre si vorrebbe indagare in futuro. Sulla Terra, ogni sonda è prodotta in un ambiente sterile e rimane tale fino al lancio compreso proprio per evitare rischi di contaminazione dalla Terra ad altri corpi celesti, ma non si può avere la certezza matematica che anche un solo batterio non sia sopravvissuto e la sonda non possa trasportarlo su Encelado, contaminandolo e falsando i risultati di una ricerca di vita autoctona.

La soluzione più pratica, per quanto triste, è stata quella di correggere la traiettoria della Cassini per metterla in rotta di collisione con Saturno – nel cui caso il rischio contaminazione è irrilevante, visto che è un gigante gassoso. Domani mattina, l’attrito con i gas e la crescente pressione disintegreranno la Cassini come se fosse un piccolo meteorite, preservando la potenziale esobiologia del Sistema Saturniano ma cancellando la prova fisica della sua esistenza.
A pensarci, mi vengono gli occhi un po’ lucidi e sono convinto che, quando annunceranno il momento preciso dell’impatto, un sospiro me lo lascerò sfuggire.
Conoscendola, però, la Cassini se ne andrà in un lampo di gloria raccogliendo e inviando quanti più dati possibile sugli strati superficiali dell’atmosfera di Saturno, svelando qualche altro mistero e aprendone di nuovi prima di scomparire. Non deluderà nemmeno in punto di morte.
Perché la Cassini è stata questo: una continua sorpresa. L’eredità che ci lascerà sotto forma di nuova conoscenza e nuove domande a cui rispondere è impressionante, forse unica fra tutte le missioni spaziali che abbiamo lanciato, e la sua impronta nell’astronomia planetaria sarà profonda e indelebile.
Un lungo viaggio per una sonda, un balzo incalcolabile per l’umanità.

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