Una delle cose che trovo più difficili è superare le mie insicurezze per muovermi un po’ fuori dalla mia comfort zone. Il che, me ne rendo conto, mi preclude un sacco di occasioni, specie economiche. E quando queste occasioni mi capitano, devo davvero sforzarmi per vincere la paura e tentare di fare cose importanti che includano il giudizio professionale di altre persone. Specie se è la prima volta. Eppure, poche cose sono soddisfacenti come fare un buon lavoro e ricevere un (più o meno) adeguato compenso.
Ad esempio, ho passato i quattro giorni scorsi praticamente in simbiosi col computer a trascrivere quattro ore e mezza di conferenza economica in inglese sui national accounts da registrazione audio. È un lavoro tutto sommato tedioso, ma a suo modo affascinante (anche perché, scavando in mezzo alla fuffa che esce a getto continuo dalla bocca degli economisti, mi sono fatto un briciolo di cultura su un campo a me per lo più estraneo). Con le sue difficoltà: tanto per cominciare perché ho rallentato l’audio fino ad arrivare a circa sette ore e mezza di lunghezza, da raddoppiare ulteriormente perché, dopo il primo ascolto, devo necessariamente farne un secondo per revisionare ciò che ho trascritto. E poi perché capitano speaker come quel vecchio caprone di Pedro Díaz Muñoz: ascoltarlo è l’equivalente di sorbirsi Lady Angellyca che tiene un discorso sull’economia per un’exclusiva Pecado Mortal. Inglese tremendo, accento pesantissimo, e un’incoerenza nell’esprimersi che mi ha rallentato notevolmente un lavoro già lungo da portare a termine in tempi piuttosto brevi. (No, seriamente, chi è l’idiota che invita uno spagnolo e lo fa parlare in inglese? Vorrei proprio saperlo.) Per non parlare della caterva di termini sconosciuti per i quali ho dovuto rivoltare Google come un calzino, fra cui l’introvabile “beezle”, un termine coniato negli Anni Cinquanta da John Kenneth Galbraith nel suo libro The Big Crash 1929 e che, a giudicare dalla quasi totale assenza di risultati di ricerca, conoscevano solo lui, forse sua madre, il suo correttore di bozze e lo speaker che l’ha tirato fuori.
Ma ne è valsa la pena. Non solo perché ho messo in saccoccia una sommetta che mi permetterà di andare a vedere il concerto del venticinquesimo anniversario dei The Gathering nei Paesi Bassi, ma soprattutto perché ce l’ho fatta. Sapevo di avere le competenze linguistiche necessarie a portare a termine l’incarico, ma quando ho accettato avevo una paura tremenda di non riuscirci. Per motivi assolutamente irrazionali: perché non l’avevo mai fatto, specie per denaro, perché il lavoro me l’aveva passato un amico a cui non volevo assolutamente far fare brutta figura, perché ci sarebbero stati professionisti a valutare il mio operato, perché era una prima volta.
Beh, al diavolo. Sono sopravvissuto a questo lavoro, l’ho portato a termine entro i tempi stabiliti, e sono anche certo di aver dato una buona prestazione. Ne sono capace. Il mio tempo e le mie capacità valgono il compenso che ho ricevuto.
Il prossimo passo sarà applicare più spesso questo ragionamento anche alla fotografia, e non per cinquanta euro su centopassa foto per un gruppo di trenta persone. Perché sono come L’Oreal: valgo. Eccome se valgo.
Oh, ecco. Neanche il tempo di postare che mi si è aggiunta un’altra ora di conferenza con altri soldi in arrivo. Stavolta so a cosa vado incontro e ho accettato senza drammi interiori. Perché non è più la prima volta e, lo ripeto, io valgo.
Ad esempio, ho passato i quattro giorni scorsi praticamente in simbiosi col computer a trascrivere quattro ore e mezza di conferenza economica in inglese sui national accounts da registrazione audio. È un lavoro tutto sommato tedioso, ma a suo modo affascinante (anche perché, scavando in mezzo alla fuffa che esce a getto continuo dalla bocca degli economisti, mi sono fatto un briciolo di cultura su un campo a me per lo più estraneo). Con le sue difficoltà: tanto per cominciare perché ho rallentato l’audio fino ad arrivare a circa sette ore e mezza di lunghezza, da raddoppiare ulteriormente perché, dopo il primo ascolto, devo necessariamente farne un secondo per revisionare ciò che ho trascritto. E poi perché capitano speaker come quel vecchio caprone di Pedro Díaz Muñoz: ascoltarlo è l’equivalente di sorbirsi Lady Angellyca che tiene un discorso sull’economia per un’exclusiva Pecado Mortal. Inglese tremendo, accento pesantissimo, e un’incoerenza nell’esprimersi che mi ha rallentato notevolmente un lavoro già lungo da portare a termine in tempi piuttosto brevi. (No, seriamente, chi è l’idiota che invita uno spagnolo e lo fa parlare in inglese? Vorrei proprio saperlo.) Per non parlare della caterva di termini sconosciuti per i quali ho dovuto rivoltare Google come un calzino, fra cui l’introvabile “beezle”, un termine coniato negli Anni Cinquanta da John Kenneth Galbraith nel suo libro The Big Crash 1929 e che, a giudicare dalla quasi totale assenza di risultati di ricerca, conoscevano solo lui, forse sua madre, il suo correttore di bozze e lo speaker che l’ha tirato fuori.
Ma ne è valsa la pena. Non solo perché ho messo in saccoccia una sommetta che mi permetterà di andare a vedere il concerto del venticinquesimo anniversario dei The Gathering nei Paesi Bassi, ma soprattutto perché ce l’ho fatta. Sapevo di avere le competenze linguistiche necessarie a portare a termine l’incarico, ma quando ho accettato avevo una paura tremenda di non riuscirci. Per motivi assolutamente irrazionali: perché non l’avevo mai fatto, specie per denaro, perché il lavoro me l’aveva passato un amico a cui non volevo assolutamente far fare brutta figura, perché ci sarebbero stati professionisti a valutare il mio operato, perché era una prima volta.
Beh, al diavolo. Sono sopravvissuto a questo lavoro, l’ho portato a termine entro i tempi stabiliti, e sono anche certo di aver dato una buona prestazione. Ne sono capace. Il mio tempo e le mie capacità valgono il compenso che ho ricevuto.
Il prossimo passo sarà applicare più spesso questo ragionamento anche alla fotografia, e non per cinquanta euro su centopassa foto per un gruppo di trenta persone. Perché sono come L’Oreal: valgo. Eccome se valgo.
Oh, ecco. Neanche il tempo di postare che mi si è aggiunta un’altra ora di conferenza con altri soldi in arrivo. Stavolta so a cosa vado incontro e ho accettato senza drammi interiori. Perché non è più la prima volta e, lo ripeto, io valgo.
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