Saturday, 15 November 2014

Apologia della sonda Rosetta

No, non ce la faccio proprio a mantenere la bocca chiusa sul “caso” del lander Philae che è atterrato sulla cometa 67P – o meglio, il caso di come i media italiani (dico a te, TG4) l’hanno presentato. È più forte di me, sono stato appassionato di queste cose sin da quando ero bambino, ho aspettato per anni questo momento, così come aspetto con trepidazione il fliby di Plutone della New Horizons, e vederlo vilipeso da quelli che dovrebbero fare informazione nel paese in cui vivo mi ha davvero fatto male. Altro che sapere che la scavatrice che ha perforato la superficie è stata fatta in Italia.
Per chi se lo fosse perso, il TG4 (vedi link sopra) ha commentato la notizia mettendo l’accento su quanto le scoperte scientifiche sulla natura delle comete ne rovinino la popolare immagine romantica. Su quanto le immagini di questi sassi polverosi tolgano fascino all’“astro” della Natività. Ovvio, perché anche i lander delle missioni Apollo sulla Luna a 384,400 km sono un pugno nell’occhio quando alzi lo sguardo a guardarla prima di una sana pomiciata. Ma qui è peggio, perché, appunto, la cometa è un simbolo della Natività, e guai a toccarla. Quasi quasi direi, fortuna che questa gente non ha più il potere politico di una volta, perché tutto ciò mi ricorda vagamente il processo a Galileo: guai a toccare la visione dell’universo quando c’è di mezzo la religione!
Ci sono tante di quelle cose che vorrei sbattere in faccia all’autore di quel servizio, farneticazione per farneticazione, perché quell’articolo è davvero l’apologia dell’ignoranza volontaria. Vedere le comete “con sorpresa e stupore” significa solo essere dei gran coglioni, perché al giorno d’oggi siamo in grado di calcolarne le orbite e prevederne quindi le apparizioni con anni di anticipo; “non lo sapeva quasi nessuno” della missione, quando bastava aprire Wikipedia per informarsi; e che i nuclei cometari fossero grossi pezzi di roccia e ghiaccio che sublimano in prossimità del perielio è noto da decenni, basta la licenza media. L’asteroide di Armageddon glielo romperei in testa, perché si sa che l’astronomia è buona solo come materiale per blockbuster scientificamente inaccurati. Ciliegina sulla torta, “gli scienziati sono gli unici o quasi ad eccitarsi” per la missione, mentre è evidente che il grande pubblico, di cui lui vuole farsi portavoce, è decisamente infastidito, anzi, offeso dall’essersi ritrovato queste scomode nozioni scientifiche infilate nel sedere. Era meglio non sapere, continuare a crogiolarsi nell’immagine della palla di luce fuffosa con la coda: non posso nemmeno chiamarlo sottotesto, perché è praticamente il punto focale del servizio.

Ok, mi rendo perfettamente conto che arrabbiarmi è stupido. L’atteggiamento antiscientifico è un po’ una costante della società italiana, basti pensare a quanti si scagliano contro quella stessa ricerca che permette loro di riacchiappare i loro animaletti per la coda quando hanno una zampetta nella fossa. Figurarsi quindi il giudizio che si può avere su una scienza che, apparentemente, non ha un riscontro concreto nella vita quotidiana (dico “apparentemente” perché capire il funzionamento su larga scala dell’universo in realtà serve a controllare e applicare quelle stesse forze sulla piccola scala, ovvero la base della tecnologia moderna; radio e tv, forno a microonde e radiografie in primis). Ma c’è ben altro, un motivo molto più radicato per cui in una società retriva come quella italiana queste scoperte sono considerate un male, come l’apologia della beata ignoranza del TG4 ha chiaramente mostrato.
La verità è che l’astronomia è il motore che propelle l’avanzamento della società. È la scienza che per prima ha spinto l’uomo a mettere in discussione il divino, a studiare il cielo non come qualcosa di remoto e irraggiungibile, non come un reame separato e immutabile, ma come parte integrante della realtà in cui viviamo. È stata una scienza piena di errori, che ha dato per assodati anche per secoli modelli che poi si sono rivelati incorretti ma li ha poi superati, che si mette costantemente in discussione ed è alla continua ricerca di correzioni e nuove sfide a quanto già sa. Ci mostra quanto piccoli e umili siamo, quanto la nostra conoscenza sia fallace e quanto la “verità” non esista e sia costantemente conrovertibile. Ci insegna ad avere il coraggio di superare le nostre teorie quando si rivelano sbagliate, che non esistono dogmi, che nessuno può proclamarsi detentore della saggezza suprema perché la percezione umana è limitata. Per secoli abbiamo pensato che il cielo fosse un reame divino, che costituisse un mondo a parte, perfetto, la residenza di Dio; e che ogni cosa fosse stata creata in un meccanismo perfetto affinché noi potessimo essere qui. Oggi sappiamo che l’universo è fatto della stessa materia di cui siamo fatti noi, che fuori dal nostro cielo c’è uno spazio uguale a quello in cui ci muoviamo noi, che i meccanismi su cui si basa la nostra esistenza sono imperfetti e soggetti al declino – basti pensare al decadimento orbitale che farà sì che nel giro di milioni di anni non possano più avvenire eclissi totali sulla Terra – solo in tempi talmente grandi da non essere nemmeno concepibili dalla nostra mente. Noi siamo qui, approfittiamo di un breve istante per esistere, e col tempo le cose cambieranno. Nulla è a nostro uso e consumo, siamo solo stati fortunati e dobbiamo prendere la nostra esistenza come il dono che è, non darla per scontato perché ci è dovuta.
Se non fosse stato per la scuola aristotelica, per la Rivoluzione Copernicana, per il telescopio, per i primi uomini nello spazio, saremmo ancora schiavi dell’irrazionale e della superstizione, senza la possibilità di pensare con la nostra testa e prendere in mano la nostra esistenza. Ascolteremmo ancora chi dice di aver ricevuto una rivelazione e lasceremmo che fossero loro a decidere della nostra vita. E vivremmo ancora nel terrore ogni volta che una cometa, questo misterioso oggetto luminoso che trascende l’immutabilità delle Stelle Fisse a intervalli imprevedibili, compare in cielo come presagio di chissà quale sventura.

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