Uno dei progetti riguardanti me stesso su cui ho deciso di lavorare è l’abolizione del pregiudizio verso gli accenti regionali dell’italiano. Da piccolo, complice la tv, ero convinto che tutti gli Italiani in Penisola parlassero senza inflessione, e che l’accento marcato fosse una peculiarità dei Sardi meno istruiti. Tant’è che, crescendo e entrando in contatto con persone di tutta Italia grazie a Internet, rimasi molto allarmato nello scoprire che il mio accento sardo si sentiva un po’ e, da allora, ho lavorato incessantemente per cesellare la mia dizione fino a renderla la quintessenza dell’italiano standard. A parte le vocali: l’italiano della Sardegna ha un sistema completamente pentavocalico e non riuscirò mai a imparare quali E e quali O devono essere chiuse o aperte.
Una volta iniziata l’università, ho capito (e poi studiato) che la mia idea dei Sardi rimasti allo stadio evolutivo precedente della lingua era una colossale idiozia: essendo l’italiano una lingua artificiale introdotta nemmeno due secoli fa su un sostrato estremamente variegato, non è vero che lo standard orale è il modo naturale di parlare e solo i ceti più ignoranti hanno un forte accento; al contrario, lo standard è una skill acquisita e perfezionata, mentre le varianti diatopiche sono la madrelingua, il modo naturale in cui la gente impara a parlare. L’accento non è un handicap che si supera col progredire dell’istruzione, è endemico del modo di parlare di ciascuno di noi. È proprio con questa consapevolezza che sto cercando di abbattere i miei pregiudizi nei confronti degli accenti, sia positivi che negativi.
Nel mio caso specifico, la teoria per la quale una lingua piace o non piace a seconda delle associazioni mentali che richiama è particolarmente vera. L’accento sardo mi fa sanguinare le orecchie perché rappresenta un mondo nel quale ero un pesce fuor d’acqua, da cui non vedevo l’ora di fuggire, ed era particolarmente forte nell’ignorantissima Famiglia Mulino Bianco. Con l’accento napoletano ho un rapporto conflittuale: lo adoro quando è leggero, ma la TV con cui sono cresciuto ne ha fatto largo uso proprio per rappresentare i ceti più popolari, per cui associo quello marcato a un’idea di arretratezza. D’altro canto, l’egemonia culturale del Nord Italia in televisione, con gli accenti meridionali usati come macchiette, ha fatto sì che non sia tuttora in grado di distinguere le parlate settentrionali, se non come lievi sfumature in uno standard impeccabile. Per un orecchio imparziale, probabilmente l’accento di un Piemontese o un Lombardo saranno tanto evidenti quanto quelli di un Calabro o un Siciliano, ma al mio orecchio la cosa sfugge totalmente. I Veneti e i Triestini tendono a influenzare il loro italiano molto più di quanto non facciano, ad esempio, i Campani, ma anche qui, è una cosa che noto appena (se non parlano proprio in dialetto stretto).
Dall’altra parte, invece, trovo l’accento emiliano molto musicale e adoro l’accento romano e quello toscano perché li trovo molto pittoreschi ed espressivi. Ciò è in parte vero anche per l’accento siculo, ma lo conosco molto meno. Ho avuto un ottimo professore di matematica calabro e ho tantissimi amici nella zona di Lecce, per cui trovo anche l’accento calabro e quello salentino estremamente piacevoli. Addirittura, quando voglio parlare in maniera più enfatica tendo a prendere in prestito gli accenti centro-meridionali proprio perché li trovo tutti molto espressivi.
Quindi, riassumendo, non percepisco proprio gli accenti settentrionali, ho un debole per quelli centrali e buona parte di quelli meridionali, ma non sopporto quello sardo. Presa coscienza di ciò, il mio progetto non è certo alterare la mia parlata per reintrodurre il mio accento nativo: in parte perché, non sentendomi culturalmente sardo, non rappresenta un valore aggiunto per me, ma principalmente perché sono vanesio e molto orgoglioso del livello di dizione che ho raggiunto; inoltre, mi diverto a mescolare qualche sfumatura regionale per enfasi. Quello che voglio fare è smettere di vergognarmi e impanicarmi ogni volta che mi fanno notare che qualche traccia del sardo spunta fuori quando sono più agitato e, soprattutto, prendere atto della parlata dei miei interlocutori senza però prestarci attenzione. C’è un bel po’ di lavoro da fare, grazie a Mamma Televisione.
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