Negli ultimi mesi, ho lavorato come social media manager per alcune aziende locali. Nulla di spettacolare, si è trattato per lo più di gestire gli account Instagram e piazzare like strategici in modo da aumentare il traffico in arrivo: miravo ai post geolocalizzati a Trieste e mettevo una sfilza di like ogni tot tempo, in modo da attirare le persone del posto sui profili e far crescere le attività così che l’algoritmo li rendesse più visibili.
Ci sarebbe una miriade di parole da scrivere sulle miserie umane che ho visto, fra sfilze di selfie a caso tutti uguali, senza contesto, post di buongiornissimo sera e mattina (giuro che quasi pensavo non esistessero davvero) e gente sessualmente preoccupata, ma mi sono accorto, col tempo, di trovare molto più insidiosi altri tipi di post.
Naturalmente, rappresentando col mio lavoro delle aziende, non è che potevo mettere like indiscriminatamente a tutto ciò che mi capitava sott’occhio. Qualcuno voleva che evitassi “la concorrenza”, quindi dovevo schivare tutti i post simili (ma fare attenzione a includere quelli che potevano essere potenziali clienti). Con tutti, dovevo evitare i post “dal contenuto sensibile” e, anche se non mi è stato detto esplicitamente, io ci ho incluso quelli politici: chiaro che un’azienda debba mantenersi neutrale nelle questioni politiche per non rischiare di alienarsi una fetta di mercato, da una parte o dall’altra. E ai post di destra sono io, per le mie convinzioni, a rifiutarmi di dare attenzione mediatica – il che non è molto facile, con i nostri giovani consiglieri comunali leghisti che passano più tempo attaccati allo smartphone che a fare il loro lavoro.
Le giornate peggiori le ho avute quando c’è stata la manifestazione di CasaFotte (mi rifiuto di far indicizzare il mio blog con quel nome) e relativa contromanifestazione: la seconda l’ho snobbata per par condicio, ma la prima mi faceva semplicemente vomitare. Daje allora a schivare i post con fumogeni, tricolori sventolati, gente che urla, tartarughe nere e – ho già detto tricolori sventolati? Il giorno della manifestazione e la settimana che è seguita ho veramente giocato a campo minato.
Ma non è solo CasaFotte a sventolare il tricolore, purtroppo: anche i nostri amici leghisti sembrano amarlo un sacco. E anche loro li dovevo e volevo evitare. Così, pian piano, ho iniziato a entrare nel panico, skippare o, a danno fatto, correre a togliere alla chetichella il like a qualsiasi post con la bandiera italiana.
E questo, dopo un po’, ha iniziato a farmi tristezza, orrore e vergogna insieme.
Proprio così: mi sono reso conto di vivere in un periodo storico in cui la mia bandiera, il simbolo del mio Paese, mi suscita vergogna.
Vero che sono di natura apolide, sono cresciuto in una famiglia multiculturale con i problemi identitari che ne conseguono, non ho praticamente legami affettivi o identitari con “La Mia Terra™” e i Quattro Mori mi fanno cringeare forte, se devo dichiarare un’identità mi definisco europeo prima che italiano. Ma italiano lo sono pur sempre, sono nato e cresciuto qui, ho studiato qui, la mia nazione ha inevitabilmente scolpito parte della mia identità.
Per questo mi fa tristezza vedere che del suo simbolo si è appropriata la peggior feccia, gente che la usa per mascherare come identità nazionale la sua piccola mentalità vuota, tutta pregiudizi, che nella sua insicurezza odia qualsiasi cosa percepisca come una minaccia. La bandiera italiana dovrebbe essere il simbolo di una nazione disastrata e spesso poco seria, sì, ma che ha alla base un intreccio millenario di culture e tradizioni da cui attingere per diventare unica, un tassello meraviglioso della nazione europea che, a sua volta, fa parte del mosaico che è l’intera umanità. Dovrebbe farmi sentire un senso di appartenenza, inclusione, celebrazione di una storia di alti e bassi ma unica e ricchissima. Invece ormai la percepisco come un simbolo di odio, prevaricazione, superiorità millantata, chiusura, discriminazione.
Come siamo arrivati a questo punto? C’è un modo per fare retromarcia, schiacciare sotto le ruote il becero nazionalismo e riportare il tricolore al simbolo di un’identità poliedrica e culturalmente ricca che può arricchire e farsi arricchire dalle bandiere di altro colore? Arriverà un momento in cui, quando vedrò a colpo d’occhio la bandiera italiana su internet, penserò di nuovo non che è il post di qualche bigotto che vuole escludere il resto dell’umanità, ma di un Italiano che vuole celebrare la cultura che ha forgiato la sua identità di cittadino del mondo?
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