Tuesday 16 April 2019

Opinioni sgarbate

Ho volutamente mantenuto un profilo basso sui social circa il rogo di Notre Dame de Paris (e preferito concentrarmi su Game of Thrones) perché, onestamente, è uno di quegli eventi così brutti da processare che sento il bisogno di farlo in privato. Nulla contro chi esprime il proprio shock e dolore postando, ci mancherebbe, sono scelte personali e ogni metodo per processare qualcosa che ci tocca nel profondo è valido: le critiche sono fuori luogo.
Non scendo nemmeno nel merito dell’ironia che è partita subito perché sono il primo ad avere un senso dell’umorismo molto tagliente e politicamente scorretto, quindi non attaccherò un pippone su come chiesa-istituzione e opere d’arte abbiano due valori diversi e separati: sono piuttosto sicuro che, almeno fra i miei contatti, la gente abbia abbastanza sale in zucca da saperlo e siano battute nate da genuino umorismo, condivisibile o meno.

La mia riflessione nasce dalle dichiarazioni di un certo critico d’arte italiano – sempre lui – che, come al solito, ha anteposto la sua necessità di farsi notare al buon senso e l’intavolare una conversazione costruttiva. Perché è chiaro, no? Succede qualcosa e la prima preoccupazione è quella di fare un commento che, per quanto nei contenuti non sia stupido e offra dei punti giusti e interessanti, nei toni è insensibile, controcorrente a tutti i costi e cerca volutamente di urtare la sensibilità altrui per attirare l’attenzione. Davvero, Coso, quest’atteggiamento ormai puzza di stantio.

“Non mi sembra ci sia alcuna ragione per gridare alla tragedia”, dice lui: del resto, non è stato un attacco terroristico e non ci sono state vittime; la guglia era stata costruita nell’Ottocento e può essere ricostruita ancora.
Oh boy, da dove comincio?

Partiamo dalla natura dell’incidente, va’. Che non ci siano state vittime è una grande fortuna, ma questo non toglie nulla alla perdita del patrimonio artistico, che rende l’avvenimento una tragedia a prescindere. Inoltre, che non si sia trattato di terrorismo non significa nulla: so che la narrativa socio-politica dell’ultima sessantina d’anni ci ha abituati a dover sempre avere un nemico, a dare valore alla nostra identità in base alle minacce e gli attacchi che subiamo, ma persone e cose hanno valore in sé e per sé, e la loro perdita è tragica anche se è un incidente senza alcun dolo. La mancanza di self-worth non è una buona base su cui denigrare l’importanza di un avvenimento.

C’è poi il commento sul lato artistico della faccenda: che la guglia sia stata un’aggiunta postuma, sebbene in uno stile compatibile col resto della chiesa, renderebbe il danno meno grave.
Beh, allora possiamo prendere il discorso, applicarlo a qualunque cosa e dire che chissenefrega se il Campanile di San Marco a Venezia prende fuoco e viene giù, tanto è una ricostruzione del 1912. O pazienza se la Camera d’Ambra dell’Ermitage viene distrutta di nuovo, ce l’hanno ricostruita sotto il naso nel 2003. Ma perché limitarsi, allora? Si può tornare sempre più indietro e arrivare a dire che molte statue romane non sono così importanti, dopo tutto, visto che sono copie di bronzi greci.
Il fatto che un’opera d’arte sia una “riproduzione” (più) recente e non “l’originale” non le toglie valore. Non è da quanto tempo sta lì a darle lustro, ma il posto che ha nella nostra cultura – senza contare che anche dietro una ricostruzione c’è il lavoro e l’esperienza di artisti, artigiani e pure semplici operai: anche quello ha valore.

E fra l’altro, non è una “ricostruzione” qualunque, è Notre Dame de Paris. È probabilmente uno dei restauri che sono stati pionieristici nella formazione del concetto stesso di “conservazione dei beni culturali” come lo intendiamo oggi. Quei lavori, quella guglia, Hugo che ha scritto un intero romanzo oggi iconico non per fare un commento sociale, ma specificamente per attirare l’attenzione sullo stato di una chiesa semi-abbandonata per non farla deteriorare ulteriormente… sono stati uno degli spartiacque tra scavare il Foro Romano per portarsi via il marmo come materiale di costruzione e scavare il Foro Romano per capire come era fatto e preservarlo per le generazioni future. Già solo per quello, originale o no, medievale o ottocentesca, quella guglia occupava un posto importante nella nostra Storia dell’Arte.

La cosa frustrante è che c’era anche un punto ragionevole e interessante sepolto nel discorso sgarbato di Colui Che Mi Rifiuto di Nominare: nessun danno è irreparabile. Solo che, come al solito, lui è un egocentrico troppo occupato a essere edgy a tutti i costi, a fare la voce fuori dal coro e farsi notare, per dire qualcosa di davvero costruttivo.
Se avesse detto che il danno è grave ma oggi abbiamo non solo tecnologie, ma anche studi approfonditi dei nostri monumenti che permettono di ricostruirli virtualmente identici – e che queste tecnologie e studi sono nati in parte proprio sulla scia di quei lavori su Notre Dame – avrebbe avuto ragione di aprire bocca.

Solo che per fare un discorso del genere bisognerebbe prima di tutto mostrare rispetto per la comprensibile risposta emotiva che l’avvenimento ha suscitato, ammettere che è comprensibile e poi ridimensionarla sottolineando che esistono delle soluzioni per contenere e, eventualmente, riparare i danni. Ma il modo migliore per farsi notare è attaccare direttamente la risposta emotiva, calpestare deliberatamente i sentimenti delle persone, così si sentono pungolate e si girano verso di te.

Allora, caro Critico Sgarbato, mi spieghi a cosa servi? Perché il tuo ego non lascia posto per le opere di cui dovresti discutere. L’arte è una forma di comunicazione: se sei troppo innamorato delle tue grida sguaiate per ascoltare, non sei adatto a questo ambiente, figurarsi a questo lavoro.

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