Saturday 19 October 2013

Home is where wi-fi connects automatically

A titolo puramente informativo, come al solito tutte le mie paranoie su cosa fare della mia vita dopo la partenza da Alghero, e su cosa avrei trovato una volta arrivato a Trieste, si sono rivelate allegramente infondate.
Lo ammetto: i primi giorni sono stati un po’ difficili. Non avere internet mi ha causato qualche attacco di letargia, ma ho recuperato buttandomi a capofitto sui film che avevo scaricato prima di partire. Film molto furbi, fra l’altro: cosa c’è di meglio per ambientarsi in una casa nuova che guardare Rose Red, una miniserie su una casa malvagia e assassina? Devo però dire di essere diventato molto meno impressionabile: la notte, dopo averlo visto, i termosifoni hanno preso a gorgogliare in maniera molto sinistra e inquietante, ma oltre al fastidio per essere stato svegliato non ho provato altro (anche se ammetto che quel film è il motivo per cui non lascio mai le dita fra i battenti delle porte o fra le ante delle finestre).
Fra l’altro, nella mia testa la villetta che vedo dalla finestra si chiama proprio Rose Red.

La parte più problematica è stata portare tutta la roba. Lunedì, il pacco che mi sono spedito da giù ha deciso di arrivare tardissimo (e io che lottavo contro le manie omicide visto che non vedevo l’ora di uscire per andare a scaricarmi Once Upon A Time da Linda), e il trasloco mercoledì: una decina di scatole (senza contare le cose che ero già riuscito a portare in valigia i giorni prima) rinchiuse in soffitta da Linda, casa mia al terzo piano senza ascensore e me e Riccardo tutt’altro che forti e nerboruti. Come per l’antico vaso che andava portato in salvo a tutti i costi, sembava impossibile, ma ce l’abbiamo fatta – anche se non sono ancora del tutto sicuro di come.

Per il resto, la stanza è molto spaziosa e – specie da quando ho attaccato i poster – bella, la casa pure, i coinquilini sono tranquilli, amichevoli-ma-non-troppo e ci stiamo trovando bene. Tutt’altra cosa rispetto al bugigattolo in cui ero finito gli anni scorsi. Adesso dovrò solo chiamare la Telecom per far mettere la linea internet, così da poter mettere via a tempo indeterminato la chiavetta, che ha un capriccio da fare ogni santo giorno (i due coinquilini riluttanti hanno cambiato idea dopo essersi effettivamente dilapidati il traffico internet scaricando due film). E finalmente, quando avrò un wi-fi a cui il mio computer si connetterà automaticamente, potrò chiamare questo posto “casa”.

Friday 11 October 2013

Dio salvi Regina e i torrent

La cosa più seccante di questa partenza è che, di nuovo, non ho potuto salutare le stelle di Alghero dalla finestra del bagno. Fuori piove in maniera sottile ma continua e il cielo è coperto da uno strato denso e uniforme di nuvole. Niente Castore e Polluce, niente Giove incastonato nella costellazione dei Gemelli. Oh, e ovviamente niente caccia alle elusive stelline che formano il Cancro, una missione che, incurante delle luci cittadine, sto portando avanti da almeno una settimana. Ho visto perfino la Lince, chiamata così perché per vederla ci vuole appunto un occhio di lince, metà Leone e la testa dell’Idra, ma del Cancro nessuna traccia (i nostri medici ne saranno felici – pessima batta).
Complici l’avvenuta spedizione del pacco ieri e due uscite serali con Giovix, mi sento molto più rilassato che nell’ultimo post, ma un po’ l’incertezza del futuro (leggi: di internet, dovrei davvero farmi una vita) e il fatto che le partenze mi mettono sempre ansia, sto ancora qui indeciso se guardare una puntata di Once Upon A Time o meno prima di andare a dormire. Oh, e Once: Wonderland ancora non è uscito su ez.tv, per cui dovrò scaricarlo domani mentre pranzo e guardo l’ultima Signora In Giallo prima di natale.

Una cosa che mi ha un po’ rattristato è che rientrando a casa ho trovato la Mater già coricata: ero un po’ seccato quando sono uscito (perché come al solito mi ha trattenuto con i cavoli del suo pc mentre ero già in ritardo), e ora mi sento un po’ in colpa data la partenza imminente. Oh, e devo ancora fare la valigia, anche se tutto ciò che non ho spedito è già in ordine e pronto ad essere impacchettato. Murka è come al solito sdraiata sulla sedia accanto alla mia e non mi vuole lasciare per un secondo. Stamattina mi sono dovuto alzare a notte fonda (leggi: le nove) per portare della roba al lavoro alla Mater, e quando sono rientrato e mi sono ricoricato lei ha deciso di non volersene andare dal mio letto, così l’ho tenuta con me mentre tornavo a dormire.
È impressionate come capisca sempre quando sto per partire. Già da due giorni prima inizia a ciondolare per casa mogia mogia e mi segue ancora più di quanto non faccia normalmente. E ha sempre un visino triste. Non ho ben capito se siamo io e la Mater a proiettare su di lei le nostre emozioni e vederla così, o se davvero possegga tutta questa mimica facciale, ma c’è davvero qualcosa che cambia in lei in queste occasioni. Lo sguardo, principalmente. Del resto, gli amanti dei cani potranno dirmi il cavolo che vogliono, ma i gatti sono leali, affettuosi e molto intelligenti e comprensivi. Sono sicuro al cento percento che non troverò mai un uomo che mi amerà più di quanto faccia Murka, è serotoninamente impossibile. O era ossitocinamente? Boh, quello.

Alla fine è stato il blog a decidere per me: invece di guardare OUAT ho fatto l’ennesima smielata qui e, con la coscienza pulita, mi è venuto abbastanza sonno da andarmene a nanna. Fortunatamente l’aereo è nel primo pomeriggio, per cui non girerò come uno zombie. Per il resto, ho scaricato abbastanza musica e film da tenermi occupato finché non avrò internet stabile. Dio salvi Regina e i torrent.

Wednesday 9 October 2013

Odio impacchettare

So che è strano, ma a questo giro l’arrivo dell’autunno mi sta deprimendo parecchio. Il freddo improvviso, il cielo plumbeo, le giornate che si accorciano… quest’anno non mi stanno facendo piacere quanto gli anni scorsi, anzi. E sì, probabilmente è la prima volta che lo dico da almeno un decennio, ma tant’è. Non che senta la mancanza del caldo estivo, beninteso, ma avere giornate lunghe e soleggiate con una temperatura media sarebbe al momento una soluzione più che vantaggiosa.

Ancora una volta, ovviamente, i motivi hanno a che fare con la faccenda del trasferimento, nella fattispecie il fatto che dovrò farmi sistemare internet e cercare di farmi bastare i gigabite della promozione sulla chiavetta nel mentre, il che è probabilmente ciò che non mi fa nemmeno entusiasmare per la prossima uscita di Once Upon A Time nonostante la scorsa puntata mi abbia mandato in delirio.
Oh, e ovviamente il mio cattivo umore odierno è assolutamente da collegare al fatto che venerdì riparto e ora sto preparando con la Mater il pacco da spedire a casa nuova. Impacchettare e prepararmi a partire mi mette sempre di pessimo umore, a prescindere. I tentativi di sollevare il mio entusiasmo col pensiero di casa nuova, foto, concerto di Amanda e poi Anneke, Lucca Comics, Once upon A Time e Once Upon A Time In Wonderland che comunque sarò in grado di guardare e un mucchio di altre cose entusiasmanti che si avvicinano, accanto alla solita routine, non stanno andando poi tanto a buon fine.

Rant piuttosto breve, ora fuggo a spedire il pacco. Da lunedì inizierò ad avere un po’ di mie cose anche qui, tanto meglio.

Sunday 6 October 2013

La famiglia Barilla

Ora, io detesto che la gente mi tocchi il viso e i capelli. Specie se non sono sicuro di quando è stata l’ultima volta che si sono lavati le mani. Specie se a farlo è forse la zia che, del mucchio, sopporto di meno. Specie se poi se ne esce con una perla del calibro di (ovviamente mezzo in sardo e mezzo in italiano scorretto, il congiuntivo ce l’ho messo io):
“Eh, però se fossi stato figlio mio avrei tolto via tutto. Questi capelli e queste magliette.”
Certo, stronza. Peccato che io non sia figlio tuo, così come quello lì, a casa, non fosse il tuo comò. *

Fatta questa doverosa premessa, dopo la cena di stasera per la cresima del figlio di uno dei miei innumerevoli cugini, sono giunto alla conclusione che il mio essere una persona orribile, judgemental, con serie difficoltà a provare affetto verso il parentame (per non dire che invece provo odio genuino), è senza dubbio un problema genetico.
Per falra breve, di tutti e nove, fra fratelli e sorelle, nessuno ha sposato qualcuno che andasse bene. La Mater non è stata l’unica cognata a non essere andata a genio, visto che tutti, maschi e femmine, sono stati maltrattati e criticati senza pietà, con il Procreatore che non è nemmeno voluto andare a vederne uno sul letto di morte, una che ha messo alla porta tutte e cinque le sorelle del marito perché era esasperata, una che non andava mai bene perché cantava le sigle di Cristina d’Avena coi figli, uno che era troppo vecchio per la moglie, uno che “Mi dispiace per mia sorella, ma ben gli sta a lui che è andato in bancarotta”, e così via.
Capisco la vecchiaia, poi, ma quando chiedo notizie del resto del parentame al Procreatore o alla Ziaccia (perché sarebbe imbarazzante chiudere una telefonata dopo mezzo minuto di “Ciao, tutto bene grazie, lì com’è il tempo, hai sentito del Berlusca”), le notizie che ricevo sono vaghe come se non si vedessero da mesi pur abitando a duecento metri l’uno dall’altra. Beh, tutt’ora il Procreatore e metà delle zie non parlano con un fratello per una questione sulla donazione di una casa avvenuta anni prima che io nascessi.
Ultima riprova stasera, in macchina di ritorno dal ristorante: la zia che il Procreatore riaccompagnava a casa (non quella del comò) non si esibisce mica su quanto la figlioletta di una delle nipoti non le piaccia per niente, che questo non va bene, che quell’altro com’era conciato, che il marito della nipote non è come si deve, eccetera, eccetera, eccereta? Sul serio, per la durata di quel viaggio mi sono sentito uno stinco di santo nonostante tutte le cattiverie e i giudizi che sparo su Facebook.

Capisco che crescere in nove in mezzo alla miseria del ventennio fascista-Guerra Mondiale-Dopoguerra con nuovi fratelli/sorelle che si aggiungono a intervalli regolari non sia la situazione più propedeutica a formare dei sani e affettuosi legami famigliari, ma più li osservo e più ho l’impressione che si odino tutti in maniera genuina e nemmeno troppo ben celata (almeno la generazione genitoriale). Sono tutti padrini e madrine dei reciproci figli e nipoti, vanno tutti ai vari matrimoni, battesimi, comunioni, cresime e chi più ne ha più ne metta, si scambiano i due baci a Natale, ma sono più che convinto che se al pranzo di Pasquetta mangiassero ciò che pensano l’uno dell’altro, non arriverebbero a martedì, morirebbero la notte stessa vomitando calcoli come Madame Bovary.
Caro Guido, la tua famiglia tradizionale Barilla non funziona poi tanto bene, se vuoi la mia opinione. Anzi, è un viperaio fatto e finito.


* La storia del comò risale a una trentina di anni fa, agli inizi del matrimonio della Mater e del Procreatore. Un giorno, la zia in questione andò a visitare la loro casa e commentò che un certo comò non doveva trovarsi in quella posizione in corridoio, ma altrove. Al Procreatore faceva comodo lì, alla Mater pure (e comunque, a lei cosa fregava?), così, non lo spostarono. Lei tornò due giorni dopo e, vedendo che era ancora lì, chiese tutta scocciata perché mai ‘sto benedetto comò non lo avessero spostato, “Ah, adesso ci parlo io con mio fratello.” Cara la mia stronza, della tua opinione fottesega a nessuno, fattene una ragione.