Sunday 6 October 2013

La famiglia Barilla

Ora, io detesto che la gente mi tocchi il viso e i capelli. Specie se non sono sicuro di quando è stata l’ultima volta che si sono lavati le mani. Specie se a farlo è forse la zia che, del mucchio, sopporto di meno. Specie se poi se ne esce con una perla del calibro di (ovviamente mezzo in sardo e mezzo in italiano scorretto, il congiuntivo ce l’ho messo io):
“Eh, però se fossi stato figlio mio avrei tolto via tutto. Questi capelli e queste magliette.”
Certo, stronza. Peccato che io non sia figlio tuo, così come quello lì, a casa, non fosse il tuo comò. *

Fatta questa doverosa premessa, dopo la cena di stasera per la cresima del figlio di uno dei miei innumerevoli cugini, sono giunto alla conclusione che il mio essere una persona orribile, judgemental, con serie difficoltà a provare affetto verso il parentame (per non dire che invece provo odio genuino), è senza dubbio un problema genetico.
Per falra breve, di tutti e nove, fra fratelli e sorelle, nessuno ha sposato qualcuno che andasse bene. La Mater non è stata l’unica cognata a non essere andata a genio, visto che tutti, maschi e femmine, sono stati maltrattati e criticati senza pietà, con il Procreatore che non è nemmeno voluto andare a vederne uno sul letto di morte, una che ha messo alla porta tutte e cinque le sorelle del marito perché era esasperata, una che non andava mai bene perché cantava le sigle di Cristina d’Avena coi figli, uno che era troppo vecchio per la moglie, uno che “Mi dispiace per mia sorella, ma ben gli sta a lui che è andato in bancarotta”, e così via.
Capisco la vecchiaia, poi, ma quando chiedo notizie del resto del parentame al Procreatore o alla Ziaccia (perché sarebbe imbarazzante chiudere una telefonata dopo mezzo minuto di “Ciao, tutto bene grazie, lì com’è il tempo, hai sentito del Berlusca”), le notizie che ricevo sono vaghe come se non si vedessero da mesi pur abitando a duecento metri l’uno dall’altra. Beh, tutt’ora il Procreatore e metà delle zie non parlano con un fratello per una questione sulla donazione di una casa avvenuta anni prima che io nascessi.
Ultima riprova stasera, in macchina di ritorno dal ristorante: la zia che il Procreatore riaccompagnava a casa (non quella del comò) non si esibisce mica su quanto la figlioletta di una delle nipoti non le piaccia per niente, che questo non va bene, che quell’altro com’era conciato, che il marito della nipote non è come si deve, eccetera, eccetera, eccereta? Sul serio, per la durata di quel viaggio mi sono sentito uno stinco di santo nonostante tutte le cattiverie e i giudizi che sparo su Facebook.

Capisco che crescere in nove in mezzo alla miseria del ventennio fascista-Guerra Mondiale-Dopoguerra con nuovi fratelli/sorelle che si aggiungono a intervalli regolari non sia la situazione più propedeutica a formare dei sani e affettuosi legami famigliari, ma più li osservo e più ho l’impressione che si odino tutti in maniera genuina e nemmeno troppo ben celata (almeno la generazione genitoriale). Sono tutti padrini e madrine dei reciproci figli e nipoti, vanno tutti ai vari matrimoni, battesimi, comunioni, cresime e chi più ne ha più ne metta, si scambiano i due baci a Natale, ma sono più che convinto che se al pranzo di Pasquetta mangiassero ciò che pensano l’uno dell’altro, non arriverebbero a martedì, morirebbero la notte stessa vomitando calcoli come Madame Bovary.
Caro Guido, la tua famiglia tradizionale Barilla non funziona poi tanto bene, se vuoi la mia opinione. Anzi, è un viperaio fatto e finito.


* La storia del comò risale a una trentina di anni fa, agli inizi del matrimonio della Mater e del Procreatore. Un giorno, la zia in questione andò a visitare la loro casa e commentò che un certo comò non doveva trovarsi in quella posizione in corridoio, ma altrove. Al Procreatore faceva comodo lì, alla Mater pure (e comunque, a lei cosa fregava?), così, non lo spostarono. Lei tornò due giorni dopo e, vedendo che era ancora lì, chiese tutta scocciata perché mai ‘sto benedetto comò non lo avessero spostato, “Ah, adesso ci parlo io con mio fratello.” Cara la mia stronza, della tua opinione fottesega a nessuno, fattene una ragione.

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