Saturday 14 May 2016

Monsters of the month

• Senso di inadeguatezza: ho oggettivamente dei mezzi scarsi che spremo fino al limite. Non so nemmeno quale prospettiva mi spaventi di più, se rischiare di deludere una conoscente per cui nutro un’enorme ammirazione professionale, che è abituata a lavorare con persone ben al di sopra di me, e rischiare di bruciare già la nostra prima collaborazione, o un’amica con cui mi trovo a mio agio a lavorare, che umanamente comprende le mie difficoltà e sa che una defaillance per me non è la regola, ma a cui voglio talmente bene (oltre a nutrire enorme ammirazione professionale) da non riuscire proprio a considerare l’idea di deluderla.
Ora, c’è a dire che sia la mia scarsezza di mezzi, sia altre circostanze che complicheranno i prossimi giorni non dipendono né da me, né da loro: ci sono forze più grandi all’opera che ci vogliono mettere i bastoni fra le ruote, sono stupido ad addossarmene la colpa. E comunque, sono ricco di risorse con cui far fronte alle emergenze, per cui di solito la cosa si traduce non in un fallimento, solo in fatica in più – o, se vogliamo, una sfida più appassionante e che lascia ancora più soddisfazione quando è superata. Razionalmente so che posso farcela, così come ce l’ho fatta in passato, ma ciò non m’impedisce di essere un nervous wreck mentre aspetto di entrare in azione.

• Senso di rassegnazione: se evadere dalla routine ogni tanto mi fa bene e mi rilassa (specie quando passo il tempo con altre persone introverse che sanno quanto sia importante rispettare i reciproci spazi), va comunque fatto a piccole dosi. Sempre a causa delle circostanze impreviste, quelle che si prospettavano come due settimane al massimo di vita fuori dagli schemi sono diventate praticamente un mese, e no, quei dieci giorni di delirio in più non li passerò con qualcuno che sa quando è il caso di lasciarmi a cuocere nel mio brodo. Ormai il danno è fatto e, anche se vorrei darmi alla macchia sino a fine mese, sto cercando di rassegnarmi all’idea che non avrò una vita mia per le prossime due settimane. Niente musica, niente serie TV, niente tempo per ruolare, niente momenti da solo con i miei pensieri…
Non sarà mai una prospettiva che accoglierò con entusiasmo, ma vorrei riuscire almeno a farmene una ragione. Solo che, dato il mio stato nervoso già precario per il punto di sopra, continuo a rigirarmi nel letto, imbottito di melatonina fino alle orecchie, senza chiudere occhio. E mi chiedo se non sia il caso di smezzarmi un clonazepam e vedere se almeno quello aiuta.

Già il fatto che abbia scritto un post criptico che nemmeno ai tempi del liceo significa che, in questo momento, sento addosso uno stress tale che non mi va nemmeno di esplicitare ciò che mi turba. Nemmeno pensarlo tanto chiaramente da riuscire a digitarlo.
Che palle. Tutto.

Wednesday 11 May 2016

I froci di Schrödinger, o combattere la tolleranza repressiva

È impossibile inquadrare il DDL Cirinnà, le sue conquiste, le sue perdite, il suo iter travagliato, le reazioni che ha suscitato e il confronto con altre realtà occidentali senza considerare il contesto storico dell’omosessualità in Italia. È un argomento vastissimo, per approfondire il quale raccomando le pubblicazioni di Giovanni dall’Orto, sia i saggi sul sito che il libro Tutta Un’Altra Storia, ma il sunto semplificato e banalizzato è: essere cittadini di serie B è importante e perfino utile. Essere discriminati legalmente e istituzionalmente, piuttosto che solo socialmente, è ciò che dà la spinta al cambiamento.
A differenza di molte nazioni europee, l’Italia unita non ha mai avuto una legge che criminalizzasse l’omosessualità; ad eccezione dello Stato Pontificio, gli stati regionali che ne avevano una l’hanno vista decadere con l’arrivo di Napoleone, tant’è che per tutto l’Ottocento l’Italia è stata una specie di paradiso del turismo (omo)sessuale europeo; mentre all’estero si finiva in carcere per sodomia, i tentativi parlamentari di criminalizzare l’omosessualità in Italia sono stati apertamente osteggiati e respinti a più riprese, perfino in epoca fascista. E se è vero che sotto il regime c’è stato il confino per sodomia, è stato un fenomeno estremamente limitato e portato avanti per lo più su iniziativa personale di alcuni ufficiali pubblici piuttosto che su scala statale. Tutto questo per dire: davvero storicamente l’Italia è stata addirittura più avanti del resto d’Europa sul tema dei diritti LGBT? Perfino sotto il fascismo?
In breve, la risposta è: NO. La mancanza di un intervento istituzionale, in questo caso negativo, sulla questione omosessuale in Italia non è stato dovuto tanto a progressismo, quanto a ciò che Giovanni dall’Orto chiama “tolleranza repressiva”; volendo, qui potremmo chiamala “i froci di Schrödinger”.
Detto in soldoni: fino a oggi pomeriggio, secondo lo stato italiano i froci si trovavano in uno stato quantistico per cui esistevano e non esistevano al tempo stesso. Esistevano, ma erano un problema delegato alla Chiesa Cattolica e alla sua azione di influenza sociale: ovvero, la Chiesa insegnava la repressione ed era la “giustizia popolare” a punirli sotto forma di ostracismo sociale, le (non tanto) occasionali botte, olio di ricino quando andava di moda e altri modi che non entravano mai in ambito giuridico. Ma non esistevano perché, così facendo, lo Stato se ne lavava le mani: non li puniva, ma nemmeno li tutelava o dava loro diritti; semplicemente, faceva come se non ci fossero. Un arresto pubblico con tanto di processo e copertura mediatica avrebbe significato attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, per quanto ostile, sull’esistenza della sodomia; così invece era tutto silenzioso e si poteva far finta che la “devianza dalla norma” fosse, al massimo, episodica, o comunque non un fenomeno degno di nota – anzi, questo è stato un punto particolarmente enfatizzato durante il fascismo, secondo il quale tutti i maschi italici erano virili e l’omosessualità semplicemente non esisteva, era roba da Inglesi e Francesi.
Alla lunga, come metodo si è rivelato molto più efficace del modello Centroeuropeo: uno Stato che riconosce i froci in senso negativo non può far finta che non esistano. Nel momento in cui c’è una persecuzione sistematica, in cui è anzi la legge stessa che persegue una fetta della popolazione, questa si sente più motivata a unirsi e fare lotta di classe per liberarsi. È per questo che nei paesi Centroeuropei i movimenti omosessuali sono nati prima, sono stati più incisivi, più organizzati, e hanno ottenuto risultati più in fretta: da una parte dovevano realmente salvarsi la pelle, dall’altra combattevano contro un obiettivo preciso (le istituzioni); inoltre, l’opinione pubblica, che nel tempo ha iniziato a mutare, era consapevole in maniera inequivocabile della loro presenza. Erano legalmente riconosciuti non come cittadini di serie B, proprio come cittadini di serie Z, ed è su questa base che hanno costruito la loro lotta: uno stato che prima ti riconosceva come criminale e si è reso conto di aver preso una cantonata non può far finta di non riconoscerti come cittadino quando gli chiedi diritti.
Al contrario, in Italia non c’è mai stata una motivazione forte come il rischio di finire in carcere a unire la comunità LGBT; lo Stato non ha mai riconosciuto l’esistenza del “fenomeno” gay, per cui anche tutelarlo in qualche modo era superfluo perché l’omofobia, così come la richiesta di diritti, poteva passare per un “episodio” isolato, piuttosto che il sintomo di un malessere diffuso; e l’opinione pubblica non ha mai considerato l’omosessuale oltre il ruolo di macchietta nei siparietti comici, non si è mai soffermata sul fatto che è una persona, non ha mai preso parte al dibattito rischiando di entrare in contatto con studi e dati scientifici che sfatassero il pregiudizio.

In sostanza, se solo oggi in Italia si è compiuto quello che per molti paesi è stato un primo passo avvenuto decenni fa sull’equiparazione dei diritti, in parte è per la spinta retriva di una Chiesa Cattolica molto più presente, in parte è proprio per l’eredità che la tolleranza repressiva ci ha lasciato tutt’ora: questi froci di Schrödinger che quando esistono danno tanto fastidio, ma in realtà non esistono e non c’è proprio bisogno di fare leggi per loro. In Europa sono stati sì cittadini di serie Z, ma pur sempre cittadini che, a forza di lotte, hanno risalito tutto l’alfabeto, conquistato sempre più alleati che si accorgevano dei problemi reali che la legge poneva loro, trovato nemici che si sono resi sempre più ridicoli e poco credibili, e col tempo sono diventati prima cittadini di serie B e infine di serie A. In Italia erano non-entità che, formalmente, non avevano nulla di cui lamentarsi. Nulla vietava loro di essere froci, cazzo volevano ancora? In quattro gatti sui tacchi, poi? E siamo sicuri che siano davvero froci e non sia tutto un capriccio?
Per questo sì, il DDL Cirinnà per come è arrivato al traguardo è probabilmente anacronistico rispetto al resto d’Europa; ma, nel resto d’Europa, il movimento omosessuale non è dovuto partire dalla non-esistenza. Nel momento in cui lo Stato ci ha riconosciuti come cittadini di serie B, siamo per lo meno diventati cittadini. L’opinione pubblica ha scoperto che esistiamo al di fuori del comic relief. La gente si è interessata alla nostra battaglia e ha capito che cose che loro danno per scontate noi non le abbiamo. Ci siamo fatti degli acerrimi detrattori che danno voce alla loro opinione in maniera talmente goffa e incoerente che quelli con un po’ di buon senso (che dai, non sono così pochi) finiranno per svegliarsi anche se non si interessano davvero a noi.
Per cui, il sunto è che sentirsi delusi e amareggiati è lecito, ma sintomo di una leggera miopia storica – di cui comunque non c’è da vergognarsi, non è un argomento su cui si trova molta letteratura. Dato il contesto storico dell’omosessualità in Italia (e, ripeto, ho solo scalfito la superficie della questione), forse semplicemente non era possibile pretendere di più. E sì, essere considerati “meno cittadini” di altri è fastidioso e insultante, ma è comunque meglio che non essere considerati proprio: abbiamo acquisito il grande risultato di avere un riconoscimento legale della nostra esistenza per la prima volta dall’Unità d’Italia. Prima o poi, una società fa il suo corso e un riconoscimento legale ingiusto viene emendato; con la velocità con cui la società evolve oggi, non solo la proposta di referendum abrogativo naufragherà miseramente in un facepalm collettivo, ma probabilmente non dovremo nemmeno aspettare altri centocinquant’anni prima di ottenere la priena parità.
Per cui, nella giusta prospettiva storica, questo DDL Cirinnà io lo accolgo con un certo ottimismo: abbiamo sconfitto la tolleranza repressiva e l’inesistenza istituzionale, i primi grandi mostri sociali di cui eravamo vittima. Ora sarà più difficile ignorarci.

Wednesday 4 May 2016

Al gioco del trono o si perde o si perde.

Nel caso di Gionsnò, soprattutto, non c’è una terza possibilità.

Diciamolo sinceramente: un po’ Game of Thrones sta raccogliendo quello che ha seminato. La quinta stagione è stata un grosso pasticcio che ha deluso molti (troppi) spettatori; ricevere una vera seconda possibilità è difficile per una serie tv: quando lo spettatore si sente tradito, è disilluso e inizia ad aspettare lo show al varco, pronto a sottolineare tutti gli diferti su cui prima, con gli occhi a cuoricino, soprassedeva. Questa è e continuerà a essere la maledizione della sesta stagione, e molte delle idee che presenterà saranno accolte con lo scetticismo che un po’ di cura in più in passato avrebbe evitato.
C’è anche l’altro grosso problema: difficilmente ai lettori andrà davvero bene qualcosa. Qui non si tratta più di soddisfare aspttative nate in un anno di pausa della serie: buona parte degli eventi di quest’anno vanno a dare risposte ad almeno cinque anni, cinque, di domande, speculazioni, teorie, controteorie e analisi che girano da quando Martin ha pubblicato l’ultimo libro fitto di cliffhanger, A Dance With Dragons, nel 2011. Ora, più il tempo passa, più le aspettative crescono: mentre aspetti che la serie vada avanti, cosa ti resta se non cercare indizi su come andranno le cose perfino nella disposizione delle virgole?
Se fosse stato Martin stesso a spezzare l’attesa e dare le risposte, avrebbe avuto modo di ripagare l’attesa. La pagina scritta è uno strumento potentissimo che permette di indugiare su una scena, fornire dettagli, sviscerare le emozioni e i pensieri dei personaggi coinvolti, di riempire con qualcosa di sostanziale quel lasso di tempo in cui si procrastina un evento per far crescere la tensione. Lo schermo semplicemente non ha questo potere perché deve economizzare il tempo a sua disposizione: niente monologhi interiori che riempiono il build up, ed è più probabile che il grande momento sbatta la faccia per terra quando arriva.

Per questo, la resurrezione di Gionsnò non avrebbe mai, mai, MAI potuto essere soddisfacente nello show per chi la aspetta da anni sulla pagina. In primo luogo per i motivi di cui sopra. E poi perché diciamolo: non è un colpo di scena. Ce lo aspettavamo tutti, abbiamo avuto il tempo per abituarci all’idea e prevederla. In questi cinque anni, i lettori hanno teorizzato a lungo su come Melisandre avrebbe riportato indietro Gionsnò; o che non sarebbe stata lei, ma gli Altri, o il legame magico con Ghost, o il sangue Targaryen, o qualcos’altro. Qualsiasi teoria fosse stata concepita, o è stata confermata e quindi “la scena è stata prevedibile”, o, pur essendosi rivelata errata, ha avuto il tempo di far affezionare i lettori tanto da rendere qualsiasi alternativa scialba a confronto.
Per quanto riguarda la scenicità, forse una grande pira funebre con i poteri del Dio della Luce che fanno i fuochi d’artificio sarebbe stata più d’effetto, ma avrebbe avuto senso nel contesto dello show? Thoros di Myr ha riportato indietro Barric Dondarion con una preghiera e un gioco di mani proprio come ha fatto Melisandre, senza effetti speciali: abbiamo avuto tre stagioni per dimenticarcene, ma i fuochi pirotecnici avrebbero fatto storcere il naso a quelli che se ne ricordavano. Insomma, o da una parte o dall’altra non era proprio possibile accontentare il pubblico.
Anche dal punto di vista delle tempistiche la faccenda è perniciosa. La resurrezione di Gionsnò è stata improvvisa, sì, ma qual era l’alternativa? Altri cinque episodi con Kit Harrington sdraiato sul tavolo in rigor mortis, Melisandre con lo sguardo vacuo e Ser Cipolla che le fa pat pat sulla spalla per incoraggiarla? Cioè, cinque episodi non sono cinque capitoli di libro: quelli li divori, assieme a tutto ciò che c’è nel mezzo, in una, due sere, mentre cinque episodi sono cinque settimane di attesa e metà della stagione in cui non accade niente. In termini cinematografici, più che costruire la tensione sarebbe stato anticlimatico e avrebbe scatenato sbadigli. L’alternativa, quindi, era deluderci o annoiarci: lo show perde in ogni caso.

E non dico che sia privo di colpe, eh! È vero che la resurrezione di Gionsnò sta a questi due episodi come la walk of shame di Cersei sta alla scorsa stagione: quella è stata l’ennesima prevaricazione di una donna in una stagione che ne è stata piena, questo è l’ennesimo colpo di scena in due episodi con più plot twist di una soap opera. Insomma, si è persa un po’ nella freneticità degli eventi e non è spiccata abbastanza.
Ma resta il fatto che non possiamo giudicare lo show sulla base delle aspettative che la mancata uscita di The Winds Of Winter non ha soddisfatto: quelle domande che ci facciamo da anni non potranno essere soddisfatte con tanta profondità su schermo quanto lo sarebbero state su carta, vuoi per la differenza del mezzo comunicativo, vuoi per esigenze di adattamento, vuoi perché il tempo dello show è limitato in un modo in cui una mole di testo non lo è. Dobbiamo rassegnarci alla cosa e dare un po’ più di credito alla serie, se vogliamo continuare a guardarla. E criticarla dove davvero fa porcherie che non stanno né in cielo né in terra (sto guardando te, Dorne).
Tutto questo bisogna tenerlo a mente soprattutto la prossima settimana, specie se si segue i libri da tanto tempo: sono pronto a scommettere che avremo la conferma che R+L=J e stavolta gli anni di aspettativa per molti saranno venti. Non sarà mai come ce lo siamo immaginati, ma almeno la trama andrà avanti e avremo risposte certe: accontentiamoci.

Detto ciò, occupiamoci di personaggi di cui vale la pena occuparsi: FREE MARGAERY.

Tuesday 3 May 2016

One of these days

Ci sono giornate in cui uscire di casa è particolarmente difficile. Anche solo uscire dal letto, in realtà, ma lì è meno complicato: tendo l’orecchio, mi assicuro che non ci siano rumori in cucina, sciabordio in bagno, passi in corridoio e vado a prepararmi il pranzo o a bere o a pisciare, per poi rintanarmi in camera come un’ombra prima che qualche incontro ravvicinato con un coinquilino mi costringa a socializzare.
Per uscire di casa invece devo levarmi l’orribile camicia di jeans e la felpa di quando avevo tredici anni, che ormai è talmente consumata che i polsini stanno cadendo a pezzi. Devo togliermi il pigiama e mettermi le mutande e le calze. E i jeans: Cristo, quanto sono belli gli skinny ma quanto sono faticosi da indossare. E scegliere la camicia e il maglioncino da mettere sopra – non prendiamoci in giro, la camicia sarà sempre la stessa finché non sarà imperativo infilarla in lavatrice, nonostante l’armadio che straripa di vestiti. E la giacca? Farà caldo e la porterò a peso morto? Farà freddo ed è meglio mettere anche la sciarpa? Beh, fortuna che almeno fa abbastanza fresco da mettere il cappello e nascondere il casino che ho in testa finché non mi decido a chiamare il parrucchiere e fissare una data per sistemare il taglio. La barba, poi, non nominiamola nemmeno.

Fortuna che il richiamo del gelato è più forte di quello del letto: c’è ancora il gusto del mese scorso (il cioccolato del vizioso, ovvero mousse di cioccolato al latte con granella di nocciole caramellate e scaglie di cioccolato bianco) da abbinare con questo mese (meringata alla vaniglia con amarene candite), la fragola e panna montata. Meglio approfittarne finché dura, così almeno ho una scusa per portare il sedere fuori di casa e non sprofondare nell’apatia più completa.
Perché il problema è che, in queste ultime settimane, le giornate in cui me ne starei tutto il tempo a vegetare a letto sono molte.
Fanculo, chiamo il parrucchiere, fisso un appuntamento per domani e, con i capelli in ordine, vado a vedermi Civil War. L’ultima volta che mi sono sentito così per giorni, andare a vedere Deadpool è stato catartico. Magari Cap e Iron Man che si pestano a morte mi risolleverà l’umore.