Wednesday, 11 May 2016

I froci di Schrödinger, o combattere la tolleranza repressiva

È impossibile inquadrare il DDL Cirinnà, le sue conquiste, le sue perdite, il suo iter travagliato, le reazioni che ha suscitato e il confronto con altre realtà occidentali senza considerare il contesto storico dell’omosessualità in Italia. È un argomento vastissimo, per approfondire il quale raccomando le pubblicazioni di Giovanni dall’Orto, sia i saggi sul sito che il libro Tutta Un’Altra Storia, ma il sunto semplificato e banalizzato è: essere cittadini di serie B è importante e perfino utile. Essere discriminati legalmente e istituzionalmente, piuttosto che solo socialmente, è ciò che dà la spinta al cambiamento.
A differenza di molte nazioni europee, l’Italia unita non ha mai avuto una legge che criminalizzasse l’omosessualità; ad eccezione dello Stato Pontificio, gli stati regionali che ne avevano una l’hanno vista decadere con l’arrivo di Napoleone, tant’è che per tutto l’Ottocento l’Italia è stata una specie di paradiso del turismo (omo)sessuale europeo; mentre all’estero si finiva in carcere per sodomia, i tentativi parlamentari di criminalizzare l’omosessualità in Italia sono stati apertamente osteggiati e respinti a più riprese, perfino in epoca fascista. E se è vero che sotto il regime c’è stato il confino per sodomia, è stato un fenomeno estremamente limitato e portato avanti per lo più su iniziativa personale di alcuni ufficiali pubblici piuttosto che su scala statale. Tutto questo per dire: davvero storicamente l’Italia è stata addirittura più avanti del resto d’Europa sul tema dei diritti LGBT? Perfino sotto il fascismo?
In breve, la risposta è: NO. La mancanza di un intervento istituzionale, in questo caso negativo, sulla questione omosessuale in Italia non è stato dovuto tanto a progressismo, quanto a ciò che Giovanni dall’Orto chiama “tolleranza repressiva”; volendo, qui potremmo chiamala “i froci di Schrödinger”.
Detto in soldoni: fino a oggi pomeriggio, secondo lo stato italiano i froci si trovavano in uno stato quantistico per cui esistevano e non esistevano al tempo stesso. Esistevano, ma erano un problema delegato alla Chiesa Cattolica e alla sua azione di influenza sociale: ovvero, la Chiesa insegnava la repressione ed era la “giustizia popolare” a punirli sotto forma di ostracismo sociale, le (non tanto) occasionali botte, olio di ricino quando andava di moda e altri modi che non entravano mai in ambito giuridico. Ma non esistevano perché, così facendo, lo Stato se ne lavava le mani: non li puniva, ma nemmeno li tutelava o dava loro diritti; semplicemente, faceva come se non ci fossero. Un arresto pubblico con tanto di processo e copertura mediatica avrebbe significato attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, per quanto ostile, sull’esistenza della sodomia; così invece era tutto silenzioso e si poteva far finta che la “devianza dalla norma” fosse, al massimo, episodica, o comunque non un fenomeno degno di nota – anzi, questo è stato un punto particolarmente enfatizzato durante il fascismo, secondo il quale tutti i maschi italici erano virili e l’omosessualità semplicemente non esisteva, era roba da Inglesi e Francesi.
Alla lunga, come metodo si è rivelato molto più efficace del modello Centroeuropeo: uno Stato che riconosce i froci in senso negativo non può far finta che non esistano. Nel momento in cui c’è una persecuzione sistematica, in cui è anzi la legge stessa che persegue una fetta della popolazione, questa si sente più motivata a unirsi e fare lotta di classe per liberarsi. È per questo che nei paesi Centroeuropei i movimenti omosessuali sono nati prima, sono stati più incisivi, più organizzati, e hanno ottenuto risultati più in fretta: da una parte dovevano realmente salvarsi la pelle, dall’altra combattevano contro un obiettivo preciso (le istituzioni); inoltre, l’opinione pubblica, che nel tempo ha iniziato a mutare, era consapevole in maniera inequivocabile della loro presenza. Erano legalmente riconosciuti non come cittadini di serie B, proprio come cittadini di serie Z, ed è su questa base che hanno costruito la loro lotta: uno stato che prima ti riconosceva come criminale e si è reso conto di aver preso una cantonata non può far finta di non riconoscerti come cittadino quando gli chiedi diritti.
Al contrario, in Italia non c’è mai stata una motivazione forte come il rischio di finire in carcere a unire la comunità LGBT; lo Stato non ha mai riconosciuto l’esistenza del “fenomeno” gay, per cui anche tutelarlo in qualche modo era superfluo perché l’omofobia, così come la richiesta di diritti, poteva passare per un “episodio” isolato, piuttosto che il sintomo di un malessere diffuso; e l’opinione pubblica non ha mai considerato l’omosessuale oltre il ruolo di macchietta nei siparietti comici, non si è mai soffermata sul fatto che è una persona, non ha mai preso parte al dibattito rischiando di entrare in contatto con studi e dati scientifici che sfatassero il pregiudizio.

In sostanza, se solo oggi in Italia si è compiuto quello che per molti paesi è stato un primo passo avvenuto decenni fa sull’equiparazione dei diritti, in parte è per la spinta retriva di una Chiesa Cattolica molto più presente, in parte è proprio per l’eredità che la tolleranza repressiva ci ha lasciato tutt’ora: questi froci di Schrödinger che quando esistono danno tanto fastidio, ma in realtà non esistono e non c’è proprio bisogno di fare leggi per loro. In Europa sono stati sì cittadini di serie Z, ma pur sempre cittadini che, a forza di lotte, hanno risalito tutto l’alfabeto, conquistato sempre più alleati che si accorgevano dei problemi reali che la legge poneva loro, trovato nemici che si sono resi sempre più ridicoli e poco credibili, e col tempo sono diventati prima cittadini di serie B e infine di serie A. In Italia erano non-entità che, formalmente, non avevano nulla di cui lamentarsi. Nulla vietava loro di essere froci, cazzo volevano ancora? In quattro gatti sui tacchi, poi? E siamo sicuri che siano davvero froci e non sia tutto un capriccio?
Per questo sì, il DDL Cirinnà per come è arrivato al traguardo è probabilmente anacronistico rispetto al resto d’Europa; ma, nel resto d’Europa, il movimento omosessuale non è dovuto partire dalla non-esistenza. Nel momento in cui lo Stato ci ha riconosciuti come cittadini di serie B, siamo per lo meno diventati cittadini. L’opinione pubblica ha scoperto che esistiamo al di fuori del comic relief. La gente si è interessata alla nostra battaglia e ha capito che cose che loro danno per scontate noi non le abbiamo. Ci siamo fatti degli acerrimi detrattori che danno voce alla loro opinione in maniera talmente goffa e incoerente che quelli con un po’ di buon senso (che dai, non sono così pochi) finiranno per svegliarsi anche se non si interessano davvero a noi.
Per cui, il sunto è che sentirsi delusi e amareggiati è lecito, ma sintomo di una leggera miopia storica – di cui comunque non c’è da vergognarsi, non è un argomento su cui si trova molta letteratura. Dato il contesto storico dell’omosessualità in Italia (e, ripeto, ho solo scalfito la superficie della questione), forse semplicemente non era possibile pretendere di più. E sì, essere considerati “meno cittadini” di altri è fastidioso e insultante, ma è comunque meglio che non essere considerati proprio: abbiamo acquisito il grande risultato di avere un riconoscimento legale della nostra esistenza per la prima volta dall’Unità d’Italia. Prima o poi, una società fa il suo corso e un riconoscimento legale ingiusto viene emendato; con la velocità con cui la società evolve oggi, non solo la proposta di referendum abrogativo naufragherà miseramente in un facepalm collettivo, ma probabilmente non dovremo nemmeno aspettare altri centocinquant’anni prima di ottenere la priena parità.
Per cui, nella giusta prospettiva storica, questo DDL Cirinnà io lo accolgo con un certo ottimismo: abbiamo sconfitto la tolleranza repressiva e l’inesistenza istituzionale, i primi grandi mostri sociali di cui eravamo vittima. Ora sarà più difficile ignorarci.

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