Tuesday, 1 April 2008

L’agave e l’onda

Una passeggiata sul lungomare può offrire molti spunti di riflessione. Il sole che sta per calare, una brezza leggera che però solleva onde alte, e la vegetazione tipica degli scogli. Tutto parte da un’osservazione sull’agave e una sul surf.

Il surf: il povero malcapitato fa una fatica immane per nuotare contro corrente, si fa sballottare dalle correnti, patisce il freddo, il vento, risale l’acqua, e per cosa? Solo per pochi secondi in piedi, in equilibrio precario sulla tavola, a cavalcare un onda che è subito esaurita. Il tempo di preparazione è decine di volte quello della performance stessa. Ne vale davvero la pena?

E l’agave. Passa anni e anni a crescere. Lo scopo di ogni forma di vita è mettere al mondo altra vita, e così l’agave infine fiorisce. La pianta raramente supera il metro e mezzo, con le sue grandi foglie appuntite, ma il fiore sembra un albero, alto cinque o sei metri, con le ramificazioni. Solo che, alla fine, la pianta si consuma nello sforzo della fioritura e poi muore. Anche qui, anni e anni per prepararsi a una fioritura di pochi giorni, morendo addirittura nello sforzo.

Più vado avanti e più sono convinto che non possa esistere un dio come lo intendono le religioni monoteistiche: la vita è un tale nonsenso che nessun essere intelligente avrebbe mai potuto crearla. È stata una tragica fatalità, un errore di una natura mossa da una meccanica totalmente automatica.

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