Monday 7 July 2008

Sogni strani

Oggi, miei cari lettori, vi proponiamo una nuova puntata della serie “Visita l’inconscio anormale di Alessandro attraverso i suoi sogni”.
Scherzi a parte, ho appena fatto un sogno ambientato in una delle mie epoche storiche preferite, per cui ci terrei a fissarlo da qualche parte, anche se è assurdo, per certi versi inquietante, e soprattutto molto, molto confuso.

La prima scena che ricordo è al buio completo, sotto un cielo stellato. Inconsciamente, so che si svolge a Torino. È molto in alto (la Mole? una torre?), tanto che si intravedono, lontanissime, le luci di Parigi (sì, lo so che è assurdo, ma è un sogno, dopo tutto, no?). Ad una certa, ci sono delle piccole esplosioni sul cielo sopra la lontana città, e Dorian (perché c’è lui, in quel punto elevato, assieme ad un altro uomo che per istinto so essere un certo T.) mormora: “È iniziato”.


Cambio di scena. Il nostro bel Frisson (inquadrato dal basso) si trova sotto i mirabolanti giochi pirotecnici che illuminano il cielo di Parigi per il capodanno del 1900. Siamo quindi in piena Belle Epoque, ma sebbene i fuochi siano spettacolari, Frisson non se li gode, pensando a Dorian che è da qualche parte lontano (suppergiù le stesse emozioni che prima provava Dorian).



Fin qui, a parte che Parigi si vede da Torino, nulla di strano, c’è solo un mezzo spoiler del capitolo 19 del mio racconto, ma nulla di ingestibile. A questo punto, iniziano i problemi: Frisson non è più Frisson, ma un personaggio femminile che riesco vagamente ad assimilare a Stephanie Gray de La Dama col Mantello di Mary Balogh, o per lo meno ad una Stephanie prima di diventare governante, ereditiera o sposare il Duca (fate conto che è un mezzo Harmony, quel libro, quindi c’è roba di questo genere). Finiti i fuochi, la nostra ragazza si incammina verso casa. Anche se provo a fare mente locale, non ricordo di preciso cosa sia accaduto, ma, forse per tagliare un po’, la ragazza entra in una via che sembra distinta, ma è deserta. C’è solo uno stuolo di marmocchi alla Les Misèrables che giocano. D’istinto, io (perché a quel punto, da spettatore mi sono trovato nella protagonista - e non in senso sessuale) capisco che mi vogliono scippare, ed accelero il passo. Uno dei marmocchi tira fuori un coltello a serramanico, e prende ad inseguirmi.
Dato che non sono una stupida (dopo tutto, a fare il sogno continua pur sempre ad essere un maschio, insomma!), io mi preparo a difendermi, stringendo la borsetta, con la quale avrei potuto colpire l’aggressore (in fondo, è solo un bambino... e non credo che agli inizi del Novecento le donne andassero più in là di questi metodi contro gli aggressori, quindi non pensate che io sia una checca isterica, per favore). Attraverso la strada da sinistra verso destra, e scorgo che per mia fortuna ci sono delle transenne, inizio a spostarle nella speranza di ostacolare così l’inseguitore (da notare che gli altri bambini seguono a distanza con interesse).
A questo punto, non ricordo una sequenza – che, essendo un sogno, potrebbe non esserci nemmeno stata, dato che nei miei sogni i cambi di scenario improvvisi sono molto frequenti – e mi ritrovo in un vicoletto dall’aria poco raccomandabile (probabilmente, per quanto a sognare fossi io, un ragazzo, la nostra protagonista resta pur sempre una donna e si è cacciata nei pasticci per un difetto costituzionale). Il marmocchio inciampa mentre mi insegue, sbatte la testa e sviene. Gli amichetti iniziano a strillare attirando gli adulti. Io capisco al volo che non cercano altro che la scusa buona per aggredirmi, e il ragazzino svenuto è un invito a nozze. Mentre una dona terribilmente volgare  si avvicina al bimbo (in qualche modo, io so che non si è fatto niente e finge), io me la do a gambe, infilandomi in un vicolo laterale.
Questa parte è stata la più inquietante del sogno, perché si sa, quando una persona tenta di correre in sogno è semrpe, terribilmente lenta. Ricordo di essere corsa prima svoltando a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a sinistra, a destra, e sinistra, pensando che un percorso quanto più irrazionale possibile avrebbe giocato a mio favore. Tuttavia, ad una certa, mi rendo conto di essermi perso (in questo momento sono di nuovo Frisson).
Ma una mano dall’alto non tarda ad arrivare, mentre seguo quello che sembra un vicolo cieco, mi accorgo che c’è un’entrata secondaria della metropolitana parigina (e qui sono di nuovo Stephanie).
Mi ci fiondo ringraziando chi di dovere, pago l’ingresso, e continuo a correre sotto terra. A quel punto, arrivo ad una specie di cafè, dove per qualche motivo che non ricordo, arriva la madre del bimbo. Io, contando sulla scarsa illuminazione del vicolo, le do le spalle, sperando di passare inosservata. La barista, capendo cosa sta succedendo e che in realtà si tratta di una mezza truffa, mi da dei vestiti con i quali mi camuffo da ragazzo, precisamente da suo figlio. A quel punto, mi chiede di portare una cosa al controllore dei treni, facendomi l’occhiolino, io annuisco e corro
verso i treni. La stazione, in marmo chiaro, è in squisito Stile Liberty (anche i miei sogni devono essere artisticamente curati, cosa credete?), ed io mi precipito verso una porzione della sala d’attesa, accanto ai binari (che sono alla mia sinistra) divisa da quella dove mi trovo e ci sono le scale (quindi più esposta) da un massiccio pilastro. L’istinto mi suggerisce di nascondermi dietro il pilastro, dove c’è un incavo che mi cela completamente, e vedo arrivare i vagoni del treno, in legno e dal sapore squisitamente Belle Epoque. Faccio per fiondarmici sopra, ma l’istinto mi suggerisce di restare nascosta. Infatti, arrivano tre uomini strillanti, che intuisco essere il padre e due fratelli grandi del marmocchio cencioso. I due giovani salgono sul treno (e io ringrazio di non esserci salita), mentre il padre inizia a strillare con tono da tragedia alla folla (che mi copre) dicendo che gli hanno quasi ucciso il figlio e altre cose del genere. A quel punto, mi sveglio.
 
Ed è tutto per questa puntata di “Insieme nel subconscio turbato di Alessandro”, grazie per l’attenzione, arrivederci alla prossima pubblicazione.

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