Friday 14 February 2014

Welcome to Engagedland

Vuoi sapere qual è la verità sul tuo conto? Sei una fifona, non hai un briciolo di coraggio, neanche quello semplice e istintivo di riconoscere che... che a questo mondo ci si innamora, che si deve appartenere a qualcuno, perché questa è la sola maniera di poter essere felici.

Una cosa che mi urta parecchio del relazionarmi con le persone è il loro presupporre che tutte le mie miserie derivino dal mio essere single, come se trovare il Principe Azzurro fosse la panacea ad ogni male. Perfino (e anzi, soprattutto) i miei amici più stretti.
Sei depresso? Trovati qualcuno. Sei improduttivo? Trovati qualcuno. Ti è morta la gatta? Trovati qualcuno. Non sai da che parte cominciare a rimettere ordine nella tua vita? Trovati qualcuno. Vuoi smettere di essere meschino col resto dell’umanità per sentirti meno solo nella tua tristezza? Trovati qualcuno.
Ok, posso ammettere l’effetto placebo del fidanzamento, che costituisce una novità in una situazione stagnante e può dare un incentivo a scuotersi un po’, ma non è una soluzione di per sé. Passata la novità, cosa resta?
Meno tempo ed energie per lavorare su se stessi (non era una domanda retorica), visto che vanno ad aggiungersi alle proprie magagne anche quelle del partner. Una parola fuori posto e parte il dramma, un ex che si rifà vivo innesca una scenata, uno sguardo più lungo del dovuto ed ecco la gelosia, il tubetto del dentifricio lasciato aperto sarà rinfacciato al momento opportuno. Di fronte ai miei amici neofidanzati che millantano le gioie dell’innamoramento come antidepressivo naturale e poi si ritrovano a bisticciare per le più futili motivazioni, la mia risposta standard è diventata:
Welcome to Engagedland.

(Con tanto di arcobaleno di WhatsApp).
Perché siamo onesti: le paturnie di quando si era single sono forse magicamente svanite? No.

Sono d’accordo, una storia può essere un piacevole intermezzo mentre si cerca di fare un percorso di autoanalisi e migliorare le proprie debolezze, ma non certo il mezzo privilegiato per farlo. Paul Varjak può riempirsi la bocca quanto vuole sul fatto che si “debba” appartenere a qualcuno per convincere Holly a sganciargliela, ma non è una condizione necessaria per la realizzazione dell’essere umano. Se non si sta bene con se stessi c’è poco da fare.
A questo proposito, nonostante la mia non ottima opinione della psicologia e della sua catalogazione rigorosa delle emozioni, ho trovato molto illuminante la ruota di Plutchik, uno schema che riassume lo spettro emotivo umano in otto emozioni primarie fra loro opposte – gioia e tristezza, fiducia e disgusto, paura e rabbia, sorpresa e anticipazione – che possono avere vari gradi di intensità – la gioia può diventare estasi o semplice serenità, la tristezza lutto o malinconia, eccetera – e che, mischiandosi fra loro, costituiscono altre emozioni “derivate”. Insomma, basta vedere lo schema di cui sotto per farsene un’idea (grazie Wikipedia).
Prendendo il tutto con le doverose pinze, le risposte vengono fuori da sé. In piena tradizione Schopenhauer (leggi, lieve depressione), sono una persona sostanzialmente molto annoiata con occasionali momenti di malinconia (lo strato più sbiadito della parte blu-violetta dello schema), il che mi pone praticamente dalla parte opposta del diagramma rispetto all’ammoreh, il prodotto di gioia e fiducia, che sono il contrario dei miei stati d’animo prevalenti. Detto in soldoni, è fisiologico che non riesca a innamorarmi, visto che emotivamente non potrei trovarmi più distante dalle condizioni necessarie per poterlo fare in maniera costruttiva. Quindi non è che sono triste e annoiato perché non mi innamoro, ma non mi innamoro perché sono triste e annoiato.
Tutto ciò, sono il primo a riconoscerlo, rischia di diventare una perfetta auto-giustificazione per scaricare il “problema” e non preoccuparmi di risolverlo, tanto non posso farci niente perché è una specie di condizione esistenziale del momento, ma anche se la cosa va presa con le pinze (lo ribadisco), è comunque illuminante.
Pur volendo trealasciare malinconia e noia per non suonare melodrammatici, resta il fatto che una delle due componenti fondamentali dell’amore è la fiducia, la quale, per una serie di motivi, non è esattamente il primo sentimento che provo nei confronti dell’umanità. Dubito che la mera accettazione sia sufficiente, mentre se l’ammirazione può trasformarsi in una cotta, pone automaticamente a un livello diseguale con l’altra persona e non è assolutamente un buon presupposto per una relazione. Del resto, ammiro (e mi infatuo di) per lo più sconosciuti, e le cottarelle nate dall’ammirazione si sgonfiano non appena conosco i soggetti in questione e scopro i loro difetti da persone reali; d’altra parte, per fidarmi della gente ho bisogno di una valutazione oculata, a mente fredda, per questo anche l’amore rimane ovattato e al massimo diventa amicizia piuttosto che romanticismo.
Insomma, prima devo liberarmi delle mie magagne, poi potrò pensare a concentrarmi su qualcun altro.

Quindi, partendo dal presupposto che tutto ciò non sia una mia prerogativa esclusiva ma sia invece applicabile un po’ a tutti, cari i miei amici neo-fidanzati convinti di aver trovato il Santo Graal, non solo così facendo non avete risolto i vostri problemi, non solo ve ne siete aggiunti anche altri, ma addirittura i problemi personali non risolti, vostri e della vostra metà, saranno probabilmente la causa della crisi definitiva della vostra coppia quando verranno a galla. Prima di buttarvi fra le braccia di qualcuno, prendetevi un po’ di tempo per lavorare su voi stessi a mente sgombra, senza flirt o cotte di mezzo, e magari incoraggiate la vostra metà a fare altrettanto. Altrimenti, non lamentatevi e…
Welcome to Engagedland.

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