Ferragosto è stato il giorno più gelido di un’estate fredda e piovosa. Ha letteralmente diluviato tutta la mattina, ha tirato vento, ho dovuto mettere un maglioncino per uscire a fare due passi, quando poi ha smesso di piovere. Oggi è esattamente sulla stessa linea, piove, tira il vento e fa freddo. Non che mi lamenti del fatto che il 2014 sia praticamente un Anno Senza Estate – anzi, per me è una manna dal cielo. È solo che il parallelismo fra il tempo atmosferico e il mio stato d’animo non fa altro che rendermi ancora più malinconico di quanto non sia già.
Oggi Murka avrebbe compiuto diciassette anni. Di tutti i suoi compleanni, ne ho perso solo due, nel 2003 e nel 2009, mentre ero in vacanza-studio in Inghilterra e Germania rispettivamente. Quest’anno, per vari motivi, non sono ancora tornato dalla Mater. Così, mi ritrovo del tutto solo a crogiolarmi nella malinconia. Ma in fin dei conti, la compagnia mi avrebbe aiutato; tanto meno quella della Mater, che esterna il suo dolore in maniera molto attention whorish trasformando la morte della gatta nel suo dramma personale. Non fa che parlare di come l’ha accudita fino alla fine ed è stata male lei nel vederla peggiorare sempre più, come se potesse accampare più diritti di me sull’essere in lutto per Murka. So di essere ingiusto nel parlarne così e in fin dei conti la capisco benissimo, è lei che ha sostenuto il peso reale della sua malattia. Ma essendo io stesso emotivamente a pezzi, non sarei proprio in grado di sopportarla; alla fin fine, penso sia per questo se ho fatto di tutto per rimandare la partenza finendo per perdermi un’intero mese di vacanze che avrei potuto passare giù.
Onestamente, non so proprio cosa aspettarmi, una volta che sarò tornato giù. Non ho avuto fisicamente modo di abituarmi all’assenza di Murka. Vivendo a Treiste, negli ultimi anni non l’ho più davvero avuta nella quotidianità, e il mio mondo di qui non è davvero cambiato dopo la sua morte. Ma giù a casa, ogni cosa, ogni piccolo gesto era in sua funzione, dal chiudere o aprire certe porte a conservare i cartoni puliti della pizza per usarli come tovaglietta sotto la sua ciotola. Sedici anni e mezzo con qualcuno che ami fanno sì che ogni gesto, ogni aspetto del quotidiano ne tenga conto, e quella settimana e mezza a Pasqua non è certo bastata per farmi rendere conto che ogni cosa è cambiata. Per questo, forse, è un bene che oggi il tempo sia così uggioso: è una specie di allenamento al senso di vuoto che mi crollerà addosso nei due mesi che passerò a casa.
Oggi Murka avrebbe compiuto diciassette anni. Di tutti i suoi compleanni, ne ho perso solo due, nel 2003 e nel 2009, mentre ero in vacanza-studio in Inghilterra e Germania rispettivamente. Quest’anno, per vari motivi, non sono ancora tornato dalla Mater. Così, mi ritrovo del tutto solo a crogiolarmi nella malinconia. Ma in fin dei conti, la compagnia mi avrebbe aiutato; tanto meno quella della Mater, che esterna il suo dolore in maniera molto attention whorish trasformando la morte della gatta nel suo dramma personale. Non fa che parlare di come l’ha accudita fino alla fine ed è stata male lei nel vederla peggiorare sempre più, come se potesse accampare più diritti di me sull’essere in lutto per Murka. So di essere ingiusto nel parlarne così e in fin dei conti la capisco benissimo, è lei che ha sostenuto il peso reale della sua malattia. Ma essendo io stesso emotivamente a pezzi, non sarei proprio in grado di sopportarla; alla fin fine, penso sia per questo se ho fatto di tutto per rimandare la partenza finendo per perdermi un’intero mese di vacanze che avrei potuto passare giù.
Onestamente, non so proprio cosa aspettarmi, una volta che sarò tornato giù. Non ho avuto fisicamente modo di abituarmi all’assenza di Murka. Vivendo a Treiste, negli ultimi anni non l’ho più davvero avuta nella quotidianità, e il mio mondo di qui non è davvero cambiato dopo la sua morte. Ma giù a casa, ogni cosa, ogni piccolo gesto era in sua funzione, dal chiudere o aprire certe porte a conservare i cartoni puliti della pizza per usarli come tovaglietta sotto la sua ciotola. Sedici anni e mezzo con qualcuno che ami fanno sì che ogni gesto, ogni aspetto del quotidiano ne tenga conto, e quella settimana e mezza a Pasqua non è certo bastata per farmi rendere conto che ogni cosa è cambiata. Per questo, forse, è un bene che oggi il tempo sia così uggioso: è una specie di allenamento al senso di vuoto che mi crollerà addosso nei due mesi che passerò a casa.
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